Questa è la prima storia che scrivo dopo due anni di totale
inattività. Sicuramente mi sarò arrugginito, quindi non abbiate riserve a
segnalare i vari errori grammaticali ecc.
Questa storia è stata partorita nel natale
2010, in
seguito allo stress dato dagli esami universitari. Se alcune frasi sembrano
opera di un fanatico non è un effetto voluto.
Mi auguro che possa piacere a chi la leggerà.
Credo che chiunque, almeno una volta nella vita, nei momenti
di debolezza più probabilmente, si sia interrogato circa la reale esistenza del
male.
Non sono un cacciatore di fedeli, uno di quei sospetti
figuri che distribuiscono volantini deliranti per strada, tranquilli.
Sono solo una voce narrante.
Il male, come stavo dicendo, esiste. Non è semplice assenza
di bene, e non è una sorta di ostacolo necessario al compimento del sommo bene.
Mettiamo le cose in chiaro:
Il Male è!
Ma, ad una più approfondita indagine
credo che pochi si siano chiesti del perché, questo male, questa forza così
distruttiva non riesca, nonostante la sua potenza a prevalere su ciò che noi definiamo
bene.
In questo mondo non vi sono eroi, nessun santo. Qualche
coraggioso forse, qualche pazzo idealista ma alla loro morte il loro coraggio e
le loro idee verranno manipolate, sfruttate, svuotate.
Non dovrebbe esserci speranza alcuna.
Eppure la speranza c’ è.
Pensateci. Perché permane la speranza in un mondo così
palesemente marcio?
Semplice.
Ma non è il momento di dare una risposta a questa domanda.
Adesso dobbiamo seguire la ragazza delle nevi e del calore, colei nata
dalla risposta.
Stava fuggendo da mesi, anni o secondi, non che avesse reale
importanza. Era scappata per trovare una risposta ulteriore,
una conferma o una smentita del fato a cui la risposta l’ aveva condotta.
Faceva freddo, quel freddo stagnante nell’
aria, il gelo che s infiltra nelle ossa e le corrode come un cane
famelico, ma paziente.
Aveva paura.
In realtà nessuno la stava inseguendo, perché il destino è
onnipresente, ed è sempre un passo avanti.
Si voltò, in direzione di un rumore, un rantolo soffocato di
una futura carcassa. E vide gli occhi vuoti della morte.
Sembrava un cadavere, forse lo era, ma le membra si erano
mosse, la vita stava ancora pulsando e con lei la sofferenza data da quel
pulsare.
“Bella serata”
La voce del cadavere era un flebile bisbiglio, debole come
un respiro ma comunque gioviale. Dall’ angolo lurido
in cui era deposto, si alzò in piedi, come una marionetta manovrata da mani
inesperte.
“Che ci fa qui una
persona viva?”
La ragazza indietreggiò, più perplessa che
spaventata e lo guardò ancora. Vivo, ma con gli occhi di un morto, quella
tremenda opacità…
Ricoperto di ferite sulla carnagione scura, il capo rasato tranne per la cresta bianca, lo sguardo di chi è stato
sconfitto dai propri demoni.
“Ah, ma certo, è sua
figlia giusto? Non credevo che avrei mai rivisto in questa..”
vita” una persona così viva, se capisce ciò che intendo. Sono
sorpreso”
“Tu sei..”
Il cadavere sorrise, senza calore. Emise un sospiro
malinconico osservando il cielo, pieno di stelle, luci ed energia.
“Quando si è morti riesci a vedere con più chiarezza cosa realmente
affligge l’ umanità. La speranza sta svanendo, per questo lei è qui, giusto?”
La ragazza si strinse nelle spalle, portando lo sguardo
verso un punto imprecisato vicino ai suoi piedi. I lunghi capelli bianchi come il latte le cadevano scomposti sul viso come
una barriera di stalattiti di ghiaccio
“No io.. probabilmente sto
fuggendo.. dalla speranza”
“Cerca una risposta?
Un senso alla sua esistenza?”
“Già..”
“Perché
qui? Nel luogo dove non
esistono certezze o risposte, proprio qui lei cerca risposte?
“Esattamente.”
“Perché?”
“Per conoscere ciò che sto condannando.”
Una folata di vento rimestò le cartacce ed
i rifiuti della sudicia stradina, causando un suono desolante.
Il morto posò lo sguardo sulla ragazza e, con espressione
meditabonda iniziò a studiarla. Questa si strinse ancor più nelle spalle
distogliendo lo sguardo e porgendolo alla città, che a stento soffocava la sua
disperazione.
“Come si chiama questo luogo?”
“Jabberwock
City.”
“Seriamente..”
“Non scherzo. In quest’ epoca senza certezze o speranza, dopo che le guerre e
le ricostruzioni hanno stravolto i confini, le radici e l’ identità dei popoli,
i più ironici hanno trovato appropriato questo nome”
“Una città senza leggi, regole o limiti quindi.”
“Peggio,
è una città priva di senso o uno scopo. Qui le persone nascono già morte, per
quanto alcuni ancora cerchino di resistere a tutto ciò”
La ragazza tornò a guardare il cadavere con espressione
determinata. La paura, l’ incertezza persistevano,
trattenute tuttavia dalla consapevolezza di dover compiere una scelta. Se
avesse optato per la libertà, cosa ne sarebbe stato
del mondo? Avrebbe potuto essere veramente libera sapendo cosa stava
abbandonando?
