Brutte
abitudini.
Lavi ha la brutta abitudine di
portarsi sempre appresso la
sua macchina fotografica, la reflex nikon
d3000 che si è fatto regalare un Natale, dal
Vecchio - sostenendo che,
così, non si sarebbe dimenticato sempre tutto come faceva
lui.
(oltre alla reflex,
quell’anno, il Vecchio gli aveva regalato anche una bella
padellata in testa e
un sacco di botte.)
Se la tiene sempre appesa al collo, e
anche i suoi amici,
che all’inizio lo prendevano in giro, dopo un po’
non c’hanno più fatto caso –
no, Kanda no. Kanda continua a lanciargli frecciatine
e a dirgli che, al prossimo “Yuu-chan!”
gliela spaccherà a katanate.
Parenti e amici vari, ovviamente,
s’erano chiesti il perché
di questa sua fissazione. L’unica risposta coerente e seria
che Lavi sia mai
riuscito a dare – in un momento di non-sobrietà,
tra l’altro – è stata: è
po’ come se fosse l’altro occhio. (perché
si, Lavi ha un occhio solo. L’altro lo tiene coperto da una
benda che, a dir
suo, gli dona un’aria figa. Secondo Kanda è
solamente ridicolo)
In qualsiasi caso, non
c’era verso che Lavi se la
dimenticasse a casa, la sua amatissima reflex,
tanto che neanche i professori protestavano più se lo
vedevano scattare qualche
foto in classe – a patto di non essere nel pieno della
lezione.
Quindi, non era troppo sorprendente
che anche quel giorno,
Lavi, fosse in giro con la reflex puntata
sul mondo e i capelli rossi scarmigliati dal vento. E neanche il fatto
che
Kanda stesse sbraitando contro di lui, era una novità.
L’unica cosa degna di nota
era il freddo, che aveva già
fatto mimetizzare le orecchie di Lavi tra i suoi capelli e aveva
già portato
Kanda oltre il suo – esiguo – limite di pazienza.
Adesso, nessuno ha mai capito che
cosa Lavi trovi in Kanda
né perché continui a trascinarselo in giro; ma
Lavi è strano, lo sanno tutti ,
e nessuno è rimasto troppo sorpreso quando ha eletto Kanda a
suo migliore amico senza nemmeno
chiedere al diretto interessato. La cosa stupefacente è che
Kanda, dopo anni di
rincorse, insulti e minacce, botte e davvero
poche risate (condivise, s’intende: Lavi ride
sempre, non fa altro che
ridere), non si sia ancora stancato di sopportarlo e non
l’abbia fatto a fette.
Il fatto è che anche Kanda
non è mai riuscito a spiegarsi
perchè, quindi ha aggirato il problema limitandosi a patire
ogni qual volta
Lavi gli ronzi intorno – ossia sempre. Kanda andrebbe fatto
martire.
Ma se c’è una
cosa che Kanda odia davvero dal profondo dal
suo cuore, è il freddo – e il caldo. E il vento
che gli scompiglia i capelli. E
le strade affollate. E lo smog. E la pioggia. E… - quindi,
dopo mezz’ora di
insulti diretti a chiunque, prese Lavi per l’orribile sciarpa
arancione, quella
che non si sa bene da dove è spuntata fuori ma da cui Lavi
non si separa mai, e
lo trascinò con poca grazia dentro il primo bar che
trovò.
Il rosso si limitò a
seguirlo, trotterellando contento e
scattando foto a qualsiasi cosa interessante potesse capitargli sotto
l’obbiettivo. Cioè più o meno tutto.
Il bar era pieno, e ai tavolini era
seduto praticamente
mezzo mondo, dalle coppiette in pieno approccio, alle compagnie di
amici troppo
numerose per lo spazio minimo dei tavoli, passando alle vecchiette
tutte prese
a parlare del passato, per poi arrivare agli uomini d’affari
e alle famiglie.
In questa accozzaglia di persone,
Lavi e Kanda si fecero
strada fino ad un tavolino libero, nascosto in un angolo, da dove Lavi
avrebbe
potuto fotografare tutti tranquillamente se solo non avesse saputo che
era
invasione della privacy altrui.
Non che poi lui ci facesse molto, con
le sue foto. Si
limitava a scaricarle tutte sul suo portatile, per poi smistarle nelle
varie
cartelle e rinominarle con il giorno in cui erano state scattate,
così da non
dimenticarsi niente per davvero. Ogni tanto ne eliminava qualcuna,
quelle
venute male o che non gli piacevano, ma raramente le rendeva pubbliche.
Linalee
l’aveva costretto ad aprire un blog, che lui aggiornava solo
di tanto in tanto
e solo con fotografie che non gli interessavano particolarmente,
perché pensare
di condividere le sue foto con altri gli faceva strano –
altri che non fossero
Kanda o Linalee, beninteso. - Le migliori, quelle di cui andava fiero o
quelle
dove c’erano i suoi amici, le stampava e le appendeva al
muro, sopra il suo
letto, e prima di dormire le guardava sempre.
Una cameriera dall’aria
impacciata e i lunghi capelli
castani venne a prendere le loro ordinazioni dopo un quarto
d’ora buono,
durante il quale Kanda aveva già perso e riacquistato la
pazienza più di una
volta. Lavi, la macchina fotografica davanti a sé, si era
limitato a sorridere
come suo solito mentre faceva scorrere le foto fatte in quel pomeriggio
di fine
novembre senza compiti da fare.
Ordinarono un cappuccino e un
thè, e la cameriera se ne andò
mormorando duemila e più scuse per averli fatti aspettare
così tanto. Lavi alzò
uno sguardo ridente su Kanda, sicuramente deciso ad infastidirlo come
al
solito, ma i suoi occhi si fermarono a metà strada. E
lì rimasero.
Esattamente a metà strada
tra la sua macchina fotografica e
Kanda c’era il ragazzo più bello che Lavi avesse
mai visto. No, in realtà Lavi
aveva visto un sacco di ragazzi sicuramente molto più belli
e affascinanti, ma quello, Dio,
sembrava un angelo. Vestito
da cameriere, però.
Sicuramente più piccolo di
lui di almeno due anni, con gli
occhi grandi e azzurri ed un sorriso che avrebbe fatto sciogliere anche
un
sasso . Certo, quei capelli bianchi erano un po’ disarmanti,
ma erano anche la
causa principale della sua aria da angelo. Doveva essere albino. O
tinto. In qualsiasi
caso adorabile, con quel suo faccino gentile e la divisa del bar.
- .. Lavi? – lo
chiamò Kanda, sollevando un sopracciglio.
Lavi, senza neanche accorgersi che l’altro l’aveva
chiamato per nome e non con
qualche soprannome-insulto, sospirò, lo sguardo che seguiva
i movimenti aggraziati
del cameriere-visione.
- Yuu – sospirò
ancora, con aria sognante, mentre il
cameriere sgusciava dietro il bancone per preparare qualsiasi cosa
dovesse
preparare. – credo di essermi innamorato. -
e solo l’ultima frase lo salvò dal
colpo che Kanda stava per tirargli
come punizione per averlo chiamato per nome.
