Bianco
II.
- Panda bagnato, panda
fortunato? –
***
Era una giornata bellissima: il sole brillava alto nel cielo azzurro e
gli uccellini cantavano.
L’intera capitale francese pareva brillare di luce propria in
quella giornata solare d’inizio giugno; i raggi accarezzavano
le chiome degli alberi, gli stand dei vari negozi e le auto lungo le
strade facendole luccicare.
Una visione idilliaca di
Parigi, vero?
Nulla può
infrangere quest’incanto, dite?
Ahimè
sì, qualcosa c’è. Anzi qualcuno.
E quel qualcosa si
chiama Sonja Lançomes.
La nostra giovane, e alquanto pigra, ragazza si era alzata di
buon’ora quella mattina con il chiaro intento di recarsi in
biblioteca per scovare un libro sulla storia della musica classica che
ancora non aveva letto.
Aveva fatto colazione, aveva indossato vestiti leggeri e colorati
– quella bella giornata era un toccasana per il suo umore da
studentessa depressa – e, una volta montata in
bicicletta, partì, decisa a godersi tutto quel bel calore
quasi-estivo.
Pedalando lungo le vie pittoresche e ombreggiate, costellate da casette
a schiera con i balconi fioriti, le sembrava quasi di essere
in un film hollywoodiano.
Mancava solo la minigonna che, al minimo accenno di vento, si alzasse.
Ma è
risaputo; non si può volere tutto dalla vita,
pensò non turbandosi più di tanto.
Era ferma all’incrocio, in attesa che scattasse il verde e
che il traffico parigino le permettesse di attraversare la strada,
quando la sentì. Una piccola, minuscola, microscopica
goccia. Sul braccio.
In un primo momento di puro orrore Sonja alzò lo sguardo
verso il cielo: altro che film hollywoodiano. Era come in The day after tomorrow:
nuvoloni scuri iniziarono ad aggrumarsi sopra la cittadina poco prima
ridente, un vento freddo – non quello della gonna di Marylin,
per intenderci – iniziò ad intrufolarsi tra i
vestiti leggeri e a far increspare la pelle.
La signora anziana in attesa di fianco a lei si fece il segno della
croce borbottando: “Oh mon Dieu! La fin du mond!”
Sonja era ancora intenta ad osservare il cielo parigino quando decine
di clacson la riportarono alla realtà. Il semaforo era
verde. Doveva attraversare. E lo fece. Più o meno.
Attraversando l’incrocio il piede le scivolò dal
pedale ben due volte e per due volte apparve agli automobilisti irati e
frettolosi come una povera ubriaca incapace di andare in bicicletta.
“Questa gioventù dedita ai vizi!”
aggiunse la vecchia con voce stridula.
Sonja, nonostante i molti slalom e nonostante fu costretta ad
inchiodare una dozzina di volte per non venire investita,
arrivò sana e salva in biblioteca.
Legò la bicicletta con cura e un tuono squarciò
il cielo.
E iniziò a piovere sulla ex-ridente città
parigina.
E Sonja corse – per la prima volta nella sua vita
– all’ingresso del grande edificio.
E Sonja Lançomes entrò in biblioteca fradicia.
E quell’arpia mummificata della bibliotecaria la
fulminò con lo sguardo.
“Signorina, guardi dove mette i piedi. E, soprattutto, si
asciughi le suole delle scarpe” la rimbeccò.
Cosa? Io sono sempre
attenta e- Oh!
La ragazza si accorse di aver lasciato una scia di orme fangose e
bagnate sul lucidissimo e pulitissimo pavimento risalente al *inserire
un numero* secolo.
Cavolo!
Si maledì mentalmente e si scusò con
l’arpia. Poi tornò sui suoi passi, si
pulì per bene le suole delle scarpe sul tappetino
all’entrata e avanzò nuovamente, lanciando un
sorrisino timido e umilmente dispiaciuto alla bibliotecaria che si
limitò ad alzare gli occhi al soffitto e a chiamare
l’addetto alla pulizia. Addetto che, tra le molte cose, era
un colosso palestrato con una cicca rosa in bocca e un fazzoletto rosso
attorno al collo. Un
camionista violento in incognito?
Sonja non voleva indagare e si accontentò di evitare lo
sguardo dell’energumeno e di dirigersi tranquillamente verso
la sua sezione preferita: musica.
