Il
sole, alto nel cielo, stava ormai declinando. Si avviava al tramonto.
Esmeralda
si rivestì e iniziò a dirigersi a passo veloce
attraverso i vicoli angusti,
verso la città, per recarsi alla corte. Sì, anche
se non c'era più nessuno
della sua famiglia, lei avrebbe continuato a chiamarla così.
I piedini morbidi
e ambrati si muovevano agili e veloci sul selciato caldo, che le
trasmetteva
una piacevole sensazione di calore, torpore, e famiglia.
Improvvisamente, dopo
lungo tempo, aveva iniziato a ricordare qualcosa che non fosse legato
alla
prigionia.
Era
una giornata come tante, lei era ancora una bambina, poteva aver avuto
al
massimo tre o quattro anni. Non si trovavano a Parigi, ma nell'aperta
campagna,
vicino a una cittadina.
Anche
quella mattina c'era il sole, ma era pallido, invernale, freddo. Lei si
era
alzata che la stella era già alta nel cielo bianco. Dentro
il carro del duca
d'Egitto, il suo tenero e piccolo musetto era riemerso dalle coltri
della
pesante trapunta che Clopin usava per dormire, visto che condivideva il
carro
con lei. Gli occhioni grandi, scuri, si erano aperti emergendo da sotto
la
coperta. E avevano scrutato l'ambiente circostante alla ricerca del
volto
familiare e benevolo del patrigno. La chioma castana era sparsa sul
cuscino, e
dalla coltre emergevano le piccole manine che tenevano i lembi della
coperta.
Sbadigliò e si alzò a sedere, stropicciandosi gli
occhi tenendo le mani a
pugnetto. Quando tutt'a un tratto, un profumo insolito aveva colto la
sua
attenzione. Era un buon odore, e la sua giovane mente si chiedeva cosa
fosse.
Non era il profumo dell'erba, l'avrebbe riconosciuta. Non era neanche
qualche
fiore particolare, giacché conosceva quella zona abbastanza
bene dal conoscere
a memoria i profumi di tutti i fiori lì vicino. Con la sua
poca esperienza non
sapeva descrivere cosa quel profumo caldo, che le ispirava qualcosa di
avvolgente e croccante, chissà perché?, e di
buono. Si era alzata e si era
avviata verso l'uscita del carro, sua casa.
Lentamente
aveva percorso i gradini di legno che la separavano dalla superficie
terrestre.
Aveva leggermente mosso il labbro mentre le manine si serravano al
materiale e
i suoi occhioni si fissavano sul punto dove i suoi deliziosi piedini
avrebbero
dovuto poggiarsi. Era agitata. Voleva andare da Clopin per chiedergli
cosa
fosse quel profumo. Inoltre, quella era la prima volta che usciva dal
carro
senza l'accompagnamento del padre. Clopin sarebbe stato orgoglioso di
lei!
Quando
finalmente il suo corpo toccò terra senza problemi,
zampettò sui piedini verso
il campo vero e proprio, ovvero il cerchio composto da tronchi di
legno,
intorno alle pietre che delimitavano il focolare.
Si
era avvicinata tutta sorridente al cerchio, dove aveva riconosciuto il
suo
papà, e correva. E notò che più gli si
avvicinava, più l'odore era buono e
forte. Doveva essere il suo papà a emanare quel profumo...
Il suo papà era
tanto buono...
-Papà,
papà... che cos'è questo profumo?- chiese tenera.
-È
il profumo del pane. È la cosa più semplice e
buona che ci sia al mondo. E ciò
di cui tutti hanno bisogno per poter vivere. È il simbolo
della nostra vita,
tesoro.- le aveva spiegato allora e la piccola si era accontentata di
quella
spiegazione e l'aveva conservata, quasi avesse il terrore che quelle
parole
potessero scivolare via e abbandonarla sola proprio in quel momento.
Quell'odore
che anni prima aveva tanto destato la sua curiosità, lo
sentiva anche lì, per
le vie acciottolate di Parigi, mentre cercava di ricordare quale strada
avesse
intrapreso al mattino per sfuggire alle guardie. Perché
doveva sempre scappare
da qualcosa o qualcuno, correre senza meta e ritrovarsi in posti
sconosciuti?
