Something
old, something new, something borrowed, something blue
Some
time in the future
Something
blue
“Oh,
eccoti qua.”
Dean
non sposta nemmeno lo sguardo dallo schermo del computer. Ha intravisto
il
riflesso della sagoma di Castiel nell’angolo a destra,
completo di trench e
tutto.
“Buongiorno,
Dean.”
Castiel
è fermo proprio dietro di lui, adesso. Più che
vederne il riflesso lo avverte,
l’angelo sulla sua spalla. Prende un respiro profondo e
sposta le dita dalla
tastiera.
“Sam
è andato a fare delle ricerche in
università,” annuncia senza ragione
particolare. “Ne avrà per parecchie ore,
conoscendolo.”
Non
sa perché lo stia dicendo. Non c’è
nessuna valida ragione per informare Castiel
che lui sarà lì da solo per tutta la giornata.
Non c’è nessuna valida ragione
per l’averlo chiamato o per il fatto di essere
straordinariamente nervoso.
“Mi
hai chiamato,” ribadisce l’angelo senza esprimere
nessuna curiosità, anche se
sembra implicita nelle sue parole.
“Sì,
io…” mormora Dean, così poco sicuro di
se che non gli sembra nemmeno di essere
se stesso. “Ok, non è il mio genere fare discorsi
blablabla ed esternare le
cose, è un comportamento da Sam.”
“Lo
so,” conferma Castiel. “Di solito avanzi dubbi
sulla sua sessualità, quando lo
fa,” aggiunge con diligenza.
Dean
dà un sospiro rassegnato. Tra le molteplici e sbalorditive
capacità di Castiel
c’è quella molto peculiare di non rendere mai le
cose semplici, senza nemmeno
farlo apposta.
“Ssì,”
borbotta. “Ma ho pensato… Onestamente? Non so cosa
sto dicendo,” ammette
nervosamente.
“Non
c’è problema. È una tua caratteristica
radicata e ci sono abituato da tempo,”
commenta Castiel, forse nell’intento di suonare incoraggiante
o comprensivo.
Gli gira intorno, fermandosi al suo fianco. “Mi sembra di
comprendere che stai
cercando di dirmi qualcosa, è esatto?”
“Era
quella, l’idea,” conferma Dean, riluttante.
“Ti
sto ascoltando, Dean,” lo invita Castiel, mite.
“Sai,
forse non era davvero una buona idea. Non era importante, sul
serio,” si
schermisce lui, sentendo l’impellenza improvvisa di alzarsi e
allontanarsi di
un paio di passi, mentre realizza quanto stupido sia stato chiamarlo
lì.
Castiel segue con gli occhi i suoi movimenti, immobile e compassato.
“Era
abbastanza importante da farmi venire qui,” obietta.
Dean
si guarda rapidamente intorno, quasi in cerca di una via di fuga.
“Vuoi
mangiare qualcosa?” propone tanto per distrarlo, indicando il
loro
sfornitissimo frigo da camera.
“Sono
a posto.”
“Hai
sbranato un vitello lungo la strada?” ridacchia Dean senza
convinzione.
Castiel
aggrotta la fronte e piega il capo di lato nel suo modo insoffribile e
unico di
esaminarlo.
“Quello
che volevi dirmi,” inizia gravemente, asettico, “ha
qualcosa a che vedere con
l’episodio del licantropo, forse?”
“No,”
si affetta a rispondere Dean. “No, no,” sorride
noncurante. “…Forse.”
Castiel
lo squadra incerto.
“Non
capisco la tua risposta.”
“Ma
non mi dire,” mormora Dean con un profondo respiro.
“Può
darsi che ti possa essere d’aiuto con una domanda
diretta,” ipotizza Castiel.
“Dean, perché l’altra volta…
Mi sembra che la mia scelta dei termini non ti
fosse piaciuta, quindi, perché volevi…
Baciarmi?” E abbassa la voce sull’ultima
parola come fosse qualcosa che non va detto.
Dean
si pietrifica sul posto, atterrito. Come si può chiedere una
cosa del genere a
una persona? Chi, a parte Castiel, oserebbe mai una cosa simile? E non
è forse
proprio anche per quella franchezza lunare e inumana che gli
è diventato così
prezioso, poi? E per il suo modo di metterlo in difficoltà,
di esaminarlo, di
non capire, di ascoltare, di essere Castiel.