Naturalmente era dell’idea di non essere esattamente
presentabile. No, decisamente.
La maglietta leggera e i jeans erano fradici, le converse zuppe e
infangate – così come i calzini – aveva
le guance rosse per la pedalata al limite del guinness world record e,
diciamocelo pure, i capelli erano in uno stato di puro degrado
ambientale. La steppa mongola più arida e intricata versava
sicuramente in condizioni migliori.
Insomma era già tanto che fosse entrata in un luogo
pubblico, dove giovani e labili menti avrebbero potuto subire un
trauma, giusto?
Non è
possibile fare incontri importanti in condizioni pietose, giusto?
Non per Sonja
Lançomes.
Non per la sua perenne
sfortuna.
La ragazza sbattè un paio di volte le palpebre, incredula.
Davanti a lei, intento a cercare un libro, c’era un gran bel
giovane: biondo, alto, magro ma in forma, occhi azzurri, sorriso
stupendo, naso drittissimo.
Questa personificazione della perfezione ha un nome?
Certo, Claude Plombiers.
Compagno di corso di Sonja Lançomes .
Sogno proibito di Sonja Lançomes.
Il ragazzo più bello della facoltà.
L’essere umano di sesso maschile più affascinante
del sistema solare.
Claude Plombiers, un dio sceso in terra, era davanti a lei, pigro panda
geneticamente modificato in giovane ragazza sfigata e fradicia.
Ecco.
La giovane boccheggiò, annaspando, in cerca di aria, si
guardò in torno e si tuffò verso le scaffalature
di fianco. O per lo meno questa era la sua idea. Sì,
perché inciampò nei suoi stessi piedi –
colpa delle suole bagnate – e finì lunga distesa a
terra picchiando il naso contro il pavimento lucidissimo.
Sigh.
Senza speranza. Fa che
non mi abbia notato.
Perchè, certo, una persona normale non si accorge di avere
un'allegra ed aggraziata balenottera spiaggiata di fianco. Normale.
"Lançomes, sei tu?” le chiese con voce melodiosa
–anche se avrebbe preferito non sentirla in quel frangente -
il dio in terra.
Ehm.
Sonja si alzò con agilità e biascicò
qualche parola. Sillaba. Verso.
“Stai bene?” le chiese il ragazzo con un
sorrisetto, “Oh, hai del sang-" non finì nemmeno
la frase che Sonja era già corsa via urlando un
“Ci si vede a lezione!”
Claude Plombiers la guardò inclinando un sopracciglio. Poi
tornò ai suoi libri.
La ragazza si fermò cinque o sei corridoi lontano.
E si accorse di avere la maglietta rossa. Sangue.
Le usciva sangue dal naso.
Sangue.
Tanto.
Tanto sangue.
Sonja si tenne ad uno scaffale per non svenire. Aveva le gambe molli e
le girava la testa. E preferiva non pensare all pessima figura appena
fatta.
“Ancora tu, ragazza? E questa volta stai imbrattando i libri
con del sangue?” una voce grezza e seccata.
Sonja guardò il proprietario di quella voce così
diversa da quella del suo amato Claude: l’energumeno
palestrato, il camionista killer.
"Oh… ehm… Io…"
farfugliò.
“Le scuse le racconti alla principale, ribelle”
Piano A:
fallito.
Piano B: svenire.
Sonja Lançomes, insanguinata e fradicia, si
lasciò cadere a terra con pathos e occhi chiusi.
Giornata peggiore non
poteva esserci.
Oh, mio Claude
Plombiers, prima o poi riuscirò a confessarti il mio amore
senza combinare danni.
Te lo prometto.
“Ehi, vandalo girl, gli svenuti non parlano” le
fece notare l’addetto alle pulizie, prendendola per le
braccia e, senza tanti complimenti, rimettendola in piedi.
Oh, ho parlato a voce
alta?
***
Questo capitolo è altamente demenziale, lo so
ç.ç
Ma avete mai avuto la sensazione che una nuvoletta scura vi seguisse
ovunque? *silenzio imbarazzante*
Come sempre spero vi abbia strappato un sorrisino, dai :'3 Non so il
francese - eccetto qualche parola - perciò non so se
è corretto quello che scrivo ^^''
Grazie a chi legge/recensisce/segue ecc *^*
Alla prossima,
hiccup
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