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Autore: Midori_    24/05/2012    1 recensioni
Percy e Audrey sono due rette parallele.
Viaggiano su due binari identici, ma con storie e passati differenti.
Da una parte il dolore della perdita di un fratello e i sensi di colpa.
Dall'altra, un velo di tristezza che sembra permanente nei suoi occhi.
Diversi ma allo stesso tempo identici.
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Audrey, Percy Weasley | Coppie: Audrey/Percy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Frammenti di vita'
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#Allarm


Tre suoni lunghi.
Due corti.
Infine uno più lungo, quasi eterno.

Era questo l’allarme creato dal risorto Ministero  per avvertire l’inizio della chiusura delle frontiere per tempo indeterminato.
Semplici suoni che combinati insieme avvertivano giovani e vecchi che altri sacrifici venivano riscossi dallo stato.
Era stato Percy a inventarlo.
Nulla di così complicato, la sua celebre intelligenza gli aveva suggerito che far viaggiare decine di migliaia di gufi non sarebbe stato possibile, quindi decise di far viaggiare quel suono in ogni casa magica, far vibrare ogni bacchetta.
Pur avendo seguito passo per passo le fasi dell’invenzione, non sapeva quando Kingsley avrebbe innalzato la barriera.

Quando sarebbe cominciata quella nuova misura?

Quando le tenebre avrebbero cominciato a dominare, di nuovo, in Inghilterra?

A Percy quelle domande, questioni che intere famiglie si ponevano la sera mentre salutavano il sole e accoglievano tetri le ombre, non interessavano.
Lui non era mai uscito al sole.
Lui viveva bene nelle sue ombre, ci era abituato e ci stava bene.
Nessuno gli rivolgeva strani sguardi, parole sussurrate e poi ritirate, accuse flebili e dolore.
Nel buio lui non vedeva niente.
Percy nell’ombra ci stava benissimo.


A casa Weasley il pranzo domenicale era stato servito da molto tempo e il tavolo era ormai sgombro dalla montagna di cibo caldo e dolci di ogni tipo.

Ron e Harry, seguiti poi da George e Ginny, erano usciti per una veloce partitella a Quidditch.
Una tradizione che nonostante tutto era rimasta inossidabile.
Bill e la sua famiglia erano ritornati a casa subito, il signor Delacour non sembrava essersi ripresi ed era caduto in una sorta di profondo stato di dormiveglia, voleva solo dormire.
Dormire il più possibile.

Così, quel pomeriggio Percy rimase seduto al solito posto, tirando fuori centinaia di fogli e cartelle da esaminare, lunghe lettere da scrivere alle organizzazioni di maghi stranieri, si ributtò nell’unico luogo non fisico che riusciva a far calare le tenebre dentro di sé.
Non si accorse dello sguardo serio ed indagatore di sua madre Molly.
Teneva in mano un piatto pieno di biscotti con gocce di cioccolato, ancora caldi, ma il suo corpo si era arrestato di fronte al gelo che quell’angolo della stanza piena di cose, emanava.
Lo poteva sentire quel gelido soffio di sofferenza.
Era quello che lei sentiva costantemente soffiargli sulla nuca, ogni giorno da quella maledetta notte senza stelle.
Per un po’, dopo quella repentina fuga di primo mattino, Molly aveva pensato che il suo figlio più tormentato ritrovasse un’oasi di pace, un amico o conoscente con cui parlare.
Qualcuno che non sapesse nulla delle sue scelte passate e che non gli desse il tempo di allontanarsi.

Invece, dopo quel breve sprazzo di luce, le ombre erano ritornare sul suo volto sempre stanco, sempre immobile.
S’incamminò facendo attenzione alle tante sedie della stanza e lasciò il piatto proprio di fronte a Percy, nell’unico quadrato di spazio libero da carte e boccette di inchiostro.
-Caro, magari dopo ti viene fame.- gli disse mentre gli sorrideva incoraggiante.
Ma per incoraggiarlo a cosa?
Percy alzò appena gli occhi e la fissò per un breve secondo, quasi sforzandosi di essere partecipe, di essere presente in quella stanza.
-Grazie mamma.- rispose meccanicamente.
Normalmente Molly gli sorrideva e se ne andava via, confusa ma anche impotente di fronte a quel invalicabile mutismo, cercando dentro di sé una nuova idea per fargli tornare quel sorriso che tanto amava.
Ma quel giorno si sedette di fronte a lui e si diede coraggio.
Doveva parlare.
Doveva sapere.
Doveva chiedere.