Sempre al tramonto, per di più. La giovane, rincuorata dal
ricordo appena
riaffiorato alla mente, ma spaventata all'idea di essersi persa di
nuovo, vagò
per le strade, pensando a Febo, ignara del fatto che l'amato soldato
fosse vivo
e la stesse seguendo e spiando da tutto il giorno.
***
La
guadava da tutto il giorno, nascosto dagli arbusti che la sponda del
fiume
offriva, come perfetto nascondiglio. Non voleva ancora rivelarsi, per
quello ci
sarebbe stato tempo. Voleva prima vedere cosa facesse esattamente la
giovane,
dove vivesse e se fosse sopravvissuto qualche altro sans-papiers alla
strage
della settimana precedente.
Ancora
doveva capire come diavolo avesse fatto a sfuggire al patibolo... Non
si dava
pace per questo affronto che aveva subito da parte di quella giovane
spaurita e
assassina. Come aveva fatto a eludere le guardie che soprassedevano
Notre Dame
a ogni porta? Come era riuscita a non essere riconosciuta da nessuno?
Eppure la
notte precedente la sua presunta esecuzione, la luna era piena, quindi
avrebbe
dovuto risultare evidente a chiunque passasse di lì... ah!
Ma che senso aveva,
ormai? Ora l'aveva ritrovata, e questa volta, niente al mondo sarebbe
riuscito
a frapporsi tra lui e la strega: l'avrebbe avvicinata, e poi portata in
cella,
per farla morire il giorno stesso, se fosse stato necessario. Non
l'avrebbe
scampata, questo era certo, chiarissimo nella sua mente.
Verso
il tramonto la giovane si era alzata, rivestita di tutto punto, con
grande
disapprovazione del capitano, che, mentre aveva elaborato quel
diabolico, a suo
dire, quanto infallibile piano, aveva indugiato più volte
senza alcun ritegno
sul corpo della bella zingara, che, doveva ammetterlo, riusciva ancora
a
risvegliare nella sua mente pensieri che di pudico avevano ben poco.
Aveva
indugiato sui suoi virginei seni, sul suo ventre, sulle sue gambe
lasciate al
sole, forse anche eccessivamente scoperte. Ma cosa poteva saperne la
zingara,
che dietro a quegli arbusti si nascondeva l'uomo che aveva detto di
amare e che
ora, mentre pensava a una maniera efficace per ucciderla una volta per
tutte,
si eccitava al vedere il suo corpo bagnato e mal coperto dai suoi
vestiti? Di
certo sarebbe stata entusiasta di saperlo lì, e avrebbe
avuto la folle idea di
corrergli incontro, magari chiamarlo anche “amore”,
come è solito che si
comportino le giovani ragazze innamorate. Avrebbe anche potuto dirgli
che
l'amava e che non poteva vivere senza di lui. Dai ricordi di quella
sera
fatale, visti i discorsi che lei aveva fatto, sarebbe anche potuta
andare così.
Anzi, quasi sicuramente sarebbe andata così, non aveva dubbi.
Quando
la vide alzarsi e allontanarsi, aspettò qualche istante e
poi la seguì. Seguiva
il suo passo leggero e danzante di una fanciulla troppo spensierata,
dolce e
bella per destare sospetti sulla sua colpevolezza. Eppure quel pugnale
era
della fanciulla, ne era certo: si ricordava di averlo intravisto sotto
la gonna
di Esmeralda, quel mattino in cui lei era salita nell'appartamento
della sua
fidanzata, Fleur-de-lys. E una cosa che aveva sempre avuto, era buona
memoria.
L'unica cosa che lo stupiva era quanto lei fosse stata abile nel
nasconderlo al
capitano degli arcieri del re, e di averlo saputo tirare fuori nel
momento più
opportuno, quando ormai lui era a un passo dal poterla avere.
Ormai
non aveva più importanza, lei l'aveva pugnalato e niente di
quello che sarebbe
potuto essere stato, sarebbe accaduto. Quella fanciulla, all'apparenza
tanto
ingenua, ma scaltra come una volpe e agile come un felino, non poteva
che
vederla come una nemica, una strega che aveva cercato di ucciderlo,
incantandolo con la sua bellezza e il suo atteggiamento di bambina
innocente.
L'avrebbe presa con sé con l'inganno, esattamente come aveva
fatto lei, e poi
l'avrebbe condotta in prigione, e questa volta non avrebbe permesso a
nessuno
di avvicinarsi alla cella, a costo di doverla sorvegliare di persona.