“Ancora non ho una risposta sul perché io sia ciò che sono e
se sia giusto che io diventi ciò che il destino ha scelto per me. Ma devo sapere
se questo mondo merita di ricevere la speranza che tanto agogna e tu, che possiedi quel corpo e quell’ anima, tu mi
aiuterai”
Il cadavere emise una risata atona e metallica, raggelando
il gelo stesso.
“Nel suo regno sarà
anche una principessa ma qui è solo un’ osservatrice
impotente, non può darmi ordini”
“Non desidereresti vivere in quel corpo, piuttosto che
muoverlo come se fossi alla cabina di un robot?”
“E’ più complesso di
quel che sembra, mia cara”
“Preferisci far
marcire la tua essenza in questo involucro morto ed in
quell’ anima vuota?”
“Eheh,
e sia, le do il permesso di entrare, la aspetto per il
tè”
“Ne sarò
deliziata”
Nella lurida stradina, in quella giornata di freddo crudele
il cadavere e la ragazza si accasciarono al suolo come privi di vita, intenti a
dialogare all’ interno della vita stessa.
Era un grande salone, adornato da ricchi intarsi dorati alle
pareti di puro marmo immacolato. Sontuosi lampadari anch’
essi dorati, tempestati di infinite gocce di diamanti, proiettavano su ogni
superficie una luce multicolore, dando all’ ambiente un tono regale, quasi
divino.
In fondo al salone, faceva capolino un’ oasi
di divanetti in stile barocco ricoperti di velluto rosso e, proprio al centro,
sorgeva un’ immensa lavagna di ardesia, ricoperta di fitti e complicati calcoli
scritti col gesso che si ergeva oltre la portata visiva.
La ragazza notò a malapena l’ illusoria
sontuosità della sala, essendo maggiormente interessata all’ uomo, anziano ma
prestante, che con foga continuava a riempire la lavagna di calcoli sempre più
oscuri e metafisici.
“È una rarità trovare un’ impressione
a piede libero, un segno dei tempi immagino”
L’ uomo si voltò, mostrando un
tenue sorriso privo di allegria ed invitando la sua ospite ad accomodarsi con
un gesto della mano. La sua voce era fittizia come l’ ambiente,
una mera decorazione al messaggio che trasmetteva direttamente nella mente
dell’ interlocutore.
“Ammetto che,
malauguratamente, questa condizione non è merito del mio ingegno. Non potendo
possedere l’ anima, ho semplicemente sfruttato
questa.. “struttura” per soggiornare in relativa tranquillità”
“Un investimento
rischioso. Senza un’ anima a contribuire alla propria
esistenza, un’ impressione corre costantemente il rischio di scomparire”
“In fondo però, io non
sono mai esistito realmente, quindi non sarebbe che un ritorno alla mia
condizione originaria”
Dal nulla comparve un tavolino di
vetro con sopra due fumanti tazze di tè ed una teiera. La ragazza si portò la
tazza alle labbra, bruciandosi leggermente la lingua. Indagò gli occhi del suo
interlocutore, illusori ma decisamente più vivi del
suo corpo ospitante.
“Trovandomi qui, deduco che la mia offerta è comunque di tuo
interesse”
“Anche quelli come me hanno un precoce istinto di sopravvivenza. Piuttosto, presi come eravamo dai nostri seri discorsi non abbiamo provveduto
alle necessarie presentazioni, nonostante io sappia già chi lei sia,
principessa Janet”
“Non mi stupisco di questa tua conoscenza, la tua specie e
la mia famiglia sono strettamente legati. Posso sapere
invece con chi ho l’ onore di parlare?”
L’ uomo, per tutta risposta porse
gentilmente alla sua ospite un volume di modeste dimensioni. Janet lo prese tra
le mani, sgranando gli occhi leggendo il nome dell’ autore.
“Oh.” Riuscì solo a dire.
“Quindi, nel caso accettassi la sua proposta, in
che modo mi consentirebbe di prendere possesso di tutto questo?”
Janet scorse, in un angolo stranamente buio dell’ enorme sala un’ enorme gabbia chiusa e sigillata da
decine di lucchetti e chiavistelli. Dal suo interno provenivano solo gemiti e
sibili, ininterrotti ed insopportabili. Per un attimo
si chiese come avesse fatto a non notarli in precedenza.
“Quello è…” disse, indicando con un cenno la gabbia.
“L’ originario padrone di quest’ anima. Un
giovanotto alquanto bizzarro devo dire, senza un
briciolo di speranza nello spirito. Ho dovuto ristrutturare gli interni con una
certa lena per rendere sopportabile questo posto”
“Mi dispiace
doverti informare che, per garantire la tua sopravvivenza, dovrai fonderti con
lui”
“Prego?”
“La tua possessione è fallita, il padrone
originario non è scomparso e tu non puoi che assumere un controllo remoto di
questa persona. D’ altro canto, non puoi
nemmeno fuggire, poiché la tua essenza già così instabile potrebbe non
sopportare il processo. Così stanno le cose.
L’ uomo si corrucciò portandosi la
mano destra sulla fronte, assumendo un’ aria riflessiva. Dopo pochi minuti alzò
il capo con un’ espressone grave in volto.
“Accetto, faccia ciò
che deve”
Senza rispondere, Janet si portò le mani al medaglione che
portava al collo, raffigurante due bastoncini di zucchero bianco e rossi
incrociati ed incorniciati da una ghirlanda verde
smeraldo, il quale iniziò a brillare di luce bianca.
Cristalli di neve cominciarono a cadere lenti in tutto il
salone, mentre la luce del medaglione, sempre più accecante, inondò l’ anima già morta, donandole letteralmente una nuova vita.
“Merry Christmas, Professor Moriarty”