E
abbandona le braccia lungo i fianchi con uno sbuffo rassegnato.
“Immagino
che sia perché non volevo morire senza averlo
fatto,” ammette con uno sforzo
che gli pesa come un macigno. Ascolta il suono delle sue stesse parole
mentre
le pronuncia e gli suonano come una condanna, come una cosa folle.
“Baciare
me?” s’informa Castiel come se non fosse certo di
aver colto il punto.
Dean
riesce solo ad annuire. Addio, voce, è stato bello.
“Perché?”
Lui
si stringe nelle spalle, scrollando la testa.
“Non
so. Perché sei… Cas.”
L’angelo
aggrotta la fronte.
“Non
ca…” E s’interrompe. “La cosa
che hai detto non è una risposta logica e
consequenziale.”
“Credo
sia rimasto ben poco di logico. Cas… Possiamo lasciar
perdere. È solo capitato.
Non so neanche perché ne volessi parlare, è
totalmente idiota,” ribatte Dean
scrollando la testa. Vuole solo non pensarci più. Non avere
troppo a che fare
con Cas per un po’, magari, e far scorrere via le cose.
Questo non è lui, non
sono loro, non va bene.
“Certamente,”
concede Castiel pensieroso. Aggrotta la fronte e lo guarda
intensamente. “Stai
per morire, adesso?” chiede fermo.
Dean
increspa le sopracciglia, perplesso.
“No.”
“Bene,”
mormora Castiel.
Una
frazione di secondo dopo Dean si sente scaraventare via da terra da una
forza
sovrumana e sbatte la schiena con violenza contro la parete, con la
stretta
ferra della mano di Castiel intorno al suo collo e i piedi sospesi nel
vuoto.
Non respira.
“E
adesso?” chiede l’angelo, scientifico.
“F…Forse?”
annaspa Dean senza fiato, boccheggiante. Magari è una nuova
fase schizofrenica
di angelo caduto, nel qual caso, senza un pugnale angelico in tasca,
è
completamente e inesorabilmente fottuto. Si divincola per puro istinto,
consapevole di come sia inutile.
“Qualche
ultima cosa che vorresti fare prima di morire?”
s’informa Castiel, duro e
accigliato. “Ti suggerisco di pensarci rapidamente, se le mie
cognizioni non
sono errate hai bisogno di respirare entro i prossimi quaranta
secondi.”
Dean
non sa se ridere o cercare di colpirlo, adesso. Nel dubbio, emette un
penoso
suono strozzato.
“S…Sì,”
sibila, allungando una mano a tentoni fino a sentire sotto le dita il
tessuto e
poi la spalla di Castiel, le cui dita allentano la presa quel tanto che
basta a
fargli arrivare un po’ d’aria. Quella che occorre
per non perdere conoscenza e
sporgere la testa in avanti, solo quella, fino a sfiorare le labbra
dell’angelo
con le proprie. Non che ci tenga, è che
l’alternativa è morire.
Sono
morbide. Sottili, leggere, ed è come se il suo cervello
diventasse bianco e
splendente e pulito, è leggerezza assoluta. Non si accorge
nemmeno che i suoi
piedi sono tornati a terra e che non è più
costretto al muro, ora, ma
aggrappato alla spalla di Castiel con la mano che aveva appoggiato
lì e ha
l’altra dietro la sua testa, tra i capelli, e percepisce
confusamente le dita
di Castiel sui fianchi, dietro la schiena, ed è tutto luce. È questo, un angelo.
Sembra
di fluttuare. Anche mentre Castiel lo spinge di nuovo indietro, senza
più
violenza, anche mentre gli scivola tra le labbra, anche mentre Dean se
lo tira
contro e stringe finché non ne ha proprio più, di
aria, nemmeno un alito. Si
tira indietro con un ansito e un respiro profondo, gli occhi sgranati.
Gli
tremano persino le dita dei piedi.
“Questo…”
esala intontito.
Castiel
lo guarda come in attesa di una continuazione della frase che
faticherà a
venire. Così da vicino, guardandolo, si vede solo il blu
degli occhi. Non sono
umani, sono profondi e sconfinati.
“Non
mi ricordo cosa stavo per dire,” ammette Dean, smarrito in
tutto quel blu
intimamente allegro.
“Non
capisco.”