La
fanciulla vagava per la città, quasi fosse incerta su dove
andare, e lui colse
l'occasione per avvicinarsi.
-Vi
siete persa, bambina mia?- chiese lui, sorridente. La zingara si era
bloccata e
dopo qualche istante si voltò verso di lui.
***
Esmeralda
stava vagando per la città, ignara di dove fosse e quanto
tempo fosse passato.
Pensava solo ed esclusivamente al suo Febo. Al suo sole senza il quale
non poteva
vivere... Chissà se stava pensando a lei, o si era trovato
qualcuno che
colmasse quel vuoto che il suo amore aveva lasciato in lui.
Vagava
da ore probabilmente, quando sentì una voce, quella voce,
rivolgersi a lei. Il
cuore tamburellò forte forte come non accadeva da tanto
tempo. Come se niente
fu desse, la voce dell'arcidiacono scomparve dalla sua mente,
sostituita da
quella del suo bel capitano. L'aveva trovata, infine! L'aveva sempre
saputo!
Sarebbero rimasti insieme e sarebbero fuggiti via da quella
città, che tanto
aveva causato loro del male e tanto dolore: non voleva più
rivedere quel
vecchio prete.. Voleva dimenticare, rifarsi una nuova vita, lontana da
Parigi,
con la persona che più amava.
-Sì…-
rispose voltandosi verso di lui. Con un nodo che le serrava la gola e
le
lacrime agli occhi dall’emozione.
-Ti
sono mancato?- chiese lui con un sorriso beffardo sul volto. Lei
sorrise nel
vederlo.
-Sì,
molto, mio Febo!!- rispose riscuotendosi da quello stato intorpidito e
stupito,
per lasciare spazio alla sua solarità, appena riconquistata
alla vista del suo
amato. Lui sorrise.
-Che
ci fate tutta sola fuori Parigi, bambina mia?- disse senza cercare di
nascondere una certa voluttà.
-Camminavo…-
rispose lei –e mi sono persa…- riprese lei.
-Posso
riaccompagnarvi in città, se lo gradite.- ribatté
lui, sfoggiando tutta la
cavalleria di cui era capace. A tanta dimostrazione di cavalleria, la
gitana
arrossì, e annuì, afferrando saldamente il
braccio che l’uomo le stava
offrendo. Un soldato e una zingara. Per lei non c’era niente
di più logico al
momento. Febo era più grande di lei, ma non così
vecchio come il prete. La sua
armatura rifulgeva splendente ai raggi del sole, donando una gioia
immensa alla
piccola zingara. Non sapeva perché, ma stare con Febo la
rassicurava. Era tranquilla,
non solo perché lui era il suo amato e l’aveva
cercata in lungo e in largo,
dando così prova del suo cieco amore; anche
perché sapeva che, finché sarebbe
rimasta al suo fianco, le guardie non le avrebbero torto un solo
capello. Lui non
l’avrebbe permesso.
Con
lui stava bene, lo sentiva. Non poteva sentirsi meglio di
sì. Il cuore era
palpitante e dopo giorni, mesi di totale buio, con Febo era tornato
anche il
sole. Era come se la vita fosse tornata a scorrerle nelle
vene… La paura
provata in quei pochi giorni di libertà, di incontrare quel
prete a ogni angolo
della strada, che una volta trovata avrebbe potuto…
Continuare a cercare di
averla, ormai senza alcun controllo, la terrorizzava,
finché, tornata a casa,
al sicuro, non tirava un sospiro di sollievo. Ora tutto quel timore era
scomparso, con la gioia e la conferma della sua speranza, che Febo era
vivo e
che il prete le aveva mentito, in carcere.
***
Febo,
dentro di sé, sorrideva. Molto presto l’avrebbero
elevato di grado. Perché come
aveva promesso alla zingara, la stava sì, riportando in
città, ma non le aveva
precisato ancora quale sarebbe stata la destinazione. Ciò
non significava che
lui non lo sapesse: le segrete del Palazzo di Giustizia.
L’avrebbe fatta
rinchiudere lì, e questa volta niente avrebbe impedito alla
zingara di finire
al patibolo. Nessuno poteva attentare alla sua vita senza pagare. Non
importava
chi fosse e perché l’avesse fatto (anche se al
capitano il movente sfuggiva
ancora!), doveva pagare, ed era disposto a tutto pur di farsi
giustizia. Ignorando
ciò che la zingara ancora, nonostante tutto, fosse in grado
di suscitare in
lui, continuò per la sua strada, trascinandola dietro con
sé.
