Titolo:
(I've had) The time of my life
Betareader: nessie_sun
Rating: dal
G al R+ (possibili variazioni) (ergo: dal verde all'arancione)
Pairing: Klaine,
Finchel, Faberry, Pezberry (probabilmente friendship), accenni Brittana.
Avvertimenti: Spoiler
sulla 4° stagione, break-up iniziale, angst
Note:
ebbene sì! Sono tornata con una nuova fanfiction. Il titolo
viene dalla celebre canzone del musical "Dirty Dancing". C'è
bisogno che ve la linki? chi non la conosce?
Questa fic infatti - credo - avrà "una canzone a capitolo",
o meglio, ci sono canzoni che mi ispirano, le quali daranno i titoli ai
capitoli.
Mi ero ripromessa di pubblicarne 3 diverse prima di questa (che stanno
tutte scritte nel mio pc, perlomeno parzialmente) ma gli ultimi spoiler
mi hanno dato l'impulso per cominciare questa nuova long che sento
molto "libera" e grazie alla quale sono uscita dal mio periodo di
blocco-scrittura.
Mi ero ripromessa di tornare con una commedia, ma purtroppo questa
fanfiction perlomeno inizialmente di commedia ha ben poco.
Ci terrei a sottolineare che questa è una mia personale e
molto libera interpretazione degli spoiler sulla quarta stagione, non
ho una linea precisissima da seguire ma so più o meno dove
andare a parare.
Spero che comunque gradiate la fanfiction e vi godrete la lettura.
Ci vediamo a fine capitolo!
Chapter 1: I Walk Alone
"My shadow's the only one that walks beside me
My
shallow hearts the only thing that's beating
Sometimes
I wish someone out there would find me
'Til
then I'll walk alone..."
Il cielo di New York
era plumbeo sopra la testa di Kurt e piuttosto fastidioso per gli
occhi, ma sembrava rappresentare il suo stato d’animo alla
perfezione.
Non c’era
niente di meraviglioso in quella giornata: né gli imponenti
palazzi intorno a lui, né le pubblicità a schermo
appese su ogni palazzo e nemmeno i poster dei musical di Broadway.
Provava solo un forte
senso di malinconia mentre si trascinava dietro i suoi trolley neri e
lucidi con aria stanca, carichi di abiti e nuove
responsabilità.
Il suo sogno era sempre
stato quello di andare a New York e di avere successo. Ci aveva provato
una volta ed aveva fallito senza nemmeno sapere il perché,
ci aveva provato una seconda volta con meno grinta e c’era
riuscito: un po’ per fortuna - che a quanto pareva aveva
deciso di esser dalla sua parte,- un po’ per merito.
Aveva cambiato
obiettivo quasi senza rendersene conto ed aveva trovato la propria
strada nel mondo della moda: mondo che alla fin fine era sempre stato
suo ed era ciò che lo aveva reso un po’
più speciale oltre alla propria voce.
Non era stata la sua
prima scelta, ma almeno era pur sempre una scelta.
Non era stato facile
dire addio a Lima e non era stata una bella giornata. Kurt odiava gli
addii ed i saluti, odiava dover fare promesse che sapeva di non poter
mantenere.
Kurt odiava
l’idea di essere lontano da tutta la sua famiglia ed odiava
l’idea di essere lontano da Blaine.
Ed ancor più
di questo, odiava l’idea di non stare più con
Blaine.
***
Era successo qualche
ora prima, fuori dall’aeroporto. C’era qualcosa che
non andava da un po’ di tempo e Kurt lo sapeva, ma si era
sempre ripromesso che sarebbe andato tutto bene, che la loro relazione
sarebbe durata nonostante la distanza.
C’erano un
sacco di persone che decidevano di basare le loro relazioni su un
rapporto a distanza, perché loro avrebbero dovuto avere
problemi? Kurt non riusciva proprio a capire, non riusciva a capire lo
sguardo ferito di Blaine, non riusciva a capire tutto il suo dolore.
