Un
professore duro da combattere
Proprio come aveva predetto Emma,
Jason si rivelò difficile da trovare. Ogni volta che cercava di parlarci lui
trovava una scusa per fuggire.
Rea si scervellava durante tutte
le ore di scuola per trovare una soluzione, cercando di fare in modo di non
insospettirlo. Se avesse capito che dietro a tutto c’era la rossa, avrebbe
evitato ogni rapporto anche con lei, e questo non andava bene. Se il piano con
sua sorella fosse fallito, sarebbe entrata in gioco al suo posto.
Laura, nel frattempo, non faceva
altro che amoreggiare col suo nuovo e bellissimo fidanzato, e non si preoccupava
troppo di star dietro ai problemi di cuore della mora, che non se la prendeva
più di tanto: nemmeno lei avrebbe voluto starci dietro se avesse potuto.
“Senti, è la sesta volta che cerco di parlarci ed è la
sesta volta che mi dice che deve andare in riunione, o a correggere i compiti, o
a parlare con un genitore. Io mi arrendo” annunciò Emma,
tornando in classe dopo la ricreazione.
“Cosa? No! Mi rifiuto di farti desistere!” si
ribellò Rea, battendo il pugno al banco.
“Perché te la prendi tanto a cuore? Se non vuole parlarmi
significa che non gli interesso, altrimenti si sarebbe già fatto sentire
lui”
“Non è vero, e tu lo sai. Mi hai detto che è stato lui a baciarti, quindi l’unica
cosa che cerca di fare è di evitare i suoi sentimenti, non te. Pensaci un
attimo: tu sei una studentessa, lui un professore. Se portaste
avanti una relazione probabilmente ne risentirebbe la sua carriera” spiegò.
“Sì,
ma non vedo perché devi fare qualcosa tu!”
“Perché
non voglio vederti stare male” rispose.
“E, se
per farti felice devo inimicarmi Jason, lo farò” le promise.
“Rea, sul serio, non importa. Mi basta quello che ho avuto” le assicurò.
“E’
stato il più bel compleanno della mia vita nonostante il modo in cui si è
concluso, quindi non devi preoccuparti per me” disse, mettendo una mano
sulla sua.
“Non è vero, e tu lo sai benissimo, quindi non continuare a
cercare di evitare il problema. Te l’ho
sempre detto, fin da quando eravamo piccole: evitare il problema e girare gli
occhi non lo fa sparire, ma solo ingrandire. Ti prometto che,
qualsiasi cosa accada, sarò pronta ad aiutarti”
giurò.
“Grazie” le sussurrò Emma. In quel momento suonò la
campanella e loro si misero sedute per bene, aspettando la professoressa di
inglese.
Rea sentiva dietro la testa lo
sguardo fisso di Fabio, che non aveva fatto altro che osservarla da quando erano
entrati in classe, ma cercò di evitarlo: prima le sue sorelle, poi si vedrà.
“Nel libro la
protagonista cerca di ricattare l’uomo solo per farsi ascoltare. Se non
lo facesse, lui non starebbe a sentirla e lei non riuscirebbe a parlarci. Non è cattiva, semplicemente cerca di urlare aiuto verso il suo
amato” spiegò mezz’ora dopo l’insegnante.
A narrativa inglese stavano
studiando i romanzi inglesi dell’ottocento e quella parte fece scattare qualcosa
dentro la ragazza, che alzò la testa dal banco e ascoltò. Parola dopo parola il
piano più assurdo che avesse mai architettato si formò nella sua mente e decise
di metterlo in pratica già dal mattino dopo.
“Buongiorno Jason” salutò, entrando in classe. Era la
prima e aveva saputo dai bidelli che l’uomo era solito stare alla cattedra a
leggere un libro dalle sette e mezzo fino a quando non
si aprivano i cancelli della scuola e i ragazzi erano autorizzati a entrare.
“Rea, buongiorno.
Come mai già qui? Credevo che gli studenti non potessero
venire in classe prima delle otto” la
salutò. Lei scrollò le spalle e si tolse lo zaino.
“Di solito è così, ma io sono amica dei
bidelli. Inoltre
stamani ho fatto presto e aspettare fuori al freddo di novembre non mi piaceva
come idea, quindi eccomi qui”
rispose.
Fece finta di niente, aprendo la
cartella e tirando fuori un quaderno. Si mise a “studiare”, poi sbuffò.
“Qualche problema?” le chiese Jason, alzando gli
occhi dal libro che stava leggendo.
“Sì, non
riesco a capire filosofia e domani ho
un’interrogazione. Lei sa qualcosa di questa materia?” domandò implorante. Il
professore si tolse gli occhiali, appoggiandoli sul registro, e si avvicinò a
lei.
“Dipende. Chi state studiando?”
rispose.
