Il ronzio
fastidioso del sistema di
areazione rimbalza nella sua testa come una cantilena senza senso
che, lentamente, gli corrode le cellule nervose.
Un passo, due
passi, tre passi.
Tre mesi
passati lì dentro e
quell'intrico di corridoi gli è ancora misterioso.
Scale,
ascensori, porte su porte:
continua a camminare per inerzia.
La luce al
neon si spegne per un
attimo, si riaccende subito dopo ronzando.
Ronzio su
ronzio, cantilena su
cantilena.
Dieci passi,
undici passi, dodici
passi. Svolta, apre una porta, si lascia cadere sulla poltrona di uno
dei tanti uffici vuoti.
E' stanco di
cercare.
Ha
sparato ad un
uomo, poi ad un altro, e a un altro ancora.
Ha
messo la pistola
in mano a soldati così giovani da non aver bisogno di radersi, e ha
insegnato loro a premere il grilletto; gli ha mandati a morire e a
devastare, ad assecondare i capricci di un padrone troppo giovane per
avere senno.
Niente
di tutto
questo era nelle sue intenzioni. Voleva solo fare del bene.
Una mano
fredda sulla fronte gli fa
riaprire gli occhi, chissà dopo quanto tempo.
Se non li
conoscesse troppo bene, forse
si azzarderebbe a scorgere in quegli occhi color ghiaccio un briciolo
di preoccupazione.
“Abbiamo una
riunione, tra poco”.
Lo sa, non ha
bisogno che gli venga
ricordato. Annuisce in silenzio.
La mano
scivola piano sulla sua spalla.
“Vieni, su”.
La segue
senza dire una parola.
Il suo corpo
snello, fasciato nel
tailleur scuro, lo guida in quel labirinto, i suoi capelli biondi
sono la luce che illumina la sua discesa nell'oscurità.
A volte
vorrebbe prenderla e sbatterla
contro una di quelle pareti, vedere la sua pelle chiara fare
contrasto con la sua scura, sentire il suo gelo contro il suo calore
ribollente, e penetrarla tanto forte da cancellarle quell'espressione
indifferente dal viso. Chissà come reagirebbe, se lo facesse
davvero.
Nina è un
enigma che non riuscirà mai
a sciogliere.
Ci
sono momenti in
cui sembra essere l'unica a comprenderlo, in quel castello di ordini
e sangue.
Lo
trapassa con lo
sguardo e capisce, semplicemente, quanti pensieri ingarbugliati si
nascondano dietro il suo viso.
“Un
innocente non
dura al lungo, qui dentro”, gli ha detto dopo la prima missione
guidata da lui, trovandolo a fissare il pavimento degli spogliatoi
con le mani ancora sporche di sangue a reggergli il capo
Il
suo cinismo è
l'unico conforto che abbia mai ricevuto da quando ha varcato le mura
delle Zaibatsu.
Corridoi che
si susseguono identici
l'uno all'altro.
Dietro alle
finestre, c'è un cielo
grigio di nuvole pronte ad esplodere in un violento temporale.
E' sempre
così: in tre mesi, non ha
mai visto un raggio di sole a rischiarare le tenebre, né una goccia
di pioggia a lavare via il sangue.
Con una
tessera magnetica, Nina apre
uno dei tanti ascensori.
“Hai una
brutta faccia”, commenta,
asettica, fissando il suo riflesso smunto nello specchio: occhiaie
scure segnano gli occhi spenti, un'ombra di barba colora la sua
mascella decisa.
Sì, ha un
brutto aspetto. Lei, al
contrario, è impeccabile come sempre, così terribilmente adatta
alle mura tetre che la circondano.
“Dovresti
dormire di più”,
conclude, mentre le porte dell'ascensore si aprono.
Di
notte, vede i
visi che si celano sotto i caschi dei suoi soldati. Lui li conosce,
quei volti; li ha visti distorti dalla paura, e ne ha dissipato i
timori con discorsi pieni di false promesse e convinzioni ancor più
fallaci, pronunciati da una voce che a stento ha riconosciuto come
sua.
I
loro occhi si
svuotano, i loro corpi si accasciano a terra, e macchiano il
pavimento di sangue, mentre lui cerca di tamponare le loro ferite con
un panno bianco, ma sono troppi, ed è troppo tardi, così il panno
non può far altro che diventare scarlatto.
E,
ad un tratto,
tra quei corpi riconosce quello ingobbito dagli anni del suo maestro,
che rantola un addio a labbra socchiuse mentre lui cerca di
scuoterlo.
“Perché?”
chiede Christie imbronciando le labbra piene, sorta all'improvviso in
quella distesa di corpi con il vestito bianco che usava dopo gli
allenamenti.
