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Autore: suni    19/05/2012    4 recensioni
Quattro step per finire un'amicizia complicata e iniziare qualcosa di ancor più complesso. Post season seven e oltre, senza troppi spoiler, Dean, Castiel, un televisore, un licantropo, un trickster, un Sam e un vecchio detto che scandisce gli eventi.
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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Something old, something new, something borrowed, something blue

 

Some time in the future



Something blue


“Oh, eccoti qua.”

Dean non sposta nemmeno lo sguardo dallo schermo del computer. Ha intravisto il riflesso della sagoma di Castiel nell’angolo a destra, completo di trench e tutto.
“Buongiorno, Dean.”
Castiel è fermo proprio dietro di lui, adesso. Più che vederne il riflesso lo avverte, l’angelo sulla sua spalla. Prende un respiro profondo e sposta le dita dalla tastiera.
“Sam è andato a fare delle ricerche in università,” annuncia senza ragione particolare. “Ne avrà per parecchie ore, conoscendolo.”
Non sa perché lo stia dicendo. Non c’è nessuna valida ragione per informare Castiel che lui sarà lì da solo per tutta la giornata. Non c’è nessuna valida ragione per l’averlo chiamato o per il fatto di essere straordinariamente nervoso.
“Mi hai chiamato,” ribadisce l’angelo senza esprimere nessuna curiosità, anche se sembra implicita nelle sue parole.
“Sì, io…” mormora Dean, così poco sicuro di se che non gli sembra nemmeno di essere se stesso. “Ok, non è il mio genere fare discorsi blablabla ed esternare le cose, è un comportamento da Sam.”
“Lo so,” conferma Castiel. “Di solito avanzi dubbi sulla sua sessualità, quando lo fa,” aggiunge con diligenza.
Dean dà un sospiro rassegnato. Tra le molteplici e sbalorditive capacità di Castiel c’è quella molto peculiare di non rendere mai le cose semplici, senza nemmeno farlo apposta.
“Ssì,” borbotta. “Ma ho pensato… Onestamente? Non so cosa sto dicendo,” ammette nervosamente.
“Non c’è problema. È una tua caratteristica radicata e ci sono abituato da tempo,” commenta Castiel, forse nell’intento di suonare incoraggiante o comprensivo. Gli gira intorno, fermandosi al suo fianco. “Mi sembra di comprendere che stai cercando di dirmi qualcosa, è esatto?”
“Era quella, l’idea,” conferma Dean, riluttante.
“Ti sto ascoltando, Dean,” lo invita Castiel, mite.
“Sai, forse non era davvero una buona idea. Non era importante, sul serio,” si schermisce lui, sentendo l’impellenza improvvisa di alzarsi e allontanarsi di un paio di passi, mentre realizza quanto stupido sia stato chiamarlo lì. Castiel segue con gli occhi i suoi movimenti, immobile e compassato.
“Era abbastanza importante da farmi venire qui,” obietta.
Dean si guarda rapidamente intorno, quasi in cerca di una via di fuga.
“Vuoi mangiare qualcosa?” propone tanto per distrarlo, indicando il loro sfornitissimo frigo da camera.
“Sono a posto.”
“Hai sbranato un vitello lungo la strada?” ridacchia Dean senza convinzione.
Castiel aggrotta la fronte e piega il capo di lato nel suo modo insoffribile e unico di esaminarlo.
“Quello che volevi dirmi,” inizia gravemente, asettico, “ha qualcosa a che vedere con l’episodio del licantropo, forse?”
“No,” si affetta a rispondere Dean. “No, no,” sorride noncurante. “…Forse.”
Castiel lo squadra incerto.
“Non capisco la tua risposta.”
“Ma non mi dire,” mormora Dean con un profondo respiro.
“Può darsi che ti possa essere d’aiuto con una domanda diretta,” ipotizza Castiel. “Dean, perché l’altra volta… Mi sembra che la mia scelta dei termini non ti fosse piaciuta, quindi, perché volevi… Baciarmi?” E abbassa la voce sull’ultima parola come fosse qualcosa che non va detto.
Dean si pietrifica sul posto, atterrito. Come si può chiedere una cosa del genere a una persona? Chi, a parte Castiel, oserebbe mai una cosa simile? E non è forse proprio anche per quella franchezza lunare e inumana che gli è diventato così prezioso, poi? E per il suo modo di metterlo in difficoltà, di esaminarlo, di non capire, di ascoltare, di essere Castiel.