Kanda, congelato sul posto, si decise
infine a seguire la
traiettoria dello sguardo di Lavi. E per qualche attimo rimase
interdetto,
siccome al bancone c’era una fila chilometrica di gente e le
sue possibilità di
individuare l’oggetto dei vaneggiamenti dell’amico
erano davvero poche. Poi lo
vide e tutti i suoi dubbi svanirono.
- oh, stai scherzando vero?
– ringhiò, guardando in cagnesco
il ragazzino dietro il bancone che sorrideva gentilmente ad una
cliente. –
quello è una mammoletta! –
- quello è un angelo, Yuu!
– esclamò infervorato Lavi,
beccandosi un colpo in testa. Lanciò un’occhiata
offesa all’altro, che lo
guardò con sufficienza.
- e non chiamarmi Yuu –
aggiunse, tanto per non smentirsi. Lavi
gli sorrise, ebete. La cameriera arrivò con le loro
ordinazioni, rischiando di
farle cadere a terra e filando via subito quando Kanda le
lanciò
un’occhiataccia.
- non spaventare la gente, Yuu
– lo ammonì il rosso,
beccandosi un’occhiata stizzita. – altrimenti
nessuno s’innamorerà mai di te al
primo sguardo –
E i suoi occhi tornano a cercare il
corpo agile del
ragazzino, memorizzandolo in ogni sua movenza. Poi, con un gesto
repentino,
afferrò la reflex e gli
scattò una,
due, tre foto per essere sicuri. Kanda tentò di mantenere la
calma.
- neanche sai il suo nome, Coniglio
Idiota! – gli sibilò
inviperito. Lavi alzò le spalle, sorridendogli bonario.
- e quindi? Fotografo un sacco di
gente di cui non so il
nome, non vedo che differenza faccia. –
Il giapponese alzò gli
occhi al cielo e, per quanto fosse
contrario ai suoi principi, cercò un discorso qualsiasi per
distogliere
l’attenzione di Lavi da quel ragazzino. Non che
gl’interessasse, comunque.
Semplicemente, non sopportava quel tizio a pelle. Sorrideva troppo e
sprizzava
gentilezza da tutti i pori. Odioso.
Quando, finalmente, uscirono dal bar,
dopo un’oretta
trascorsa tra le chiacchiere inutili di Lavi e i brontolii di Kanda, il
ragazzino dai capelli bianchi era già scomparso.
Probabilmente il suo turno era
finito, e alla cassa c’era uno strano tizio dal ciuffo bianco
che avrebbe fatto
concorrenza a Dracula. Lavi fece una foto anche a lui.
Lavi passò la settimana
successiva a mangiarsi le mani
pensando a quel ragazzino. Arrivò a stampare la foto venuta
meglio e a
tenersela sotto il cuscino. Kanda la passò ad insultarlo, ma
non fu tutta
questa novità, dopotutto. Linalee, la quasi-forse-ragazza di
Kanda nonché amica
d’infanzia di Lavi, si divertì a passarla cercando
di creare un piano per
perfetto per far incontrare Lavi e la
mammoletta, come lo chiamava Kanda.
Così, un pomeriggio, Lavi
si ritrovò davanti allo stesso
identico bar, la sacca dei compiti che pesava sulla spalla destra, il
laccio
della macchina fotografica attorcigliato alla sciarpa e il giubbotto
verde
militare che aveva ripescato con gioia dall’armadio due
giorni prima, visto che
pensava di averlo perso.
Lavi ha la brutta abitudine di
pensare troppo quando non
deve. Spesso si perde in infiniti giri mentali che non fanno altro che
confondere
inutilmente situazioni semplicissime. Forse è per questo
che, quel pomeriggio,
Lavi tentennava davanti all’entrata del locale, passando il
peso da un piede
all’altro e mordicchiando nervoso il bordo della sciarpa.
Faceva troppo freddo per aspettare
Kanda e Linalee lì fuori,
certo, ma entrare da solo voleva dire fissare spudoratamente e senza
alcuna
scusa il ragazzino dai capelli bianchi. Alla fine, dopo un paio di
minuti
passati in profonde riflessioni, decise che non c’era nulla
di male ad entrare e
che magari, ad un secondo sguardo, il ragazzino si sarebbe rivelato
meno
attraente. E poi, sebbene avessero deciso di trovarsi lì con
la scusa dei
compiti, sapeva che Linalee e Kanda erano ben lungi dall’idea
di farli davvero;
e lui doveva risolverle, in qualche modo, quelle equazioni. Non che
avesse
qualche problema a capirle, Lavi era il primo della classe in tutte le
materie,
anche in quelle inesistenti, ma gli dava fastidio fare gli esercizi di
fretta
prima dell’entrata del prof.
Così, preso un profondo
respiro e armatosi di coraggio
neanche stesse andando in guerra, il rosso varcò con aria
battagliera la porta
del bar, sedendosi ad un tavolino subito sotto le finestre appannate.
Si tolse il giubbotto, e
districò con calma la macchina fotografica
dalla sciarpa, prima di appoggiare entrambe contro il muro. Infine
frugò nella
propria cartella fino a trovare gli esercizi di matematica ed una
matita.
Stava giusto concludendo con successo
la seconda equazione, quando
un’ombra si stagliò alle sue spalle.
- pensavo fossi un fotografo.
– commentò con interesse una
voce argentina, che lo fece sobbalzare. Il rosso si voltò,
incontrando infine
lo sguardo gentile del cameriere-miraggio.
No, Lavi dovette ammettere che, ad un
secondo sguardo,
l’altro sembrava ancora più bello
dell’ultima volta. E dovette ammettere anche
di sentirsi come una ragazzina alla sua prima cotta – ma a
Kanda non l’avrebbe
mai detto, no.
- eh? – fu
l’unica cosa che il suo cervello riuscì ad
articolare. Il ragazzino si spostò leggermente, in modo che
Lavi non dovesse
più stare girato per guardarlo. Poi accennò alla
macchina fotografica con la
testa.
- l’altro giorno, quando
sei entrato, dico – gli disse, con
la naturalezza di chi è abituato ad avere a che fare con un
sacco di persone
tutti i giorni e ad essere gentile con tutti – con quella
macchina fotografica
lì e da come la trattavi, sembravi un fotografo
professionale. Non uno studente
–
- ah. Eh. ah, no. è solo
un hobby – balbettò Lavi
sconclusionatamente, mentre nel suo cervello delle scimmie facevano
festa
gridando: “mi ha notato l’altro giorno! Mi ha
notato!”
- dev’essere bello
– continuò l’albino, picchiettandosi
pensosamente la penna per le ordinazioni sulle labbra. Labbra che Lavi
fissò
spudoratamente sperando che l’altro non lo notasse. Annuì, tanto
per non sembrare completamente
idiota.
L’albino
sospirò, socchiudendo gli occhi azzurri.
- vabbè. Ordini?- gli
chiese, con un sorriso che lo abbagliò
completamente. Lavi tentò di collegare il cervello.
