Segreti
malcelati
“Andiamo?” la chiamò Fabio, quando lei ebbe finito di
fare sia la propria che la sua cartella.
“Arrivo” rispose sospirando. Laura e Emma li fissarono
incuriosite, morendo dalla voglia di sapere come mai lei lo seguisse tanto
docilmente.
“Mi
aiuteresti a mettere la giacca? Ho dei problemi con il polso” le domandò,
mal celando un sorriso divertito. Rea si sentì in colpa per una frazione di
secondo, poi si ricordò che lui la stava ricattando e mise il broncio.
Dopo la sua richiesta assurda, sua
madre aveva insistito per portarlo al pronto soccorso, dato che il polso non
voleva sgonfiare e che lui non riusciva a muovere la mano. Aveva invitato anche
la ragazza ad andare con loro, ma lei aveva elegantemente rifiutato, dicendo che
non le piacevano gli ospedali. In realtà, sperava che Fabio cambiasse idea e le
chiedesse qualcos’altro, anche dei soldi, pur di non dover cedere a quel ricatto
stomachevole. Purtroppo, nonostante le sue richieste, lui l’aveva chiamata
quella sera sul cellulare (come avesse fatto a trovare il numero non l’aveva
ancora capito) per dirle che gli avevano fasciato il polso dicendogli che se lo
era slogato e che doveva tenerlo fermo per dieci giorni.
“Sembra
fatto apposta, vero?” domandò.
“In che
senso?” chiese lei, senza capire.
“Invece
di una settimana, starai con me per tutto il periodo in cui avrò le bende, così
che mi aiuterai. Sarai la mia infermiera personale” decise, usando di
proposito un tono sensuale e malizioso.
“Naturalmente, questo rimarrà un segreto solo tra me e te, non
dovrai dirlo nemmeno alle tue sorelle” le ricordò.
“Stai
tranquillo, io non ho assolutamente intenzione di far sapere a qualcuno del tuo
sporco ricatto” gli assicurò. Fabio rise.
“Non lo
chiamerei ricatto ma scambio di favori”
“Tu mi
hai rubato il quaderno! Non è uno scambio perché l’unico che ci guadagna sei
tu!” gli urlò Rea, arrabbiata.
“Dettagli” aveva minimizzato.
L’aveva salutata col dire che si
sarebbero visti l’indomani a scuola
per decidere per bene come strutturare le loro giornate.
Erano già passati quattro giorni,
nei quali la ragazza aveva più volte avuto l’istinto di strozzarlo con le sue
mani. Le aveva fatto svolgere i suoi impegni domestici, facendole pulire la sua
stanza (peraltro già splendente), lavare i piatti e fare il bucato. Rea non
pensava che anche i maschi facessero quelle cose, ma finché si trattava solo di
questo poteva farcela. Il suo problema era che non solo aveva dovuto fare uno
scambio di posto con Johan, che prima era accanto a Fabio e ora era accanto a
Emma, ma doveva stargli appiccicata per aiutarlo a scrivere e a fare la cartella
ogni santo giorno. Non vedeva l’ora che quella settimana finisse per potergli
stare alla larga almeno il sabato, e, dato che era venerdì, doveva aspettare
solo altre ventiquattro ore.
“Oggi non
ho niente da farti fare: le faccende domestiche le hai già finite ieri e non ci
hanno dato compiti di alcun genere” le disse il ragazzo mentre andavano
verso la paninoteca. Pranzavano lì insieme e poi andavano a casa sua.
“Quindi
posso andare via?” gli domandò speranzosa. Aveva bisogno di parlare con
Laura e Emma, che vedeva pochissimo: tornava così tardi la sera, che cenava e
andava direttamente a dormire, stremata. Tanto non doveva studiare, visto che
faceva i compiti nel pomeriggio con lui.
“No,
affatto. Ho bisogno che tu faccia una cosa per me, poi puoi andartene” le
rispose.
“Una
sola? È una sciocchezza! Dimmi tutto” disse felice.
