*MALEFICA*
*Epilogo*
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"Perchè indossi
quello stupido costume da coniglio?"
"Perchè indossi quello stupido costume da uomo?"
Donnie Darko.
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“I fiori! I fiori non vanno bene! E quella lampada
è storta!”
Quella mattina mio zio aveva chiamato da Tokyo per congratularsi con
me. Alla fine del discorso, con tono solenne, aveva aggiunto una frase
molto semplice: L’ ultimo anno di liceo viene solo una volta
nella vita.
E meno male! Pensai di sfuggita, mentre osservavo mia madre, immersa
nei preparativi per la festa con i parenti, dare di matto per dettagli
completamente impossibili da notare. Non dissi nulla, non sarebbe
servito a smuoverla dalle sue convinzioni.
“E qualcuno si decida a spolverare quei soprammobili, che si
fa se qualcuno è allergico alla polvere?!”
Ecco, alcune di quelle convinzioni forse potevano risultare lievemente
malate a volte. Forse però avrei potuto fare un’
eccezione
per quel giorno, per la tanto attesa festa del diploma; la svolta della
mia vita, insomma, un’ occasione che valeva la fatica di
trasportare dalla cantina gli scatoloni con le decorazioni
più
belle. L’ intera mia famiglia, quel giorno, sembrava percorsa
da
una scarica di eccitazione inestinguibile: correvano a destra, a
sinistra, spostavano vasi e foto, appendevano lanterne, le toglievano,
le sostituivano con altre. Sembravamo una famiglia di americani nel
Columbus Day. E in tutto quello…
In tutto quello c’ ero io. Io, sul divano, che tracciavo con
lo
sguardo i percorsi dei miei parenti tra un punto e l’altro
del
salotto, senza dire una parola. Avrei dato non so che cosa per alzarmi
e unirmi all’ isteria generale, ma dentro di me avevo una
strana
sensazione, come una voce che ripeteva costantemente quanto tutto
quello fosse… sbagliato. Qualcosa non andava in quella
situazione, qualcosa era fuori posto e io non riuscivo a capire che
cosa fosse. Un oggetto in una posizione errata? No, non avrebbe potuto
fregarmene di meno. Avevo dimenticato ricorrenze importanti? Ma non
c’ erano compleanni in quei giorni, l’ anniversario
di
Ayame e Nobuo era stato a febbraio e l’ appuntamento con
Chiyo
per fare shopping era tra due giorni. Il mio calendario era a
posto. Non c’ era un solo dettaglio della mia vita, in quel
momento, che fosse fuori dagli schemi. E allora perché mi
sentivo così male? A cosa si riferiva quella voce distante?
“Mitsuki? Ci aiuti di tua spontanea volontà o devo
venire
io a prenderti?” mia madre fece una pausa momentanea dalle
sue
faccende per squadrarmi corrucciata.
“Lascia perdere, ma’!” esclamò
Haruko districando un filo di lucine “Tanto non
viene!”
Tanto non viene…
Lascia perdere…
Lascia…
“Lascia
perdere” la sua voce giunse nuovamente alle mie spalle
“Te
lo dico per l’ ultima volta: non verranno.”
La luna nel cielo
continuava a
brillare, come se non fosse passato un solo minuto da quando
l’
avevo contemplata la prima volta. Io stessa non avrei saputo dire
quanto tempo fosse trascorso, i minuti e le ore sembravano avere un
modo tutto loro di esistere. Il vento soffiava dolcemente, le onde del
mare si infrangevano timide sulla spiaggia, bagnandomi i
piedi
nudi, ma era come essere tornati nel Mondo che Non Esiste: una notte
buia e continua, ma con le sole nude rocce come contorno.
“Non ho
chiesto un parere” dissi semplicemente, continuando a tenere
lo sguardo fisso sul mare.
“Non verranno
a prenderti e lo sai anche tu. E’ tardi ormai.”
“Zitto.”
“Sono morti
tutti.”
“HO DETTO
ZITTO!”
“Vedi, che ti dicevo? Nemmeno ascolta. Scema!”
