ATTO IV e Conclusione.
Tutto è accaduto decisamente troppo in fretta per essere
descritto. È accaduto di nuovo. Lei è stata di nuovo male, insomma. È stata
male sul serio, e Jack né Boone né nessun altro ha saputo più che cosa fare.
Sayid ha avuto di nuovo la sensazione di essere imprigionato nel plexiglas,
mentre lei respirava così male da non riuscire a chiamare nemmeno il nome di
Boone. E allora è successo. Molto peggio di perdere le staffe, mettersi a
gridare, a imprecare, o qualsiasi altra reazione follemente normale che un uomo
qualsiasi avrebbe potuto avere. Sayid ha iniziato a non pensare più. Per questo
avvicinato Jack, per questo gli ha esposto il suo piano. A Jack è sembrato un
piano ragionevole. D’altra parte non aveva nessuna idea migliore. In realtà era
rimasto a corto di idee.
Sayid non pensa più alla donna coreana che ha qualcosa da
dire. Non pensa più a Boone,c he è sempre d’intralcio. Pensa solo a Sawyer, che è un uomo
irragionevole e lo detesta.
Così lo ha fatto di nuovo. Ci sono voluti molto più di sette
anni per assorbirlo e dimenticarlo, per andare avanti, ma Sayid l’ha fatto di
nuovo.
E Adesso, due, tre, sei, dieci ore dopo, non riesce a
smettere di pensarci. Non ha importanza il contorno. Non ha nessuna importanza
che Sawyer l’ha fatto per niente, tranne le attenzioni della bella Kate, non ha nessuna importanza che la donna
coreana abbia trovato una soluzione. Nessuna. Sayid si rende conto d’essere
l’unico colpevole dell’intera vicenda. Ha sollevato il coperchio. Si sente
stupido, solo e bugiardo. Non si fida più nemmeno di sé stesso. In particolare
non si fida di sé stesso.
Cosa fai, cosa accade, non è importante sull’isola. Loro
possono dimenticare. Ma Sayid no.
Sayid non può di certo dimenticare sé stesso. È uno strano
senso di vergogna che s’impossessa di lui. Ma è molto più della semplice
vergogna.
Che cosa farò adesso? Che cosa accadrà adesso?
Tiene una mano nella sabbia e con l’altra le foto di Nadia.
Ci incontreremo nella prossima vita, se non in questa-
Dimenticala. È l’unica cosa da fare. Dimentica quello che
eri prima di essere qui.
Sayid non è un uomo forte a sufficienza. Sayid è un uomo
saldo, un uomo saggio, ma perdio non è forte. Non lo è abbastanza.
Però Sayid deve ammettere che vederla respirare
decentemente, dopotutto, non è stato male. L’ha fatto strare meglio per quei
trenta secondi.
Basta.
Perché lo senti perfettamente. Che se resterai fermo ancora
per un po’. Continuerai a pensare finchè. Finchè non impazzirai. E la tua
presenza sarà del tutto. Inutile.
Per cui questo devi fare. Devi trascorrere del tempo da solo
e riflettere, sulla bionda, su Nadia, sul bamboo tra il polpastrello e
l’unghia, sul coltello. C’è una cosa che non capisce. S’è fermato soltanto
quando lo ha ferito. Dio, quanto sangue.
Questo lo ha fermato, il sangue?
Guardati. Sei un uomo pieno di risposte, e non ne hai
nemmeno mezza per te.
Sayid si alza dalla sabbia e mette le foto nella busta, tra
la cinta e la pancia nuda.
Raduna qualche bottiglia, che poi andrà alla sorgente a
riempire, in silenzio, senza farsi vedere da nessuno. È pomeriggio, ma alle
grotte sembra sempre notte. Prendo la maglietta che ha salvato dal disastro, un
coltello, carta e penna e altre cose più o meno utili. Forse le sta radunando
solo per occupare il suo tempo, prima di andarsene. Quando gli sembra d’aver
preso tutto, allora si siede, guarda per un po’ il suo vecchio fuoco e il sole
negli occhi. Chi penserà al suo fuoco? Deve dire due parole a Kate, a
proposito. Si giustificherà in qualche modo. Non vuole parlare con Jack, né
tantomeno con Sawyer. Chissà cosa sanno gli altri.