- ah. Uh. No, aspetto degli amici
–
- va bene –
annuì il cameriere, facendo per andarsene. Lavi
si rese improvvisamente conto che, con davanti Kanda e Linalee non
avrebbe
osato parlargli neanche sotto tortura quindi:
- ehi! –
lo richiamò,
facendolo voltare. – io mi chiamo Lavi. – gli
disse.
Stupido,
stupido. Si
maledì, trattenendo a stento la voglia di picchiare
ripetutamente la fronte sul
legno del tavolo. Tra
tutte le frasi ad effetto che potevi dire,
proprio quel patetico “io mi chiamo Lavi”, dovevi
tirar fuori.
Ma il ragazzino, al posto di
scoppiargli a ridere in faccia
– come Lavi stesso avrebbe fatto, d’altronde
– gli sorrise gentilmente.
- Allen. – disse, senza che
Lavi ponesse alcuna domanda. – e
mi piacerebbe guardare qualcuna delle tue foto, la prossima volta, Lavi –
Lavi rimase a bocca aperta, mentre
Allen scivolava via tra i
tavoli. Quel ragazzino dall’aria così innocente
non poteva aver davvero
pronunciato una frase del genere. Non poteva, capite, perché
nella testa di
Lavi era come se l’altro gli avesse chiesto di fargli vedere
la collezione di quelchecaspitaera
che si trovava in
camera sua, esattamente sul letto. E non poteva aver pronunciato il suo
nome in
quel modo. No, Lavi si stava sicuramente sbagliando.
Allen scomparve tra i tavoli e Lavi
fu costretto a spostare
lo sguardo sui propri compiti, pur di non fissare il vuoto come un
ebete. Li
stava ancora guardando, la matita sollevata a mezz’aria non
aveva aggiunto
neanche un numero in più, quando Kanda si lanciò
con un grugnito infastidito
nel posto di fronte al suo. Lavi lo guardò allucinato,
mentre anche Linalee si
sedeva, con molta più grazia.
- ciao, Lavi – disse,
sorridendogli. E Lavi si ritrovò a
pensare che era carina, con i capelli lunghi e scuri raccolti nei due
codini e
gli occhi luminosi. Si ritrovò anche a pensare che Allen
fosse decisamente più
bello, ma si limitò ad un: - ciao –
- successo qualcosa? –
domandò lei, incuriosita dal suo tono
probabilmente ancora inebetito. Il rosso sentì il sangue
affluirgli
prepotentemente alle guancie sotto lo sguardo malizioso di Linalee e
quello
pungente di Kanda. Aprì bocca per rispondere con qualche
verso sconclusionato,
ma Allen riapparve, blocchetto e penna in mano.
- ordinate? – chiese con un
sorriso leggermente più teso di
quelli che aveva riservato a Lavi. Il rosso immaginò che
stare dentro quel
posto pieno di gente avrebbe irritato chiunque, quindi non ci fece
troppo caso.
Dietro di loro, la cameriera che li aveva ervsiti l’ultima
volta fece volare
per terra una tazza di cioccolata. Allen si voltò.
- midispiacemidispiacemidispiace
– piagnucolò quella,
affrettandosi a ripulire il più velocemente possibile. Allen
arricciò il naso
con aria rassegnata, poi tornò a guardare loro.
- iiio prenderò un
caffè d’orzo, grazie –
cinguettò Linalee,
rivolgendo al cameriere un sorriso smagliante.
–e per lui un thè al limone - continuò
indicando Kanda.
Allen ricambiò il sorriso,
poi spostò lo sguardo su Lavi,
che deglutì il suo “avete qualcosa per gli ormoni
impazziti?” e articolò un: -
cappuccino, grazie –
Allen annotò tutto e se ne
andò silenzioso; in qualche modo
Lavi rimase deluso: certo, non si conoscevano, ma il modo con cui il
ragazzino
gli aveva parlato prima gli aveva fatto sperare in un qualcosa di non
ben
definito e si sarebbe aspettato almeno un sorriso rivolto a lui.
Linalee gli lanciò
un’occhiata incuriosita.
- quindi? –
domandò, picchiettando le dita sul tavolo. Kanda
grugnì qualcosa riguardo il farsi
i fatti
propri. Lavi lo ignorò e cominciò a
parlare.
Linalee ha la brutta abitudine di
cacciare sempre il naso in
quello che non le riguarda. Kanda, con la sua aria che vorrebbe
sembrare truce
ma che in realtà è preoccupata, le dice sempre di
smetterla, perché un giorno
finirà nei guai e blablabla.
E dire
che Kanda di solito si limita ad ignorare tutto e tutti.
E, pur sapendo che Lavi sapeva
cavarsela benissimo in
situazioni amorose e/o sessuali, s’intromise comunque.
Più che altro perché ci
teneva a riavere il solito Lavi, che era stato sostituito da
quell’essere
balbettante e inebetito.
Insomma, Lavi non era
così! Lavi passava il suo tempo a
flirtare con chiunque gli capitasse a tiro, quando non era troppo
impegnato a
fotografare qualcosa o a dare fastidio a Kanda. Quindi doveva essere
una cosa
seria. Quindi Linalee si sentiva in dovere di riportare Lavi sulla
retta via,
perché era convinta che avrebbe sicuramente fatto colpo
semplicemente essendo
se stesso. Quindi,
finito di ascoltare
Lavi e di consumare quello che avevano ordinato, Linalee
trascinò fuori Kanda e
lasciò a Lavi l’ingrato compito di andare alla
cassa, dove Allen stava
amabilmente chiacchierando con il doppione del conte Dracula suo
collega.
Con passo baldanzoso (e la fedele reflex al collo) si diresse a pagare,
convinto che attaccare
bottone e quindi chiedere un appuntamento all’altro sarebbe
stato facile –
Linalee ha la pessima capacità di far credere agli altri che
le cose siano
semplici.
La sua baldanza scomparve non appena
Allen, senza neanche
degnarlo di uno sguardo, gli comunicò in modo lapidario il
totale. Il rosso,
tentando di non assumere l’aria da cane bastonato che fa
quando le cose non
girano nel verso che vuole lui, tirò fuori i soldi in
silenzio.
Prese il resto e stava per mettere
via il suo portafogli e
andarsene quando: - carina, la tua ragazza –
commentò l’altro con un tono quasi
di rammarico, alzando finalmente gli occhi su di lui.
Lavi lo guardò perplesso,
cercando di collegare i neuroni:
lui non aveva mica la ragaz.. Ah!
- ah! Di.. dici Linalee? –
Allen inarcò un sopracciglio e
Lavi trattenne a stento la risata. – ma non è la
mia ragazza! –
Allen aggrottò le
sopracciglia, tentando probabilmente di
capire se Lavi stesse dicendo o meno la verità. Lavi
tentò di sembrare il più
sincero possibile: non voleva certo che l’altro pensasse che
lui fosse
occupato, anche perché non lo era nemmeno da lontano..
- ah – esalò
l’albino, quasi sollevato.
.. ma non voleva neanche che puntasse
Linalee!
- t’interessa lei?
