II° parte
Arrivato nei pressi della
costruzione incontrò il granduca, che parve stupito di vederlo.
“Aguilon, ma dove eravate
finito; è passata l’una, abbiamo pranzato senza di voi.”
“Mi sono recato a visitare
il labirinto. Molto interessante, ma mi sono perso. Mangerò qualcosa nelle
cucine, se non vi dispiace.”
“Prego.” Lo invitò il suo
ospite, che continuò: “Avete scoperto qualcosa d’interessante da quelle parti?”
“Penso di sì. Eravate a
conoscenza dell’uscita laterale del labirinto? E’ da lì che sono passato per
tornare, l’ho trovata per caso.”
“Uscita laterale dite. Non
ricordo... Aspettate... Sì, da bambini, io e mia sorella Costanza, usavamo
spesso quell’uscita per gabbare i nostri compagni di giochi.”
“Beh, l’ha usata anche
qualcun altro. Conoscete una persona con i capelli di questo colore?” chiese
Felipe, mostrando la ciocca di capelli fulvi raccolta nel labirinto.
“Maddalena di Giovanni dal
Pino.” Rispose sconsolato il granduca.
“Non scherzate. Se non sono
i capelli di una persona in carne ed ossa, allora, provengono da una parrucca
di capelli veri; se è così, il fantasma che cerchiamo è solo un bravo attore.”
“Ma per quale motivo se la
sono presa con Isabel?” chiese il granduca, stringendo i pugni.
“Perché era la più facile
da attaccare, e perché lei è il vostro punto debole.” Affermò Aguilon,
guardando l’uomo che aveva di fronte.
“Avete ragione. Rafforzerò
la guardia davanti alla sua stanza, non voglio rischiare che esca di nuovo in
giardino; ho paura che queste persone siano più pericolose del previsto.”
“Vi do un consiglio: le
guardie possono addormentarsi, o distrarsi, o peggio, possono essere corrotte.
Siete voi la migliore guardia per vostra moglie; cambiatele stanza, fatela
dormire con voi, l’amate e ne ha molto bisogno.”
“Vi ringrazio Felipe, credo
che abbiate ragione, seguirò il vostro consiglio.”
Dopo aver salutato il
granduca, Felipe, si diresse verso le cucine: era affamato, e sperava di
trovare gli avanzi del lauto pranzo consumato dal suo ospite. Nelle cucine
trovò un cuoco grasso ed uno sguattero secco, intento a lavare le stoviglie;
gentilmente chiese di poter mangiare qualcosa, gli fu indicato un tavolo su
cui, coperte da una tovaglia, trovò delle pietanze ben preparate. Pensò che,
anche questa volta, il granduca era stato più previdente di lui: quando non
l’aveva visto tornare, evidentemente, aveva fatto mettere da parte il pranzo.
Lo ringraziò con il pensiero.
“Sono andati a prendere i
piatti della granduchessa?” chiese ad un certo punto lo sguattero al cuoco.
Felipe si voltò, incuriosito.
“Sono là.” Rispose il cuoco
indicando dei piatti su di un vassoio. “Tanto anche oggi avrà preso solo il
brodo, poverina.”
“Scusate...” Disse Felipe.
“La granduchessa mangia spesso nelle sue stanze?”
“Dall’inverno scorso,
quando è stata malata, non è più scesa a mangiare con il granduca.” Rispose il
cuoco.
“E ditemi, chi prepara i
suoi pasti?” continuò Aguilon, bevendo un sorso di vino.
“Io.” Disse orgoglioso il
cuoco dal lindo grembiule. “Come per tutti quelli che vivono qui.”
“Vi ringrazio. Voi cucinate
splendidamente.” Disse alzandosi di scatto. “E voi...” Rivolto allo sguattero.
“Lavate le stoviglie splendidamente. Vi ringrazio di nuovo e vi auguro buon
lavoro. Arrivederci.”
Detto questo, usci dalla
cucina quasi di corsa. I due si guardarono un po’ smarriti, lo sguattero si
grattò l’orecchio con il mignolo e poi riprese il suo lavoro.
