Dopo quella discussione, Rie si chiuse in camera
assieme a Rei per un giorno intero.
Howard la capiva, e sapeva di aver ribaltato tutte le carte in tavola,
ma non poteva fare a meno di sentirsi deluso.
Deluso, irritato, stanco, triste.
Affettò con violenza una zucchina, lanciandone i pezzetti in
una ciotola.
D’accordo, l’aveva sconvolta, ma due parole avrebbe
anche potuto spenderle. Sospirò: non sapeva davvero cosa
avrebbe dovuto aspettarsi, gli sembrava solo che la sua
felicità per averla ritrovata non fosse affatto
contraccambiata.
Si buttò sul divano: era troppo presto per preparare la
cena, troppo tardi per affogare i dispiaceri nel cioccolato, troppo
inutile salire le scale e tentare di parlarle.
Decisamente, forse portarla lì era stata una pessima idea.
Tese l’orecchio, quando avvertì uno scalpiccio che
non era di Rie.
La bambina comparve in fondo alle scale, impacciata. Le sorrise,
ottenendo in cambio uno sguardo a metà fra il curioso e
l’incerto.
Sempre meglio dell’espressione omicida con cui
l’aveva fissato la prima volta, pensò.
-Ehi, tutto bene?- le chiese, sforzandosi per sembrare gentile e
esperto di bambini.
Purtroppo, l’unica categoria di persone che potevano metterlo
realmente a disagio, dopo Rie, s’intende, erano i bambini.
-Rie dorme, mi annoio- si lamentò lei.
Il ragazzo si alzò dal divano, andando ad accucciarsi di
fronte a lei –lasciala dormire, è molto stanca-
disse gentilmente –se vuoi ti faccio vedere il mare- Rei fece
una faccia interrogativa così buffa che dovette sforzarsi
per non mettersi a ridere.
-Cos’è?- chiese.
-E’…- oh santo cielo, come glielo spiegava,
cos’era il mare? -… è come un prato,
immenso e fatto tutto d’acqua- faceva schifo come insegnante,
pensò depresso.
-E’ grande?- gli occhi di Rei si erano ingranditi, il volto
acceso di curiosità.
-E’ enorme. Non ne vedi la fine- asserì serio
–se ci sbrighiamo, vediamo anche il tramonto. Allora, che ne
dici?- si tirò in piedi, porgendole la mano.
Rei la strinse lievemente, seguendolo.
Quando la vide spalancare la bocca dalla meraviglia, nel vedere
l’oceano tinto di un rosso che sfumava nel blu dagli ultimi
raggi del sole infuocato, Howard si rese conto improvvisamente di come
fosse terribilmente facile non considerarla un’arma.
Com’era possibile che si riducesse solo a quello?
-Non sporgerti, tira vento- disse, vedendo che Rei si avvicinava
pericolosamente al bordo della scogliera.
-Ma voglio guardare giù- fece quella, imbronciandosi. Il
biondo sospirò –e va bene- la prese in braccio,
strappandole un’esclamazione stupita, e si
posizionò esattamente sul bordo.
Buffo come non soffrisse più di vertigini, pensò
guardando i cavalloni infrangersi metri e metri sotto di loro.
Alzò gli occhi e vide che il sole era quasi del tutto
scomparso sotto l’orizzonte. Si tirò indietro,
sedendosi poco distante.
-Adesso guarda l’orizzonte, Rei- disse, indicando il punto
dove il sole si abbassava sempre di più.
-Perché? Cosa succede?- chiese la bambina.
-Lo vedrai fra poco. Se te lo dice, non sarà più
una sorpresa- Rie arrivò alle loro spalle e si sedette
sull’erba di fianco a Rei, sorridendo, gli occhi fissi sulla
linea che separava nettamente cielo e mare.
Fu un lampo, e l’orizzonte s’infiammò di
una linea color verde smeraldo, spessa e intensa come poche se ne
vedevano, brillante.
Le risa di Rei riempirono l’aria.