– domandò il rosso, pregando tutti gli
dei, esistenti e non, di essersi sbagliato. - perché, sai,
non è che stia
proprio con l’altro tizio che c’era al tavolo,
però quasi. E lui non è
esattamente un tipo amichevole
–
Allen arrossì fino alla
radice dei capelli.
- no che non m’interessa!
– esclamò, tutto agitato. – era
solo per sapere. –
Lavi gli sorrise con fare ammiccante
e quello arrossì ancora
di più. Aveva la stessa tonalità delle fragole. A
Lavi sarebbe piaciuto fargli
una foto.
Il campanile della chiesa che stava
ad un isolato di
distanza suonò le sei, e Lavi impallidì. il
Vecchio l’avrebbe ucciso: gli aveva
promesso che avrebbe pulito casa e invece era stato fuori tutto il
giorno. E
neanche aveva finito i compiti.
- qualcosa non va? –
domandò Allen, notando che l’altro si
era irrigidito.
- n.. no, niente. Tutto ok.
– con la coda dell’occhio notò
qualche cliente che si dirigeva alla cassa. – sarà
meglio che vada, prima di
fermare la fila –
- si – concordò
Allen, lanciandogli uno sguardo strano. Lavi
era a metà tragitto tra la porta e la cassa quando: - senti!
– lo richiamò
l’altro. Il rosso cercò di non avere un sorriso da
orecchio ad orecchio, quando
si girò. – tra mezz’ora finisco il turno
e.. se ti va possiamo.. non lo so.
Puoi farmi vedere le foto. –
- certo, perché no.
– si ritrovò a dire Lavi, passandosi una
mano tra i capelli ribelli nel tentativo di scacciare la voglia di
urlare come
una ragazzina – dove ti aspetto? -
- c’è una
panchina, qui di fronte. Puoi aspettarmi lì, se ti
va –
Lavi annuì, poi
uscì dal bar. Guardò il cielo grigio e
pensò
al Vecchio, alla casa da pulire e a tutte le botte che avrebbe ricevuto
quella
sera. Infine sorrise.
Allen ha la brutta abitudine di non
avere abbastanza fiducia
in sé, quando si tratta di questioni
amorose/sentimentali/sociali.
Forse è per questo che non
si aspettava davvero che Lavi
l’avrebbe aspettato seduto lì, sulla panchina,
chino sugli stessi fogli su cui
l’aveva visto scribacchiare prima.
Forse è per questo che,
quando incominciò a piovere e Lavi
si offrì di riaccompagnarlo a casa con quel suo ombrellino
verde acido, Allen
tentò di declinare l’offerta –
ovviamente Lavi l’ebbe vinta; perché quello che
l’albino ancora non sapeva era che Lavi, in qualche modo, la
spunta sempre.
Così, si
ritrovò stretto al rosso, sotto un ombrello
chiaramente progettato per una persona sola e rotto, per di
più. Lavi era
chiaramente contento di questo contatto, e non si dava neanche troppa
pena nel
tentare di nasconderlo: ciarlò per tutta la durata del
tragitto,
ininterrottamente, mentre Allen lo ascoltava quasi rapito,
interrompendo i suoi
monologhi solo con qualche questione, e rispondendo quando Lavi gli
poneva una
domanda a sua volta.
Lavi tastò il terreno in
tutti i modi possibili, cercando di
intuire quali tasti non andassero schiacciati e quali argomenti erano
terreno
sicuro per entrambi, scoprendosi sempre più attratto da quel
ragazzino tutto
modi gentili e sorrisi imbarazzati.
Quando infine Allen gli
annunciò che erano arrivati, erano
già le sette di sera e Lavi udiva chiaramente le urla
furiose del Vecchio,
anche a kilometri di distanza.
Si trovavano davanti ad un condominio
grigio e non
esattamente messo bene, circondato da un cortiletto coperto di foglie
cadute.
- abito al secondo piano –
disse Allen, anticipando la
domanda di Lavi, che alzò lo sguardo verso le finestre.
– le ultime due a
destra – aggiunse quindi l’albino, mentre cercava
la chiave del cancello.
- non è ancora arrivato
nessuno – commentò Lavi, notando le
luci spente.
- abito da solo –
spiegò Allen, e Lavi si voltò a guardarlo
con aria stupita e.. si, anche un po’ stupida.
- e i tuoi? –
domandò, dandosi dell’idiota subito dopo:
forse era uno di quei tasti da evitare.
- mio padre è morto quando
ero piccolo e il mio tutore è
sempre in viaggio: di solito stavo con lui, ma ha deciso che era ora
che me la
cavassi da solo, così mi ha comprato
l’appartamento e trovato il lavoro; poi ha
fatto le valige e se n’è andato. –
Allen aprì il cancello ed
entrò nel cortile, tenendo lo
sguardo basso mentre parlava.
Lavi sbatté le palpebre,
assorbendo più informazioni
possibili e notando che non aveva citato la madre. Tasto dolente. magari più avanti, si disse.
- quanti anni hai, scusa? –
balbettò.
- 16, perché? –
Lavi lo rimirò
affascinato: quel ragazzino aveva solo sedici
anni e già viveva da solo. Certo, anche Lavi aveva perso i
suoi genitori, ma il
Vecchio si era sempre preso di cura di lui.
.. e questo gli ricordava che era in
ritardo stratosferico e
che il suddetto nonno amorevole gli avrebbe spaccato la testa a
padellate non
appena avesse varcato la soglia.
Lavi scosse la testa.
- vorrà dire che
verrò a farti compagnia – esordì
allegro,
sorprendendo l’altro, che gli sorrise imbarazzato.
- se ti va – gli disse
Allen, armeggiando con il mazzo di
chiavi, forse alla ricerca di quella che avrebbe aperto il portone.
Lavi
sorrise e annuì, salutandolo con un cenno della mano mentre
si avviava lungo la
strada.
Inutile dire che, il giorno dopo,
Lavi arrivò a scuola con
un gigantesco bernoccolo in testa.
Lavi ha la brutta abitudine di
coinvolgere gli altri in
qualsiasi cosa lui faccia, volenti o nolenti.
Così, un sabato mattina di
metà dicembre, il rosso piombò
nell’appartamento di Allen con aria entusiasta.
- ho avuto l’idea del
secolo! – strillò, ancora piantato
sulla soglia.
Allen, dopo un paio di minuti,
aprì finalmente la porta
della sua camera da letto, mettendo fuori giusto il naso.
- cazzo vuoi all’alba di
sabato mattina? – ringhiò, con voce
assonnata, e Lavi pensò solo frequentare
Yuu gli fa male, prima di replicare:
- ma sono le 11:30! –
- appunto –
annuì Allen, passandosi la mano destra tra i
capelli, nel tentativo di districare i nodi.
Lavi sbuffò divertito,
incrociando le braccia al petto.
- ma ti ho portato le brioches!
– tentò ancora, mostrandogli
il sacchetto di plastica della sua pasticceria preferita.