Dopo essere uscito dalle
cucine Felipe era ben deciso a parlare con una persona. Ma, nel salone principale,
il granduca lo fermò, per presentargli suo cugino: il conte Paolo. Era un
giovane magro, dal viso un po’ sfuggevole, ma piuttosto avvenente, con capelli
castani ed occhi azzurri.
“Onorato di conoscervi.” Disse
Felipe.
“L’onore è mio.” Poi continuò.
“Il principe José deve essere davvero molto preoccupato per la figlia, se ha
mandato un altro emissario a controllare.”
“Io sono solo un ospite,
che voleva visitare la vostra bella terra. Non c’è ragione di pensare che sia
qui per volere del principe.” Lo spagnolo rivolse uno sguardo al conte, che
distolse subito gli occhi.
“Mio cugino, signor
Aguilon...” Puntualizzò il granduca. “Vivrebbe a Roma, ma ama viaggiare, ed ha
anche visitato il nuovo mondo; molto spesso viene ad allietarci con la sua
compagnia.”
“Mi assicurano che Roma sia
una città stupenda.” Rispose Felipe.
Continuarono a parlare del
più e del meno per un po’, il tempo scorreva e Felipe aveva fretta.
“Scusatemi.” Disse, ad un
certo punto il granduca, quando vide un paggio che lo chiamava. “Sono costretto
ad allontanarmi, i miei impegni mi chiamano.” Così dicendo raggiunse il paggio
e con lui se n’andò.
“Com'è triste parlare della
malattia della povera Isabel; i mali della mente sono così umilianti.” Proseguì
Paolo, quando il cugino fu sparito.
“Siete convinto che la
granduchessa sia pazza?” lo blandì Aguilon.
“Abbiamo qui un luminare
nella cura di queste povere persone, che pare ne sia convinto. Ma mio cugino si
rifiuta di fargliela visitare; fortunatamente il dottor Peñarosa non si
arrende. Afferma che siamo ancora in tempo per salvarla.”
“Venivate qui anche da
bambino?” chiese all’improvviso Felipe. Il conte lo guardò con aria perplessa,
colto di sorpresa dalla domanda.
“ ... Certo. Fin da piccolo
ho frequentato questa casa. Ma perché...”
“Dunque giocavate spesso
con i vostri cugini, il granduca e Costanza.”
“Sì, lo facevo.”
“Anche in giardino, nel
labirinto?”
“Certamente, era il nostro
passatempo favorito. Dovete spiegarmi perché mi fate certe domande, signor
Aguilon.” Affermò, scocciato Paolo.
“Così; per conoscere
l’ambiente in cui mi muovo. Dunque voi siete molto intimo della famiglia e
avete confidenza con il giardino. Bene, vi ringrazio. Adesso devo proprio
lasciarvi, devo parlare con una persona. Arrivederci, conte.”
Il conte Paolo lo guardò
allontanarsi, con quell’aria soddisfatta, pensando di trovarsi davanti ad un
borioso ed arrogante spagnolo, che non poteva permettersi di trattare in quel
modo il cugino del granduca.
Felipe, all’oscuro delle
riflessioni del conte, era immerso nelle sue, quando bussò delicatamente alla
porta della fantesca.
“Avanti.” Invitò la donna.
Era intenta a ricamare un lenzuolo.
“Buongiorno, signora. Vi
ricordate, stamani, dalla granduchessa, vi dissi che dovevo parlare con voi.” L’apostrofò,
con gentilezza, lo spagnolo.
“Sì, certo che ricordo, non
sono così vecchia da non ricordare.”
“Ma certo che no; vedo bene
che siete ancora giovane e piacente.” Disse rivolgendole uno sguardo dei suoi.
Con le donne, qualsiasi donna, i suoi sguardi avevano sempre funzionato;
infatti, la fantesca parve meglio disporsi.
“Devo farvi alcune domande.
Se non vi dispiace.”
“Dite pure, bel giovanotto.
Sarò felice di rispondere.” Anche stavolta lo sguardo assassino di Felipe aveva
avuto l’effetto desiderato.
“Dunque, ricordate la prima
volta che la granduchessa disse d'aver visto il fantasma di Maddalena di
Giovanni dal Pino?”
“Come potrei dimenticare.
