When you’re screaming in the night
Capitolo XVIII - She loved him yesterday. Yesterday’s over.
Era
notte fonda quando Roger rientrò a casa dalla festa che
aveva dato
Steven Tyler. Era distrutto e a dirla tutta era anche un po’
brillo. Joe Perry aveva fatto bere Brian fino a farlo rimettere e
c’era talmente tanta cocaina da fargli credere che gli fosse
venuta
la forfora.
Sotto
la porta trovò incastrato un bigliettino: quella era di
certo opera
di Dorothy. Solo lei aveva quella deliziosa abitudine che lo faceva
sentire tanto desiderato. Si affrettò ad aprire il foglietto
di
carta pallida impregnato dall’inchiostro disposto nella
calligrafia
inconfondibile della ragazza.
‘Raggiungimi
al nostro posto. Non importa l’ora. Sarò
lì ad aspettarti fino a
domani. È molto importante.’
Piuttosto
telegrafico e criptico, tipico suo.
Sebbene
il letto fosse parecchio allettante, alle quattro del mattino,
Dorothy era pur sempre la donna che amava, così Roger si
rimise in
marcia e tornò sui suoi passi, diretto alla vecchia
residenza Bowie.
Lì saltò la ringhiera in ferro battuto e rimase
quasi in mutande
una volta arrivato dall’altra parte. Cosa fosse passato per
la
mente di David quando aveva deciso di mettere quelle trappole degne
di una fortificazione medievale proprio dopo che l’unico vero
tesoro che quella casa custodiva, sua sorella, se n’era
andato, gli
rimaneva ancora del tutto oscuro.
Un po’
indolenzito, seppur nel fiore degli anni, corse fino
all’albero con
qualche cerchio in più e lo guardò dal basso
verso l’alto. Gli
parve di vedere ancora una volta la sua ragazza che gli lanciava il
panino al salame e lui che lo mancava, l’inseguimento, la
notte che
li aveva nascosti, creando per la verità la prima spaccatura
tra di
loro.
Salì
le scalette e trovò, nella piccola abitazione in legno
ancora lì,
Dorothy, con una lampada ad olio, che leggeva un manualetto sugli
Stati Uniti. La moretta gli sorrise e lo invitò ad
accomodarsi
accanto a lei. C’erano delle coperte per terra: si
domandò se
fossero le stesse di anni prima, convinto che non fosse importante.
«Come
mai mi hai fatto venire qui? Presa dalla nostalgia?»
domandò il
batterista, piuttosto curioso. La ragazza si mosse leggermente e lo
guardò dritto negli occhi, con quella sicurezza che gli era
sempre
mancata.
«Perché
qui tutto è iniziato e qui tutto deve finire.»
asserì, tranquilla.
Davvero, forse non lo era mai stata così tanto da quando era
iniziata la sua adolescenza.
«Quindi?
Che succede? Vuoi lasciarmi?» sussurrò lui,
divertito.
«Lasciarti?
Io e te... stiamo davvero insieme?» ridacchiò lei,
sarcastica,
dandogli un buffetto sulla guancia rosata.
«L’ho
sempre considerato un punto fermo...»
«Un
dogma, piuttosto. Della serie che dobbiamo prenderlo così,
ma non si
spiega in nessun modo perché» rise lei.
«Quindi
il punto qual’è?»
«Tim
mi ha chiesto di sposarlo.»
«E...
e tu?»
«Ho
detto di no.»
Roger
tirò un sospiro di sollievo.
«Ok.»
«Non
è ok, Roger. Gli ho detto di no perché non voglio
che pensi che lo
sposo per dimenticarmi di te. Non se lo merita. Avrei dovuto
scegliere e ho sempre sbagliato perché mi trovavo sempre di
fronte
allo stesso bivio. Ora so che devo andare oltre... Partirò
per gli
Stati Uniti domani, ho chiesto il trasferimento
all’ambasciata di
New York.»
Il
batterista si coprì il viso con le mani.
«Quindi
sei veramente qui per rompere.»
«Sì,
ma prima devo dirti alcune cose che mi sono tenuta dentro fino ad
ora, o cose che ti ho detto solo a metà.»
«Non
pretenderai che ti ascolti, cazzo!»
«Sì,
invece. Almeno per il rispetto di quello che siamo stati. E poi io
ascolterò quello che tu hai da dirmi.»