Lo amava e proprio
perché lo amava così tanto non voleva minimamente
pensare ad una rottura. Il loro rapporto era troppo forte anche solo
per esser spezzato dalla distanza.
Ma piuttosto,
l’amore stesso era ciò per cui si erano dovuti
dividere.
“Ti amo
troppo,” sussurrò Blaine nel suo orecchio, con
dolcezza mista a tristezza nella voce mentre lo stringeva di fronte
all’aeroporto.
Poteva essere una
dannata scusa? Cristo, sembrava una dichiarazione degna di Finn Hudson,
Kurt sapeva che il suo fidanzato non era Finn Hudson, ma Blaine
Anderson e sapeva anche che Blaine Anderson aveva un briciolo di
intelligenza in più.
“Ti amo da
morire anch’io,” rispose Kurt, stringendolo di
più.
“Ti prego non
dirmelo,” ansimò l’altro, con la voce
rotta dal pianto. Kurt aggrottò la fronte.
“Perch-“
“Perché…
perché la distanza è troppa e mi fa male
l’idea che non potremo vederci. Lo sai, ho fiducia nel nostro
amore, ma conosco questo genere di cose. Io… non vorrei mai
perderti in qualche modo orrendo, dopo un sms o attraverso un pc, non
voglio che per qualche motivo le nostre strade si dividano in modo
brutale. Voglio… che possiamo ricordarci di questo momento e
dei nostri momenti assieme, voglio restare con te per sempre
e… voglio che tu vada a New York sereno. Incontrerai
tante… nuove persone, nuovi amici e nuovi ragazzi. Non
voglio che ci siano tradimenti tra di noi,” concluse Blaine
con voce spezzata, allontanandosi un poco da Kurt.
Kurt fece un passo
indietro.
“Cosa…
cosa stai dicendo, Blaine?” il suo tono era basso,
praticamente ferito. Cosa stava insinuando? Lo stava lasciando?
“Sto dicendo
che… voglio lasciarti, ma con una promessa. Noi torneremo
assieme, torneremo assieme il prossimo anno, non appena
verrò lì, a New York. Andremo…
prenderemo un appartamento assieme, e no… no Kurt non
piangere,” Blaine gli prese immediatamente le mani
racchiudendole nelle proprie, “Non piangere, il mio cuore si
spezza quando piangi,” ansimò, con voce tremula,
mentre Kurt sembrava incapace di reagire in qualsiasi modo.
“Ti si spezza
il cuore?! Tu hai… hai appena spezzato il mio! Tu non
credi… non mi credi,” gridò Kurt,
finché la sua voce non si affievolì di nuovo,
“non mi credi.”
“Ti credo. Ti
credo e ti amo più di ogni altra cosa al mondo. Ma ci
aspettano troppi cambiamenti, troppi mesi di distanza ed io non voglio
perderti,” sussurrò Blaine, avvicinandosi a lui,
poggiando la propria fronte contro la sua.
“Noi non
dobbiamo perderci… io ti ho promesso che non mi avresti
perso e noi… noi ci stiamo lasciando,”
singhiozzò Kurt, contro di lui, stringendolo a sé.
Perché
quell’abbraccio era tutto ciò che aveva, era la
sua casa, era il suo legame con Blaine, era ciò che lo
faceva stare Blaine.
Blaine era una delle
cose migliori che la vita gli avesse mai dato, la sua fortuna, il suo
amore.
“Torneremo
assieme… se saremo ancora liberi, torneremo assieme.
Continueremo a sentirci questi mesi, continueremo a mandarci messaggi
magari, solo… non avremo impegni l’uno verso
l’altro. Sarà l’unico modo per capire se
siamo davvero destinati a rimanere assieme.”
Kurt
continuò a piangere e singhiozzare, incapace di trattenere
le lacrime mentre anche gli occhi di Blaine se ne riempivano.
“Non fare
così Kurt…”
“È
ingiusto,” mugugnò, “È
ingiusto che dobbiamo dividerci, che non possiamo… stare
assieme ancora.”