Fabio sorrise e la fissò.
“Voglio
che tu mi prometta che sabato e domenica sarai solo mia” sussurrò,
facendola fermare. Come sempre quando la guardava con quegli occhi neri e
intensi, il cuore di Rea prese a battere all’impazzata.
“Ma
sabato sera volevo uscire, e domenica avevo promesso a Emma e Laura che
studiavamo insieme per il test di matematica di lunedì!” si ribellò
lei.
“E invece
farai esercizi con me e domani verrai a cena a casa mia” decise.
“C-cosa?” esclamò la ragazza. Fabio rise nel vederla
arrossire e le accarezzò una guancia.
“Esatto.
Consideralo un appuntamento vero e proprio, visto che saremo soli” le
consigliò ammiccante.
“E… e se
non volessi?” suggerì.
“Dovrei
rendere pubblico il tuo quaderno. E tu non vuoi che succeda, vero?”
domandò. Rea deglutì e si sentì costretta a fare qualcosa che non doveva
fare.
“Va
bene, verrò da te” accettò, abbassando la testa. Il ragazzo si chiese se
non stesse esagerando, ma la prospettiva di poter stare da solo con lei, senza
scocciatori o senza che fosse impegnata a fare le sue faccende era troppo
allettante.
La guardò andare via senza nemmeno
pranzare, sperando che andasse tutto per il meglio.
Rea rincasò distrutta. Aveva i
nervi a fior di pelle e un’enorme voglia di urlare. Laura e Emma quasi non le
parlavano più perché si erano arrabbiate quando l’avevano vista spostarsi di
banco dietro di loro, e lei non sapeva più che inventarsi per fare in modo di
scusare la sua assenza. Se avesse detto anche una sola parola sul ricatto,
avrebbero capito che aveva qualche segreto e questo avrebbe peggiorato ancor di
più la situazione.
Come richiamate dai suoi pensieri,
le sue sorelle apparvero nell’ingresso, stupite nel vederla rientrare così
presto.
“E tu
che ci fai qui? Credevamo fossi da Fabio” la accolsero. La ragazza
strinse i denti e si chiese come fare, poi si stampò un sorriso sulla faccia e
le guardò tranquilla.
“Oggi il
suo polso stava meglio e non aveva bisogno di me per dargli una mano nelle
faccende di casa, quindi sono venuta via” rispose. Tutte e due sorrisero
maliziose mentre lei si toglieva il giacchetto.
“Quindi oggi possiamo metterti sotto torchio e sapere come mai, da martedì, non fai
altro che stargli appiccicata!” esultò Laura. Le era passata
l’arrabbiatura del disegno già dal giorno dopo che era successo e quasi non se
ne ricordava più.
“Preferirei di no” commentò storcendo la bocca. Sapeva
benissimo che non avrebbero mollato la presa finché non avesse cantato come un
fringuello, ma almeno ci stava provando.
“Invece sì!” decise Emma. La presero di peso e la
fecero sedere in cucina, mettendosi davanti a lei con le mani appoggiate sul
tavolo.
“Dicci
come…” “…quando…” “…dove…” “… e
perché…” “…tu e Fabio siete sempre
insieme!” le dissero all’unisono. La ragazza si morse l’interno della
guancia per evitare di confessare tutto.
“Quando
martedì sono andata a pranzo con lui si è fatto male per colpa mia e mi sento in
dovere di aiutarlo fin quando non potrà muovere il polso” rispose. Con le
bugie era pessima, ma così stava riuscendo a dire una mezza verità, quindi era
più semplice.
“E
come mai siete usciti insieme martedì?” fu la domanda successiva. Rea si
sentì avvampare, ma rimase zitta senza confessare.
“Allora?” la incalzarono. “Non parlare, non
parlare” ripeteva una voce dentro di lei.
“Guarda che se lo chiediamo a lui, sono sicura che
risponderà” la minacciò Emma.
“Non
credo proprio che lo farà, ma apprezzo l’impegno” rispose, ringraziando
il fatto che anche lui voleva tenere segreto il motivo dei loro incontri.