“Ho avuto un flashback, credo.” mormorai,
corrugando la
fronte, accorgendomi a mala pena del fatto che mia sorella mi aveva
appena insultata senza troppi giri di parole.
“Tipo Willy Wonka?”
“Tipo…”
Dovevo sembrare decisamente messa male, perché mia madre
interruppe il suo lavoro e mi squadrò con un’ aria
molto
più preoccupata di prima:
“Tesoro” si sedette accanto a me “Va
tutto
bene?” mi posò una mano sulla spalla e quel gesto
riuscì a riscuotermi quel che bastava per riuscire a
guardarla.
Cosa avrei dovuto rispondere?
“Si” annuii con decisione “Credo di
essere solo
stanca, non ho dormito praticamente per niente durante gli
esami”. Reggeva, come scusa; mia madre alzò un
sopracciglio, probabilmente intuendo che c’ era
qualcos’
altro sotto, ma non disse nulla e si limitò a sorridermi.
“Vado a riposarmi un po’” affermai,
alzandomi dal
divano e dirigendomi al piano di sopra. In realtà non avevo
mentito sul fatto che negli ultimi tempi il mio sonno era diventato
irregolare, ma non perché non dormissi. Certo, la sessione
degli
esami finali aveva dato il suo degno contributo alla
quantità di
stress accumulata, ma la ragione vera era un’ altra: erano i
sogni, sogni ricorrenti e confusi, immagini e suoni che sembravano
avere un significato profondissimo per una parte di me, ma che per
l’ altra erano soltanto ammassi di roba completamente priva
di
senso logico. Mi svegliavo la mattina con quell’ orribile
sensazione di dimenticanza, e per l’ intera giornata rimanevo
preda di un’ incredibile nostalgia. Era quello a farmi
impazzire:
rimpiangevo qualcosa e non sapevo cosa.
Avrei venduto mia sorella su ebay per capirlo.
“Che cosa fai quando non hai la minima idea di cosa tu abbia
fatto negli ultimi tre mesi della tua vita?” La mia
espressione
vuota non era cambiata di molto; era cambiato soltanto l’
ambiente, che da casa mia si era trasformato nella gelateria preferita
da me e Ayame, ed era cambiata la compagnia che ora consisteva nella
mia amica, intenta ad impedire al proprio gelato di finirle sui
pantaloncini bianchi nuovi di zecca. Mescolai distrattamente il mio
milkshake, mentre Ayame passava a fissarmi con uno sguardo simile a
quello di mia madre.
“Cosa?” chiese con una punta di
perplessità nella voce.
“Quello che ho detto. Insomma, cioè, non
è che non
mi ricordo, direi piuttosto… mi sembra di avere vissuto un
sogno. E’ successo qualcosa di importante?”
“Ultimamente? Proprio no. Abbiamo studiato, siamo andate al
mare,
abbiamo studiato, fatto shopping e… ah si: abbiamo studiato.
Una
noia mortale con un’ ansia terribile alla fine. Basta, se
è successo qualcosa di bello oltre al mio compleanno me lo
sono
persa”.
“Credo ci sia anche il tuo compleanno in mezzo a tutta la
lista
di eventi che mi confondono.” La rossa inarcò un
sopracciglio “Io… sento che mi manca qualcosa. Ti
è
mai capitato di sentirti vuota, come se all’ improvviso non
ci
fosse più niente di interessante nella tua vita?”
Ayame annuì: “Si, dopo il concerto dei Nightmare
dell’ anno scorso, quello in cui ho quasi cavato un occhio a
quella tipa per farmi notare da Sakito, ti ricordi? In quel momento mi
sono sentita talmente eccitata, che quando siamo tornate a casa niente
aveva più senso. Oddio, Sakito, cosa non era con quei
pantaloni
bianchi!” il suo tono di voce passò
dall’ incerto al
sognante con la rapidità di un fulmine e, seppur
involontariamente, riuscì a farmi sorridere.
“Ho come l’ impressione di aver fatto qualcosa di
terribilmente figo e importante” continuai poco dopo
“Ma
non so cosa”
La mia amica mi guardò, poi semplicemente si strinse nelle
spalle:
“Se lo hai fatto non me lo hai detto” disse
sorridendomi un po’ tristemente.
