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Autore: lalla    06/06/2004    17 recensioni
Amor che a nullo amato amar perdona...
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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SOLA

SOLA

 

L’avrai sentito dire anche tu che l’amore è un inganno. Chissà quante volte. Forse perché alimenta troppo la nostra immaginazione e non ci mostra i fatti e le persone per quello che realmente sono.

 

E’ stato amore, subito, tra me e lui. Amore a prima vista,come si sente dire. Gli piacevano i miei occhi. Diceva sempre che erano dorati e acuti come quelli di una lupa, e io lo prendevo come il più bello dei complimenti. Anche a me è piaciuto subito, forse perché ero troppo giovane per discernere la realtà dalla fantasia e immaginazione ne ho sempre avuta tanta.

 

Con questo ti sistemi, mi ero detta da sola. Un brav’uomo sulla quarantina, con gli occhiali spessi, pochi capelli e la pancetta che traboccava dalla giacca di taglio classico, grigia come lui. Diploma di ragioniere, posticino da cassiere alla Banca Popolare. Separato, con un figlio di sette anni che, un paio di volte al mese, andava a trovarlo. Proprietario dell’appartamento dove stava, in un quartiere residenziale della città, sei vani e un grande terrazzo. Auto di seconda mano, ma di quelle che piacciono a me,una spaziosa Volvo station vagon coi sedili morbidi, che mandavano un buon odore. Eh, già, mi sarei sistemata bene con lui, e non solo per quello che aveva. Anche per quello che era. Perché se lo è stato da parte sua, lo è stato anche da parte mia, amore a prima vista.

 

A volte mi dico da sola che sono stata stupida, a guardarlo come lo guardavo, a bermi le sue parole adorandolo in silenzio, mentre lui mi accarezzava distratto la testa e mi diceva paroline stupide, come si fa con i bambini.Si dice…tenerezza, no?

 

Mi piaceva tutto di lui: il suo odore, il suo aspetto, il suo modo di muoversi e di parlarmi. Mi piaceva suo figlio, quella piccola peste. Adoro i bambini, forse è anche per questo che mi aveva scelta. Marco. Si chiama così. Adesso non è più un bambino, e lui si lamenta perché va male a scuola e passa più tempo fuori che a casa, quando va a trovarlo, con quegli amici che non gli piacciono perché hanno i capelli lunghi, l’aria sporchiccia e ascoltano sempre certa musica terribile. Un altr’anno ne compirà diciotto, diventerà maggiorenne e, c’è da scommetterci, si farà vivo con lui solo quando avrà bisogno di quattrini.

 

Lo so perché mi ha lasciata. Sono diventata vecchia, di questo me ne accorgo anch’io. Ma quando si vuole bene è difficile immaginare che possa finire stupidamente com’è finita, e quando meno te l’aspetti. Ma quelle come me non pensano al futuro, vivono il presente. Le passeggiate, le gite in campagna, quella piccola peste di Marco che cresceva, e cambiava, e non era più quello che era stato.

 

Anche lui cambiava: sempre meno capelli e sempre più pancia. Qualche dente finto e sempre meno tempo da dedicarmi. I modi sempre più bruschi e scostanti che erano per me soltanto, perché quando stava con gli amici non era così, era quello di sempre, quello della mia immaginazione, un ibrido miscuglio di Russell Crowe, Padre Pio, Einstein, Nonno Libero, bello, buono, simpatico, intelligente…Dio, quanto ero stupida. Quanto sono stupida.

 

La prima volta che mi ha picchiata mi sono trattenuta a stento dal fargli male. Sono forte, ancora, niente avrebbe potuto impedirmelo. Niente? Macché, l’amore che continuavo e che continuo a provare per lui mi avrebbe impedito di reagire, anche se avesse tentato di uccidermi. Intristivo, e la tristezza continuavo a portarmela dentro. La notte facevo sogni straordinariamente vivi, sogni terribili. Sognavo di ucciderlo. Per fortuna, la luce del giorno scacciava via il sonno dai miei occhi e quei brutti pensieri dalla mia mente.

 

Sono stata abbandonata. Forse si è messo in casa una più giovane di me. Forse è solo come lo sono io. Un giorno mi ha guardato in un modo strano, e adesso ho paura di lei. Non la voglio più, ha detto. L’ho picchiata e mi si è rivoltata contro. Non la voglio più.

 

Ma io, dentro la mia gabbia, continuo a immaginare di vederlo sbucare dal fondo del viottolo, continuo ai immaginare il tintinnio del guinzaglio, il richiamo del suo fischio. Gli aveva ringhiato contro quando mi ha picchiata, perché quello che stava facendo non era giusto, non aveva fatto niente. Quando capirà, mi perdonerà d’avergli mostrato i denti, si farà aprire la porta di questa prigione e mi porterà via. E anch’io lo perdonerò e non sognerò mai più di fargli del male.

 

Lui non passa più davanti a questa gabbia. Gli altri passano e non si fermano. E’ una bella bestia, dicono, un pastore maremmano di razza pura, ma è molto grossa, chissà quanto mangia. E poi i cani così grossi mi fanno paura. Quanti anni ha?Undici?E’ vecchia. E tirano dritto, per fermarsi davanti alle gabbie dei cuccioli o di quei cagnetti  pelosi che pesano meno d’una piuma.

 

Ma lui tornerà. Oggi non ha potuto, lo farà domani. Tornerà, mi dico stendendomi sul pavimento della gabbia con il muso tra le zampe e immaginando bello un domani che sarà come oggi e come ieri: una gabbia,  la vostra indifferenza, la mia tristezza e il mio immaginare quello che non sarà. Ma non lo dite sempre anche voi che la speranza è l’ultima a morire?

 

 

   
 
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