Titolo:
Aspettando la fine della notte
Canzone Scelta: Shomer ma mi-llaila di Francesco Guccini
Prompt Scelto: Obbligo
AVVERTIMENTI: Accenni all'incesto (per
chi voglia
vederli).
Mi
gridano da Seir:
«Sentinella, quanto resta della notte?
Sentinella, quanto resta della notte?».
La sentinella risponde:
«Verrà il mattino, ma è ancora notte.
Se volete domandare, domandate un'altra volta».
(Isaia
21,11-12)
Il caldo vento della
stagione dei
ritorni aveva spalancato i battenti di legno dipinto della terrazza e
invaso i corridoi, portando con sé l'afoso odore di una
notte
silenziosa. Prima di prendere moglie al-Adnan aveva amato la guardia
nella notte; la lunga, quieta veglia dinnanzi alla porta di un re
addormentato: le piaggerie, i sussurri e gli intrighi inghiottiti dalle
tenebre. Con il tempo, tuttavia, si era reso conto che la pace
silenziosa dei lunghi corridoi di marmo e delle alte volte arabescate
non era altro che l'ennesima menzogna del Mar d'Ambra, un'altra
ingannevole, seducente bugia.
Non mancava molto alla
fine della
notte: la luna, sorta dal mare, era apparsa e scomparsa più
volte
dietro gli infissi ambrati delle finestre, l'olio delle lampade
iniziava a scarseggiare e ad al-Adnan pareva di poter scorgere storie
scabrose nei giochi d'ombra che le fiammelle, incalzate dal vento,
disegnavano sulle pareti: c'era una volta un re che aveva
quarantaquattro mogli, ma non ne amava nessuna come la sorella che non
poteva avere; c'era una volta la sorella di un re che aveva avuto mille
pretendenti, ma non ne aveva mai sposato nessuno, imprigionata da un
fratello che non poteva perdonare; e, ascoltando quel re e quella
sorella scambiarsi sussurri carichi di rancorosa dolcezza oltre la
porta alle sue spalle, al-Adnan desiderò poter fingere di
non sentire
la voce di re Obeyron, rauca e stanca, spezzata talora da improvvisi
respiri stentati.
«Va' a dormire,
Ashara, ti prometto che
non morirò stanotte.»
«Conosco le tue
promesse, dolce
fratello, non voglio rischiare.»
Si diceva che la voce
della principessa
Ashara fosse stata, un tempo, delicata come la carezza di un'amante, ma
gli anni avevano scavato le sue carni e offuscato i suoi occhi,
lasciandosi alle spalle una vecchia raggrinzita e malevola le cui
parole recavano sempre con sé il suono stridulo del
risentimento.
«La tenerezza
della tua preoccupazione
mi scalda il cuore.»
«Preferirei
strappartelo dal petto e
affondarvi le unghie fino a sentirlo smettere di battere.»
Sua maestà rise
sommessamente prima di
rispondere e al-Adnan non ebbe difficoltà ad immaginare un
sorriso
sofferto e crudele attraversargli il volto regolare.
«Che odio
ardente, sorella adorata! Non
sai che il contrario dell'amore è una tiepida
indifferenza?»
Ashara non rispose e le fiamme guizzarono come per
non farsi
soffocare dal suo solido silenzio.
«Oltretutto,
Ashara, in tutto il Mar
d'Ambra, in tutta la gloriosa Elmira, in tutte le isole della Jama
Occidentale, non vi è nessuno a cui la mia morte nuocerebbe
quanto a
te.»
Al-Adnan chiuse gli occhi e cercò di non
pensare alla guerra
che i figli del re avrebbero scatenato; di non vedere fra le ombre
tutte le lame che sarebbero state sguainate, tutti i ventri in cui
sarebbero affondate; di non udire gli ordini che sarebbero stati dati;
di non sapere che avrebbe obbedito, che i giardini del Mar d'Ambra
sarebbero stati innaffiati di sangue finché non avrebbe
più potuto
crescervi alcun fiore che non fosse rosso.
