Lost
Memories
(di _Sihaya)
* * *
Sono le scelte che
facciamo che dimostrano quel che siamo veramente,
molto più delle
nostre capacità.
J.
K. Rowling, Harry Potter e la camera dei segreti
* * *
Epilogo – Scelte (II Parte)
I programmi dei corsi intensivi per il recupero del
settimo anno di scuola erano stati decisi e pubblicati tempestivamente.
L’inizio delle lezioni era fissato al primo giorno di primavera.
Inutile dire che Hermione si era
iscritta per prima. Il suo piano di studi, concordato a tu per tu con il
professor Vitious e la professoressa Sprite, prevedeva un pacchetto intensivo
che riuniva Incantesimi, Trasfigurazione, Erbologia e Pozioni, in seguito
avrebbe seguito il corso di Storia della Magia integrato a Babbanologia e
Antiche Rune integrato ad Artimanzia.
Rimboccandosi le maniche, a
giugno avrebbe potuto diplomarsi.
Ovviamente nessuno aveva
presentato lo stesso temerario piano di studi, anche se quelli di Terry e Luna
davano del filo da torcere. Harry e Neville avevano optato solo per i corsi
obbligatori, mentre Malfoy si era iscritto agli esami di tutte le discipline
(d’altronde aspirava alla carica di Preside!), ma intendeva studiare
privatamente.
In attesa di ritornare a fare la
studentessa, Hermione si era offerta di lavorare da sola alla ricostruzione
della Sala Grande. Riteneva che riuscire a incantare il soffitto e illuminare
la stanza potesse essere un ottimo esercizio per prepararsi al M.A.G.O. di
Incantesimi. Neville non aveva avuto nulla in contrario e così lei, munitasi di
alcuni pesanti volumi raccattati tra quei pochi rimasti in biblioteca, si era
letteralmente accampata nella Sala fino a che non fosse riuscita nell’intento.
In piedi, con i palmi delle mani
appoggiati sulla lunga tavolata di Corvonero e la testa china sul manuale di
Incantesimi aperto a metà, stava ripassando mentalmente la formula magica che
avrebbe dovuto aprire il soffitto al cielo limpido di quel pomeriggio.
D’un tratto sollevò la testa e
tese le orecchie. Lentamente si voltò verso l’ingresso e subito aggrottò la
fronte.
Aveva avuto la sensazione
d’essere spiata, ma non c’era nessuno.
Prima che potesse rendersene conto, il pensiero corse a
lui. A Draco Malfoy. L’ultima volta che lo aveva visto era stato quando aveva
testimoniato in tribunale, ma sapeva che s’aggirava nel Castello e aveva la
netta sensazione che la stesse evitando.
Non l’aveva più rivisto, ma lo
aveva pensato. Oh, se lo aveva pensato!
E lo aveva anche maledetto,
qualche volta.
Per essersi intrufolato nella
sua mente a piccole dosi, così minuscole da non farle minimamente sospettare
quanto fossero pericolose.
Era difficile descrivere quello
che provava.
Si era invaghita di lui? O, peggio ancora, innamorata?
Se l’era domandato, in effetti, con una certa apprensione
che era aumentata appena si era resa conto che una risposta non l’aveva.
E che per trovarla doveva rivederlo.
E guardarlo negli occhi.
E…
Scosse la testa con decisione.
Che tu sia maledetto, Malfoy!
* * *
La porta dell’aula di pozioni
s’aprì cigolando e Malfoy si voltò in modo talmente brusco che la seggiola su
cui poggiava il piede cadde per terra.
« Potter? » Esclamò tra il
sorpreso e l’infastidito.
Harry si fermò sulla soglia.
« Per tua sfortuna ho il
permesso di stare qui, » asserì Malfoy dandogli le spalle.
Fu talmente irritante che Harry
considerò di andarsene su due piedi, poi si disse che la cosa migliore era
chiudere la faccenda in modo diretto e sbrigativo.
« Lo so. » Rispose secco.
Neville gli aveva riferito che Malfoy non poteva prendere parte alla
ricostruzione di Hogwarts, ma aveva ottenuto il permesso di frequentare il
Castello durante i lavori.
« Bene. Allora levati di torno. » grugnì Malfoy.
« Non vedo l’ora. » commentò
Harry, ma invece di uscire, s’avvicinò al banco.
Malfoy s’alzò in piedi
sospettoso. « Che vuoi? »
Harry non disse nulla, si limitò
a mettere sul tavolo una bacchetta magica.