“Ma noi
torneremo assieme. Possiamo promettercelo, possiamo prometterci di
voler tornare assieme,” gli tenne le mani, stringendole
così tanto da fargli quasi male.
Era tutto
così inutile e drammatico, perché Kurt sapeva che
non ce n’era davvero bisogno: non dovevano lasciarsi, non
era… produttivo in alcun modo e non avrebbe giovato alla
loro relazione. Sarebbe stato solo un inutile stallo.
Avrebbe voluto dire
mille cose, urlargli di no, dirgli che non l’avrebbe lasciato
così, senza un motivo preciso e senza nemmeno aver provato a
stare assieme, ma dalle sue labbra non uscì niente, se non
un sospiro.
Si buttò
nuovamente tra le sue braccia e gli strappò un bacio
intenso, carico di emozioni.
Le labbra di Blaine
erano perfette come sempre, calde e morbide, ma per una volta erano un
po’ più amare.
Kurt aveva deciso di
entrare nell’aeroporto da solo, aveva salutato tutti, aveva
salutato Blaine piangendo come un bambino ed aveva dato un ultimo
abbraccio a suo padre, doveva essergli grato perché lo aveva
sempre sostenuto ed aveva sempre appoggiato ogni sua scelta, aiutandolo
a non smettere mai di credere nelle proprie capacità.
Doveva essere un giorno
felice per lui, ma mentre si trascinava verso l’aereo e
saliva le scalette, sentiva un pezzo di se stesso cadere e rimanere
lì, ben ancorato alla piattaforma di
quell’aeroporto.
Ricostruirsi non
sarebbe stato facile.
***
Quando
arrivò nel proprio appartamento a New York, fu assaltato
letteralmente da Rachel e Santana: già, le due nemesi nel
Glee Club sarebbero state le sue compagne di stanza fino a che non
avrebbe trovato qualcosa di più confortevole.
Il progetto iniziale di
Kurt era andare a vivere lì fino a quando Blaine non si
sarebbe diplomato, per poi aspettarlo ed andare a vivere con lui: ma da
quel giorno forse Kurt avrebbe dovuto rivedere tutto, perché
ormai non c’era più nessuna certezza per lui e
Blaine e per quanto potesse essere frustrante la verità.
Aveva voglia di
lanciare i propri bagagli nel primo spazio disponibile ed accasciarsi
sul letto, invece avrebbe dovuto dedicarsi alle mille domande delle due
ragazze.
“Com’è
andato il viaggio?” la voce di Rachel fu la prima ad arrivare
alle sue orecchie mentre cercava di posizionare i bagagli nella nuova e
piccola stanza. Era minuscola rispetto alla sua solita camera, ma alla
fine andava bene, si sarebbe adattato: almeno l’armadio era
piuttosto grande, sarebbe stato un disastro il contrario.
“Non sembri
molto felice,” commentò Santana, appoggiandosi
allo stipite della porta. Kurt le rivolse un’occhiata;
“non lo sono,” ammise, senza troppe spiegazioni.
“Non sembrava
così fino a qualche giorno fa, chiamavi la Berry con una
vocina da unicorno nel paese degli zuccherini ed oggi sembra che ti sia
caduto il mondo addosso,” disse, con un po’ di
acidità: in fondo era Santana, perciò Kurt non si
stupì.
“Blaine ed io
ci siamo lasciati,” rispose Kurt lapidario, senza fornire
ulteriori spiegazioni mentre cominciava a disfare la valigia.
“Tu e Blaine
COSA?!” Rachel Berry apparve nella stanza inchiodandosi sulla
porta, facendosi spazio e spingendo Santana da un lato - che era
rimasta a bocca aperta.
“Non lo
ripeterò un’altra volta,”
mugugnò Kurt, come se quelle parole fossero veleno.
“Tu…
e l’hobbit? E per quale motivo? Fino a qualche giorno fa non
eravate a giurarvi amore eterno?” chiese, allargando le
braccia in un gesto vagamente plateale.