C'era una volta
un re che aveva
settanta figli, ma non aveva ancora nominato un erede.
«Eppure la tua
morte è la sola cosa che
io desideri.»
«E quest'odio che mi porti è stato il tonico
miracoloso che ti ha fatta
vivere così a lungo; una volta che me ne sarò
andato tu mi seguirai.
Siamo curiosamente incatenati per la vita.»
C'erano una
volta un re e una
sorella uniti indissolubilmente dalle più solide catene che
potessero
legare l'uomo all'uomo; amore e rancore.
«Mi hai
rinchiusa in questa gabbia
dorata, mi hai tolto tutto a parte l'attesa della tua morte e osi dire
“curiosamente"?»
La prima volta in cui
al-Adnan l'aveva
sentita rinfacciargli qualcosa di simile l'enfasi delle sue parole era
stata tale da far tremare le stelle, ma era stato anni e anni prima,
quando entrambi erano ancora abbastanza giovani da urlarsi contro l'un
l'altra; ora vi era qualcosa di laccato nei loro scambi di battute,
come la stanchezza amara e tagliente di chi conosca la propria parte e
la reciti con logoro sarcasmo, senza riuscire più a
trasmettere il
proprio sentimento.
«Sentinella,
quanto manca alla fine
della notte?»
Si era sentito rivolgere
quella domanda
ogni qual volta era stato di guardia ad osservare la baia di Elmira e
sorvegliare la minaccia dell'alba nascente; non significava altro che
“quanto tempo ancora prima che Ashara debba andarsene?"
«Sta per finire,
maestà, ma non è
ancora arrivato il giorno.»
Può
restare ancora poco, ma non
molto.
La porta alle sue spalle
si aprì, ma
al-Adnan non si voltò, perchè la camera da letto
reale era interdetta a
chiunque non vi fosse esplicitamente invitato e perchè i
suoi ordini
erano quelli di controllare coloro che vi si dirigevano, non quelli che
la lasciavano. Ashara, contrariamente a quanto si sarebbe aspettato,
non ne uscì e al-Adnan percepì il suo sguardo
annebbiato vagare senza
meta in un buio che le lampade non riuscivano a scalfire.
«"Sentinella".
Perché non dici il suo
nome, Obeyron? Credi che solo perché non posso vederlo non
sappia chi
è? L'ombra della tua porta, il guardiano delle nostre notti,
la
sentinella dell'alba: al-Adnan, il figlio devoto che non hai mai avuto.
Com'è, "sentinella", avere l'affetto che settanta principi
si sono
rassegnati a desiderare invano?»
Al-Adnan
osservò come la luce che
usciva dalla stanza illuminasse parte del corridoio, rendendo tuttavia
più tenebrosi gli angoli bui e tacque. Com'è
avere l'amore che
quarantaquattro mogli si sono sentite negare?
Sua maestà gli
aveva ordinato anni
addietro di non prestare mai ascolto a sua sorella e al-Adnan fu lieto
di obbedire. Farsi scudo del silenzio, tuttavia, non era mai stato
sufficiente a mettersi in salvo dalle parole velenose della principessa
Ashara.
«D'altronde,
"sentinella", l'affetto
che porti al tuo re supera di gran lunga quello di tutti i principi di
Elmira per il loro padre.»
Si allontanò da
lui, rientrando nella
stanza con passi pesanti quanto le sue allusioni.
«Tanti figli e
nessuno che voglia bene
al suo papà! Povero piccolo Obeyron, tutti aspettano la sua
morte,
tutti la vogliono. Il re non è amato. Il re è
malato. Il re è diventato
un peso.»
Il re non rispose e ad
al-Adnan parve
di poter sentire nel suo prolungato silenzio gli echi della leziosa e
cantilenante crudeltà di Ashara. Il re di Elmira
governa terra e
mare / ma la morte fa tremare, fa tremare / anche un re.