“Kierkegaard. Sa, tutta la questione delle scelte dell’uomo”
spiegò.
“Sì, mi ricordo qualcosa. Prova a leggermi un pezzo dei tuoi
appunti” la spronò.
Soddisfatta di quella reazione che
aveva programmato, Rea scelse una parte che aveva già deciso il giorno
precedente e la declamò.
“Le scelte degli uomini sono impossibili da
cambiare. Una volta che si è decisa una
cosa, non si può più tornare indietro e questo porta ad un’angoscia esistenziale
che caratterizza tutta la vita del soggetto. Le scelte davanti a cui ci troviamo
sono spesso o bianche o nere: sì o no? Cambiare idea a metà
della decisione può comportare della sofferenza, soprattutto se il soggetto
interagisce con un altro soggetto”
lesse.
“Non mi
sembra così complicato, giusto?” osservò Jason.
“Magari non è complicato da studiare, ma da capire
sì. Secondo me le
scelte sono più di una e, tra il bianco e il nero, ci sono duemila sfaccettature
di grigio che ci danno la possibilità di soffrire meno possibile, non
pensa?” chiese. L’uomo
iniziò a capire dove la ragazza stesse andando a parare e si irrigidì.
“Per cui
perché rovinarci l’esistenza chiedendoci se andrà bene o male? Magari andrà
benino o malino, ma non per forza sarà tutto in si o in no. E poi, la parte che
parla dei soggetti che interagiscono con gli altri soggetti, mi torna poco. Dato
che i filosofi parlavano del vivere civile, direi che dobbiamo sempre trovare la
soluzione che fa meno soffrire sia noi stessi che gli altri. Giusto?”
“Rea,
cosa stai cercando di dirmi?” domandò il professore senza mezze
misure.
“Lo sa
benissimo. Lei ha paura. Di cosa, lo sappiamo entrambi, ma se vuole lo dico io
ad alta voce”
“No,
non…”
“Teme di essersi innamorato di mia sorella. Anzi no, ho sbagliato, lei è sicuro di essersene
innamorato, è questo che la spaventa. Di conseguenza la evita da due settimane
intere. Questo perché non sa scegliere: lei o il suo
lavoro?” continuò.
“Ehi,
signorina Stevens, ferma con le parole” la minacciò. Lei si alzò e lo
fronteggiò.
“No,
deve capire che così le sta facendo male” rifiutò, scuotendo la
testa.
“Ascolta, quello che è successo non… non doveva succedere.
In realtà non avresti nemmeno dovuto saperlo. Però è un episodio che non sarebbe
mai dovuto avvenire: io sono un professore, lei…”
“E’ una studentessa.
E quindi? Potrebbe tranquillamente dirle che aspetterà giugno e che, una volta
che avrà finito l’esame e si sarà diplomata, potrete uscire insieme. E Emma smetterebbe di distruggersi l’esistenza pensandola” suggerì.
“Non è
quello il fatto, ma…”
“Altrimenti sia chiaro e le dica che non le importa
niente. Che l’ha
baciata solo per un capriccio momentaneo e non gliene frega niente di lei perché
è una ragazzina che ha la metà dei suoi anni”
ipotizzò poi. A quelle parole Jason si irrigidì.
“Aspetta, io non l’ho mai pensato questo” la
fermò.
“E allora dica quello che pensa! Mi aiuti a far stare meglio mia sorella! Non è il suo
lavoro? Stare vicino a noi studenti per capirci e farci
aiutare” lo implorò. L’uomo
si passò una mano tra i capelli e la guardò.
“Sul
serio sei convinta che non mi interessi nulla di lei?” le chiese.
“No, io so che lei le sta a cuore. Lo so e basta, non mi chieda come” rispose sicura.
“Appunto. Ma
pensaci un secondo: io ho lavorato tanto per fare questo lavoro. Ho trentotto
anni, un divorzio alle spalle, due figlie poco più piccole di voi e tutti i
problemi della mia età. Voi siete così giovani, così… così piene di vita e di
speranza. Da quando sono stato a casa vostra non faccio che chiedermi come mai
una studentessa come Emma, che potrebbe sul serio essere
mia figlia, mi abbia fatto un effetto così devastante. Come
un’esplosione. Non l’ho respinta perché non volevo baciarla, al contrario l’ho
respinta perché volevo baciarla. E questo non andava bene affatto. Io ti chiedo solo di capirmi e di non chiedermi di fare una scelta,
perché al momento non ne sono in grado” la
implorò.
“Ma Emma non è più in grado di sopportare questa
situazione. Lei non la vede quando è a
casa, non la vede nemmeno quando cerca di nascondere le lacrime dietro un
sorriso stanco. La prego, io la imploro, la smetta di
ignorarla!” disse
disperata.
