#Allarm
Tre
suoni lunghi.
Due
corti.
Infine
uno più lungo, quasi eterno.
Era questo
l’allarme creato dal risorto Ministero per avvertire l’inizio
della chiusura delle frontiere per tempo indeterminato.
Semplici
suoni che combinati insieme avvertivano giovani e vecchi che altri
sacrifici venivano riscossi dallo stato.
Era stato
Percy a inventarlo.
Nulla di
così complicato, la sua celebre intelligenza gli aveva suggerito che
far viaggiare decine di migliaia di gufi non sarebbe stato possibile,
quindi decise di far viaggiare quel suono in ogni casa magica, far
vibrare ogni bacchetta.
Pur avendo
seguito passo per passo le fasi dell’invenzione, non sapeva quando
Kingsley avrebbe innalzato la barriera.
Quando sarebbe cominciata quella nuova misura?
Quando
le tenebre avrebbero cominciato a dominare, di nuovo,
in Inghilterra?
A Percy
quelle domande, questioni che intere famiglie si ponevano la sera
mentre salutavano il sole e accoglievano tetri le ombre, non
interessavano.
Lui non era
mai uscito al sole.
Lui viveva
bene nelle sue ombre, ci era abituato e ci stava bene.
Nessuno gli
rivolgeva strani sguardi, parole sussurrate e poi ritirate, accuse
flebili e dolore.
Nel
buio lui non vedeva niente.
Percy
nell’ombra ci stava benissimo.
A casa Weasley il pranzo domenicale era stato servito da molto tempo e
il tavolo era ormai sgombro dalla montagna di cibo caldo e dolci di
ogni tipo.
Ron e
Harry, seguiti poi da George e Ginny, erano usciti per una veloce
partitella a Quidditch.
Una
tradizione che nonostante tutto era rimasta inossidabile.
Bill e la
sua famiglia erano ritornati a casa subito, il signor Delacour non
sembrava essersi ripresi ed era caduto in una sorta di profondo stato
di dormiveglia, voleva solo dormire.
Dormire il più possibile.
Così, quel
pomeriggio Percy rimase seduto al solito posto, tirando fuori centinaia
di fogli e cartelle da esaminare, lunghe lettere da scrivere alle
organizzazioni di maghi stranieri, si ributtò nell’unico luogo non
fisico che riusciva a far calare le tenebre dentro di sé.
Non si
accorse dello sguardo serio ed indagatore di sua madre Molly.
Teneva in
mano un piatto pieno di biscotti con gocce di cioccolato, ancora caldi,
ma il suo corpo si era arrestato di fronte al gelo che quell’angolo
della stanza piena di cose, emanava.
Lo poteva
sentire quel gelido soffio di sofferenza.
Era quello
che lei sentiva costantemente soffiargli sulla nuca, ogni giorno da
quella maledetta notte senza stelle.
Per un po’,
dopo quella repentina fuga di primo mattino, Molly aveva pensato che il
suo figlio più tormentato ritrovasse un’oasi di pace, un amico o
conoscente con cui parlare.
Qualcuno che non sapesse nulla delle sue scelte passate e che non gli
desse il tempo di allontanarsi.
Invece,
dopo quel breve sprazzo di luce, le ombre erano ritornare sul suo volto
sempre stanco, sempre immobile.
S’incamminò
facendo attenzione alle tante sedie della stanza e lasciò il piatto
proprio di fronte a Percy, nell’unico quadrato di spazio libero da
carte e boccette di inchiostro.
-Caro,
magari dopo ti viene fame.- gli disse mentre gli sorrideva
incoraggiante.
Ma
per incoraggiarlo a cosa?
Percy alzò
appena gli occhi e la fissò per un breve secondo, quasi sforzandosi di
essere partecipe, di essere presente in quella stanza.
-Grazie
mamma.- rispose meccanicamente.
Normalmente
Molly gli sorrideva e se ne andava via, confusa ma anche impotente di
fronte a quel invalicabile mutismo, cercando dentro di sé una nuova
idea per fargli tornare quel sorriso che tanto amava.
Ma quel
giorno si sedette di fronte a lui e si diede coraggio.
Doveva parlare.
Doveva sapere.
Doveva chiedere.
-Perce
caro, come … Come va al lavoro?- gli domandò, dandosi subito della
sciocca. Era una domanda stupida dato che l’unico argomento di
conversazione con suo figlio si concentrava sul lavoro.