«Il re
più potente delle isole della
Jama Occidentale! Obeyron il più glorioso, il sempre
vincitore,
assassino del proprio padre e dei propri fratelli. Com'è
sapere che
mentre tu agonizzi, solo in questo letto, altri fratelli, i tuoi figli,
si preparano a strapparsi carne e ossa l'un l'altro? Ti domandi chi
prenderà il tuo posto a sedere sul trono insanguinato di
questo palazzo
d'ambra, marmo e anime putride?»
Una delle lampade si
spense, lasciando
l'odore acre dell'olio bruciato a rendere la penombra ancora
più
sgradevole e al-Adnan desiderò che Ashara avesse chiuso la
porta alle
proprie spalle così che, attutite dal legno intarsiato, le
sue parole
potessero sembragli più distanti e meno reali.
«Sarà
il figlio che io sceglierò.»
Un re deve avere una voce
che fenda le
tenebre e Obeyron, nonostante respirasse a fatica, riusciva ancora a
conferire ad ogni propria affermazione il taglio severo
dell'incontestabilità. Al-Adnan, tuttavia, non
poté fare a meno di
domandarsi se la sola forza del suo stentoreo comando sarebbe bastata a
fermare Kamal dal marciare sulla capitale forte dei propri ottomila
uomini, Dijem dall'assumere il totale controllo della flotta,
Thal'deiyn dal pugnalare alle spalle entrambi, Gyrash dal fare ritorno
dal suo perpetuo esilio, bramoso di potere e di vendetta.
«E credi che la
tua scelta abbia ancora
valore?»
«Te l'ho detto,
Ashara, io non morirò
stanotte.»
Avrebbe voluto voltarsi e
spiare
l'espressione del re, trarre sicurezza dalla sua
imperturbabilità, ma
non lo fece, continuando invece a controllare l'oscurità che
attendeva,
fuori dalla finestra, di essere dissipata dall'aurora.
«E domani? E
dopodomani? E il giorno
successivo? Di' quanto manca al finire della notte?»
Le sue domande insinuanti,
sussurrate
con velenosa dolcezza, avevano il suono sgradevole e spaventoso dello
strisciare di un serpente nascosto fra le sterpi.
«"Non stanotte".
Forse, allora, sarà
all'alba, Talal verrà qui con la sua pacata compostezza e ti
ucciderà, o
forse sarà Jan'sham, a mezzogiorno, con il suo sorriso
sghembo, o forse
Asif, sul far della sera, e la tua morte lascerà
imperturbabile il suo
volto scialbo. O forse sarò io. Forse, dopo tutto,
sarà stanotte.»
Al-Adnan si
voltò di scatto ed entrò
nella stanza, appena in tempo per vedere Ashara, seduta sul bordo del
letto, gettare il capo indietro allontanando il volto da quello del re
e iniziare a ridere.
Rise selvaggiamente, la
gola rugosa
esposta, il corpo scosso nell'emettere quel suono disarmonico, acuto e
privo di gioia. Di cosa ridesse, al-Adnan non avrebbe saputo dire:
forse di lui, forse del re, forse di se stessa, forse dell'esistenza e
del destino. Nessun pianto gli era mai parso doloroso come quel riso.
«Va bene.
Uccidimi.»
C'era una volta
un re che
desiderava tanto l'amore della propria sorella da accontentarsi del suo
odio ardente.
Una placida rassegnazione
dominava i
lineamenti di re Obeyron e al-Adnan attese invano che un sorriso
provocatorio ne illuminasse il volto appuntito di sarcasmo. Ashara si
protese verso suo fratello e una delle lampade proiettò la
sua ombra
sopra il suo corpo disteso fra le lenzuola di lino.
«E la tua
guardia?»
La voce le
tremò appena, come a
nascondere un'emozione segreta, mentre si scostava una lunga ciocca di
capelli dal volto, accompagnandola dietro l'orecchio con le proprie
lunghe dita nodose.