A
Dean scappa un accenno di risata. Riesce a vederla
dall’esterno, adesso: la
scena più sbagliata e senza senso dell’universo,
che non può essere da lui. Ma
in fin dei conti, se dovesse stare a fare il conto di tutte le cose
sbagliate e
senza senso che ha fatto da quando una mano ultraterrena l’ha
portato via
dall’Inferno, ci si perderebbe.
Non
c’è un solo gesto. C’è solo
quello sguardo, lì, quasi tangibile.
C’è un grande
blu.
“Cosa
sto facendo?” chiede Castiel increspando leggermente il
contorno degli occhi,
quasi parlando a se stesso. E mentre lo fa muove le dita sulla sua
spalla,
osservandole come se non appartenesse a lui, quella mano che accarezza.
“Hai
minacciato di uccidermi per farti baciare,” gli rammenta Dean
pronto. “E questo
non è un modo accettabile per farsi baciare da qualcuno,
Cas. Non sei proprio
capace, sul serio,” afferma con tono paziente.
“Mi
dispiace,” risponde l’angelo, forse con una punta
d’ironia nella voce. “E’
l’unico che mi sia venuto in mente. Forse me ne puoi spiegare
di più
appropriati,” propone, con la sua solerzia da primo della
classe.
“Mi
farò venire qualche idea,” concede lui, prima di
sporgere nuovamente il viso in
avanti. Il blu si fa sfocato ma sempre ugualmente terso
finché non diventa una sola
macchia, mentre bacia di nuovo Castiel, l’angelo, il
salvatore, il traditore,
l’amico, e gli sale dentro una voglia e un bisogno di
esplorarlo tutto, di
scoprire la mappa dell’essere che esiste da tutto il tempo
del mondo, e che
emana quasi calore, adesso, e una parte di Dean che finora si era
assopita
nell’incredulità e nella riluttanza si risveglia,
chiedendosi con psicotico
interesse come debba essere scopare con una creatura del genere e quali
sensazioni possa provocare.
“La
tua mano sulle mie natiche fa sempre parte di questo evento?”
mormora Castiel
in un soffio sulle sue labbra, incuriosito.
“Tassativamente,”
conferma Dean spingendolo indietro, verso un letto, una sedia, un
divano, ma
anche un cornicione o un filo della luce andrebbero bene, e stringe le
dita
spingendosi contro di lui finche gli giunge all’orecchio il
suono leggerissimo
e insieme quasi assordante di un gemito che sembra musica.
Dean
si stacca giusto per il tempo necessario a spingere Castiel sul
materasso, ed è
anche il momento in cui si accorge della porta della stanza che
è aperta e
della grossa sagoma impietrita sul limitare della camera.
Sam
ha la bocca completamente aperta, gli occhi sgranati – uno
più dell’altro, come
se fosse vittima di qualche specie di tic – e
l’espressione più allibita,
incredula e agghiacciata che un Sam possa avere. La borsa del portatile
pende
floscia lungo il suo fianco e la sua mano è aggrappata alla
porta, più che
appoggiata.
“Sammy,”
esordisce Dean stordito. Castiel si volta di scatto, sicuramente
colpevole e
pieno di vergogna. Non è una cosa da bravo angelo, quella
che stava facendo.
“Co…
Cos… Co…?”
Dean
decide sull’istante che la cosa più sensata
è sdrammatizzare, prima che suo
fratello si metta a urlare o fracassare qualcosa per il panico,
agitandosi con
la stazza che ha.
“Cosa?
Te lo avevo detto che io e Cas siamo ok,” afferma con tutta
la tranquillità che
può mettere insieme in questo momento cioè, ne
è consapevole, ben poca.
“Di
cosa stai parlando?” chiede Castiel tornando a guardarlo.
Sam
emette un suono gutturale. È bianchiccio e quasi barcollante.
“Io…
Vado a… Buttarmi in un pozzo,” biascica con gli
occhi ancora sgranati,
voltandosi per allontanarsi precipitosamente.
Castiel
si raddrizza meglio sul materasso.
“Lui…
Starà bene?”
“E’
sopravvissuto a quell’altro pozzo,” taglia corto
Dean, ripromettendosi di
chiarirsi col fratello. “Stavamo dicendo, Cas?”
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Bien.
E la scemata è finita.
So che è una storia davvero da nulla, ma è stato
divertente scriverla e cominciare a prendere un po' di
familiarità coi personaggi. Se vi va di lasciare
un'opinione, tanto meglio, altrimenti ci si vede con la prossima storia.
Grazie.
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