Percy
aggrottò le sopracciglia e si rimise a leggere con ostinazione. –Direi
che va bene come sempre. Ne abbiamo parlato a pranzo.- la informò.
-Giusto,
giusto.- concordò Molly. –Senti caro, che ne dici se invitiamo
quell’Auror che ha salvato il signor Delacour. Fleur mi ha scritto che
da un po’ il padre chiede di quest’Auror, sono sicura che gli farà
piacere.-
-Non so
dove sia finita Rivers, so solo che è uscita dall’ospedale.-
-Ma
Kingsley saprà assolutamente come ritrovare l’indirizzo. Potrebbe
cenare con noi, magari Ron e Harry potrebbero fare delle domande più
precise sul test, sulle lezioni e cose di questo genere.-
Sentendo la
proposta Percy rabbrividì.
Rivers.
No, non gli
piaceva quell’idea.
Quella
ragazza era … Era un continuo mistero.
Un groviglio di fili che non voleva
slegare.
La
settimana prima gli aveva mandato un gufo, giusto per augurarle buon
Halloween.
Si sarebbe
aspettato una risposta educata nel giro di qualche ora, invece nulla.
Per quanto
ne sapeva poteva essere già in qualche altra battaglia dall’altra parte
del globo.
C’era l’Est
Europa pieno di Mangiamorte in fuga, l’Africa neutrale e terra piena di
piccoli e grandi gruppi di Maghi Oscuri, le Americhe che non erano in
grado per ora di capire chi li stesse attaccando; erano i maghi
asiatici oppure organizzazioni criminali?
-Non ho la
più pallida idea di dove sia Rivers, né mi interessa saperlo. La
prossima volta che la vedo, cosa di cui dubito, gli dirò di passare dal
signor Delacour. Mamma, vorrei ricordati che Rivers è un Auror
dell’Ufficio Internazionale, potrebbe essere già partita.- disse quasi
con stizza, cercando di non alterare la voce.
Ma nessuno
di due poté dire altro.
Tre
suoni lunghi.
Due
corti.
Infine
uno più lungo, quasi eterno.
Un
brivido.
Solo un
brivido si concesse quando l’aria di quel bar dimenticato e polveroso
venisse squarciata da quei suoni.
Appoggiò con delicatezza la bottiglia di birra e si guardò intorno.
Sguardi vuoti ed occhi lucidi.
Indifferenti
ed annoiati come lei.
Riprese a
bere, finì la bottiglia e chiese del Whisky Incendiario.
Il barista,
capelli grigi e aria minacciosa, le ricordò che erano soltanto le tre
del pomeriggio di una normalissima domenica.
-Chiudi
quella bocca e versami da bere.- sibilò improvvisamente piena di rabbia.
Il barista
la fissò indispettito ma poi le portò un bicchierino di Whisky.
Audrey lo
finì con un solo e pesante sorso che risuonò nelle sue orecchie.
Il liquido
le stava bruciando ogni piccola vena, ogni grumo di sangue.
Sembrava
quasi un alito di vita in corpo morto.
Poco dopo
aver pagato, sgusciò via e si diresse in un vicolo per smaterializzarsi.
Aveva
chiuso gli occhi, cercando di vincere la nausea che ogni volta che si
smaterializzava saliva prepotente e tentava di straripare, e quando li
riaprì si pentì di averlo fatto.
Di fronte a
lei c’era il caos più totale, ad investirla per prima furono i colori
delle veste da mago, dei mantelli, dei pantaloni dalla piega rigida, i
cappelli e i guanti di chi se ne stava nell’atrio a gridare cose
difficili da captare e ancora di più da comprendere.
Lo sapevano
tutti che la barriera, alla fine, sarebbe stata attivata.
Troppi i
Mangiamorte in libertà e alla ricerca di uno scontro, mortale o
inutile, non aveva molta importanza per persone spogliate dei loro
beni, dei loro titoli e del loro discutibile orgoglio.
S’incamminò
con qualche difficoltà, la sua gamba destra era ancora rigida.
Le nuove ossa e i muscoli ricostruiti sembravano aver deciso di non
ascoltare i suoi ordini, i suoi impulsi nervosi arrivava in differita
di qualche secondo, impedendole di camminare con il giusto e naturale
ritmo.