«Al-Adnan non ti
fermerà.»
Non era un'affermazione ma
un ordine e
nell'impartirlo lo guardò negli occhi, sicuro e regale nel
proprio
letto come lo era sul proprio trono. Gli sorrise appena con la paterna
benevolenza che gli aveva riservato senza motivo apparente da quando
era divenuto la prima guardia della sua porta, l'ultimo custode dei
suoi segreti. Al-Adnan avrebbe voluto dirgli molte cose, ma non gli era
stata posta nessuna domanda, così non rispose, limitandosi
ad annuire
mestamente.
C'era una volta
un re che aveva
molti servitori e tutti eseguivano i suoi comandi, alcuni
perché lo
temevano, altri perché lo amavano.
Al-Adnan amava il suo re e
per questo
rimase a guardare senza fare nulla quando Ashara gli coprì
il volto con
un cuscino di seta, cercando di soffocarlo con tutta la forza che la
disperazione poteva evocare nelle sue braccia ossute. Rimase a
guardare, lasciando che le due figure distese sul suntuoso letto
dinnanzi a lui si fondessero fra loro, annebbiate dal velo delle
lacrime, e, mentre il respiro pesante intervallato da singhiozzi e
maledizioni di Ashara riempiva il silenzio, si trovò a
domandarsi
quanto lunga e oscura potesse essere la notte di due anime distorte e
perdute.
All'improvviso Ashara si
spinse lontano
dal letto, levandosi in piedi e pronunciando bestemmie irripetibili
mentre se ne andava senza dare spiegazioni, il volto deformato da una
collera sconfitta e spaventata.
C'era una volta
una principessa che
odiava a tal punto il proprio fratello minore da non poter
più
immaginare una vita separata dalla sua.
Il re si trasse a sedere
lentamente,
prendendo profondi respiri raschianti, l'espressione talmente stanca
che al-Adnan si chinò a raccogliere il cuscino lanciato
lontano da
Ashara solo per guardare altrove. Glielo porse in silenzio; era bagnato
di lacrime.
Osservando le dita del re
carezzare le
macchie che il pianto di sua sorella aveva lasciato sulla stoffa,
al-Adnan desiderò tornare a casa dalle proprie mogli; al
ristoro di un
amore che non fosse irrimediabilmente misto all'odio, al rancore e alla
disperazione; al conforto di poter abbracciare i propri figli senza
doversi domandare da quale sarebbe stato ucciso.
«Perchè
i nostri sogni diventano così
piccoli quando si avverano?»
Aveva lo sguardo ancora
puntato sul
cuscino e sembrava rivolgersi più a se stesso che a lui,
così al-Adnan
rimase in silenzio, contemplando la portata che una domanda simile
assume sulle labbra di un re.
«Il re di Elmira
ha gloria e onore / ma
non sfugge al dolore, al dolore / neanche un re. L'ho cantato per tutta
l'infanzia e non ci ho mai creduto. Poi sono diventato io
il
re.»
"Il dolore insegue l'uomo"
diceva il
Libro e al-Adnan si trovò a pensare che, se era in grado di
raggiungerlo persino in alti palazzi fra cuscini dorati e incensi
profumati, davvero, non potesse che essere iscritto da sempre nel suo
destino.
«Il giorno della
mia incoronazione ho
capito che nessun trono mi avrebbe dato l'amore di Ashara,
così le ho
confessato di aver avvelenato nostro padre e ucciso il suo gemello. Le
ho detto ridendo che avrei mandato a morte il suo promesso sposo e che
nessuno avrebbe potuto fermarmi o punirmi. Volevo che soffrisse quanto
me. Come se il dolore fosse qualcosa in cui si possa semplicemente
essere pari, come se questo bastasse a farlo sparire.»