L’altro
tirò su col naso e si sedette sul letto, cupo.
“Più
o meno.”
Il cielo di New York in
quel momento sembrava quasi più limpido di lui.
***
Blaine riusciva
soltanto a chiedersi se avesse fatto la scelta giusta, se fosse stato
il modo migliore di salvare la loro relazione.
Avrebbero evitato
qualunque tipo di tradimento o qualunque disagio a causa della
lontananza: non riusciva a vedere una soluzione più
promettente di quella che aveva trovato. Amava così tanto
Kurt che la sua unica e vera paura era quello di perderlo veramente e
quel pensiero si era insinuato nella sua testa da troppo tempo per
ignorarlo.
Aveva deciso che la
cosa migliore era una pausa, in modo tale che se Kurt avesse deciso di
cambiare direzione o avesse trovato qualcuno di migliore di lui, non
sarebbe stato un tradimento.
Forse era un
po’ egoistico, ma Blaine credeva che fosse anche la scelta
più saggia, nonostante facesse male, tremendamente male.
Kurt gli mancava
già da morire e sapeva che non si sarebbe abituato molto
presto all’idea di rimanere senza di lui: provava
già un profondo senso di solitudine rimarcato dal ricordo
delle ultime parole che gli aveva detto. Doveva cercare di ricordarsi
che l’aveva fatto per amore e che un giorno, se fosse stato
destino, sarebbero tornati assieme.
Si sedette su una sedia
del Lima Bean con un cappuccino caldo tra le mani e si
rannicchiò su se stesso, fissando fuori dalle ampie vetrate
del caffè.
Non faceva freddo, ma
provava qualcosa di molto simile,una sorta di disagio interiore che lo
portava a stare lì, mentre dei ricordi si riaffacciavano
alla sua mente.
Il loro primo
caffè assieme, il loro primo San Valentino da non fidanzati
trascorso lì, i loro dopo-scuola e le loro chiacchiere. Il
Lima Bean era sicuramente uno dei luoghi più significativi
per la loro relazione e stare seduto al loro tavolo proprio il giorno
in cui aveva dovuto dire ‘arrivederci’ a Kurt era
in qualche modo consolatorio e frustrante al tempo stesso.
Si portò le
mani al viso, strusciandoselo con nervosismo: voleva liberarsi di ogni
emozione e lasciare che la ragione si impossessasse di nuovo di lui.
Purtroppo, però, Blaine sapeva che non era esattamente
così facile.
Ci sarebbe voluto tempo
e non avrebbe nemmeno saputo immaginare quanto.
***
Burt aveva tenuto
stretto il più possibile suo figlio prima di doverlo lasciar
andare. Si sentiva tremendamente vuoto senza di lui a casa, con Finn
nell’esercito e Carole che preparava una misera cena per due.
Si era messo sul divano
ed aveva cominciato a girare i canali alla tv: non c’era
niente che riuscisse ad attirare la sua attenzione.
Avrebbe soltanto voluto
chiamare suo figlio, sentire come stava, ma non voleva essere troppo
assillante o protettivo. In fondo stava soltanto proseguendo la sua
strada e lui non gli avrebbe messo ansia, era sicuro che Kurt fosse
già abbastanza malinconico di suo. Aveva pur sempre dovuto
lasciare tutto ciò che aveva.
“Ti manca,
non è vero?” la voce di Carole lo fece sussultare,
la donna stava finendo di apparecchiare la tavola,
“è normale, sai? Ma prima o poi bisogna lasciarli
andare.”
Burt sbuffò.
“Questo
è vero… soltanto, è così
diverso non vederlo qui per l’ora di cena, mentre tenta di
cucinarmi qualcosa di estremamente dietetico e privo di
calorie,” abbozzò un sorriso e Carole gli
accarezzò una spalla.
“Sento ogni
giorno la mancanza di Finn… è normale. Ma prima o
poi ci si abitua. Sono sicura che Kurt avrà successo a New
York ed avrai modo di essere orgoglioso di lui…”
“Ma io lo
sono già,” rispose Burt, piuttosto sicuro di
quell’affermazione.