“Ciao” lei è arrivata senza che Sayid la sentisse. Il suo
scialle è ricomparso. È di nuovo pulito come il primo giorno, probabilmente
Boone ha pensato di lavarlo per bene.
Sayid è scosso dal suono della sua voce. Ormai, non era
abituato a nessun’altra voce che quella dei suoi pensieri. Un suono monocorde
ormai da un sacco di tempo.
Sayid è un uomo severo, ma è così poco fiero di sé stesso da
non riuscire a guardarla negli occhi. Cosa penserà? Sicuramente lei sa tutto.
‘Ti ho giudicato male’ dirà ‘Tu sei uno… uno che fa male
alla gente’ adesso come adesso, Sayid sente che non può sopportarlo un rifiuto,
da parte di nessuno, e in special modo da parte della principessa.
Certo. Lei è molto americana. Non capirà. D’altra parte non
c’è niente da capire, sei colpevole, e in quanto colpevole, sei solo.
Silenzio.
“Io volevo chiederti scusa” dice lei. Non lo dice con la
solita semplicità. Pare che sia una persona difficile alle scuse. Che dolce.
Lo scialle è così rosa che risalta sul pallore del suo
corpicino magro. È bellissima.
Sayid non sa spiegarsi delle parole simili.
“Hai fatto tutto questo perché… e io… non potrò mai…sono una
frana. Jack ha detto che tu eri…”
Sayid sorrise. Una frase composta da scomposte frasi senza una
coda.
Ad ogni modo è sempre più incerto, e questa sensazione
lievita, quando lei si avvicina.
“Hai pianto?” gli chiede
davvero? Si dice lui, ho pianto?
Annuisce.
Lei sorride e gli toglie quel che resta di una lacrima dal
viso.
È un nuovo lunghissimo, perfetto istante. Sayid si sente un
po’ meno colpevole, e anche Shannon.
Gli espressivi occhi di lui riprendono il tono usuale,
perdendo quell’idea di disperazione.
Restano per un po’ in silenzio. Nessuno dei due sa quanto.
Sull’isola il tempo non conta niente.
“Cosa ci fai con quella roba?” dice lei. Parla dello zaino.
“Credo che starò via per qualche giorno” lei è delusa.
Proprio adesso?
“Io devo andarmene.” Pausa “Ho fatto una cosa che mi ero
promesso di non fare più.” Le loro mani si toccano. Sono dolci e stupidi come
due adolescenti, adesso, perché anche lui è estremamente vulnerabile. “Se non
posso fidarmi di me io…”
Lei annuisce. Capisce perfettamente. Certo, la cosa le
secca.
Si avvicinano. Lei, la principessa, emana l’odore profondo
dell’eucalipto, che la donna coreana ha usato come medicinale. È un odore che
le si addice, dolce e acre allo stesso tempo, ed estremamente fresco.
Si fissano. Non c’è nient’altro che possano fare, se non
guardare l’uno negli occhi dell’altro. Hanno entrambi bellissimi occhi,
sinceri.
“Lo fai anche per quella donna, vero?”
lui risponde con un silenzio di assenso.
Sayid le sfiora le dita. Senza staccare un attimo gli occhi
da lei, non ci riesce, si alza e prende lo zaino. Come in quella canzone di
Damien Rice, non riesce a staccarle gli occhi di dosso. Sempre guardando
nella sua direzione, si allontana. Anche lei lo segue con lo sguardo.
La Principessa aveva seguito il Soldato, aveva sentito
dalle sue labbra i suoi racconti, e adesso non voleva perderlo. Ma la Principessa
lo lasciò andare, perché sapeva che sarebbe tornato diverso.
THE END-