“Non
posso!” esclamò Jason, irritato.
“Tu
cosa ne vuoi sapere? Cosa ne sai di cosa significhi avere quarant’anni ed essere
innamorato di una ragazzina appena maggiorenne? Io lo so da due anni che lei è
attratta da me, lo so senza che nessuno me l’abbia mai detto, ma ho evitato ogni
contatto con lei proprio perché sapevo che non avrei resistito. Non mi
interessano le tue preghiere perché non posso prendere una decisione
ora!”
“Lei è
solo un codardo!” lo accusò Rea, arrabbiata. Aveva gli occhi in fiamme e
il suo tempo stava scadendo: doveva agire in fretta.
“Io mi sono sempre fidata di lei, ho sempre avuto un enorme
rispetto per il suo lavoro e per come è, ma non avevo mai capito che era un
codardo. Uno
schifosissimo codardo e basta!”
gridò. Stava improvvisando, sperando che l’uomo non le
tirasse un ceffone.
“Non è così! Io so
che vorrei stringere Emma e che vorrei baciarla e abbracciarla, ma non posso
farle questo! Non posso lasciare che lei mi aspetti per mesi e
che poi si metta con un uomo che ha la mia età!”
esplose, allontanandosi e avviandosi all’uscita.
“Ma se a lei non interessasse? Se lei volesse solo stare con te? Non ha
importanza l’età, sono i sentimenti ciò che conta” gli ricordò Rea.
“Non mi
interessa, io non me la sento di farle questo” ripeté, aprendo la
porta.
“Non le interessa perché ha una fottutissima
paura. Ma la paura si supera. E se lei non lo fa ho ragione io: è solo un codardo” disse fredda. Jason non ribatté
e uscì, lasciandola sola.
La ragazza espirò: non si era
nemmeno accorta che aveva trattenuto il fiato durante la discussione. Si
accasciò su un banco e si portò le mani alle tempie, massaggiandosi la testa. Si
sentiva distrutta, e ora aveva cinque ore di lezione da sopportare.
Uno alla volta i suoi compagni di
classe arrivarono, prendendo posto ai propri tavoli, e i suoi pensieri furono
sostituiti dal rumore delle chiacchiere. Laura le si sedette accanto e la
avvertì che Emma non sarebbe venuto a scuola quella mattina.
“Come? Dopo tutto quello che ho rischiato non viene?” si stupì
lei.
“Ha detto di non sentirsi troppo bene, che ti devo
dire? Era uno
zombie stamani” le
spiegò.
Accasciandosi sul banco, Rea si
chiese se tutta quella fatica avrebbe portato a qualcosa.
Quando tornò a casa trovò la
sorella in pigiama sul divano con una tazza piena di panna e nutella in
mano.
“Stai
cercando di morire di diabete?” le chiese, togliendole il dolce di
mano.
“Ehi,
è mio!” si ribellò lei.
“Non più. Allora?
Come mai non sei venuta a scuola?” s’informò, passandole un fazzoletto per
pulirsi.
“Non me la sentivo. Non sono nemmeno sicura di voler
sapere com’è andata con Jason”
confessò.
“Ho lanciato l’esca.
Il discorso è degenerato, ma sono soddisfatta del
risultato” sorrise.
“Sicura?”
“Lui mi ha detto che gli piaci, ma ha fatto tante storie e
inventato tante scuse per giustificare il fatto che ti evita. Ha paura, ma credo che sia normale” osservò.
“Anche
se mi ha fatto patire le pene dell’inferno. Credevo che non sarei stata in grado
di parlarci per bene. Quando ho iniziato il discorso voleva scappare, ma si è
trattenuto”
“Per
cui dici che di me gli importa davvero?”
“Ne sono certa. Basta
aspettare. Pensa che tra meno di un mese abbiamo le vacanze di Natale e, se
tutto va bene, le passerai con il tuo Jason” le
suggerì.
“Che
fortuna” commentò Emma. Accese la televisione e si mise a guardare un
programma a caso, solo per riempire il silenzio che era calato.
“Va beh, io adesso vado a studiare. Domani ho davvero
l’interrogazione di filosofia e Laura è da Johan a prepararsi, quindi io devo
fare tutto da sola” annunciò, sparendo per il corridoio.
“Ok” rispose Emma.
Rea perse il segno già dopo due
righe, e si mise a sperare che qualcosa accadesse affinché sua sorella
ritrovasse un po’ di pace. Non l’aveva mai vista in queste condizioni.
Come se fosse stata ascoltata
dalla Dea bendata, qualcuno bussò alla porta.
“Vado
io!” esclamò, correndo alla porta. Quando aprì, un sorriso enorme
illuminò il suo volto e si scansò.
“Allora,
tutto sommato, non è poi così codardo”