-Ancora! Voglio vederla ancora!- gridò, ma Rie fece cenno di
no –è molto raro da vedere. Succede solo quando in
cielo non c’è nemmeno una nuvola-
spiegò, prendendola per mano e rialzandosi.
-Ma era così bella…- mormorò
tristemente lei.
-E’ bella perché è speciale. Se tu la
vedessi sempre, non lo sarebbe più- disse Howard alzandosi a
sua volta e seguendole lungo il pendio.
La voce eccitata di Rei gli arrivava alle orecchie: la descrizione del
mare, del cielo che diventava rosso, delle onde sugli scogli. Vide Rie
sorridere e annuire a tutto quello che la bambina diceva, e
pensò che quando avrebbero trovato il Cuore…
No. Scosse la testa.
Non doveva pensarci, non in quel momento, anche se sapeva di stare
sbagliando e di stare trascinando Rie con sé senza sapere se
lei stessa se ne rendesse conto, in quel momento pensò solo
che avrebbe voluto vedere quell’espressione sul viso della
ragazza per sempre.
Quella sera, Rie si coricò sul letto a castello, sopra
quello di Rei, ma non riuscì a prendere sonno.
La discussione con Howard e quella giornata così strana e
bellissima al tempo stesso l’avevano messa in agitazione,
senza contare il fatto che si trovasse in quella casa.
Appena sentì il respiro della bambina farsi pesante, discese
lentamente dal letto e uscì dalla stanza, richiudendo
silenziosamente la porta.
Scese le scale, quasi inconsapevole di dove la stessero portando le sue
gambe, e si fermò nell’angolo da cui aveva avuto
origine tutto.
Sfiorò la parete gelida, ma si rese conto che allora non
l’avrebbe mai sfiorata in quel punto, che allora era molto
più piccola, circa delle dimensioni di Rei.
Si accucciò, e rivide tutto da quella prospettiva.
Una bambina. Ecco cos’era, allora.
Non appena nata, ma quasi.
-Bastardo- sussurrò con rabbia, stringendo il pugno.
Chiuse gli occhi e rivisse quei momenti, istante per istante.
Sentì il cuore andarle a mille nel petto, ma non era dolore.
Era rabbia.
In quel preciso istante, si rese conto di odiare James, di averlo
sempre odiato da quel giorno, ma che il senso di colpa aveva ricoperto
l’odio come una consolante coperta che le consentisse di non
vedere ciò che realmente pensava.
Lei aveva voluto ucciderlo anche allora, inconsciamente.
Anche allora l’aveva odiato.
Ma questo non migliorava le cose, non avrebbe cambiato niente con
Howard.
Anzi, forse se gli avesse detto che aveva odiato suo fratello la
situazione sarebbe pure precipitata.
Guardò di nuovo la stanza: non arrivava nemmeno al piano del
tavolo.
Il disgusto la colpì come un pugno.
Appoggiò la fronte sul muro freddo, pensando che
l’avrebbe volentieri sfondato a testate, mentre tutte le
immagini le tornavano in mente vivide, come se stessero accadendo di
nuovo sotto i suoi occhi.
D’improvviso sentì una mano sfiorarle una spalla,
e il suo corpo reagì d’istinto, irrazionalmente,
come se il cervello non avesse fatto in tempo a comunicare alla sua
paura che la storia non poteva ripetersi.
Il ragazzo biondo crollò a terra con uno scivolone di vari
metri, colpito in pieno petto da un calcio sferrato con tutta la
potenza che aveva.
Rie schizzò accanto ad un agonizzante Howard senza dire una
parola.
-I-immagino… che avrei dovuto tossicchiare… o
qualcosa di simile- ansimò lui, reggendosi lo stomaco.
-Scusami- mormorò –mi… mi hai
spaventata-
-E tu… mi hai quasi… ammazzato- tossì
il biondo, contorcendosi a terra.
La ragazza lo sollevò di peso, passandogli le braccia sotto
le ascelle, e lo trascinò verso il divano.