Malfoy sbarrò gli occhi
sconcertato: « Co-Come come l’hai avuta? »
Harry lo guardò con superiorità,
senza celare la soddisfazione d’averlo preso in contropiede.
« Era nell’Ufficio del Preside.
A quanto pare, Bellatrix l’ha conservata. »
L’aveva trovata nel primo
cassetto della scrivania, privo di qualsiasi incantesimo di protezione. Gli era
sembrata immediatamente familiare, ma aveva impiegato un po’ per ricordarne il
proprietario.
« Apparteneva a tua madre, vero?
»
Malfoy non rispose, ma afferrò
l’oggetto con avidità temendo che Harry potesse riprenderselo da un momento
all’altro. Poi fece una smorfia.
« Per quale motivo quella strega
avrebbe dovuto tenerla? » Borbottò fra i denti, con rancore e disprezzo.
Parlava fra sé e sé, non si stava rivolgendo a Harry, ma lui intervenne
ugualmente.
« Perché Narcissa era sua
sorella. »
Malfoy si voltò scettico verso di lui, sembrava avere
bisogno di una spiegazione.
« Essere un seguace di Voldemort
non significa essere come lui, incapaci di amare. Forse Bellatrix, a modo suo,
amava Narcissa. La sua morte deve essere stata dolorosa da accettare… »
Malfoy strabuzzo gli occhi. «
Bellatrix era pazza. » scandì con sarcasmo.
Harry scrollò le spalle. « Non
ha importanza. L’amore ha molte forme, » commentò, « a volte è malato. A volte
è così debole che puoi ignorarlo tutta la vita, a volte la lotta per reprimerlo
è persa in partenza. Può commuoverti o disgustarti, ma non puoi fare a meno di
vederlo. Voldemort, invece, era cieco di fronte ad ogni aspetto dell’amore,
questo lo ha reso estremamente potente, ma altrettanto disumano. »
« Le tue teorie sull’amore mi
fanno venire il voltastomaco, » l’interruppe Malfoy.
« Anche i tuoi genitori, anche
loro hanno - » azzardò Harry, ma non poté continuare, l’ordine di Malfoy -
rabbia e dolore trattenuti a stento - lo zittì.
« Vattene Potter! »
Harry indietreggiò di un passo.
Vide il Serpeverde portarsi le
mani al volto, stringersi le tempie e aggrapparsi ai capelli.
Forse non avrebbe dovuto
nominare la sua famiglia.
Imbarazzato, s’infilò una mano
in tasca e con l’altra si sistemò gli occhiali.
L’amore ha molte forme, pensò scivolando in silenzio verso l’uscita.
Anche il dolore.
* * *
Malfoy attese la sera per uscire dall’aula di Pozioni.
Attraversò i sotterranei, risalì le scale ed entrò nel Salone d’Ingresso della
scuola. Non c’era anima viva. Approfittò della solitudine per avvicinarsi alla
grande scala di marmo, salì sul primo gradino e si voltò ad osservare
l’entrata. Lì nessuno ancora era intervenuto: lo stato di degrado era notevole.
Il marmo delle scale era danneggiato in più punti; la luce delle poche torce
accese si perdeva verso l’alto e non era sufficiente ad illuminare l’enorme
stanza; le clessidre segnapunti avevano crepe evidenti e il contenuto di ognuna
si era riversato a terra mescolandosi con quello delle altre.
Strinse il palmo attorno al
corrimano scheggiato: un’idea gli era balenata in mente. Con fare circospetto
si guardò intorno assicurandosi d’essere effettivamente solo, poi impugnò la
bacchetta magica. Sapeva perfettamente che ciò che stava per fare gli era stato
proibito, ma in fondo che male c’era ad alleggerire un poco il lavoro delle
instancabili formichine dell’Esercito di Silente?
Un frastuono, proveniente dalla
Sala Grande, lo fermò appena in tempo. Era un rumore catastrofico, come se
centinaia di volumi fossero precipitati a terra dallo scaffale più alto di una
libreria.
Insospettito, raggiunse la Sala
e sbirciò all’interno. D’istinto provò l’impulso di nascondersi, ma poi rimase
sulla soglia.
Hermione non si era accorta del
suo arrivo. Stizzita, con le braccia incrociate sul petto, batteva ritmicamente
in terra la punta del piede destro. Sulla sua testa brillavano le prime stelle
del cielo notturno, sul pavimento e sulle lunghe tavolate giacevano migliaia di
candele spente.