“Doveva essere decisamente personale,
suppongo…”
Respirai a fondo,
perché arrabbiarmi non mi sarebbe servito, in quella
situazione.
“Quindi non mi
dirai niente?”
“Cosa dovrei
dirti?” si
rivolgeva di nuovo a me con quel tono saccente e distaccato che mi
faceva impazzire. Eppure sapevo che, in quella desolazione nera, tutto
era meglio dell’ essere soli. Perfino la compagnia di Diz, se
era
quello il suo nome.
“Capito”
comunicai
alzando le braccia al cielo, in posizione di resa “Non mi
dici
chi sei, non mi mostri il tuo volto, ma sai tutto di me e io devo
pensare che sia la cosa più naturale del mondo. Voglio solo
fare
conversazione, da dove vieni tu non si usa? Non puoi permetterti di
sparare qualche frase a caso per spaventarmi e poi non
spiegarti.”
“Non
c’è nulla di ciò che ho detto che
necessiti di una spiegazione.”
“Balle. Come
sai che sono morti, li hai visti? Sono stati qui? CHI li ha
uccisi?”
Diz rimase in silenzio e
per un attimo pensai che non mi avrebbe degnato di una risposta, come
al solito.
“La loro
pazzia gli si è rivoltata contro, potremmo dire.”
“Sibillino,
tanto valeva stessi
zitto.” Raccolsi una pietra e la lanciai sulla superficie del
mare, increspando per qualche secondo quello specchio perfetto. Ne
lancia un’ altra e un altra ancora.
“Sora.”
La mia mano, che stava
per lanciare un altro sasso, si fermò di colpo.
“Cosa?”
“Ha fatto
ciò che doveva. Ora tutto è più in
ordine, ora loro non sono più un pericolo.”
“Mi sento… sdoppiata.”
Il mio milkshake era diventato caldo. Rigirai il bicchiere tra le mani,
prima di gettarlo nel bidone vicino con un lancio perfetto.
“Suppongo che verrà fuori tutto quanto da
sé”
ipotizzai poco convinta “Non che sia poi così
importante,
alla fine”.
Un’ altra balla.
L’ intero mio corpo fu
scosso da un brivido. O era un singhiozzo?
“Non lo sono
mai stati”
affermai, cercando di mantenere la mia voce il più naturale
possibile, un’ impresa non da poco.
“La tua mente
piegata dagli
eventi ti impedisce di capire le cose nel modo giusto. Non te ne faccio
una colpa, se avessi potuto agire liberamente-”
“Sarei rimasta
lì. Non
me ne frega niente di ciò che pensi tu, per il resto la mia
mente piegata dagli eventi si è stancata di questo posto,
perciò fammi uscire”.
“Uscire
è impossibile”.
Fu solo nel tardo pomeriggio che tutto quanto ebbe fine. Fu quando i
miei piedi, mossi da una forza sconosciuta mi condussero in quel posto.
Quel luogo che sembrava avere un significato importantissimo,per un
motivo sconosciuto. Non capivo, non riuscivo a incastrare i pezzi di
quel complicato puzzle, ma la sensazione di completezza che mi
pervadeva mentre con le dita sfioravo le foglie verdi dei cespugli era
qualcosa di unico. Sulle mie labbra si fece strada un sorriso. Era
lì, la chiave di tutto era lì.
“No” sbottai
“Questo non te lo permetterò, te lo puoi
scordare!”
Eccole lì, le
lacrime. Alla
fine avevano abbandonato i miei occhi per rigarmi le guance. Ma Diz
sembrò non essere toccato dalla mia reazione:
“Volevi
uscire? Puoi, il prezzo da pagare è quello”.
“PERCHE’?”
il mio
urlo squarciò il silenzio tombale che ci circondava. Nascosi
il
volto tra le mani, cercando di asciugare via quelle lacrime. Non
ricevetti risposta, ma dopo forse un minuto o due, sentii un rumore, un
fruscio; e quando alzai il volto, l’ uomo era in piedi
davanti a
me. Con un sospiro portò le mani al cappuccio e, infine,
vidi
davanti il volto di un uomo segnato dalla fatica e dal dolore. Vidi due
occhi azzurri e penetranti che raccontavano molto più di
ciò che avrebbero potuto fare le sue parole.