Lui
tende una mano
per afferrarla, ma lei si volta in un frusciare di vesti, inghiottita
dall'oscurità.
Resta
Nina che gli
sorride a labbra strette.
“L'innocente
non
può durare”.
No,
a dormire non
riesce.
Si
chiede se loro
riescano a scivolare tranquillamente nel sonno, la notte, lasciandosi
alle spalle tutti i crimini commessi di giorno. E, se invece la loro
anima è capace di provare rimorso almeno con il favore delle
tenebre, quali sono i demoni che animano i loro incubi?
Jin
espone i piani
per i prossimi attacchi, Nina fa scorrere sul mega schermo slide di
grafici e statistiche, diligente e precisa.
Discutono
di un
nuovo massacro come se stessero pianificando un'asta di beneficenza.
Le
loro parole
asettiche scivolano contro le sue orecchie senza che riesca a
coglierne il senso.
Torna
a sopraffarlo
il ronzio del sistema d'areazione.
La
riunione finisce
com'è iniziata, sfuma in un mormorio di voci confuse.
Eddy
si ferma sulla
soglia della stanza, volta appena il capo all'indietro: Nina si
attarda a parlare con Jin, una mano posata sul suo braccio e le
labbra vicine al suo orecchio.
Sono
di nuovo
racchiusi nella loro bolla di intimità e complotti: a lui, estraneo,
tocca un percorso a ritroso solitario e confuso.
Ascensore,
corridoi, ronzio.
Oltre
le finestre,
oltre i cancelli, oltre i confini di quella Nazione, da qualche parte
giacciono i resti della sua vecchia esistenza. Da qualche parte il
suo maestro si spegne ogni giorno di più, consumato dalla malattia,
da qualche parte Christie aspetta di giorno in giorno il suo ritorno.
Da
qualche parte,
là fuori.
“Domattina
alle
sei”.
Nina
gli porge una
tazza di caffè fumante, quasi a voler indorare la pillola: profuma
di casa.
Siede
accanto alla
finestra, osserva il buio prendere il sopravvento sul grigiore
pomeridiano. Nessun tramonto a sfumare i contorni di giorno e notte:
nero oltre il vetro, nero nella sua tazza.
Sprofonda,
prende
un sorso.
“Pensi
mai alle
conseguenze delle tue azioni?”, chiede, mentre la bevanda calda
allenta il nodo che porta in petto.
Lei
inarca le
sopracciglia chiare, per un attimo sembra vagamente divertita.
“No”,
sentenzia, inespressiva.
Gli
prende la tazza
dalle mani, beve un sorso di caffè, anche se è nero e lei lo prende
sempre con il latte – altri gesti inconsueti che fanno parte
dell'enigma. Gliela restituisce con una traccia scarlatta di rossetto
sul bordo immacolato.
“E
non dovresti
farlo neppure tu”.
Domattina
alle sei.
Che
cosa, non lo
sa; dove, neppure. Sa solo che dovrà alzarsi, vestirsi, seguire le
direttive di Jin, guidare qualche operazione militare, vedere gente
morire e sporcarsi le mani di altro sangue.
Si
alza, esce dalla
sua stanza.
Con
il favore delle
tenebre, i corridoi sono anche più spettrali.
Il
condotto
d'areazione ronza.
Non
ricorda altro
suono, ormai. C'è mai stato il cinguettio di un uccellino, sui
davanzali scarni di quel grattacielo? E' mai risuonata una melodia
tra quelle stanze vuote?
I
ritmi colorati
del suo paese sono una sequenza di note sbiadite tra i suoi ricordi
confusi.
Gira
l'angolo, e
c'è un altro corridoio.
Venti
passi,
ventidue passi, venticinque passi.
E'
uno spettro che
vaga nel maniero tra le stanze della fortezza che lo imprigiona. Ha
fatto un patto con il diavolo, e ora non può più scioglierlo,
perché non si può cancellare il sangue.
L'ascensore
lo
riporta all'ultimo piano.
Mormorii
concitati
provengono dall'ufficio di Jin: attraverso la porta socchiusa, vede
Nina seduta sul bordo della scrivania, a studiare con lui alcune
carte.
Non
è lì ciò che
cerca.
Di
nuovo, il
percorso a ritroso, una buia discesa in ascensore fino a un piano
scelto premendo a caso uno dei pulsanti.
La
luce al neon
traballa, crea giochi di luci ed ombre davanti ai suoi occhi
arrossati.
Scuote
la testa e
continua a vagare, ignorando la stanchezza.
E'
così faticosa,
la sua ricerca.
Eppure
ne è certo:
la sua umanità l'ha smarrita proprio in quel labirinto di corridoi.
Così
continua a
cercare, chiedendosi se, quando troverà l'uscita, ci sarà qualcuno
ad aspettarlo fuori.