L’urlo che seguì
colse Lavi preparato al peggio, ed Allen,
con una voce molto simile a quella di Ade signore degli Inferi,
ruggì: -
ciiiibo –
Il rosso rise, avanzando verso
l’altro e sventolandogli il
sacchetto sotto il naso. Nelle ultime settimane aveva imparato a
conoscere
l’altro meglio delle proprie tasche e già aveva
rinunciato a capire lo stomaco
sempre affamato di Allen, imparando però a sfruttarlo a
proprio vantaggio.
- mi ascolti? – chiese
allora, ed Allen annuì, lo sguardo
fisso sul sacchetto che dopo pochi attimi finì tra le sue
mani.
Lavi sorrise soddisfatto, andando a
chiudere la porta che
aveva lasciato aperta e a spalancare le tende per fare entrare un
po’ di luce
in quel buco di appartamento che si ritrovava Allen. Non che Lavi, la
prima
volta che c’era entrato, s’aspettasse
chissà che: d’altronde Allen era ancora
un ragazzino, che stava fuori tutto il giorno e che viveva da solo; di
spazio
non gliene serviva molto.
Nonostante questo, il rosso trovava
piacevole passare le
serate seduto su quel divano verde consunto, davanti alla TV a guardare
un film
dell’orrore con quel ragazzino. E non gli dispiaceva neanche
poter entrare
tutte le volte che gli andava: Allen gli aveva fatto una copia della
chiave,
sostenendo – con un’espressione adorabile, tra
l’altro – che gli faceva piacere
avere qualcun altro sempre in giro per casa, oltre a Timcampi il
canarino
(unico ricordo di Cross Marian, tutore legale di Allen).
E Lavi conservava quella chiave come
se fosse stata un
piccolo tesoro. Insomma, voleva dire che Allen apprezzava la sua
compagnia, no?
– non come Kanda, che pur di liberarsi di Lavi aveva
più volte attentato alla
sua vita.
- che volevi dirmi? –
domandò Allen dalla cucina, finita la
colazione e riacquistando la solita espressione gentile. Ed
è per quello che
Lavi lo ama; ma è anche per quello che Lavi ha fatto
l’enorme cazzata di non
saltargli addosso alla prima occasione – e ce
n’erano state tante.
Perché, Lavi, non sarebbe mai riuscito a spingersi oltre con Allen:
non avrebbe mai potuto pensare di
essere rifiutato e
quindi di non vedere mai più l’altro. Meglio
l’amicizia che niente, s’era
detto.
Così si diresse in cucina,
appollaiandosi su una sedia e
osservando Allen dall’altro capo della tavola.
- che ho avuto l’idea del
secolo – spiegò quindi, lasciando
che Timcampi, gli beccasse amorevolmente il dito che aveva introdotto
nella
gabbietta per fargli una carezza.
- è almeno la quinta da
quando ti conosco, Lavi – sospirò
divertito Allen, guardando con poco interesse la tenacia che il proprio
canarino stava mettendo nel beccare il dito dell’amico.
Lavi rise, allontanando la mano da
Timcampi ed allungandosi
verso Allen per fargli un buffetto sulla guancia: - ovvio –
replicò – è perché
sono un genio –
L’albino inarcò
un sopracciglio con fare scettico,
arrossendo un poco e alzandosi per aprire la credenza alla ricerca del
mangime
per Timcampi, che aveva preso a cinguettare con insistenza.
- vedrai, ti piacerà
– gli assicurò il più grande,
sorridendogli convinto.
In effetti,
pensò
Allen esattamente quindici giorni dopo, mentre spingeva un carrello
stracolmo
al supermercato, con Lavi tutto preso ad osservare con occhio critico
lo
scaffale dei salatini, l’idea non
è male.
Ma non è neanche l’idea del secolo.
Allen non aveva mai festeggiato il
Capodanno, a Cross le
feste che non poteva passare in compagnia di qualche amante non
piacevano,
quindi per lui non era nulla di speciale: il giorno prima si era in un
anno, il
giorno dopo la cifra aumentava di uno. Nulla di chè.
Ma Lavi aveva insistito tanto, era
addirittura riuscito a
convincere Kanda ad unirsi a loro – Linalee era scontata,
tanto che ormai
passava una sera sì e una no al telefono con
l’albino – e Allen già aveva
imparato che Lavi la spunta sempre.
- ma a tuo nonno andrà
bene? – aveva domandato il più
piccolo, preoccupato, quando Lavi gli aveva fornito tutti i dettagli
della sua magnifica idea; ma il
rosso aveva alzato
le spalle con noncuranza e: - quello non vede l’ora che me ne
vada fuori dalle
balle, figurati se gli dispiace –
Quindi, la mattina del trentun
dicembre si erano dati
appuntamento al supermercato subito dietro casa sua, ed ora erano alla
ricerca
di qualsiasi cosa si potesse ingurgitare senza troppo fastidio fino a
mezzanotte. A Linalee e Kanda era toccato l’acquisto delle
bibite (alcoliche, ci aveva tenuto a
precisare
Lavi).
E ad Allen sembrava di aver passato
intere ore, in quel
posto gigantesco e stracolmo di scaffali.
- prendiamo anche queste, che dici?
– chiedeva nel frattempo
Lavi, mostrandogli un pacco di patatine dal gusto impossibile. Allen
alzò le
spalle sorridendo. Alla fine, a lui sarebbe bastato ordinare una
cinquantina di
pizze prima di cena (cosa che avrebbero fatto comunque).
Kanda e Linalee arrivarono alle 19:30.
Il citofono del palazzo di Allen ha
la brutta abitudine di
non funzionare, e così a Lavi toccò rimanere
affacciato alla finestra per un
bel po’, mentre Allen finiva di sistemare la casa –
Timcampi era già stato
chiuso in bagno, dove sarebbe rimasto per il resto della serata.
Il tavolo, che di solito stava in
cucina, era stato spostato
in salotto, subito a lato del divano, ed era coperto di salatini,
ciotole di
patatine ed altre schifezze varie. Allen non sapeva dove avrebbero
ficcato le
bibite, ma se lo sarebbero fatti andare bene.
Lavi aveva tirato indietro il divano
per far spazio ad un
tavolino in vetro che aveva scovato nella cantina del Vecchio e che si
era
trasportato fino a lì – o meglio, Kanda aveva
scarrozzato lui e il tavolino
fino al cancello con la macchina nuova. Allen aveva riso tutto il
tempo,
guardandolo mentre Lavi cercava di tirarlo fuori
dall’ascensore.
La camera da letto di Allen,
già piccola di suo, sembrava
ancora più stretta del solito a causa dei due materassi e
del sacco a pelo
verde buttati per terra, dove avrebbero dormito gli ospiti –
il divano era
troppo scomodo, per questo scopo.
(Lavi
fece in modo di occupare il materasso subito sotto il letto di Allen,
quello
incastrato nell’angolo di fianco al balconcino.)
Kanda s’infossò
sul divano non appena potè, la solita
espressione truce sul volto e le braccia incrociate, mentre Linalee e
Allen
chiacchieravano in cucina e Lavi ordinava le pizze al telefono.
- che pizza vuoi, Yuu? –
chiese, saltandogli addosso e
facendo rimbalzare il telecomando per terra. Ricevette una testata in
risposta.