-Perce caro, come … Come va al lavoro?- gli domandò, dandosi subito della sciocca. Era una domanda stupida dato che l’unico argomento di conversazione con suo figlio si concentrava sul lavoro.
Percy aggrottò le sopracciglia e si rimise a leggere con ostinazione. –Direi che va bene come sempre. Ne abbiamo parlato a pranzo.- la informò.
-Giusto, giusto.- concordò Molly. –Senti caro, che ne dici se invitiamo quell’Auror che ha salvato il signor Delacour. Fleur mi ha scritto che da un po’ il padre chiede di quest’Auror, sono sicura che gli farà piacere.-
-Non so dove sia finita Rivers, so solo che è uscita dall’ospedale.-
-Ma Kingsley saprà assolutamente come ritrovare l’indirizzo. Potrebbe cenare con noi, magari Ron e Harry potrebbero fare delle domande più precise sul test, sulle lezioni e cose di questo genere.-
Sentendo la proposta Percy rabbrividì.
Rivers.
No, non gli piaceva quell’idea.
Quella ragazza era … Era un continuo mistero.
Un groviglio di fili che non voleva slegare.

La settimana prima gli aveva mandato un gufo, giusto per augurarle buon Halloween.
Si sarebbe aspettato una risposta educata nel giro di qualche ora, invece nulla.
Per quanto ne sapeva poteva essere già in qualche altra battaglia dall’altra parte del globo.
C’era l’Est Europa pieno di Mangiamorte in fuga, l’Africa neutrale e terra piena di piccoli e grandi gruppi di Maghi Oscuri, le Americhe che non erano in grado per ora di capire chi li stesse attaccando; erano i maghi asiatici oppure organizzazioni criminali?
-Non ho la più pallida idea di dove sia Rivers, né mi interessa saperlo. La prossima volta che la vedo, cosa di cui dubito, gli dirò di passare dal signor Delacour. Mamma, vorrei ricordati che Rivers è un Auror dell’Ufficio Internazionale, potrebbe essere già partita.- disse quasi con stizza, cercando di non alterare la voce.
Ma nessuno di due poté dire altro.

Tre suoni lunghi.
Due corti.
Infine uno più lungo, quasi eterno.




Un brivido.
Solo un brivido si concesse quando l’aria di quel bar dimenticato e polveroso venisse squarciata da quei suoni.
Appoggiò con delicatezza la bottiglia di birra e si guardò intorno.

Sguardi vuoti ed occhi lucidi.
Indifferenti ed annoiati come lei.
Riprese a bere, finì la bottiglia e chiese del Whisky Incendiario.
Il barista, capelli grigi e aria minacciosa, le ricordò che erano soltanto le tre del pomeriggio di una normalissima domenica.
-Chiudi quella bocca e versami da bere.- sibilò improvvisamente piena di rabbia.
Il barista la fissò indispettito ma poi le portò un bicchierino di Whisky.
Audrey lo finì con un solo e pesante sorso che risuonò nelle sue orecchie.
Il liquido le stava bruciando ogni piccola vena, ogni grumo di sangue.
Sembrava quasi un alito di vita in corpo morto.
Poco dopo aver pagato, sgusciò via e si diresse in un vicolo per smaterializzarsi.
Aveva chiuso gli occhi, cercando di vincere la nausea che ogni volta che si smaterializzava saliva prepotente e tentava di straripare, e quando li riaprì si pentì di averlo fatto.
Di fronte a lei c’era il caos più totale, ad investirla per prima furono i colori delle veste da mago, dei mantelli, dei pantaloni dalla piega rigida, i cappelli e i guanti di chi se ne stava nell’atrio a gridare cose difficili da captare e ancora di più da comprendere.
Lo sapevano tutti che la barriera, alla fine, sarebbe stata attivata.
Troppi i Mangiamorte in libertà e alla ricerca di uno scontro, mortale o inutile, non aveva molta importanza per persone spogliate dei loro beni, dei loro titoli e del loro discutibile orgoglio.
S’incamminò con qualche difficoltà, la sua gamba destra era ancora rigida.
Le nuove ossa e i muscoli ricostruiti sembravano aver deciso di non ascoltare i suoi ordini, i suoi impulsi nervosi arrivava in differita di qualche secondo, impedendole di camminare con il giusto e naturale ritmo.