Così
zoppicando e tirando qualche spallata riuscì a raggiungere l’ascensore.
Era troppo
contenta di aver raggiunto l’angusto spazio che si accorse dell’altro
passeggero solo quando le porte si chiusero con uno scatto.
Capelli rossi.
Occhiali da vista che quasi
aumentavano i cerchi bluastri intorno agli occhi.
Mantello scuro e cravatta perfettamente al centro.
Insomma, Percy Weasley.
Entrambi si
erano accorti l’uno dell’altro, ma entrambi erano convinti che il
silenzio era l’unica arma da sfoderare.
-Allora, è
confermato?- chiese improvvisamente Audrey, ricordandosi dei tre suoni.
-Sì, è
stato appena confermato.- rispose meccanicamente Percy mentre la porta
si riapriva rivelando un corridoio pieno di persone che conoscevano.
Quando notò la difficoltà della ragazza nel camminare correttamente le
spalancò la porta e la lasciò passare per prima, beccandosi una
occhiata torva.
-Potrò dire
a mia nonna che ho appena visto l’ultimo gesto galante di questo
pianeta.- disse lei scuotendo la testa.
-Questa si
chiama educazione, non galanteria.- la corresse lui.
Audrey
scrollò le spalle ed alzò le mani verso l’alto. –Sì, scusi signor
agente. Non lo farò mai più.- disse lei ridacchiando.
Ma la sua
risata, la prima risata che Percy aveva mai udito uscire da quelle
labbra sottili, morì improvvisamente.
Gli occhi
della ragazza erano fermi a fissare un gruppo di persone.
Si
trattavano di Harry Potter, il Ministro Kingsley e il Capo Auror della
squadra Internazionale John Bolton.
-Che ci fa
lui qui?- ringhiò quasi Audrey.
Percy
attese qualche secondo prima di rispondere. –Le cose stanno
peggiorando.-
-Talmente
tanto da richiamare John Il Mannaro?-
-E’ il tuo
capo.- ribatté infastidito Percy. –Ed è a lui che devi chiedere se le
cose stanno peggiorando anche per te.-
Audrey lo
fissò seria per qualche secondo.
Notò che lo
sguardo corrucciato di Percy, gettava delle strane ombre sul suo volto,
come se la invitasse a scavare più a fondo.
Ma
cosa ne poteva sapere lei di un funzionario del Ministero?
Respinse
quella sua indole investigativa e si diresse verso quel gruppetto che
parolottava a bassa voce.
Quando
Audrey entrò nel campo visivo del suo capo, un’immaginaria folata di
vento aveva irrigidito i loro corpi e i loro sguardi.
-Ma guarda
un po’ chi c’è qui. Strano Rivers, non eri rimasta sepolta da qualche
parte?- domandò ridacchiando Bolton.
Audrey
sorrise alla battuta e fece uno strano inchino. –Come vedi sono ancora
in piedi. Mi piego, ma non mi spezzo e tu dovresti saperlo bene.-
Bolton, un
uomo non particolarmente alto, con lunghi capelli castani tenuti
raccolti in una sobria coda e il volto magro percorso da una leggera
cicatrice, sorrise.
-Già.-
sospirò teatralmente indicando la sua cicatrice. –La mia faccia ha
conosciuto il tuo furore, ma tu non hai ancora assaggiato quello che so
fare, mia cara.-
Audrey fece
una smorfia schifata. –La prossima volta che tenti di minacciarmi ti
prego scrivimi una lettera, altrimenti corro il rischio di
addormentarmi.-
Bolton
ridacchiò appena e le indicò una porta aperta, la ragazza sospirò
infuriata e zoppicando s’infilò nella stanza.
Percy si
sistemò gli occhiali con energia.
Non era la
prima volta che vedeva Bolton, ormai nelle ultime settimane era
diventato parte integrante del gabinetto del Ministero, ma mai lo aveva
visto parlare in quel modo.
Da quel che
aveva capito, Audrey Rivers oltre ad essere un Auror aggressivo e
spietato, era pure l’insolenza fatta persona.
Il suo
sguardo perplesso incrociò quello confuso di Harry.
-Ma che è
successo?- chiese il giovane Grifondoro.
-Non ne ho idea.- rispose Percy.
[Ringrazio
coloro che hanno letto fino a qua, questo ennesimo capitolo! Buona
Navigazione e Lettura!^^]
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