«Io
non ho niente da dirti, mi stai lasciando per andare in America a
cercare non si sa bene cosa! Noi siamo sempre stati la cosa
più
grande e invincibile di questo mondo. Sì, abbiamo avuto i
nostri
casini, ma ne siamo sempre usciti a testa alta, rafforzati. Non dirmi
che ci siamo mai fatti abbattere da qualcosa, Dorothy,
perché non
sono valsi neanche sei anni di separazione ad affondare il nostro
amore.»
La
moretta si beccò la menata senza battere ciglio, poi riprese:
«Dici
che non hai niente da dirmi e poi attacchi a parlare. Non sei molto
coerente. Vorrei veramente spiegarti le mie ragioni. Per prima cosa
mi dispiace di mandare tutto a puttane. Che tu ci creda o no, ti amo
davvero, al di fuori di ogni mio calcolo, e non pensare che sia
sbagliato dire che io abbia ragionato con la testa e non con il cuore
non scegliendo neanche Tim, perché è la
verità. Il mio cuore l’hai
ucciso tu, quella notte in Cornovaglia, quando ti ho visto piangere
per colpa mia. È stato in quel momento che ho capito che non
avrei
mai potuto rimediare, che il mio sbaglio era stato così
immensamente
più grande di tutti i tuoi da non poterti neanche
più portare
rancore. Per niente. È una cosa per cui non
riceverò mai il
perdono: neanche il mio. Mi dispiace per lui, per noi che non lo
conosceremo mai, mi dispiace di averti sempre tenuto
all’oscuro di
ogni cosa riguardasse me, prima di te, di ogni cosa che riguardasse
noi, nella mia testa. Mi dispiace per esserti stata nemica
più che
amica, ultimamente. Mi dispiace di essere tua nemica anche
adesso.»
«Che
dovrei dire adesso?»
«Non
lo so.»
«Cazzo,
dimmi cosa dovrei dire adesso! Cosa ti aspetti che dica?»
«Roger,
non lo so... vorrei solo che tu accettassi la mia decisione.»
«E se
non la volessi accettare? Cosa cambierebbe?»
«Renderesti
tutto più difficile a me. Prendilo come un favore che ti
chiedo.»
«E
quando lo restituirai? Quando sarai sposata con qualcuno altro?
Quando aspetterai i figli di qualcun altro?Quando non ci parleremo
più? Quando incontrandoci per strada non ci guarderemo
neanche in
faccia? Quando ci eviteremo come la peste, quando io sarò
troppo
sommerso dal rancore e tu dall’amore, per qualcun altro che
non è
nessuno? Che non è nessuno dico io!»
«Chiedimi
un favore adesso!» supplicò lei.
«Non
mi lasciare, questo è il favore che ti chiedo. Se abbiamo
lottato
per tutto questo tempo, se abbiamo sofferto per tutto questo tempo,
se ci siamo amati per tutto questo tempo... fa’ che non sia
stato
invano. Per piacere.»
«Roger,
non puoi chiedermi questo!»
«E tu
non puoi lasciarmi!»
«Senti,
lo so come ti senti? Ok? Ti ricordo che anche tu mi hai lasciato, una
volta. Ho pensato che il mondo mi sarebbe crollato addosso, che non
avrei potuto più vivere. Ho pensato che avevo fatto bene a
non
tenere il bambino, che eri inaffidabile, che non avrei mai dovuto
riporre la mia fiducia in te, il mio amore in te. Mi sbagliavo. Su
tutto. Ma ti ho odiato. E questo mi ha aiutata ad andare
avanti.»
«Odiarti
non mi servirà a non compiangermi per averti
persa.»
«E
quando mi incontrerai per strada, se sarò con lui, se
avrò il
pancione, se sarò con i nostri figli, pensa a quanto sono
stata
stupida a non sposare un uomo come te, ricco, talentuoso,
intelligente, affascinante, ma a scegliere lui. Prenditi gioco di
me.»
«Se
ti amo devo pur dimostrartelo! Non posso lasciarti andare
così, devo
supplicarti? Pregarti? Devo piangere?»
«Non
c’è niente che devi fare o che puoi fare. Domani
io salirò su
quel volo, che tu lo voglia o no. Rassegnati: tu non sei
l’uomo con
cui posso passare il resto della mia vita.»
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