Malfoy capì subito cos’era
accaduto: Hermione stava cercando di incantare l’illuminazione della stanza ma
le candele non rimanevano sospese che per pochi secondi.
Prese un respiro profondo e si
rilassò appoggiandosi allo stipite con una spalla e infilandosi le mani in
tasca. L’espressione imbronciata di lei gli strappò un sorriso: non aveva dubbi
sul fatto che prima o poi ci sarebbe riuscita. Avrebbe tentato e ritentato fino
allo sfinimento, e lui…
Lui aveva un sacco di tempo libero.
Hermione scosse la testa e
sollevò la bacchetta; pronunciò la formula magica e le candele s’accesero
all’unisono, vibrarono dando l’impressione di volersi sollevare ma pochi
istanti dopo si spensero con un sibilo delicato e sconfortante. Piccoli fili di
fumo si sollevarono dagli stoppini e nella stanza si diffuse un forte odore che
lei provvide immediatamente ad eliminare. Poi si voltò di scatto e pestando i
piedi raggiunse il tavolo di Corvonero sul quale erano aperti diversi volumi.
Si passò una mano tra i capelli
(più ordinati del solito - notò Malfoy - ma sempre troppo voluminosi) e si
tolse il mantello, che ripiegò sullo schienale di una seggiola.
Era quello di Aberforth,
riconobbe Malfoy. Anche lei lo aveva conservato.
Appoggiò le mani sul tavolo e si piegò in avanti,
spostando il peso del corpo sulle braccia e sulla gamba sinistra, piegando
leggermente l’altra.
Spogliata degli abiti da mago,
sembrava una babbana qualunque. Non ricordava per niente la ragazzina saccente
e petulante che frequentava Hogwarts. Era come se le fosse rimasto addosso un
velo di quella maschera indossata forzatamente per adeguarsi alla Londra
babbana.
Portava una camicetta azzurra e
delle scarpe grigie con un piccolo tacco che batteva nervosamente sul
pavimento. Malfoy non poté fare a meno di seguire con lo sguardo il taglio
della gonna: lunga fino al ginocchio, larga in fondo e stretta sui fianchi.
Un improvviso calore lo
attraversò, arrossandogli le guance e appesantendogli il respiro, tanto che
dovette allentarsi il nodo del mantello.
Aggrappandosi ad una buona dose
di cinismo, si disse che quella era un’ovvia reazione. Quando non si ha più
nulla da perdere è normale che anche le cose più squallide assumano valore e la
banalità diventi preziosa. Nonostante la mediocrità delle proprie origini,
Hermione Granger era tutto fuorché una ragazzina e poi, a pensarci bene, che
potesse (con i dovuti accorgimenti) risultare carina l’aveva dimostrato anni
addietro, quando si era presentata al Ballo del Ceppo al fianco di Krum e tutti
l’avevano riconosciuta a stento…
Ma la realtà era un po’ più
complicata.
E lui lo sapeva.
Perché quella volta l’imbarazzo gli aveva tolto le parole
per qualche istante, ma poi si era volatilizzato senza lasciare traccia, mentre
oggi (fosse anche solo per quella stupida gonna!) gli scaldava il sangue, gli
agitava il respiro, lo confondeva.
Perché da quando Voldemort era
stato sconfitto, non aveva trascorso un giorno senza chiedersi cosa stesse
facendo o cosa avrebbe fatto l’indomani.
Perché l’improbabile alleanza
che avevano stretto, inizialmente indigesta a entrambi, ora aveva assunto il
sapore dei ricordi: ad ogni assaggio, sempre più dolci.
La vide gettarsi sconfortata su
una seggiola e provò l’istinto di entrare e avvicinarla.
Per
dirle cosa, poi?
Grazie
di quello che hai fatto per me?
Scartò l’idea.
Avrebbe potuto scivolarle alle
spalle e spaventarla, farla balzare in piedi con un grido terrorizzato…
Ma quella sembrava un’idiozia
ancora peggiore.
« È da questa mattina che ci
prova, sai? L’ho tenuta d’occhio. »
Malfoy sobbalzò con il cuore in
gola e si guardò le spalle. Trattenendosi a stento dall’imprecare ad alta voce,
puntò la bacchetta magica verso Pix.
Il poltergeist ridacchiò
soddisfatto per la riuscita del proprio assalto a sorpresa. Era l’unico spirito
ad essersi fatto vivo dalla sconfitta di Voldemort e, forte dell’assenza del
Barone Sanguinante, scorazzava spavaldo per il Castello e importunava chiunque
gli capitasse a tiro.
« Sta’ zitto! » lo minacciò
Malfoy con un filo di voce e un’espressione truce.
Per nulla intimorito, Pix
sghignazzò ancora più forte, poi, senza un preciso motivo, abbassò il tono di
voce e affiancò il Serpeverde. « È carina, vero? » gli sussurrò all’orecchio.
Malfoy si scostò e agitò la
bacchetta nell’aria, scacciandolo come fosse un moscerino e fulminandolo con lo
sguardo.
In tutta risposta, Pix
gorgheggiò in modo sommesso e alquanto irritante.
« Ih-ih-ih, peccato che sia una
Grifondoro, » commentò ironico.
Se è per questo è anche una
Sangue Sporco…
Pix roteò nell’aria un paio di
volte poi si piazzò ad una spanna dal suo viso.
« Posso darti un consiglio? »
Malfoy gli voltò le spalle
seccato. « No. »
« Te lo darò comunque: nessun
serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace. »
Malfoy non ebbe il tempo di
assimilare quella parole: all’improvviso Hermione s’alzò in piedi folgorata da
un'intuizione, attirando la sua attenzione insieme a quella di Pix.
Ragazzo e spiritello la
seguirono trepidanti, la videro brandire la bacchetta magica con sicurezza,
disegnare nell’aria una trama complessa e l’udirono pronunciare una lunga
formula.
In pochi istanti, come migliaia
di piccoli soldatini, tutte le candele si sollevarono da terra volando verso il
soffitto; lì, in un colpo solo, si accesero illuminando a giorno la Sala
Grande.
Pix era ammutolito e Malfoy a
bocca aperta per la meraviglia, il cuore gli batteva forte come al primo giorno
di scuola.
Pensò a Hermione che teneva
ancora il braccio sospeso nell’aria e immaginò chiaramente l’emozione che in
quel momento la stordiva.
« Adesso sì che siamo a Hogwarts » mormorò Pix, con una
commozione che Malfoy non avrebbe mai immaginato di trovare in uno spirito.
Malfoy aveva un nodo alla gola,
gli occhi lucidi e nessuna parola, quindi Pix fece quello che – così pensava il
poltergeist - avrebbe dovuto fare lui.
Si mise a battere forte le mani
e a gridare: « Brava! Brava! »
Malfoy spalancò gli occhi
terrificato, fece per schiantare il maledetto spiritello ma era troppo tardi:
Hermione si era già voltata e li aveva riconosciuti entrambi.
Malfoy era certo che di lì a poco avrebbe iniziato a
sbraitare per la loro maleducazione, ma per diversi secondi non accadde nulla.
Lo sguardo di Hermione rimase fisso su di lui, che si ritrovò immobile,
investito da una vampata di calore che gli prese l’intero volto, fin dietro le
orecchie. Era troppo lontano per coglierne l’espressione, ma temeva che fosse
di biasimo e delusione.
Perché era rimasto lì a spiarla
invece di andare a dirle grazie.
O per tanti altri motivi.
Malfoy si toccò l’avambraccio
sinistro attorno al quale aveva avvolto una benda medica, non per curare una ferita,
ma per tentare di nascondere agli occhi ciò che, di fatto, non poteva più
cancellare dall’anima.
E da quando l’aveva fatto, in
effetti, certi errori avevano cominciato a diventare più sopportabili.
Ma questo non significava che
lei la pensasse allo stesso modo.
Senza dire nulla, tirò un lungo
sospiro e abbassò lo sguardo a terra, voltò le spalle a Hermione e allo
splendore che aveva restituito alla Sala Grande e si eclissò dietro allo
stipite del grande portone d’ingresso.
Aveva fatto appena un paio di
passi che la sentì gridare dalla Sala, l’eco amplificava notevolmente la sua
voce accentuando la nota drammatica che accompagnava il suo nome.
« Malfoy? Malfoy! »
Lui accelerò il passo per
arrivare alle scale dei sotterranei. Aveva lo stomaco attorcigliato su se
stesso. Non aveva davvero voglia di sentire il suo sarcasmo, le sue minacce o i
suoi rimproveri, quello era un pessimo momento.
Lei comparve nell’atrio e di
nuovo lo chiamò.