Così zoppicando e tirando qualche spallata riuscì a raggiungere l’ascensore.
Era troppo contenta di aver raggiunto l’angusto spazio che si accorse dell’altro passeggero solo quando le porte si chiusero con uno scatto.
Capelli rossi.
Occhiali da vista che quasi aumentavano i cerchi bluastri intorno agli occhi.
Mantello scuro e cravatta perfettamente al centro.
Insomma, Percy Weasley.



Entrambi si erano accorti l’uno dell’altro, ma entrambi erano convinti che il silenzio era l’unica arma da sfoderare.
-Allora, è confermato?- chiese improvvisamente Audrey, ricordandosi dei tre suoni.
-Sì, è stato appena confermato.- rispose meccanicamente Percy mentre la porta si riapriva rivelando un corridoio pieno di persone che conoscevano. Quando notò la difficoltà della ragazza nel camminare correttamente le spalancò la porta e la lasciò passare per prima, beccandosi una occhiata torva.
-Potrò dire a mia nonna che ho appena visto l’ultimo gesto galante di questo pianeta.- disse lei scuotendo la testa.
-Questa si chiama educazione, non galanteria.- la corresse lui.
Audrey scrollò le spalle ed alzò le mani verso l’alto. –Sì, scusi signor agente. Non lo farò mai più.- disse lei ridacchiando.
Ma la sua risata, la prima risata che Percy aveva mai udito uscire da quelle labbra sottili, morì improvvisamente.
Gli occhi della ragazza erano fermi a fissare un gruppo di persone.
Si trattavano di Harry Potter, il Ministro Kingsley e il Capo Auror della squadra Internazionale John Bolton.
-Che ci fa lui qui?- ringhiò quasi Audrey.
Percy attese qualche secondo prima di rispondere. –Le cose stanno peggiorando.-
-Talmente tanto da richiamare John Il Mannaro?-
-E’ il tuo capo.- ribatté infastidito Percy. –Ed è a lui che devi chiedere se le cose stanno peggiorando anche per te.-
Audrey lo fissò seria per qualche secondo.
Notò che lo sguardo corrucciato di Percy, gettava delle strane ombre sul suo volto, come se la invitasse a scavare più a fondo.
Ma cosa ne poteva sapere lei di un funzionario del Ministero?
Respinse quella sua indole investigativa e si diresse verso quel gruppetto che parolottava a bassa voce.

Quando Audrey entrò nel campo visivo del suo capo, un’immaginaria folata di vento aveva irrigidito i loro corpi e i loro sguardi.
-Ma guarda un po’ chi c’è qui. Strano Rivers, non eri rimasta sepolta da qualche parte?- domandò ridacchiando Bolton.
Audrey sorrise alla battuta e fece uno strano inchino. –Come vedi sono ancora in piedi. Mi piego, ma non mi spezzo e tu dovresti saperlo bene.-
Bolton, un uomo non particolarmente alto, con lunghi capelli castani tenuti raccolti in una sobria coda e il volto magro percorso da una leggera cicatrice, sorrise.
-Già.- sospirò teatralmente indicando la sua cicatrice. –La mia faccia ha conosciuto il tuo furore, ma tu non hai ancora assaggiato quello che so fare, mia cara.-
Audrey fece una smorfia schifata. –La prossima volta che tenti di minacciarmi ti prego scrivimi una lettera, altrimenti corro il rischio di addormentarmi.-
Bolton ridacchiò appena e le indicò una porta aperta, la ragazza sospirò infuriata e zoppicando s’infilò nella stanza.

Percy si sistemò gli occhiali con energia.
Non era la prima volta che vedeva Bolton, ormai nelle ultime settimane era diventato parte integrante del gabinetto del Ministero, ma mai lo aveva visto parlare in quel modo.
Da quel che aveva capito, Audrey Rivers oltre ad essere un Auror aggressivo e spietato, era pure l’insolenza fatta persona.
Il suo sguardo perplesso incrociò quello confuso di Harry.
-Ma che è successo?- chiese il giovane Grifondoro.
-Non ne ho idea.- rispose Percy.




[Ringrazio coloro che hanno letto fino a qua, questo ennesimo capitolo! Buona Navigazione e Lettura!^^]

   
 
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