“Per
cui diccelo tu!” s’infiammò Laura. “Inventati
qualsiasi cavolata, ma non dire del quaderno!”
“Beh,
lui aveva… aveva gli appunti di chimica che io non riuscivo a seguire e si è
offerto di prestarmelo, ma siamo dovuti andare a prenderli a casa sua”
iniziò.
“Poi io
sono inciampata e lui, per recuperarmi, ha battuto il polso, slogandolo”
inventò.
“E
perché non chiedere a me gli esercizi? Ti deve interessare proprio tanto se
rifiuti i miei per i suoi” rise la mora.
“Lui non
mi piace! Non mi interessa per niente” negò la rossa, sentendo il cuore
accelerare i battiti.
“Certo, come no?” la prese in giro la bionda.
“Ehi,
potresti chiedergli se domani sera esce con noi!” propose Emma,
sorridendo. A quelle parole, lei si ricordò dell’appuntamento e abbassò la
testa.
“N-non
penso che uscirò… domani” balbettò.
“Perché?” le chiese Laura. “Ma porca
§@#%*”
“Perché…
perché… ecco, ho mal di gola e sapete che non posso assolutamente perdere la
voce dato che mi alleno a cantare ogni volta che posso. Essendo già poche, non
posso sprecarle perché sono fioca, quindi, onde evitare di prendere freddo,
preferisco rimanere a casa” spiegò. “Fa’ che
funzioni!”
“Oh.
Ma noi avevamo programmato già di andare in discoteca!” le disse
tristemente la più alta.
“Lo so e
non so dirti quanto mi spiace, ma voi andate e divertitevi comunque”
rispose.
“Sei
sicura? Se vuoi spostiamo la cosa alla prossima settimana e rimaniamo in casa
con te” propose l’altra, generosa.
“No, no,
figurati!” si affrettò a tranquillizzarla lei. Nel vedere gli sguardi
allibiti della sorella capì di essere stata anche troppo affrettata.
“Mi
sentirei in colpa se voi non vi godeste l’unico giorno libero che abbiamo a
disposizione per causa mia, quindi andate e non pensate a me, io starò
bene” rimediò.
Rimasero zitte tutte e due,
capendo che c’era qualcosa di più profondo che Rea non aveva confessato.
“Devi
darci una mano, Johan” esordì Emma, il mattino dopo, parlando col
ragazzo. Lui la fissò con gli occhi spalancati.
“A far
cosa?” domandò confuso.
“A
capire che diavolo sta combinando nostra sorella! Con te parla, si confessa,
magari ti dice anche che cosa succede” rispose. I suoi occhi si
rattristarono.
“Da
sabato passato ci siamo a mala pena detti ciao. Sembra talmente presa dal suo
nuovo amico che non considera più noi tre” le fece presente.
“Lo
so, ma tu sei quello che le è più vicino, le sei più intimo anche di noi, quindi
ti prego, almeno chiedile il vero motivo per cui non esce stasera!” lo
implorò. Johan sospirò e si passò una mano tra i capelli.
“Posso
provarci, ma non assicuro niente. Laura, tu che ne pensi?” le chiese. La
ragazza, in tutto questo discorso, era stata zitta a fissare estasiata i suoi
capelli biondo cenere e i suoi occhi azzurrissimi, e non si era accorta che
lui le stava parlando.
“Ehi,
bella addormentata, ci sei?” la chiamò, agitandole una mano davanti agli
occhi. Lei sobbalzò e arrossì.
“Eh?
Cioè, sì… cioè…” iniziò a balbettare frasi sconnesse e senza senso,
esasperando la sorella, che sospirò arrendendosi.
“Certo
che sei proprio strana” commentò Johan, fissandola.
“Scusami, stavo pensando ad altro” disse mesta.
I tre decisero che il ragazzo
avrebbe parlato a Rea durante la ricreazione. Tutti e tre sperarono vivamente di
riuscire a venire a capo di tutta quella faccenda.