Lui
non fermò la fuga. Fuggire era una cosa che gli riusciva piuttosto bene ed era
anche convinto che fosse anche un’ottima soluzione per smettere di pensare a
lei. Di pensarla in quel modo.
« Oh,
Malfoy! Aspetta! » Supplicò
lei.
Davvero
il peggiore di tutti i momenti.
I
suoi piccoli tacchi calpestarono il pavimento a un ritmo veloce e un po’
irregolare. Stava correndo verso di lui, che però continuava a camminare verso
l’ingresso alle scale dei sotterranei. Non voleva essere raggiunto, tuttavia
rallentò il passo. Così quando inforcò la porta che conduceva ai sotterranei,
lei riuscì a raggiungerlo e lo afferrò per una manica del mantello, come se
lui, appena svoltato l’angolo, potesse scomparire.
Ansimava
forte per la corsa. Ed era agitata. Agitatissima.
Lui
continuò a darle le spalle senza avere il coraggio di voltarsi.
Sapeva
bene quello che avrebbe visto.
Avrebbe
visto lei che lo stringeva al braccio e ansimava.
Lei
che lo rimproverava d’averla spiata.
Lei
con i suoi capelli cespugliosi, la camicetta azzurra, le guance arrossate e la
gonna stretta sui fianchi.
Lei
che era scesa a patti con lui, che l’aveva riportato a Hogwarts, che gli aveva
salvato la vita… e che aspettava un “grazie”.
Sapeva
bene quello che avrebbe visto.
Ma
non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe
fatto.
« Io… sono giorni che ti cerco, » disse a un tratto Hermione,
seccandogli la gola.
Sono
giorni che ti penso.
Giorni
che ho paura.
Paura
di incontrarti e allo stesso tempo di non vederti mai più.
Malfoy
prese un respiro profondo ma rimase immobile.
Perché
non poteva voltarsi. Doveva andarsene. Ma voleva restare.
E guardarla negli occhi.
E
forse voleva anche ringraziarla, ma quello non l’avrebbe fatto. No. L’orgoglio
Slytherin non era nella lista delle proprietà confiscate alla sua famiglia.
Non
c’era nemmeno la purezza del suo sangue, a dire il vero, ma lui era a un passo
dal consegnarla di sua sponte.
O
forse gliel’avrebbe strappata lei dalle mani… ma non faceva molta differenza.
Sentì la sua mano stringersi più forte
attorno al braccio. « Volevo sapere
come stavi… io volevo
solo… ».
Malfoy
trattenne il respiro.
Non
poteva restare. Doveva andarsene.
Ma
voleva davvero guardarla negli occhi per capire perché aveva lasciato
quella frase a metà.
« Volevo rivederti.»
Doveva andarsene. Ma si voltò e piantò gli occhi
nei suoi; l’intensità dello sguardo fu tale che lei dovette prendere due
respiri prima di riuscire a parlare.
Sapeva quello che avrebbe visto…
« Mi hai evitato fino a ora di
proposito, vero? » disse lei con un filo di voce.
Ma
non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe
fatto.
In
tutta risposta, la spinse contro il muro e quando Hermione alzò gli occhi offesi
per domandargli il motivo di quella reazione, si piegò verso di lei e la
baciò.
Un
vuoto, generato dalla spontaneità di quel gesto, s’allargò nello stomaco di
Hermione.
Disorientata,
si aggrappò con una mano al collo del suo mantello e con l’altra al suo
braccio, lì, appena sopra alle bende che non poteva vedere (ma che poteva
immaginare), conficcandogli il pollice nell’incavo del gomito.
Lui
ebbe un tremito e quasi senza accorgersene si avvicinò di più, cercando una
risposta dalle sue labbra ancora inermi.
Ma
calde. E morbide. E arrendevoli.
Nonostante
lui tenesse la mano sinistra piantata contro la parete, accanto ai suoi fianchi
senza osare sfiorarli, e nonostante sulla schiena sentisse chiaramente il
contatto con la pietra gelida, Hermione aveva avuto la netta sensazione di
cadere.
Di
precipitare, per l’esattezza.
Un
attimo dopo socchiuse le labbra.
Malfoy
sentì il cuore aumentare i battiti e d’istinto le mise una mano alla vita,
traendola, per quanto fosse possibile, ancora di più a sé.
Lei
abbandonò la stoffa che stringeva fra le dita e con l’indice scivolò cauta, un
po’ imbarazzata, a sfiorargli il collo. Malfoy sentì bruciare al contatto.