Sollevò lo
sguardo dal cuscino verso il
cielo scuro che sovrastava la grande terrazza della sua stanza e ad
al-Adnan parve un vecchio come gli altri, esausto e sconfitto. Il
re di Elmira siede sul trono / ma è sempre un uomo, sempre
un uomo / anche il re.
«Quando si
è lasciato uccidere, ho
pensato che mio padre fosse un debole. Ora mi domando se non si
sentisse stanco come lo sono io adesso. Stanco, al-Adnan, di tutti i
nostri intrighi e la nostra sfrenata ambizione, sopraffatto dalla
necessità di scegliere pensando al futuro del regno,
addolorato che la
scelta non potesse che ricadere su di me, che ero l'uomo peggiore, ma
che sarei stato il re migliore.»
L'interrogativo era in
attesa
nell'aria, ineluttabile e angosciante, e al-Adnan ne avvertì
il peso,
sebbene mitigato dalla consapevolezza che non era lui a dover trovare
una risposta. C'era una volta un re che aveva settanta figli.
«Qual
è il migliore, qual è il
peggiore? Chi devo fare re?»
Al-Adnan
chiuse gli occhi e
gli parve di sentire le loro voci: la calma rassicurante
dell'intonazione di Talal, il timbro profondo delle argomentazioni di
Dijem, la dura sicurezza del tono di Kamal, il modo secco con cui
Thal'deiyn scandiva le parole, la seta e il miele della voce di
Ianamros; l'amministratore che amava il popolo, il principe che amava
la giustizia, il generale che amava la vittoria, il pianificatore che
amava se stesso e il bugiardo che amava tutti senza amare davvero
nessuno. Erano tutti in qualche modo il migliore e il peggiore e
al-Adnan non avrebbe saputo sceglierne uno. Sospettò fosse
comunque
troppo tardi per scegliere un principe tra tutti quelli impegnati a
tessere trame e preparare una guerra di successione.
«Era una
domanda, Maestà?»
Il re si voltò
verso di lui e gli
sorrise fiaccamente, non senza che nei suoi vivaci occhi scuri
guizzasse rapido un barlume di bonario divertimento.
«No, al-Adnan,
non era una domanda. Non
per te quanto meno.»
Sospirò
pesantemente, abbandonando le
spalle contro lo schienale del letto e al-Adnan desiderò
essergli di
conforto, scontrandosi con la propria imbarazzante
incapacità di
trovare qualcosa da dire.
«Domani
dovrò alzarmi da questo letto e
ricordare a quei mocciosi che muovono eserciti che sono ancora io il
re. Combatterli, punirli, forse ucciderne alcuni. Prima,
però, vorrei
dormire. Fra poco sarà l'alba, non è
così?»
Al-Adnan
osservò il cielo ancora buio,
la Stella del Mattino prossima al tramonto alla fine del suo lungo
percorso verso est, e si domandò che differenza potesse
fare, in fondo,
il sorgere del sole; la notte sarebbe finita, ma il dolore sarebbe
rimasto, la più terribile di tutte le domande, e la luce
dell'aurora,
che pure avrebbe dissipato le tenebre, non avrebbe saputo darle nessuna
risposta.
«Fra poco,
Maestà, ma non ancora.»
Note dell'autrice:
Chi mi conosce bene ormai
sa che scrivo
racconti ma ragiono per saghe per cui, come al mio solito, mi sono
scontrata con la difficoltà di decidere cosa dire e cosa
tacere,
domandandomi quanto la storia fosse godibile di per sé..
Anche perché,
contrariamente ai miei desideri, questa storia mi sembra
più¹ adatta ad
essere l'inizio di un romanzo che un racconto breve. Oltretutto so
molto bene cosa succederà in seguito e conosco intimamente
tutti
i personaggi che ho solo nominato.