Vidi il volto di Ansem
il saggio, un volto indecifrabile che non appariva né buono
né malvagio.
“Perché
è
così che deve andare” la sua voce era sempre bassa
e
lenta, ma senza il cappuccio sembrava acquistare automaticamente una
punta di umanità in più. Poggiò le
mani sulle mie
spalle, stringendo leggermente la presa: “Perché
sei
giovane e nonostante tutto sei riuscita a non farti corrompere
dall’ oscurità che ti circondava. Tu hai visto il
buono in
creature che per ciò che hanno fatto avevano ormai perso
ogni
possibilità di redenzione. Sei forte, più di
quanto
credessi all’ inizio, quando il tuo nome mi è
giunto da
lontano, e ciò che meriti non è la guerra, ma a
possibilità di ricominciare da capo, come se tutto non fosse
successo. Dimentica tutto, Mitsuki, dimentica ciò che hai
fatto,
con chi sei stata in questo tempo e ricomincia a vivere nel modo che
più ti si addice.
Tirai su con il naso:
“Io non… non voglio…
loro…”
“Lo
so” Ansem mi
offrì un lieve sorriso “Ma credimi, ci sono eventi
che
è meglio dimenticare. Non sempre il tempo migliora le cose,
io
ne sono la prova vivente. Io non merito la dolcezza dell’
oblio,
è giusto che sconti le mie colpe; ma tu sei estranea a tutto
questo e desidero che rimanga tale. Non ti dirò che un
giorno mi
ringrazierai, perché scomparirò dalla tua memoria
assieme
al resto di ciò che è stato parte di te. Ma
saprò
di essere stato utile almeno ad una persona. Lascia qui i tuoi ricordi,
ragazza mia, lascia che queste onde li inghiottano e torna alla
vita.”
A quel punto avevo
smesso di piangere. Il mio volto era una maschera impassibile.
“Va
bene”.
Forse era davvero giusto
così.
Sorrisi di nuovo. Ma stavolta ne conoscevo il motivo.
“Ti ho aspettata, sai?” dissi al nulla
“Avevo
l’ impressione che fossi da qualche parte dentro di me, ma
non
sapevo che fossi davvero tu.”
Anche lei sorrise, ovunque si trovasse in quel momento “Ci
sono
stati alcuni problemi. Ma sono felice di essere riuscita nel mio
intento; spero solo che non sia stato un errore.”
“No, non lo è stato.” Affermai
“Grazie” aggiunsi poi, in un sussurro.
“Io non ho avuto nessuno a proteggermi”
spiegò
“Il destino ha voluto che diventassi uno strumento del
nemico, ma
con te è stato diverso. Non so dire esattamente
perché,
avresti dovuto fare la mia stessa fine, ma qualcosa è andato
storto e tu ti sei salvata. Sono contenta che almeno a qualcuno sia
andata bene, per questo mi sembrava quasi crudele che tu dimenticassi.
Mi sono unita a te in quell’ istante in cui l’
anima di
Malefica è scomparsa del tutto, prima che tu cadessi nel
mondo
dell’ oscurità. Il patto che hai fatto non mi ha
inclusa,
perciò ho potuto fare in modo che rimanesse comunque un
ricordo
di tutto quanto dentro di te.”
Il silenzio calò sul boschetto. Mi guardai intorno,
riuscendo
finalmente a collegare quel luogo a ciò che mi aveva tanto
tormentata in quei giorni. I miei occhi si posarono sui cespugli di
fronte a me, aspettandosi quasi di veder spuntare tra il fogliame una
chioma rosso fuoco e una bionda. Anche con il senno di poi, forse avrei
ripetuto quell’ esperienza, in linea con il mio masochismo.
L’ altra me sorrise: “E’ come un
deja-vù, non
ti pare?” ma il suo tono tradì una certa
malinconia. E a
quel punto la domanda che prima era stata solo un puntino nella mia
mente sorse spontanea:
“E tu? Tu che farai ora?”