Che
poi non c’era da sorprendersi, perché aveva già sperimentato quanto il suo
tocco potesse scottare.
Reclinò
la testa e lei aprì la mano sulla sua pelle, scivolò dietro la nuca e l’affondò
nei capelli.
E
poi, finalmente, accolse quel bacio che (cosa c’era di male ad ammetterlo?)
desiderava con tutta se stessa.
Abbandonandosi
al calore della sua bocca, Malfoy pensò a quello che aveva appena detto Pix.
Che
nessun serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace.
Ma
le mani di lei premute sul suo petto, che salivano ad accarezzargli il collo,
che sprofondavano nei suoi capelli… tutto sembravano, tranne che artigli.
Pensò
a Salazar Serpeverde, alla Casa Slytherin e alla purezza del sangue che gli
scorreva nelle vene.
Pensò
a quello che avrebbe detto suo padre, se fosse stato ancora vivo.
Che
suo figlio disonorava la famiglia, che trasgrediva ad una regola inviolabile.
Ma
lui, a Hogwarts, le regole le aveva infrante più di una volta.
E
in futuro, magari, in qualità di Preside, avrebbe potuto addirittura cambiarle…
All’improvviso
fu attraversato da un ricordo.
Gemette
e si separò bruscamente da Hermione, ma lei non ne fu sorpresa, aveva pensato
alla stessa cosa: « Il Cappello Parlante… è danneggiato, ma si può riparare, »
mormorò sulle sue labbra.
Lui
si allontanò appena, per guardarla negli occhi. « Dovresti sistemare tu anche
quello, ora che hai la Bacchetta di Sambuco… » azzardò.
Non
gliel’aveva vista usare nella Sala Grande e moriva davvero dalla voglia di
sapere quale ignobile destino lei avesse riservato al potente oggetto.
Sì,
certo, il tentativo per ottenere l’informazione era pessimo, fallimentare in
partenza, ma in quel momento, con lei ancora addosso, era impossibile
ragionare. Non si curò nemmeno di mascherare la curiosità e un briciolo di
disapprovazione che aveva sul viso per la prevedibile risposta.
Hermione,
infatti, si limitò a sorridergli sardonica.
Lui
allora inspirò profondamente e guardò prima verso le scale che conducevano nel
seminterrato e poi sbirciò attraverso l’atrio verso la Sala Grande. Non per
controllare d’essere soli, ma per imprimersi bene nella mente il luogo in cui
stava accadendo tutto quello.
«
Dico sul serio, » le disse, « dovresti riparare tu il Cappello Parlante. »
Hermione
arrossì ancora di più. « Oh, ma io… non saprei da dove cominciare… » si schernì
imbarazzata, « non so se posso farlo… » La sua voce vibrava di emozione.
Per
il bacio che si erano appena scambiati.
Per
il sapore di lui che ancora aveva sulla bocca.
E
per il ricordo vivo e inebriante di ogni singolo evento, passato e presente,
vissuto fra quelle mura.
«
Certo che puoi farlo, » la rassicurò lui, « dopotutto, a Hogwarts eri la
migliore. »
Poi
le sorrise, ironico e rilassato, pervaso da una serenità mai provata prima.
«
Dopo di me, ovviamente. »
Hermione aprì la
bocca per ribattere, ma lui la mise a tacere con un altro bacio.
E questa volta lo
fece consapevolmente: la strinse a sé con entrambe le braccia e chiuse gli occhi,
l’accarezzò, respirò il suo profumo, cercò la sua lingua e ascoltò i suoi
gemiti. Senza pensare più a niente.
- Fine -
* * *
F I N I T A
Non vedevo l’ora, giuro. Anche se so
perfettamente che questo è un lavoro pieno (anzi, stracolmo) di difetti, non
posso negare d’esserne soddisfatta. Ci ho lavorato per ben tre anni, quando ho
iniziato a pubblicare ero più o meno al capitolo 19 e, anche se la mia mente
contorta aveva già architettato quasi tutto, non credevo davvero di riuscire a
terminare (ci mancava solo che Madre Natura, sul finale, decidesse di
shakerarmi la vita…)
Che dire ancora?
GRAZIE
Grazie per aver commentato con sincerità, e grazie per essere
arrivati fino a qui. Spero che vi siate divertiti, così come mi sono divertita
io a macchinare questa trama.