Dopo averlo guardato per un paio di secondi con aria sorpresa, riprese
a
sorridere come un ebete e: - una diavola – disse giulivo
(schivando per un pelo
un pungo di Kanda) a Bak, il ragazzo della pizzeria, che ormai il
conosceva:
chiamavano Jerry’s per
qualsiasi
situazione, e chiunque rispondesse al telefono aveva smesso di
sorprendersi nel
sentire rumori molesti dall’altro capo - tranne Lou Fa, che
ancora pensava che
passassero il loro tempo a stuprare Allen.
- si, si. Una diavola, due margherite
e una quattro
formaggi. Ah-h. Sì, siamo da Allen. Per le 20:30. Perfetto.
Va bene. Grazie,
eh. Buone Feste anche a te! ♥
-
Appese e lanciò con
noncuranza il proprio cellulare sul
divano, prima di abbrancarsi a Kanda e cominciare a fargli le fusa,
ridendo dei
suoi tentativi di scollarselo di dosso.
- arrivano per le 20:30? –
domandò Linalee, afferrando una
manciata di patatine.
- gggià. –
annuì Lavi, grattandosi il naso sul collo di
Kanda, che emise un grugnito schifato. – giochiamo alla Wii?
–
La Wii nera attaccata alla TV di
Allen era un regalo che gli
altri tre gli avevano fatto per il compleanno e per Natale. Ma siccome
l’idea
era di Lavi e tutti avevano concordato, nessuno aveva ovviamente
pensato di
comprare anche un gioco; così erano costretti tutte le volte
a noleggiarli.
Lavi aveva riso un sacco, quando se n’erano accorti.
- che avete preso? –
domandò Allen, sputacchiando patatine
da tutte le parti.
- Just Dance 3, Mario Kart e Mario
Bros. – lo informò
Linalee, frugando nella propria borsa. – ce li abbiamo, i
quattro telecomandi,
giusto? –
Allen annuì, la bocca
piena.
- io non gioco –
sbuffò Kanda, per non smentirsi nemmeno a
Capodanno.
Alla fine giocò comunque,
e vinse anche più partite degli
altri messi assieme. Lavi ci tenne a precisare più volte che
era colpa delle
pizze, che arrivarono puntualissime e che finirono sul tavolino di
fronte al
divano, distraendoli. (Just Dance fu l’unico gioco in cui
Kanda non vinse mai
ma, ammettiamolo, non s’impegnò più di
tanto) .
Mancavano dieci minuti a mezzanotte
quando, birre in mano e
TV accesa a tutto volume su uno di quei fastidiosissimi programmi di
fine anno,
i quattro si trascinarono fino al balcone della camera di Allen, pronti
ad
osservare i fuochi d’artificio che, di lì a breve,
sarebbero stati lanciati
dalla piazza principale.
Anche Kanda, che era andato ben oltre
le solite due birre,
perse la sua aria truce per qualche attimo, osservando il cielo
tingersi di
colori sgargianti mentre le urla della TV annunciavano
l’inizio di un nuovo
anno - senza
però raggiungere il livello
di Lavi che, ubriaco perso, cantava ininterrottamente Fireworks
di Katy Perry da quando erano usciti all’aria
gelida.
Linalee e Allen si limitavano a ridere, un po’ per
l’alcool un po’ per la
pessima performance di Lavi.
Quando anche le urla in TV si
acquietarono e i fuochi
d’artificio divennero solo un ricordo sbiadito, Linalee, con
aria sognante,
sospirò un: - buon anno, ragazzi – prima di
accasciarsi addormentata contro
Kanda, che la trascinò sul suo materasso con un mezzo
grugnito assonnato, tra
le risatine di Lavi e Allen.
Quando, dopo dieci minuti che Kanda
sembrava essere stato
inghiottito dall’appartamento di Allen, i due si sporsero a
guardare
all’interno, lo scoprirono addormentato accanto a Linalee.
Lavi rise, andando ad appoggiarsi
contro la ringhiera del balcone.
Allen, preso da un istinto suicida, tentò di arrampicarcisi
e di sporgersi un
po’ più in là, per vedere cosa
succedeva in fondo alla strada. Lavi lo afferrò
per i fianchi: - ahaha Aaa-Ahllen, tu non ha le ali, ahha -
L’albino rimase attaccato
alla ringhiera, il viso volto
verso il cielo.
- sai, Lavi –
cominciò, con tono assonnato e leggermente
malinconico, senza però mollare il metallo della balaustra
– sono contento di
averti conosciuto –
Lavi ridacchiò,
appoggiandosi scompostamente all’altro.
- anche io –
- no, dico sul serio! –
s’infervorò Allen, voltandosi verso
di lui e guardandolo con gli occhi azzurri leggermente appannati
dall’alcool. –
se non avessi conosciuto te, probabilmente ora sarei ancora solo come i
primi
giorni, e neanche mi sarei lamentato se Tyki m’avesse dato il
turno del 24 e..
–
- Tyki è stato davvero
stronzo a farti lavorare anche la
Vigilia – concordò il rosso, strusciando una
guancia sulla schiena dell’altro. In
quel momento, però, Tyki – il sexy portoghese
proprietario del bar, quello che
aveva avuto la pessima idea di chiamare il proprio locale Noah’s Ark, attirando
così un sacco di preti lazzaroni – era
davvero l’ultimo dei suoi pensieri. Anzi, Lavi non pensava
proprio. A che cosa
serviva pensare, quando eri abbrancato alla schiena di Allen Walker
come una
cozza allo scoglio?
- .. e forse non avrei festeggiato il
mio compleanno, perché
a che serve festeggiare quando non hai nessuno?- continuò
l’albino, senza dare
segno di aver sentito il suo commento - Ecco, se non ci fossi stato tu
sarei
stato davvero solo. Ma davvero davvero. E, Lavi, se tu te ne andassi
adesso, io non riuscirei a tornare a vivere come prima,
perché prima ero solo e
non avevo nulla da perdere, e adesso ho te, Linalee e anche Kanda, e..
e.. io
non saprei davvero cos.. –
Lavi si sporse sempre di
più verso di lui, fino ad arrivare
a due centimetri dal suo viso. Davvero, cosa serviva pensare? Non
gl’interessava neanche se Allen avesse trovato strano il suo
comportamento,
voleva solo sentire un po’ di più quel calore
delizioso che l’albino emanava. O
forse era solo l’effetto dell’alcool?
- oh, sta’ zitto
– commentò vagamente annoiato,
interrompendo il monologo dell’altro. – non me ne
vado mica – e, detto questo,
annullò completamente la distanza irrisoria tra le sue
labbra e quelle di
Allen, ammutolendolo con un bacio che ancora sapeva di birra, prima di
crollare
addormentato sulla sua spalla.
- capisci, Lina? –
sussurrò concitato qualche giorno dopo
Allen, mentre era in pausa dal lavoro, stringendo il telefono come se
fosse la
sua unica ancora di salvezza. – mi ha baciato.