Sospirò, ma non sembrava davvero triste: “Io sono
già morta da tempo Mikki, questa ormai è solo una
flebile
traccia della mia ombra. Non ho paura, non temo ciò che
è
passato; anzi, aiutarti mi ha dato la possibilità di fare
qualcosa di buono e di non sentirmi inutile. Va bene così,
ad un
certo punto bisogna anche accettare la realtà.”
Annuii. Sapevo che era così, aveva ragione. Forse anche io
avrei
dovuto accettare le cose come andavano, senza cercare sempre una
scappatoia, forse così avrei avuto meno problemi; o forse ne
avrei avuti di più, chi poteva saperlo? Ogni minimo
dettaglio,
se cambiato di posto, avrebbe potuto avere effetti devastanti.
“Mi mancherai” dissi semplicemente,
perché non
c’ era bisogno di altro a quel punto. Tutto ciò
che
c’ era da dire era stato detto, tutto ciò che si
doveva
fare era stato compiuto. Ogni cosa, anche il più lungo e
tortuoso dei viaggi, prima o poi giungeva alla fine.
“Come potrei? Senti mai la mancanza di te stessa?”
rise
limpidamente e il secondo dopo già non c’ era
più.
E’ fatta.
Le mie dita sfiorarono i bottoni della mia camicetta, si infilarono
leggermente all’ interno per tastare quell’ oggetto
che era
contemporaneamente bellissimo e terribile. Lo sfilai dal collo,
lasciando che i raggi del sole si infrangessero sulla pietra verde al
centro.
Avevo finito, ero libera. Mi staccai dall’ albero a cui mi
ero
appoggiata e lentamente percorsi il sentiero a ritroso. Mi
chiamavo Mitsuki Kurosaki, diciannove anni e mezzo, appena iscritta
all’ università e in procinto di trasferirsi a
Tokyo.
Da alcuni conosciuta come la reincarnazione di Malefica la strega.
Ma questo era solo un dettaglio.
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E siamo alla fine. Mamma mia, come è brutto dirlo! Due anni
ci
sono voluti per questa fanfiction, due anni, non esattamente pochi.
Malefica è stata la prima fanfiction che io abbia scritto
con la
voglia di scrivere davvero qualcosa, di far conoscere al mondo le mie
idee. Ed essendo andata avanti per così tanto tempo
è
passata attraverso un sacco di cose: periodo belli, orribili,
così così; mi ha vista assalita dal blocco dello
scrittore per un numero infinito di volte, ha visto il mio stile
evolversi e lo avete sicuramente visto anche voi che dal primo capitolo
mi aveve seguita fino a questo epilogo. Lo stesso personaggio di
Mitsuki è cambiato nel corso del tempo, mi piace pensare che
sia
maturata assieme a me.
Ecco, vi voglio ringraziare, tutti voi. Voi che avete letto questa
storia, che l' avete recensita, che mi avete rassicurata dicendo che vi
piaceva nonostante io non ne fossi convinta, che avete riso dei momenti
idioti che a me sembravano fuori luogo. Grazie a chi l' ha
messa
tra le preferite, seguite e ricordate, grazie perchè 79
recensioni manco me le sognavo quando ho iniziato a scrivere!
Voglio ringraziare _Arthur_ e Arthemisian che scleravano con me anche
dal vivo e chi si è fatto sentire su facebook.
Insomma, ringrazio tutti, potrei rimanere fino a domani a ringraziare.
Questo epilogo non è nessuno dei due finali che vi avevo
accennato, come è giusto che sia. E' qualcosa a
metà.
E' indefinito. Vabbuò xD
E siccome ho sempre voglia di scrivere ma no so mai su cosa, vi lascio
la mia pagina autore fresca fresca di creazione così potete
bersagliarmi di prompt. E anche insultarmi quando è un mese
che
non aggiorno. Fatelo. Che magari così mi do una mossa.
Altrimenti Sunset la finisco a cinquant' anni e non va bene
ù___ù
http://www.facebook.com/TikalSorenance
O anche solo per sapere il vostro nome XD
Per cui ciao gente!
Tikal <3
Ps: qualcuno c'è al Rimini Comix?
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