La
giovane non aveva ancora realizzato dove stessero andando, quando
oltrepassarono le porte della città e le vie, man mano che
si avvicinavano alla
cattedrale, all’Ile de Cité, sempre ingombre di
banchetti delle botteghe, i
carretti che passavano, trainati da muli o asini e poi le carrozze
nobiliari,
trainate da eleganti cavalli purosangue.
***
Lei si guardava intorno,
cercando di
riconoscere la strada che l’avrebbe riportata a casa da sua
madre, il poeta
Pierre e dalla sua Djali, che quel giorno aveva deciso di rimanere con
il suo
padrone. Come sarebbe stata contenta sua madre di conoscere finalmente
l’uomo
di cui tanto lei le parlava! Finalmente avrebbe visto quanto bello e
gentile
era, e avrebbe smesso di difendere quel prete maledetto, infernale, che
la
desiderava.
Era
talmente felice ora, finalmente, dopo tutti quei mesi di terrore, che
poco
importava dove stessero andando, l’importante, almeno per la
giovane zingarella,
era stare insieme. Voleva solo questo. Un dubbio la assillava,
però non ebbe il
coraggio di aprire bocca. E invece di pensare al peggio, cosa che in
qualunque
altra situazione avrebbe fatto (soprattutto in compagnia del prete!) la
Esmeralda pensò, da ragazza ingenua e innamorata che si
stessero dirigendo a
casa sua, del suo bel capitano.
-Mi
state portando a casa vostra?- chiese lei, ingenuamente.
-Vicino
a casa mia... se non ti dispiace..- rispose non più gentile
come prima, facendo
scaturire un moto di sorpresa in Esmeralda. Perché ora si
comportava così?
-N..no…-
farfugliò lei confusa.
***
Febo,
dal canto suo, era stanco di voler fingere con quella strega,
bellissima strega.
Voleva semplicemente consegnare la fanciulla, vederla sulla pubblica
piazza e
essere aumentato di grado, in modo tale da poter sposare la bella
Fleur-de-Lys.
Da quando la zingara era sfuggita per la seconda volta, alla giustizia,
era più
irrequieta del solito, e sospettava che lui centrasse qualcosa nel
fatto che
fosse sfuggita alla giustizia.
Doveva
farla morire. Non poteva permettere che fosse macchiato il suo onore di
capitano delle guardie. Se voleva essere qualcuno, doveva dimostrare
che niente
e nessuno poteva prendersi gioco di lui, soprattutto una zingara
accusata di
stregoneria.
Erano
ormai arrivati di fronte al maestoso palazzo, severo e austero, quando
dovette
fermarsi e voltarsi verso la sua accompagnatrice.
-Qualcosa
non va?- chiese lui sornione, un malvagio ghigno dipinto sul volto.
***
-Perché…
mi avete portato qui?- chiese lei spaventata. In effetti era in quello
stato di
pensieri da quando aveva visto il profilo del minaccioso palazzo
rivelarsi da lontano.
Non aveva capito perché si stessero dirigendo là,
finché il profilo non si era
materializzato nella facciata, con le sue porte di bronzo e ferro,
quelle
pesanti porte che per mesi le avevano vietato di vedere il suo sole.
-Perché
voi mi avete ferito, zingara. Mi hai pugnalato quasi mortalmente e non
ho
alcuna intenzione di far passare l’azione impunita. Chi
commette un crimine,
deve pagare. E per quanto tu, con il tuo visetto grazioso possa
piacermi.. devo
far rispettare la legge. Sono il capitano degli arcieri del re. Devo
rispettare
per primo la legge, se voglio che gli altri lo facciano. Quindi ora
vieni con
me per pagare le tue colpe.- concluse Febo di Chateaupers in tono duro.
Lei sgranò
gli occhi.
-No!
Io non vi ho fatto niente! Credetemi. Come avrei potuto farvi del male?
Voi siete
tutto per me! Il mio sole, la mia vita… Io vi amo, Febo,
come non è umanamente
possibile. Perché mai avrei dovuto pugnalarvi in quella
stanza? Io.. Lo so di
essere stata trovata accanto a voi, ma… io non vi avrei mai
potuto fare del
male! