È di nuovo troppo corto? Uffa, non ho voglia di pensarci.
Non ho voglia nemmeno di pensare a come finirla, a dirla tutta.
Bon.
E non dite "povera Armelle" perché se l'è cercata u.u
Aline aveva continuato a comportarsi da moglie gentile e
castellana impeccabile, ma dentro di sé era tutta sospiri e rimpianti.
Proprio quando aveva aperto gli occhi... quando finalmente si era
accorta di amarlo... era arrivato quel cavaliere, il luogotenente di re
Constantine. Aveva compreso che sì, come Lucan le
aveva ipotizzato durante il loro primo incontro, due uomini possono
innamorarsi l'uno dell'altro; e che Sir Garanwyn aveva un
debole per i Coritani. In quel
senso, puntualizzò a se stessa per spargere ancora un poco di sale
sulla ferita. E come dargli torto? Conn era un uomo meraviglioso - lo
era diventato davvero, in quegli anni, mentre lei rimaneva aggrappata
al passato. Non aveva mai trovato alcuna affinità tra lui e il
mutilatore di alberi che aveva incontrato nel bosco a Benwick... e
sperava che nemmeno Sir Garanwyn si fosse infatuato di lui solo per
questa presunta somiglianza. Ma non si sentiva di dare consigli ad
alcuno; non ne aveva il diritto, non erano cose che la riguardassero,
ormai. Aveva deciso: si sarebbe
ritirata di buon grado con Armelle e i bambini a Grainthorpe, come
sempre nella bella stagione, anche se questa non era ancora giunta. Il
modo in cui Conn si muoveva disinvolto tra le mura di Lincoln in
compagnia del suo nuovo amico
la metteva a disagio: aveva preferito di
gran lunga il ragazzo che la corteggiava timidamente. Eppure aveva
respinto quel ragazzo, ed ora si ritrovava sposata ad un uomo che dalla
semplice rassegnazione era passato ad amare qualcun altro.
A
Conn era sembrato per un istante di scorgere un'ombra di dispiacere
sul suo volto, quando quella famosa sera li aveva trovati in un
atteggiamento un poco fraintendibile;
ma già troppe volte si era illuso di aver fatto breccia nel
suo cuore e troppe volte aveva dovuto inghiottire quell'illusione. Ora
non poteva occuparsi dell'occasionale gelosia di sua moglie: tra le
mura del castello v'era adesso una creatura che desiderava con tutte le
forze conoscere e capire fino in fondo, senza timore di distruggere un
animo fragile.
Perché Garanwyn era la squisita fusione di tutto ciò che ammirava in un
uomo e bramava in una donna.
L'odore pungente degli arazzi alle pareti, un miscuglio di spezie e
polvere, aveva vanificato i tentativi di Garanwyn di prendere sonno,
almeno quasi quanto le impressioni della serata appena trascorsa. Si
era lasciato andare. Non sarebbe più dovuto succedere, se voleva
portare a termine la missione per conto del re aveva bisogno di tutta
la lucidità possibile. Si trattava di strappare ragazzini e vecchi alle
loro case e addestrarli per una guerra già persa in partenza - perché
no, non si faceva illusioni. O forse gli piaceva pensare così, si
crogiolava bene in quell'idea: combattere senza una vera speranza.
Fingere di voler proteggere la patria quando sai che è solo un luogo,
perché le uniche persone che ami e ti hanno amato sono morte o lontane
quanto le stelle.
Conn ap Griflet, però, era più che mai vivo. Aveva sentito il suo cuore
pulsare, le sue guance arrossire.
Ed era vicino. La sua voce gli era divenuta familiare, la sua natura
sincera si era svelata sotto l'occhio dell'intuito. Non avrebbe dovuto
permettere a se stesso di instaurare tanta confidenza, ma era stato
inevitabile.
La Britannia era solo un luogo, ripetè a se stesso, sbirciando nel
corridoio a destra e a sinistra. L'odore speziato rimase ancora un poco
nelle sue narici, poi fu sostituito da quello della resina delle torce.
Quando non hai più nulla da perdere, è ovvio che combatti lo stesso, ma
le ragioni sono diverse da prima: c'è la vendetta, l'orgoglio, la
rabbia. Ma non stai proteggendo nessuno, tantomeno te stesso. Anzi,
vorresti gettarti contro il nemico così come ci si lascia cadere da una
scogliera... per annientarti.
Contò le porte, si chiese quale tra tutte conducesse a quella
stanza, quante volte Amren avesse camminato su quelle pietre e quante
delle sue parole, delle sue risa, avessero echeggiato tra quelle mura.
Lo immaginò bambino, che balbettava le prime parole in braccio ad una
balia, e poi ragazzetto, immerso nella lettura di testi antichi, forse
storie di battaglie che accompagnava inconsapevolmente con il
tamburellare le dita sul tavolo, o amicizie tra gli eroi di un tempo
che suggerivano un legame ancor più esclusivo e profondo, che lo
facevano arrossire e guardarsi intorno come se ci fosse qualcosa di
segreto nascosto in quei versi, qualcosa che solo lui potesse
interpretare e desiderare per sé. E ancora, lo immaginò in procinto di
lasciare quel castello per trasferirsi a Camelot, dove si sarebbero
incontrati...
Abbassò lo sguardo, percependo quell'ondata di dolore come una reazione
inevitabile ma troppo familiare per farlo sentire totalmente devastato.
Un'ombra sul pavimento attirò la sua attenzione, ma il suo istinto
allenato da anni di battaglie (e, prima ancora, di agguati da parte di
Melehan e compagnia) non l'associò ad una presenza ostile.
- Signor duca, non vorrete presentarvi alle reclute con le occhiaie,
domattina?
Era
incredibile come si sentisse a proprio agio in sua presenza. Gli
sembrava di conoscerlo da molto tempo, di aver condiviso con lui
qualcosa che non era rimasto nella memoria, ma sulla pelle. Qualche ora
prima, l'atmosfera del salone l'aveva soggiogato, facendolo
quasi cedere... alla luce di quelle torce poteva accadere qualcosa di
peggio, perché Lady Aline non li avrebbe interrotti questa volta.
Ma lui non desiderava... Non doveva
desiderarlo.
Era un guizzo di sensualità, come un pulsare color arancio di
braci credute spente. Un sapore quasi dimenticato che torna a farsi
sentire in bocca. Una musica che risuona tra i pensieri così forte da-
- Temo di aver bevuto troppo. Sono un pessimo padrone di casa, temo.
- Re Constantine mi aveva avvisato - sospirò Garanwyn. - Siete un
sentimentale e lo disprezzate. Ma non siete un traditore, ed egli ha
fiducia in voi quanta ne ha in me. - Gli dispiacque non poter vedere
per intero la reazione del suo interlocutore, ancora nascosto nella
penombra.
- Non disprezzo il nostro sovrano - precisò Conn, lo stomaco sottosopra
e la dignità in stato di allerta.
- Vi ha deluso, e sa di non poter pretendere da voi più di quanto non
vorrete concedergli spontaneamente. Questo
mi ha confessato, ed è tutto ciò che sono riuscito a sapere, ma...
vorrei conoscere la vostra versione.
Conn gli si mostrò alla luce di una torcia, rassegnato ad occupare
anche con lui il ruolo che il destino gli aveva assegnato. Perché era
questo che gli altri volevano da lui: una versione
più giovane di mariti e amanti perduti, a beneficio dei cuori infranti
di Britannia. Ma Sir Garanwyn sembrava apprezzarla davvero, questa
versione, a differenza di Aline.
- Ve lo racconterei volentieri, ma è una storia che già conoscete. Ciò
che accadde tra voi e Sir Melehan nel castello di re Brandegoris... ha
involontariamente reso nulla la promessa che mi fece a Camlann.
- Temevo si trattasse di qualcosa del genere. Così, ho qualcosa da
farmi perdonare. - Garanwyn aveva
abbassato un poco la testa senza però distogliere lo sguardo, assumendo
involontariamente quell'espressione di cagnolino sgridato dal padrone:
un miscuglio di sottomissione e timida sfida a cui Conn non poteva
restare indifferente. Ciò che non si aspettava, però, era una reazione
violenta:
- Guardatemi bene. Trovate qualche differenza, per l'amor di Dio...
trovate qualcosa per cui prendere me e non un fantasma...
L'espressione di Garanwyn cambiò, si fece seria e disperata. Aprì la
bocca in cerca di parole adatte a rassicurarlo, ma non ne ebbe il
tempo. Conn gli prese la testa tra le mani e lo baciò. - Non c'è nulla
da perdonare. Solo voi avevate il diritto di vendicarlo, l'ho sempre
saputo. Solo... non...
Garanwyn ricambiò il bacio, e capì che le paure di Conn non avevano
fondamento. Era una sensazione del tutto nuova. - No. Lo so. Siete voi,
Conn ap Griflet. - L'altro sorrise, e lo spinse con gentilezza verso
una porta che aprì e varcò senza mollare la presa. Questa volta fu
Garanwyn a tentare di divincolarsi. - Non... questa stanza non è...
- Mi credete così insensibile, davvero? - protestò Conn, ma presto le
sue labbra si piegarono in un ghigno infantile e beffardo. - Qui il
vostro amico Elyan trascorse la prima notte di nozze con mia cugina. Vi
offro nientemeno che il letto della nostra amata coppia imperiale.
Garanwyn rise nel buio; nemmeno le sue
paure avevano fondamento.
Sentirono che l'emozione presente era sincera e desiderata da entrambi,
e vi si abbandonarono come alla corrente di un fiume ormai arrivato
alla foce.
- Tu non ti muovi di qui. Finisco di tirar dentro i panni e poi vieni
giù con me.