Fu una notte d’inverno, che paura. Il campanello non lo aveva sentito nessuno,
altrimenti saremmo corsi. La ritrovammo in fondo allo scalone, era svenuta,
povera. Che dispiacere, una fanciulla così giovane e bella, e poi il granduca
l’adora.”
“Vero. Ditemi, chi serve i
pasti alla vostra signora?”
“Io, lo faccio. Ogni
giorno. Sapete è debole, non è facile per lei mangiare da sola, così l’aiuto
io.”
“No, scusate, intendevo chi
li porta su dalla cucina.”
“La cara Lucrezia.
Poverina, anche lei, si prodiga tanto per la granduchessa.” Disse la fantesca,
giungendo le mani.“Ma perché mi chiedete questo.” Felipe era stufo che tutti si
chiedessero il perché delle sue domande, a lui non parevano così strane.
“Vi ringrazio. Un’ultima
cosa. Da bambini, il granduca, la sorella ed il cugino, giocavano spesso nel
giardino del palazzo?”
“Ogni volta che il tempo lo
permetteva. Erano delle piccole pesti, ma sapevo bene io come tenerli a bada.” Disse
la fantesca, sorridendo e mostrando il palmo della robusta mano.
Dopo aver salutato la
prodiga serva, Felipe si allontanò; con la sensazione di conoscere bene i colpi
che la fantesca aveva mimato. Lui preferiva essere tenuto a bada da una procace
fanciulla.
Il resto del pomeriggio lo
passò nella galleria dei ritratti del palazzo granducale, dove vide il famoso
ritratto di Maddalena: era un quadro di dimensioni ridotte; la fanciulla era
molto giovane, nel suo viso Felipe notò una fragilità intensa, era proprio il
tipo del fantasma. Poi osservò i ritratti dei familiari, ed in ognuno di loro,
ritrovò i tratti del granduca. Si ricordò che doveva parlargli.
Quando, finalmente, trovò
il suo ospite, gli chiese subito ciò che voleva sapere:
“Ditemi, eccellenza, chi ha
progettato il giardino del palazzo?”
“Ci hanno lavorato diversi
architetti, ma sicuramente il più importante è stato mastro Filippo, che ha
realizzato la parte più vasta, compreso il labirinto. Vi farà piacere sapere
che quest’uomo conserva i disegni d'ogni sua realizzazione.” Disse il granduca,
guardandolo negli occhi, quasi leggendogli nel pensiero.
“Voi meritate appieno la
posizione che occupate, ed è un piacere lavorare insieme!” affermò convinto
Aguilon. “Dove posso trovare questo mastro Filippo?” continuò.
“Sta lavorando ad un nuovo
progetto, non lontano da qui. Ma ci andrete domani, adesso è ora di cena, e
questa volta non mi priverò della vostra compagnia. Prego seguitemi.”
Rifiutare il gentile invito
del suo ospite sarebbe stato troppo scortese, e poi Felipe, non vedeva l’ora di
gustare di nuovo l’ottimo vino delle colline del granduca.
Quella notte fu caldissima.
Sarà stato per il cibo eccessivamente saporito, o per il troppo vino, ma Felipe
non riusciva a dormire. Steso sul letto, con indosso solo un paio di mutande di
lino, cercava di mettere a posto i pensieri e le informazioni che si agitavano
sconnessi nel suo cervello.
Il caldo era però
insopportabile. Si alzò dal letto e si avvicinò alla finestra aperta; i grilli
cantavano numerosi, si sentiva anche qualche rana gracidare, in lontananza.
Sentì un rumore, come di una porta che si apriva; si sporse un po’ di più e
vide una donna uscire: era impossibile, per lui, non riconoscere la figura di
Lucrezia. Quelle uscite notturne dovevano essere per lei un’abitudine:
l’immaginava incontrarsi con il conte Paolo, chissà perché proprio lui, e
trascorrere ore di passione in qualche patio...
Si voltò verso l’interno
della stanza, spalancando gli occhi, come folgorato da un’intuizione. Uscì di
corsa dalla camera, apprestandosi a seguire la giovane dama.