Carole si
limitò ad annuire. Chi non era orgoglioso del proprio
figlio?
Lei lo era, nonostante
si preoccupasse ogni giorno per Finn e controllasse ansiosamente la
casella delle lettere. Certo, Finn non era in guerra, ma la paura che
potesse rimaner ferito durante qualche esercitazione la pervadeva ogni
giorno ed era come rivivere un film già vissuto in passato.
Ma Finn era grande e
non avrebbe commesso gli stessi errori del padre, perché lui
era più maturo ed era suo figlio. Magari non era una
spiegazione molto valida, ma a Carole bastava.
***
Kurt appese al muro un
quadretto di Wicked identico a quello che aveva anche Rachel in camera
e con quello finì di arredare la propria stanza.
Lo aveva fatto con aria
mogia, senza un reale entusiasmo; la cosa lo aveva fatto quasi sentire
ancora più triste perché solitamente quando stava
male moralmente sentiva il bisogno di fare qualcosa che lo rilassasse e
solitamente arredare la propria stanza o dedicarsi alla moda riuscivano
a farlo calmare.
In verità,
il suo più grande calmate era parlare per ore al telefono
con Blaine, anche di cose stupide, mentre se ne stava tutto
rannicchiato sul letto. Ma cosa poteva fare quando la causa della sua
tristezza era proprio l’unico che riusciva ad alleviarla?
Aprì un
cassetto del comodino e prese una scatolina rossa; la aprì
lentamente per poi fissarne il contenuto: era l’anellino che
Blaine gli aveva regalato a Natale, quello fatto con le cartine delle
sue caramelle preferite. Sorrise, osservandolo e togliendolo dalla
scatolina. Ricordava benissimo quel momento ed ogni volta che si
sentiva solo o triste non faceva che scaldargli il cuore, ma
improvvisamente quell’anello racchiudeva solo ricordi di
qualcosa che forse non avrebbe potuto recuperare e l’idea gli
faceva più male di quanto non avesse voluto in
realtà.
Lo aveva lasciato con
una promessa, ma anche quell’anello a suo tempo stata una
promessa: gli aveva promesso di rimanergli sempre vicino, di baciarlo
dove avrebbe voluto e quando, di cucinare biscotti e…
quell’anello aveva così tante promesse in
sé per essere solo un insieme di piccoli pezzi di carta.
Chiuse la scatolina e
se la strinse al petto, lasciandosi andare completamente sul letto
morbido e chiudendo gli occhi.
Era stanco di piangere,
era stanco di pensare e di ricordare le parole di Blaine.
Voleva soltanto dormire.
Note
di fine capitolo:
La canzone ad inizio capitolo è dei Green Day, (I Walk
Alone) Boulevard Of Broken Dreams *cliccami tutta* infatti questa fic è nata
essenzialmente da questa canzone, mentre ero con una mia cara amica a
Roma, in auto (e la stavamo ascoltando.=
Non mi ucciderete vero? perché ho un cartello con scritto
"KLAINE" grosso quanto una casa da poter sventagliarvi in faccia in mia
difesa!
Scherzi a parte, l'angst iniziale è necessario per lo
sviluppo della fic, e siccome ho preso come ispirazione gli spoiler,
direi che questo è un capitolo abbastanza ovvio. Alla fin
fine li ho re-interpretati come preferivo, però quelli sono.
A parte questo, in realtà io sono una sostenitrice della
Klaine e questa fic è nata per sfogare la mia malinconia, ma
voglio assicurarvi che sono una fan dei finali felici, quindi vi lascio
interpretare la mia frase ;)
Se vi va, fatemi sapere se vi è piaciuta o magari ditemi -
perché no - le vostre congetture sulla 4° stagione.
Sto già preparando il secondo capitolo e spero di poterlo
pubblicare a breve! Per informazioni o per seguirmi, vi consiglio la
mia pagina Facebook
*QUI*
Alla prossima!
Flan
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