Haliesin, con tutta l'indignazione dei suoi quattro anni, guardò sua
madre di storto e si prese un mezzo scappellotto. Seduto in cima alle
ripide scale della torre di legno, architettava piani di fuga che
metteva ogni volta da parte e rielaborava con maggiore fantasia. Voleva
uscire di lì, andare a vedere i soldati che si esercitavano, ma
soprattutto girare intorno a Conn, ascoltare cosa si dicevano lui e
l'alto ufficiale di Camelot, che poi tanto alto non era e zoppicava
pure. Era impensabile restare chiuso lì a far nulla quando c'era tutto
un mondo fuori da quella torre marcia e puzzolente, quando l'aria era
fresca e il sole filtrava dalle assi del tetto come a sfidarlo.
Armelle, le braccia cariche di lenzuola, intuì la rabbia che provava e,
invece di distrarlo, puntualizzò la sua posizione:
- Cerca di capire bene questo: lui non è tuo padre... non
metterti in testa di essere importante solo perché ti fa due moine!
Haliesin sentì il volto e le mani bruciare. Gridò: - Vi odio! - e
scattò giù per i gradini pericolanti.
Fu una decisione che avrebbe rimpianto per tutta la vita; quegli
istanti tremendi sarebbero rimasti come un marchio d'infamia nella sua
mente sconvolta.
Voleva solo correre da Conn, farsi rassicurare che quelle di sua madre
erano bugie, che gli voleva bene davvero, che non era solo il figlio di
una serva per lui, che...
- Torna qui subito, Hal, te ne farò pentire!
Armelle si sporse per afferrarlo e inciampò, ruzzolando pesantemente
fino in fondo alla scala con un grido spezzato. Haliesin venne travolto
e finì in un groviglio di lenzuola che attutirono la sua caduta.
Nulla trattenne lui dal
continuare a urlare, fissando il corpo immobile della madre con occhi
che non erano già più quelli di un bambino.
Nulla poté far cessare quell'assordante pianto senza lacrime. Non vi
riuscirono né Maryel, né Aline - tantomeno le sorelle di Conn, distolte
dal telaio e dalla loro eterna apatia; per le due donnette non si
trattava di una tragedia, solo di un fastidioso contrattempo.
- Voi... siete sposato? - Le sopracciglia di Conn erano così sollevate
da rendere i suoi occhi ancora più tondi.
- Ma naturalmente, - rispose tranquillo Garanwyn, ordinando con un
gesto secco alle reclute di rompere le righe - vi pare che la mia
stirpe dovesse restare senza eredi? Sono il signore di Anjou, ho
riconquistato le terre sul continente in nome di mio padre - continuò,
soffocando la commozione - e intendo lasciarle ai miei figli.
Conn ricordava la guerra contro Sir Dinas, ma non si era mai curato del
ducato di Neustria se non quando gli arrivava il vino novello dal
continente.
- Anche voi... - continuò il luogotenente, cercando di apparire sereno.
- Non ho rapporti con mia moglie, come vi ho già spiegato, - replicò
seccamente Conn. - perciò non credo di averla tradita in alcun modo.
Lei ama il ricordo di qualcuno che non potrà tornare. - Si morse le
labbra, improvvisamente consapevole che le parole appena pronunciate
potevano sembrare rivolte a lui. - Perdonatemi.
Garanwyn scosse la testa, rassicurandolo in silenzio. Si erano
allontanati dal campo abbastanza da poter conversare senza noie, ma non
tanto da potersi concedere atteggiamenti troppo amichevoli.
- Non avete lottato abbastanza - dichiarò, scandendo le sillabe in modo
che Conn non potesse fraintendere. La reazione dell'altro fu immediata:
sul suo volto comparse un'espressione indispettita ed era palese che
avesse bisogno di un chiarimento.
"Non ho lottato? Per Aline? Cosa ne può mai sapere, lui, di come ho
affrontato il suo rifiuto? E in definitiva, che cosa gli importa?
Perché dovrebbe desiderare un avvicinamento tra me e mia moglie quando
io e lui..."
Ma quella schermaglia d'amore avrebbe dovuto aspettare. Giunse
loro la notizia di quanto era accaduto al castello; Conn era
visibilmente fuori di sé dallo sgomento. Non rallentò il passo finché
non ebbe tra le braccia il corpicino tremante di Haliesin, coperto di
lividi ma disperatamente vivo.
- Hai soltanto me, adesso - mormorò con le lacrime agli occhi, mentre
una calda sensazione si faceva avanti nel suo animo. Sir Bedivere
avrebbe potuto spiegargli di che cosa si trattava. - Sei... mio.
Quando si dice l'ironia della sorte. Armelle aveva dato la vita per il
suo obiettivo: tenere Hal lontano dal duca... eppure morendo aveva
apposto il sigillo che li consacrava, indissolubilmente, padre e figlio.
Le navi da guerra dei Sassoni, nel frattempo, erano già salpate.
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