E poi si è addormentato sulla mia spalla! –
- ma è stato un bacio a
stampo, si? – fu la risposta di
Linalee, troppo impegnata a maledire Lavi in tutte le lingue del mondo
per
prestare davvero attenzione allo shock di Allen.
- ma chi se ne frega! Linalee, mi ha baciato. Baciato. Hai capito? E non si
ricorda niente! Niente! Che
cosa dovrei fare, si può sapere? –
- bhe, puoi dirglielo o puoi andare
avanti come se niente
fosse successo: per quanto Lavi sembri stupido, in realtà
nota più cose di
tutti quanti messi assieme. Non credere che non si accorgerà
che lo stai
evitando, perché già stamattina è
andato da Kanda chiedendogli che cosa si
ricordasse lui dell’altra sera. Lo sa
che è successo qualcosa. –
- e che cosa dovrei dirgli?!
– esclamò Allen, abbassando
subito il tono di voce quando Miranda, la cameriera che aveva servito
Lavi e
Kanda il primo giorno, gli lanciò un’occhiata
incuriosita. – che mi ha baciato?
E poi? –
- potresti dirgli che ti è
piaciuto – suggerì in tono
conciliante Linalee, allontanando il telefono dalla bocca solo per
salutare suo
fratello che usciva per andare al lavoro.
- ma io non ho detto che mi
è piaciuto! – replicò Allen,
sentendo le guancie scottare come fuoco. O forse l’aveva
detto? Non se lo
ricordava, aveva solo digitato il più in fretta possibile il
numero dell’amica
per poi lasciare che le parole gli scorressero fuori come un fiume in
piena.
- ma non è
così? – lo stuzzicò Linalee, con un
risolino
malizioso. – altrimenti non saresti così
preoccupato, no? Se non ti fosse
piaciuto, non ti saresti messo a pensare a come reagire,
perché lo sappiamo
tutti che Lavi fa cose strane ogni volta che può, e quindi
avresti archiviato
la faccenda. –
Allen arrossì ancora di
più, stringendo le labbra per non
farsi sfuggire qualche verso strano. Cosa voleva significare, quello?
Che Lavi
gli piaceva? Ma lui era un maschio! E anche Lavi lo era!
- n.. non lo so –
balbettò, più confuso che mai. Lanciò
un’occhiata all’orologio. Era tardi, avrebbe dovuto
aver già finito la pausa
dal almeno cinque minuti. E a Tyki i ritardatari non piacevano.
– devo andare.
Ci sentiamo –
Agganciò senza nemmeno
attendere risposta, tornando al
lavoro tra borbottii vari.
Lavi ha la brutta abitudine di notare
tutto, qualsiasi cosa.
Quindi era ovvio che notasse che
c’era qualcosa che non
andava, in Allen, dopo due giorni che evitava di rispondere alle sue
chiamate e
che non lo trovava mai a casa.
Il problema era: che cosa era
successo? L’ultima cosa che
ricordava della notte di Capodanno era .. bhe, a dir la
verità non era
esattamente certo di ricordarsi qualcosa con precisione. Certo,
ricordava che
erano usciti sul balcone ma la cosa finiva lì. Il ricordo
subito dopo era il
terribile mal di testa che aveva la mattina dopo al risveglio e il
brontolio
sonoro della pancia di Allen. Detestava non riuscire a ricordare nulla,
e le
poche foto che aveva scattato non erano affatto utili.
Era addirittura andato a casa di
Kanda, riversandogli tutti
i suoi pensieri addosso.
- ma che cosa ho fatto, secondo te,
Yuu? – aveva domandato
disperato, mangiucchiandosi le unghie.
- prima di tutto: non chiamarmi Yuu
– gli ordinò Kanda,
tirandogli una spinta e andando a sistemare qualche libro nella stanza
affianco
– e poi chi ti dice che sia stato tu
a fare qualcosa? –
Non sembra, ma a volte Kanda sa
davvero essere un buon
amico. E dare ottimi consigli.
- altrimenti Allen non mi eviterebbe!
– esclamò il rosso,
trotterellandogli dietro. – e poi me lo sento! –
Kanda gli lanciò
un’occhiata perplessa, sbuffando
contrariato.
In quel momento, il fratello di
Kanda, Alma, entrò in casa,
gridando ad alta voce qualcosa riguardo una ragazza bionda da sogno e
sul freddo
porco che faceva fuori. Kanda neanche si degnò di
rispondergli.
- dai, Yuu, davvero. Cosa posso aver
mai fatto? Ero ubriaco,
nessuno fa attenzione alle cose che faccio da ubriaco! –
- forse l’hai baciato
– suggerì allegramente Alma, facendo
irruzione nella stanza con un sacchetto del McDonald’s in
mano: - volete? –
chiese poi, sballottando la busta.
Lavi fece un salto di mezzo metro: - COSA?! –
strillò, lanciandosi poi in una
nenia di nononononodioNO!
- sta bene? –
domandò Alma, avvicinandosi al fratello. – io
stavo solo scherzando -
- omiodiohorovinatotuttosonouncretino!
– reincarnò Lavi, rannicchiandosi su se
stesso.
- ti sembra stia bene? –
replicò Kanda, tornando a sistemare
il libri con un’alzata di spalle.
Lavi
è un tipo
abbastanza diretto. Se deve dirti una cosa te la dice, anche se
probabilmente
prima c’ha pensato sopra mille volte – tornando
sempre al punto di partenza,
comunque.
E Allen non poteva evitarlo in
eterno, capite? Lavi aveva il
doppione delle chiavi di casa sua! E sapeva perfettamente i suoi turni
al
lavoro.
Allen, comunque, sapeva che avrebbero
dovuto chiarirsi in
qualsiasi caso. O meglio, lui doveva chiarirsi le idee per poi decidere
che
cosa fare con Lavi. Ma una cosa, ormai, l’aveva capita:
Linalee aveva ragione.
Il bacio gli era piaciuto, ma non sapeva se per l’alcool o
perché era
interessato a Lavi. O meglio, lo sapeva, ma aveva troppa paura di
ammetterlo
perfino a se stesso. Insomma, Lavi poteva anche averlo fatto
perché era
ubriaco, non per reale interesse nei suoi confronti. E se
l’avesse rifiutato?
Si mordicchiò nervosamente
l’interno della guancia destra,
dove una fiacca aveva già iniziato a crearsi, mentre
stringeva nervosamente le
chiavi del proprio appartamento. Attaccate ad esse,
c’era il portachiavi a forma di coniglio che
Lavi gli aveva regalato senza una scusa ben precisa.
A guardarlo si sentiva ancora più in colpa.
Dobbiamo
parlare.
L’unica cosa scritta nel
messaggio che Lavi gli aveva
inviato quella mattina, probabilmente durante l’intervallo. E
Allen si era
irrigidito, perché sapeva che questa volta non sarebbe
riuscito a scappare:
Lavi faceva sul serio – e la mancanza di faccine idiote ne
era la prova.
E ora, davanti alla porta del suo
appartamento dove sapeva
avrebbe trovato Lavi, avrebbe solo voluto sotterrarsi da qualche parte
e non
uscire mai più.