E abbandona le braccia lungo i fianchi con uno sbuffo rassegnato.
“Immagino che sia perché non volevo morire senza averlo fatto,” ammette con uno sforzo che gli pesa come un macigno. Ascolta il suono delle sue stesse parole mentre le pronuncia e gli suonano come una condanna, come una cosa folle.
“Baciare me?” s’informa Castiel come se non fosse certo di aver colto il punto.
Dean riesce solo ad annuire. Addio, voce, è stato bello.
“Perché?”
Lui si stringe nelle spalle, scrollando la testa.
“Non so. Perché sei… Cas.”
L’angelo aggrotta la fronte.
“Non ca…” E s’interrompe. “La cosa che hai detto non è una risposta logica e consequenziale.”
“Credo sia rimasto ben poco di logico. Cas… Possiamo lasciar perdere. È solo capitato. Non so neanche perché ne volessi parlare, è totalmente idiota,” ribatte Dean scrollando la testa. Vuole solo non pensarci più. Non avere troppo a che fare con Cas per un po’, magari, e far scorrere via le cose. Questo non è lui, non sono loro, non va bene.
“Certamente,” concede Castiel pensieroso. Aggrotta la fronte e lo guarda intensamente. “Stai per morire, adesso?” chiede fermo.
Dean increspa le sopracciglia, perplesso.
“No.”
“Bene,” mormora Castiel.
Una frazione di secondo dopo Dean si sente scaraventare via da terra da una forza sovrumana e sbatte la schiena con violenza contro la parete, con la stretta ferra della mano di Castiel intorno al suo collo e i piedi sospesi nel vuoto. Non respira.
“E adesso?” chiede l’angelo, scientifico.
“F…Forse?” annaspa Dean senza fiato, boccheggiante. Magari è una nuova fase schizofrenica di angelo caduto, nel qual caso, senza un pugnale angelico in tasca, è completamente e inesorabilmente fottuto. Si divincola per puro istinto, consapevole di come sia inutile.
“Qualche ultima cosa che vorresti fare prima di morire?” s’informa Castiel, duro e accigliato. “Ti suggerisco di pensarci rapidamente, se le mie cognizioni non sono errate hai bisogno di respirare entro i prossimi quaranta secondi.”
Dean non sa se ridere o cercare di colpirlo, adesso. Nel dubbio, emette un penoso suono strozzato.
“S…Sì,” sibila, allungando una mano a tentoni fino a sentire sotto le dita il tessuto e poi la spalla di Castiel, le cui dita allentano la presa quel tanto che basta a fargli arrivare un po’ d’aria. Quella che occorre per non perdere conoscenza e sporgere la testa in avanti, solo quella, fino a sfiorare le labbra dell’angelo con le proprie. Non che ci tenga, è che l’alternativa è morire.
Sono morbide. Sottili, leggere, ed è come se il suo cervello diventasse bianco e splendente e pulito, è leggerezza assoluta. Non si accorge nemmeno che i suoi piedi sono tornati a terra e che non è più costretto al muro, ora, ma aggrappato alla spalla di Castiel con la mano che aveva appoggiato lì e ha l’altra dietro la sua testa, tra i capelli, e percepisce confusamente le dita di Castiel sui fianchi, dietro la schiena, ed è tutto luce. È questo, un angelo.
Sembra di fluttuare. Anche mentre Castiel lo spinge di nuovo indietro, senza più violenza, anche mentre gli scivola tra le labbra, anche mentre Dean se lo tira contro e stringe finché non ne ha proprio più, di aria, nemmeno un alito. Si tira indietro con un ansito e un respiro profondo, gli occhi sgranati. Gli tremano persino le dita dei piedi.
“Questo…” esala intontito.
Castiel lo guarda come in attesa di una continuazione della frase che faticherà a venire. Così da vicino, guardandolo, si vede solo il blu degli occhi. Non sono umani, sono profondi e sconfinati.
“Non mi ricordo cosa stavo per dire,” ammette Dean, smarrito in tutto quel blu intimamente allegro.
“Non capisco.”