-Ma… che?- fece lui, ma lei lo zittì con un
sonoro “ssshh!” e lo fece sdraiare, impedendogli di
tornare ad avvolgersi la pancia con le braccia.
-Fa… male, Rie-
Rie iniziò a passargli piano le mani dove l’aveva
colpito, pigiando un poco, massaggiando per sciogliere i muscoli
contratti.
La situazione le sembrava un tantino irreale, ma il suo corpo si stava
muovendo dando retta a qualcosa che sicuramente non era la ragione.
Poco a poco sentì la schiena del ragazzo rilassarsi, le
braccia abbandonate lungo i fianchi, il respiro tornare regolare e non
spezzato.
-Va meglio?- chiese piano, fermandosi. Howard annuì,
fissando il soffitto.
-Non volevo spaventarti- sussurrò dopo un po’. Rie
scosse la testa –non so che mi sia preso, scusami-
ripetè. Ripensandoci, era ovvio che avesse agito sotto
l’influsso dei suoi ricordi legati a quel posto.
-Come stai?- chiese lui ad un tratto. La domanda, così
spontanea, la colse completamente alla sprovvista.
-I-in che senso?- balbettò cercando di guadagnare tempo. Il
ragazzo sospirò.
-So che detesti stare qui. Ma non avevo in mente altri posti- si
tirò su quel tanto che bastava per guardarla negli occhi, e
Rie si sentì attraversata da quelle iridi grigie esattamente
come le succedeva in passato, come se fossero capaci di leggerle dentro
tutto quello che la maggior parte delle persone non vedeva.
-Potrebbe essere qualsiasi altro posto, la situazione non cambierebbe-
mormorò dopo un po’, sedendosi con la schiena
appoggiata al divano –come non è cambiata in dieci
anni, dovunque mi trovassi- abbassò la testa fino a toccare
le ginocchia con la fronte.
Howard la osservò per qualche istante, senza avere la
più pallida idea di cosa dire.
Il dolore che Rie si portava dietro era tanto irrazionale quanto
profondo, e dubitava che solo con le parole avrebbe potuto farle
cambiare idea. Ma cosa poteva fare? Riconosceva di sapere ben poco
ormai di lei; di certo non poteva illudersi che fosse rimasta come
quando aveva undici anni.
Si rese conto di non sapere neppure le cose più
insignificanti.
-Rie- gli rispose un mugolio indefinito, che non gli tolse di testa
l’idea malsana che vi aveva piantato radici in meno di dieci
secondi.
-Qual è il tuo colore preferito?- la vide girarsi verso di
lui, un sopracciglio alzato sull’occhio sinistro come per
dire “mi stai prendendo in giro?”. Mantenne la sua
espressione più imperturbabile, finchè la ragazza
non capitolò sospirando.
-Il grigio- rispose brevemente, distogliendo gli occhi, ma rivolgendosi
quasi subito di nuovo verso di lui –il tuo?-
Howars sorrise –il verde- le labbra di Rie si incurvarono
appena all’insù, mentre le sue dita
giocherellavano con una delle ciocche più lunghe dei capelli
chiari.
-E il tuo cibo preferito? Qual è?- andò avanti
con la sfacciataggine più ostentata, facendole una domanda
dopo l’altra.
Sorse il sole, e li trovò addormentati, le dita intrecciate.
“Mi sei mancata, Rie”.
L’ultima, non era stata una domanda.
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-Rie? Che ti succede?-
-Mh? Che intendi?- la ragazza guardò stranita il biondo, che
a sua volta fissava il suo petto. Arrossì bruscamente
–Howard! Dove diamine stai guardando, brutto…-
afferrò il coltello da cucina con cui stava affettando un
pomodoro, ma il ragazzo scosse la testa, alzando le mani –no,
Rie, c’è qualcosa che brilla…
lì- disse, arrossendo a sua volta.
-Qualcosa che…- la ragazza si portò subito una
mano sotto il collo del vestito e ne tirò fuori un ciondolo
che Howard non le aveva mai visto.