Certo, Linalee sarebbe venuta a
dissotterrarlo, ma tanto
valeva la pena provare.
Deglutì a vuoto, infilando
la chiave nella toppa e aprendo
la porta. Lavi era lì, seduto sul suo divano a guardare la
TV. Il volume era
talmente alto che all’inizio Allen pensò che
l’altro non l’avesse sentito
entrare, ma poi Lavi si voltò verso di lui.
- pensavo saresti rimasto davanti
alla porta ancora per un
po’ – commentò sarcastico, tornando a
guardare la TV. Allen si sentì ancora più
in colpa.
Chiuse la porta, tolse la giacca e
andò a sedersi accanto a
Lavi. Per un po’ rimasero così, lo sguardo
incollato allo schermo senza
prestare realmente attenzione.
Capitava che Lavi stesse zitto,
quando erano insieme. Era
raro, certo, ma succedeva. Solo che di solito Lavi gli era sempre
addosso,
sempre sorridente, sempre pronto a sparare cazzate. Fu forse in quel
momento
che Allen si rese davvero conto, di
quanto Lavi gli fosse mancato. E di quanto gli mancasse
tutt’ora.
Timcampi cinguettò dalla
cucina.
Lavi tirò un sospiro
pesante. Non sapeva se Alma avesse
indovinato o meno, ma non ne poteva più di quella
situazione; così disse
l’ultima cosa che Allen si sarebbe aspettato:
- mi spiace –
L’albino lo
guardò stranito.
- come? –
balbettò.
- scusa. Probabilmente ho fatto
qualcosa di sbagliato,
l’altra notte. Mi dispiace davvero, e non voglio che mi eviti
per qualcosa che
non mi ricordo neppure di aver fatto -
Allen
lo fissò. Lavi ricambiò
il suo sguardo, pregando intimamente tutti gli dei, esistenti e non, di
aver detto
la cosa giusta.
Poi Allen scoppiò a
ridergli in faccia. Non riuscì proprio a
trattenersi, perché Lavi stava facendo esattamente la faccia
del cagnolino bastonato
in cerca di affetto e lui non riusciva a stare serio di fronte a
quell’espressione – ridicola, a suo parere.
Sempre ridendo gli si
buttò al collo, articolando un: - sei
un idiota! –
Lavi per qualche attimo
fissò il vuoto stranito, cercando di
elaborare le braccia di Allen strette attorno al suo collo e il suono
della sua
risata nell’orecchio, poi mandò a puttane i propri
ragionamenti da sfigato
innamorato e lo strinse a sua volta, incominciando a ridere, prima
piano poi
sempre più forte, fino a che non si ritrovarono a rotolare
ridendo sul divano
come due perfetti idioti.
Lavi non chiese cosa fosse successo a
Capodanno, e Allen non
tirò fuori l’argomento. Si limitarono a ordinare
due pizze e a riguardare per
la seicentesima volta lo stesso film, uno dei pochi DVD posseduti da
Allen,
seduti mezzi abbracciati sul divano.
E,
andrà bene così,
pensò Lavi, per un po’
andrà bene così.
La scuola ricominciò, la
vita riprese il solito ritmo
frenetico e nessuno parlò più di Capodanno.
Kanda ringraziò il cielo
che Lavi non fosse più una checca
isterica, Linalee smise di insinuare qualsiasi cosa sul bacio e su loro
due – o
meglio, smise di fronte ad Allen. Con Kanda ancora continuava a
farneticare.
Lavi e Allen continuarono ad essere
amici come se nulla fosse.
Tyki Mikk, però,
cominciò ad affibbiare ad Allen turni
sempre più impossibili, siccome Miranda dovette andare in
maternità.
Fu alla fine di uno di quei turni che
Allen cominciò a
capirci qualcosa sul serio.
Era l’ultimo giorno di
gennaio, e nevicava fitto fitto. Era
tardi, le 19:30 di sera, quando Allen
uscì finalmente dal bar, il collo del cappotto di lana
tirato su fino al naso.
E Lavi era lì, seduto
sulla panchina di fronte al locale, la
reflex puntata verso il cielo. Allen
lo guardò, mentre la porta dietro di lui si chiudeva
lasciandolo praticamente
al buio e al gelo. C’era un lampione che andava ad
intermittenza, proprio lì di
fianco.
All’inizio ne fu sorpreso.
Quando aveva visto il tempo
peggiorare gli aveva mandato un messaggio dicendogli di non passare a
prenderlo, che sarebbe andato a casa da solo e che si sarebbero visti
un altro
giorno.
Poi, guardandolo mentre si accorgeva
della sua presenza e
alzava un braccio in segno di saluto, con il solito sorriso allegro a
dipingergli le labbra, Allen si rese conto di quanto si sarebbe sentito
solo, se Lavi non fosse venuto a
prenderlo.
Ne fu così felice che
l’unica cosa che riuscì a fare fu
corrergli in contro, saltargli addosso e stampargli un bacio sulle
labbra. Lo
fece senza pensare, forse perché negli ultimi tempi aveva
già pensato fin
troppo alla relazione che c’era tra lui e Lavi e, davvero,
che senso aveva
cercare di dare un’etichetta a tutto quanto?
Poi si staccò e lo
guardò sorridendo, leggermente rosso per
il freddo e per l’imbarazzo. Lavi lo fissò come se
non lo vedesse davvero,
sorpreso, prima di fare un sorriso gigantesco e chinarsi a baciarlo di
nuovo,
ma stavolta per davvero.
- pensavo non te ne saresti mai
accorto – gli sussurrò il
rosso qualche minuto dopo, all’orecchio, stringendolo forte.
Allen rise,
ricambiando la stretta e affondando il viso nella spalla
dell’altro.
- mi rendo conto delle cose sempre
troppo tardi. – ammise
con un sorriso, sistemandosi meglio contro il corpo di Lavi. Nonostante
i
giubbotti a intralciare i movimenti, e la neve che cadeva sempre
più fitta,
Allen sentiva di essere esattamente nel posto giusto con la persona
giusta.
Sospirò, contento: - è una mia brutta abitudine.
–
Nda.
BUON COMPLEANNO LAVI!
♥
Ebbene si, gente, sono tornata con
questa Laven, finita
questa mattina all’una e mezza di notte grazie
all’aiuto della Lily (lots of
love ♥)
, solo per il
compleanno del mio amato coniglietto.
E per protestare: insomma, Hoshino!
Neanche un capitolo, per
il compleanno di Lavi?! e___e
Insomma, ‘sta mattina ne
ero molto fiera. Rileggendola adesso,
mi sembra un po’ una pastrugnata, ma non posso non postare
niente per
festeggiare Lavi (anche se in effetti, visto il clima, la fic
è decisamente
fuori posto. Yeah). E poi è una settimana che sono dietro a
scriverla, il minimo
che posso fare è postarla u.u
Al solito, commenti, critiche e
quant’altro sempre ben
accetti ~
Per l’occasione, al posto
delle verdure, si lanceranno
conigli peluche forniti direttamente dalla Direzione (?)
TANTI AUGURI LAVI! ♥
_ L a l a
|