Discese le scale
velocemente fino ai saloni principali e raggiunse lo scalone; stava per
scendere quando vide, in fondo al corridoio riccamente decorato, una figura
vestita di bianco. Per un attimo pensò di trovarsi davanti al famoso fantasma.
Poi, avvicinandosi, si accorse che la donna aveva i capelli castani; riconobbe
Isabel e la raggiunse.
“Mia
signora...granduchessa!” chiamò Felipe.
“No!” gridò lei. “Lasciami
in pace Maddalena!”
“Non sono Maddalena, sono
Felipe Aguilon, vostro devoto servitore!”
La donna era sconvolta: le
sue pupille erano dilatate e gli occhi rossi, ma non certo per il fumo delle
candele; era pallidissima e sudata.
“Vattene Maddalena,
vattene!” gridò con l’ultimo fiato che aveva. Era chiaramente in preda alle
allucinazioni; Felipe le si avvicinò ancora. La granduchessa fece per scappare,
ma le forze l’abbandonarono e svenne, proprio mentre lui la raggiungeva; non la
fece cadere a terra.
Poco dopo sopraggiunse il
granduca, accompagnato da una donna molto bella, ed un uomo piccolo e grasso,
con una vestaglia col collo di pelliccia, che francamente a Felipe sembrò
assurda per una notte calda come quella; infatti, l’uomo era sudatissimo.
“Grazie a Dio, Felipe,
l’avete trovata!” disse turbato il granduca.
“Ripeto, per l’ennesima
volta, che vostra moglie deve essere
assolutamente curata, e se vi opporrete ancora sarà troppo tardi. Voi
dovete...” S'intromise l’ometto.
“Tacete, dottor Peñarosa!
Non permetterò mai che teniate Isabel isolata dal mondo, digiuna, al buio e con
un sacco in testa!” replicò il granduca infuriato, mentre riceveva la moglie,
ancora svenuta, dalle braccia di Aguilon,
Felipe guardò quello che
ora sapeva essere il famoso luminare delle malattie mentali. Nel frattempo il
granduca, dopo aver bisbigliato un saluto, si stava allontanando, stringendo
amorevolmente la moglie.
“Piacere di conoscervi,
dottore.” Disse Felipe, porgendo la mano all’uomo. Il dottore lo guardò da capo
a piedi, e poi rispose:
“Non posso dire
altrettanto. Che direbbe il principe José; vi pare il modo di andare in giro,
all’interno di una casa rispettabile?”
Dopo aver detto questo, il
caro dottore gli voltò le spalle e se n’andò, lasciando il suo compatriota solo
con la dama. Felipe diede uno sguardo alla sua persona; in effetti, pensò,
guardando le sue mutande leggermente calate sui fianchi, non era proprio un
abbigliamento consono, ma il suo ospite non si era lamentato.
E nemmeno la donna dai
lunghi capelli castani, che lo guardava, con un sorriso divertito. Aveva un
paio di scintillanti occhi verdi da gatto ed un naso aquilino, che non stonava
per nulla sul suo viso.
“Molto piacere.” Disse con
una voce calda. “Sono Costanza, la sorella del granduca.”
“Il piacere è tutto mio, io
sono Felipe Aguilon.”
“Lo immaginavo, mio
fratello aveva detto che eravate un tipo originale.” Rispose, rivolgendo uno
sguardo malizioso al corpo magro e muscoloso di Felipe, ed al suo addome modellato
dagli esercizi di scherma.
La donna si sedette su un
divano, invitando il giovane a fare altrettanto.
“Dovete perdonarmi se mi
presento solo ora, ma nei giorni scorsi mi sono dovuta allontanare, poiché mio
marito aveva bisogno di me.”
“Non c’è nessun bisogno di
scusarsi, è sempre un piacere conoscere una donna come voi, in qualunque
momento accada. Ditemi, piuttosto, cosa è successo alla granduchessa?”
“E’ stata colpa nostra, ci
siamo distratti, ma non pensavamo, io e mio fratello, che sarebbe fuggita anche
stanotte; sembrava tranquilla.” Disse con aria preoccupata Costanza.
“Cosa intendete dire?” la
donna non pareva minimamente imbarazzata dalla semi-nudità del giovane.
“Niente di particolare.