Delucidazioni di
ambientazione per chi
ha letto le mie altre storie fantasy: si questo è lo stesso
mondo solo,
per una volta, fuori dall'impero. Siamo nella Jama Occidentale che un
imperiale chiamerebbe semplicemente le Isole Vicine o le Isole del
Golfo (e, sì, ovviamente esiste anche una Jama Orientale,
ovvero per un
imperiale le Isole Lontane o Esterne). Linea temporale sempre per chi
ama le visioni d'insieme: questa storia si svolge in mezzo alla vicenda
di Hartaigen (Arbitrio per gli amici ^^), dopo la sua prima guerra
civile ma prima della sua conquista del regno vicino. Quindi circa
duecento anni prima di Galoth e Sorot.
Edit: ho aggiunto
un'epigrafe.
Ovviamente è il passo del libro di Isaia a cui si ispira la
canzone.
Non nella versione delle Cei la quale recita la versetto 22 "Viene il
mattino, poi anche la notte", quella che riporto è la
versione citata
anche da Weber in non ricordo che testo. Ho scelto questa versione dato
che è quella a cui ovviamente la canzone fa riferimento.
Come al solito grazie a tutti coloro che sono arrivati sino
qui. Un
bacione.
Di seguito riporto il giudizio del nostro velocissimo giudice.
"Riconoscimenti": la storia si è classisificata
prima nel contest "Sulle ali della fantasia" indetto da Shade Owl sul
forum di Efp
Recensione e punteggio
Se davvero è
frutto di un lavoro
intenso ma non soddisfacente, credo di potermi solo chiedere cosa
sarebbe stata questa storia casomai avessi avuto modo di scriverla
senza tanti sforzi.
Questo perché
è, a mio parere, ben
riuscita e interessante. La figura di al-Adnan, per quanto silenziosa e
passiva (in tutta la storia ha usato davvero pochissime frasi,
all'esterno dei suoi pensieri) rende l'atmosfera un po' cupa e tesa
già
da sola, trasmettendo tutta la sua inquietudine e impazienza per il
doversene stare per forza fuori dalla porta, senza
possibilità di
entrare a vedere cosa succede tra il suo re e la sorella.
E loro, poi, sono altri
due personaggi
da manuale. Anche io ho una sorella (minore, nel mio caso), e come
succede sempre c'è il classico
rapporto“odio-amore". Tuttavia, in
questo caso direi che le cose sono un po' diverse dal normale, con re
Obeyron (immagino sia un riferimento al re delle fate) che ama la
sorella a tal punto da volerla solo per se, scatenandone l'odio
incontrollato. Odio che a sua volta è inquinato dall'amore,
visto che
non riesce neanche a ucciderlo.
La perplessità
e le paure di al-Adnan
sono più che giustificate, vista la situazione e l'evidente
stanchezza
di Obeyron. Dopotutto, se non dovesse morire di vecchiaia verrebbe
ucciso da uno dei suoi numerosi figli, e successivamente si
scatenerebbe una guerra di successione non poco sanguinosa. La sola
cosa che può consolare, a mio avviso, è che
l'esercito non potrebbe mai
dividersi per settanta, quindi sarebbe impossibile usarlo in maniera
efficace (anche se forse sono ottimista).
I parametri sono stati
rispettati
completamente, sia per la presenza di una sentinella, come richiesto
dalla canzone, che per la presenza di ordini superiori che deve
necessariamente eseguire, nonostante tutta la sua voglia di fare
altrimenti, anche se questo significa venire meno al suo compito
primario, ovvero proteggere il re.
A parte qualche errore
nella parte
grammaticale, ortografica e sintattica, impossibili da evitare (e
purtroppo ne so qualcosa), la storia è corretta e
interessante, molto
piacevole. Sarebbe bello, in effetti, sapere come prosegue la trama.
Sarebbe semplice, dato il finale aperto, che comunque non stona
affatto: in fondo, nessuno ha vietato le incompiute.
Punteggi:
-Grammatica, sintassi e
ortografia:
6.5/10
-Sviluppo della trama:
14/15
-Caratterizzazione dei
personaggi: 9/10
-Attinenza al tema e ai
parametri
proposti: 15/15