A Dean scappa un accenno di risata. Riesce a vederla dall’esterno, adesso: la scena più sbagliata e senza senso dell’universo, che non può essere da lui. Ma in fin dei conti, se dovesse stare a fare il conto di tutte le cose sbagliate e senza senso che ha fatto da quando una mano ultraterrena l’ha portato via dall’Inferno, ci si perderebbe.
Non c’è un solo gesto. C’è solo quello sguardo, lì, quasi tangibile. C’è un grande blu.
“Cosa sto facendo?” chiede Castiel increspando leggermente il contorno degli occhi, quasi parlando a se stesso. E mentre lo fa muove le dita sulla sua spalla, osservandole come se non appartenesse a lui, quella mano che accarezza.
“Hai minacciato di uccidermi per farti baciare,” gli rammenta Dean pronto. “E questo non è un modo accettabile per farsi baciare da qualcuno, Cas. Non sei proprio capace, sul serio,” afferma con tono paziente.
“Mi dispiace,” risponde l’angelo, forse con una punta d’ironia nella voce. “E’ l’unico che mi sia venuto in mente. Forse me ne puoi spiegare di più appropriati,” propone, con la sua solerzia da primo della classe.
“Mi farò venire qualche idea,” concede lui, prima di sporgere nuovamente il viso in avanti. Il blu si fa sfocato ma sempre ugualmente terso finché non diventa una sola macchia, mentre bacia di nuovo Castiel, l’angelo, il salvatore, il traditore, l’amico, e gli sale dentro una voglia e un bisogno di esplorarlo tutto, di scoprire la mappa dell’essere che esiste da tutto il tempo del mondo, e che emana quasi calore, adesso, e una parte di Dean che finora si era assopita nell’incredulità e nella riluttanza si risveglia, chiedendosi con psicotico interesse come debba essere scopare con una creatura del genere e quali sensazioni possa provocare.
“La tua mano sulle mie natiche fa sempre parte di questo evento?” mormora Castiel in un soffio sulle sue labbra, incuriosito.
“Tassativamente,” conferma Dean spingendolo indietro, verso un letto, una sedia, un divano, ma anche un cornicione o un filo della luce andrebbero bene, e stringe le dita spingendosi contro di lui finche gli giunge all’orecchio il suono leggerissimo e insieme quasi assordante di un gemito che sembra musica.
Dean si stacca giusto per il tempo necessario a spingere Castiel sul materasso, ed è anche il momento in cui si accorge della porta della stanza che è aperta e della grossa sagoma impietrita sul limitare della camera.
Sam ha la bocca completamente aperta, gli occhi sgranati – uno più dell’altro, come se fosse vittima di qualche specie di tic – e l’espressione più allibita, incredula e agghiacciata che un Sam possa avere. La borsa del portatile pende floscia lungo il suo fianco e la sua mano è aggrappata alla porta, più che appoggiata.
“Sammy,” esordisce Dean stordito. Castiel si volta di scatto, sicuramente colpevole e pieno di vergogna. Non è una cosa da bravo angelo, quella che stava facendo.
“Co… Cos… Co…?”
Dean decide sull’istante che la cosa più sensata è sdrammatizzare, prima che suo fratello si metta a urlare o fracassare qualcosa per il panico, agitandosi con la stazza che ha.
“Cosa? Te lo avevo detto che io e Cas siamo ok,” afferma con tutta la tranquillità che può mettere insieme in questo momento cioè, ne è consapevole, ben poca.
“Di cosa stai parlando?” chiede Castiel tornando a guardarlo.    
Sam emette un suono gutturale. È bianchiccio e quasi barcollante.
“Io… Vado a… Buttarmi in un pozzo,” biascica con gli occhi ancora sgranati, voltandosi per allontanarsi precipitosamente.
Castiel si raddrizza meglio sul materasso.
“Lui… Starà bene?”
“E’ sopravvissuto a quell’altro pozzo,” taglia corto Dean, ripromettendosi di chiarirsi col fratello. “Stavamo dicendo, Cas?”





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Bien.
E la scemata è finita.
So che è una storia davvero da nulla, ma è stato divertente scriverla e cominciare a prendere un po' di familiarità coi personaggi. Se vi va di lasciare un'opinione, tanto meglio, altrimenti ci si vede con la prossima storia.
Grazie.

   
 
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