Dopo cena, se la sua può chiamarsi cena, era calma, leggeva addirittura un
libro. Poi si è addormentata. Io e mio fratello ci siamo allontanati, in
un’altra stanza, per parlare; era talmente angustiato. Ad un tratto abbiamo
sentito dei rumori e rientrando nella camera abbiamo visto che il letto era
vuoto, così ci siamo messi a cercarla. Purtroppo comincio a credere anch’io che
abbia delle turbe.”
“Non credo.” Affermò Felipe
sicuro, tanto che Costanza lo guardò stupita. “Ora che l’ho avuta sotto gli
occhi, durante una delle sue allucinazioni, posso confermare i miei sospetti:
penso che alla granduchessa sia somministrata, con il cibo o le bevande, una
sostanza che provoca questi sintomi.”
“Come potete affermare
questo, significherebbe che una persona della quale io e mio fratello ci
fidiamo rimane sotto i vostri sospetti, Felipe!”
“Devo correggervi, mia
signora. Né voi né il granduca siete esclusi dai miei sospetti.” Lo sguardo
della donna fu invaso dall’ira, si alzò di scatto dal divano, battendo i piedi.
“Come vi permettete,
insolente soldatucolo spagnolo, di insinuare che due persone come noi possano
aver ordito un simile misfatto, e per giunta ai danni di una persona che
amiamo! Voi... voi... voi mi state prendendo in giro.” Disse calmandosi,
vedendo il sorriso di Felipe.
“Non vi dovete preoccupare,
anche se la mia posizione mi obbliga a sospettare di chiunque, le mie
attenzioni si sono già concentrate su una certa persona. Non chiedetemi di più,
ogni informazione rivelata é persa.”
“Certo che siete veramente
terribile, prendersi gioco così di me. Mi avete fatto dimenticare anche la cosa
che volevo chiedervi.”
“Perdonatemi Costanza, sono
un insolente, avete ragione; perciò ora rivolgetemi pure ogni domanda che vi
sovviene, anche la più sconveniente, sono pronto a rispondere.”
“Ciò che volevo sapere é
come fate ad essere così convinto che Isabel sia stata avvelenata?” chiese
subito la donna.
“Alcuni miei compatrioti
hanno portato dal nuovo mondo delle erbe molto particolari, i cui effetti
possono essere devastanti anche per la mente ed il corpo più forti, figuriamoci
sulla granduchessa, donna giovane, suggestionabile e fisicamente fragile. Io mi
sono permesso, come fa' il dottor Peñarosa con le menti, di studiare queste
erbe, ed anche altri tipi di veleno. Questi studi mi permettono ora d'essere
sicuro che la vostra giovane cognata é sottoposta ad un avvelenamento ripetuto
e subdolo, portato avanti da persone a lei vicine.”
“E’ impossibile. Voi dite
dunque che i suoi sintomi sono provocati?”
“Vi ripeto che ne sono
certo, ma su questo non chiedetemi di più.”
“Lo farò, non voglio
interferire, voglio che prendiate quella persona malvagia.” Fece una pausa, poi
riprese. “Devo confessarvi una cosa Felipe... sono stata io a raccontare ad
Isabel, e con dovizia di particolari, della morte tragica di Maddalena di
Giovanni dal Pino, le dissi perfino che forse il suo corpo era stato sepolto
nel giardino del palazzo, e tutto del fantasma. Mi sentivo molto in colpa,
credevo che il mio racconto le avesse provocato la pazzia; ora che, grazie a
voi, so la verità, sono sollevata.”
“Non preoccupatevi più, il
vostro innocente pettegolezzo non è certamente stato la causa dei problemi
della granduchessa. Adesso é ora di tornare a dormire, il giorno si avvicina ed
avrò molte cose da fare; perciò vi dico buona notte, mia signora.” Disse,
infine, alzandosi Felipe.
“Buona notte, caro Felipe.
E’ una fortuna avervi qui, e vi prego, per la tranquillità di mio fratello,
risolvete il nostro piccolo mistero.”
“Farò del mio meglio, ve lo
giuro.” Così dicendo le baciò la mano, rivolgendole poi uno dei suoi sguardi
cui lei rispose con i felini occhi verdi.
CONTINUA...