SOLA
L’avrai sentito dire anche tu che
l’amore è un inganno. Chissà quante volte. Forse perché alimenta troppo la
nostra immaginazione e non ci mostra i fatti e le persone per quello che
realmente sono.
E’ stato amore, subito, tra me e
lui. Amore a prima vista,come si sente dire. Gli piacevano i miei occhi. Diceva
sempre che erano dorati e acuti come quelli di una lupa, e io lo prendevo come
il più bello dei complimenti. Anche a me è piaciuto subito, forse perché ero
troppo giovane per discernere la realtà dalla fantasia e immaginazione ne ho
sempre avuta tanta.
Con questo ti sistemi, mi ero detta
da sola. Un brav’uomo sulla quarantina, con gli occhiali spessi, pochi capelli
e la pancetta che traboccava dalla giacca di taglio classico, grigia come lui.
Diploma di ragioniere, posticino da cassiere alla Banca Popolare. Separato, con
un figlio di sette anni che, un paio di volte al mese, andava a trovarlo.
Proprietario dell’appartamento dove stava, in un quartiere residenziale della
città, sei vani e un grande terrazzo. Auto di seconda mano, ma di quelle che
piacciono a me,una spaziosa Volvo station vagon coi sedili morbidi, che
mandavano un buon odore. Eh, già, mi sarei sistemata bene con lui, e non solo
per quello che aveva. Anche per quello che era. Perché se lo è stato da parte
sua, lo è stato anche da parte mia, amore a prima vista.
A volte mi dico da sola che sono
stata stupida, a guardarlo come lo guardavo, a bermi le sue parole adorandolo
in silenzio, mentre lui mi accarezzava distratto la testa e mi diceva paroline
stupide, come si fa con i bambini.Si dice…tenerezza, no?
Mi piaceva tutto di lui: il suo
odore, il suo aspetto, il suo modo di muoversi e di parlarmi. Mi piaceva suo
figlio, quella piccola peste. Adoro i bambini, forse è anche per questo che mi
aveva scelta. Marco. Si chiama così. Adesso non è più un bambino, e lui si
lamenta perché va male a scuola e passa più tempo fuori che a casa, quando va a
trovarlo, con quegli amici che non gli piacciono perché hanno i capelli lunghi,
l’aria sporchiccia e ascoltano sempre certa musica terribile. Un altr’anno ne
compirà diciotto, diventerà maggiorenne e, c’è da scommetterci, si farà vivo
con lui solo quando avrà bisogno di quattrini.
Lo so perché mi ha lasciata. Sono
diventata vecchia, di questo me ne accorgo anch’io. Ma quando si vuole bene è
difficile immaginare che possa finire stupidamente com’è finita, e quando meno
te l’aspetti. Ma quelle come me non pensano al futuro, vivono il presente. Le
passeggiate, le gite in campagna, quella piccola peste di Marco che cresceva, e
cambiava, e non era più quello che era stato.
Anche lui cambiava: sempre meno
capelli e sempre più pancia. Qualche dente finto e sempre meno tempo da
dedicarmi. I modi sempre più bruschi e scostanti che erano per me soltanto,
perché quando stava con gli amici non era così, era quello di sempre, quello
della mia immaginazione, un ibrido miscuglio di Russell Crowe, Padre Pio,
Einstein, Nonno Libero, bello, buono, simpatico, intelligente…Dio, quanto ero
stupida. Quanto sono stupida.
La prima volta che mi ha picchiata
mi sono trattenuta a stento dal fargli male. Sono forte, ancora, niente avrebbe
potuto impedirmelo. Niente? Macché, l’amore che continuavo e che continuo a
provare per lui mi avrebbe impedito di reagire, anche se avesse tentato di
uccidermi. Intristivo, e la tristezza continuavo a portarmela dentro. La notte
facevo sogni straordinariamente vivi, sogni terribili. Sognavo di ucciderlo.
Per fortuna, la luce del giorno scacciava via il sonno dai miei occhi e quei
brutti pensieri dalla mia mente.
Sono stata abbandonata. Forse si è
messo in casa una più giovane di me. Forse è solo come lo sono io. Un giorno mi
ha guardato in un modo strano, e adesso ho paura di lei. Non la voglio più, ha
detto. L’ho picchiata e mi si è rivoltata contro. Non la voglio più.
Ma io, dentro la mia gabbia,
continuo a immaginare di vederlo sbucare dal fondo del viottolo, continuo ai
immaginare il tintinnio del guinzaglio, il richiamo del suo fischio. Gli aveva
ringhiato contro quando mi ha picchiata, perché quello che stava facendo non
era giusto, non aveva fatto niente. Quando capirà, mi perdonerà d’avergli
mostrato i denti, si farà aprire la porta di questa prigione e mi porterà via.
E anch’io lo perdonerò e non sognerò mai più di fargli del male.
Lui non passa più davanti a questa
gabbia. Gli altri passano e non si fermano. E’ una bella bestia, dicono, un
pastore maremmano di razza pura, ma è molto grossa, chissà quanto mangia. E poi
i cani così grossi mi fanno paura. Quanti anni ha?Undici?E’ vecchia. E tirano
dritto, per fermarsi davanti alle gabbie dei cuccioli o di quei cagnetti
pelosi che pesano meno d’una piuma.
Ma lui tornerà. Oggi non ha potuto,
lo farà domani. Tornerà, mi dico stendendomi sul pavimento della gabbia con il
muso tra le zampe e immaginando bello un domani che sarà come oggi e come ieri:
una gabbia, la vostra indifferenza, la mia tristezza e il mio immaginare
quello che non sarà. Ma non lo dite sempre anche voi che la speranza è l’ultima
a morire?