|| Gabriel
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don’t lean on me
Gabriel
aveva diciassette anni e non riusciva a spiegarsi come mai non riuscisse a
staccare gli occhi di dosso a quel tipo.
«Scusa,
non era libero?» fece il ragazzo, indicando la sedia accanto alla sua, dietro
al banco.
Erano
forse i suoi capelli tinti ad attirarlo? Oppure il suo sguardo color
dell’oceano? Quel viso gli piaceva già da morire.
Gabriel
scrollò il capo. Il ragazzo capì male e fece per alzarsi. «Ehi, è libero»
intervenne Gabriel, bloccandolo prima che se ne andasse.
Lui
si rimise a sedere, rivolgendogli uno sguardo confuso.
«Chi… come ti chiami?» mugugnò Gabriel, incerto sulle parole
da usare.
Il
ragazzo si voltò di nuovo verso di lui, dopo essersi messo a sedere. «Rei»
Gabriel
lo guardò, lo fissò intensamente. Fin troppo.
«Ehi?»
sentì Rei dire.
Gabriel
si destò, e gli rivolse uno sguardo perso. «Come?»
«Tu
chi sei?» ripeté Rei, che gli aveva fatto la stessa domanda poco prima, ma che
lui non aveva capito.
«Ah,
sono Gabriel»
Rei
annuì, incrociando le braccia sul banco.
«Il
banco delle checche» un ragazzo passò loro accanto, borbottando ai suoi
compagni in tono perfettamente udibile.
Rei
roteò gli occhi, con un’espressione dura. Gabriel, quando si rese conto di
quello che aveva appena sentito, sgranò gli occhi, ed ebbe un terribile
flashback.
«Lascia
perdere» mormorò Rei, vedendo la sua faccia.
Gabriel
lo guardò, con l’intenzione di dire qualcosa, ma non gli uscì niente.
«Sono
solo dei coglioni» la voce di Rei gli risuonò ancora lontana. Cercò di tornare
pienamente alla realtà.
Aprì
la cerniera del suo zaino e ne estrasse una bottiglietta di plastica. Bevve un’abbondante
sorso di quella che avrebbe dovuto essere acqua, ma che non lo era. Ingoiò con
una smorfia e sentì la trachea infiammarsi dalla vodka pungente. Si voltò verso
Rei; senza esitazione si avvicinò a lui, facendo incontrare le loro labbra. Gli
mise una mano tra i capelli, tenendolo stretto.
Rei
non si ritrasse, anzi parve piacergli. Si lasciò trasportare, baciando quel
ragazzo che non aveva mai visto prima, che non conosceva, di cui non sapeva un
cazzo di niente.
Gabriel
uscì dal bagno ridendo, la musica alle sue spalle proveniva a tutto volume.
Si
diresse in camera e prese a spalmarsi il gel sui capelli, sui suoi nuovi
capelli bianchissimi. E dritti, se li stava facendo con le dita.
Sorrideva
senza alcun preciso motivo, semplicemente per aver fatto finalmente qualcosa
che voleva da tempo: cambiare la sua immagine, poter essere finalmente sé
stesso. Canticchiò la canzone che proveniva dal bagno, muovendo il capo a
tempo.
Uscì
di casa di fretta, con una sigaretta già pronta tra le dita.
Svoltò
oltre l’angolo; Rei lo stava aspettando nella semi-oscurità. Si scambiarono un
bacio, e si toccarono sotto la maglia strappata. Gabriel gli sorrise
spontaneamente.
«Che
figo che sei», esclamò Rei.
Gabriel
tirò dalla sigaretta, senza smetter di fissare Rei.
«Le
hai portate per me?», gli chiese.
Gabriel
annuì, mostrando di sbieco un pacchetto che gli pendeva dalle tasche.
«Muoviamoci
allora», concluse Rei. Appoggiò il braccio sulle spalle di Gabriel e insieme si
avviarono lungo il marciapiedi, canticchiando Suffraggete
City.
Era
un pomeriggio come gli altri. Gabriel stava tornando a casa dopo una lunga
giornata di scuola. Per fortuna che c’era Rei, ad alleggerirla. Si chiudevano
in bagno durante la ricreazione e si baciavano, sopra il gabinetto. Ormai lo
facevano quasi tutti i giorni.