Era una pietra bianca, appesa a una catena che la circondava con fili
d’argento, e che adesso brillava di una luce intensa.
-Oh, cavolo- mormorò, poi chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, Howard capì subito che
c’era qualcosa che non andava, e qualcosa di grosso, anche.
L’espressione della ragazza era cambiata istante per istante:
le sopracciglia si erano aggrottate, la bocca spalancata, ed era
diventata ancor più pallida del solito.
Rompendo gli indugi le afferrò un braccio, scuotendola dal
torpore –Rie! Che cosa succede? Che
cos’è?- chiese, ma la ragazza lo
allontanò bruscamente e crollò a sedere sul
divano. Rei le si avvicinò subito. Sfiorò il
medaglione, ma si ritrasse con un grido, e Rie glielo tolse subito
dalle dita.
-No, Rei, non toccarlo. La connessione è troppo forte-
mormorò con gli occhi spalancati. Howard vide che le
tremavano le mani e fece un secondo tentativo, andando ad accucciarsi
di fronte a lei –Rie, di che connessione parli? Che cosa
succede?- chiese di nuovo, fissandola in quegli occhi azzurri che
rimandarono uno sguardo spaventato.
-L’Ordine è sotto attacco. Akuma a tonnellate, e
Noah- mormorò, le pupille che saettavano da una parte
all’altra –devo tornare- disse di scatto, alzandosi
in piedi e quasi travolgendolo. Afferrò il mantello e si
precipitò fuori, verso la stalla.
Howard la seguì di corsa –aspetta un attimo!
Aspetta, maledizione!- gridò, afferrandola –con
chi ti sei connessa? Che cos’è
quell’affare? Sei sicura che non sia una trappola?- le chiese
bruscamente, più duro di quanto in realtà non
volesse essere, ma l’agitazione della ragazza lo stava
rapidamente contagiando –è Cross che mi ha
chiamata, non mentirebbe mai- disse scura in volto.
-Però potrebbero costringerlo a farlo- mormorò
lui, ma Rie scosse la testa –ho percepito la potenza della
dark matter anche attraverso la connessione, hai visto
l’effetto che ha avuto su Rei appena l’ha sfiorato.
Se anche l’avessero costretto, l’Ordine
è pieno di akuma, e tutti i miei compagni sono
lì- continuò, fissandolo –io devo
tornare. Tu fa’ quello che vuoi- Howard capì che
non avrebbe mai cambiato idea. Annuì.
-Prendiamo i cavalli, presto- disse.
Note dell'Autrice:
Eeeeeeeee... sono bastarda, lo so. Vi lascio con questo capitolo per
ritrovarvi (spero) fra tre settimane in cui non aggiornerò
causa permanenza all'estero. Vedrò di farmi perdonare quando
sarò tornata aggiornando mooooooolto spesso ;) ;)
Rispondiamo ai commenti:
DarkAngel_:
non odiarmi, ti prego T__T ho lasciato volontariamente la suspance per
avrere ancora qualche lettore disposto a seguire questo catorcio di
storia aspettando un aggiornamento che verrà dopo un mese!
XD prometto che il prossimo capitolo sarà lungherrimo *-* e
soprattutto... (spoiler) pieno di Marian Cross *ç* aspetta
fiduciosa il mio ritorno *___* baciiiii <3
rose princess:
ecco un intero capitolo dedicato ai nostri due piccioncini, visto che
non se ne sapeva più niente ^^ dal prossimo cominceranno i
colpi di scena, e il momento della sveglia di Rie si fa sempre
più vicino..! E la stronzaggine di Lavello
raggiungerà picchi inimmaginabili, in effetti sono stata
proprio stronza con la povera Rie D: D:
Farò una pausa piuttosto lunga, spero che tu continui a
seguire ^__^ mai vorrei liberarmi di qualcuno che ha il cuore di
commentare *-* ps. anche "Lagnalee" è meraviglioso XD
Baci gente, parto per Cruccolandia! :D
Bethan <3
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