Solo
al pensiero, Gabriel sentiva ancora il calore di Rei sulla sua pelle, il suo
buon profumo, il suo respiro…
Alzò
lo sguardo varcando il cancelletto e avviandosi su per il viale ghiaioso fino
alla porta d’ingresso.
«Lia»
esclamò, soffocando un grido di spavento. Sua sorella era immobile, le braccia
intrecciate sul petto, i capelli castani piatti ai lati del viso, gli occhi
colmi di lacrime. Si guardarono per un lungo istante, ma prima che Gabriel
potesse formulare una frase, qualcuno apparve sulla soglia della cucina.
Non
poteva essere vero.
Eppure
era proprio lei.
Marion.
Gabriel
la fissò a bocca aperta. In un baleno, un fiume di pensieri gli inondò la testa.
C’erano tutto e niente. Tanti bei ricordi, concentrati in un lasso di tempo
troppo breve.
Marion
era rimasta in città per meno di un anno, da quando si erano conosciuti. Ciò
significava che era lontana da Vancouver da più di due anni.
Era
più bella che mai. Con gli stessi capelli rosso fuoco e gli occhi azzurri come
il cielo senza nuvole. Era come la ricordava, a quindici anni.
Oh,
Marion.
La
sua Marion era proprio lì, davanti a lui.
«Ciao,
Gabriel» disse in un soffio.
«Ciao»
rispose Gabriel.
«Se
te lo stessi chiedendo, l’ho chiamata io, Gabriel. Ho pensato che fosse l’unica
in grado di farti ragionare» fu Lia a parlare, in tono secco, arrabbiato.
Gabriel
le lanciò un’occhiata.
«Io
non ci sono riuscita» concluse sua sorella, abbassando il capo.
«Ti
va di parlare?» chiese Marion. Allungò una mano verso di lui, accogliendo la
sua in una stretta calda e morbida.
Uscirono
di casa e raggiunsero un fazzoletto di erba con qualche panchina. Marion prese
posto e lasciò che Gabriel le si sedesse accanto.
«I
tuoi capelli…» sussurrò lei.
«Li
ho appena ossigenati»
«I
tuoi capelli dorati» ricordò lei, con un moto di malinconia.
«Marion,
lascia perdere»
Si
guardarono a lungo negli occhi, fissandoli uno in quelli dell’altra.
«Che
ci fai qui?» ripeté lui, sottovoce.
«Mi
ha telefonato Lia, ha detto che era una cosa urgente che ti riguardava»
Gabriel
abbassò il capo.
«Mi
ha spaventata, e sono subito corsa qui, lo sai che ti voglio bene»
Gabriel
alzò lo sguardo su di lei, cercando le sue labbra, per baciarla. Ma Marion non
si fece trovare, muovendo il capo dall’altra parte.
«Perché
te ne sei andata, allora?»
«Ti
ho già spiegato che tu non c’entravi niente. Dovevo trasferirmi con i miei
genitori, ma lo sapevi che non sarei andata troppo lontano, sapevi che ero laggiù,
a pochi passi… E non sei mai venuto a trovarmi»
Gabriel
non rispose.
«Non
sono mai riuscita a capire veramente se fossi interessato a me o meno. Gabriel»
lo chiamò, attirando la sua attenzione. Si guardarono negli occhi. «Sei sicuro
che non ti piacciano più… le femmine?»
Lo
sguardo di Gabriel si indurì.
«Sai
che non lo dico per offenderti, ma vorrei solo che mi dicessi la verità, tutto
qui, niente di più, solo la verità»
«Io
non lo so, Marion. Non riesco a capirmi neppure io, figuriamoci se possono farlo
gli altri. Mi dispiace, Marion, mi dispiace fottutamente da morire»
Marion
annuì appena. «Ma io ti son mai piaciuta?»
«Marion,
lo sai che ti ho sempre amata, questo lo sai» Gabriel si avvicinò a lei e la
baciò. Questa volta lei non si tirò indietro.
«Promettimi
che non ti rovinerai» mormorò Marion, ad un soffio dalle sue labbra amare.
Ma
quel dannato silenzio che seguì, non era per nulla rassicurante.
Scusate per il ritardo della pubblicazione, quasi due mesi.. spero che il capitolo sia di vostro gradimento!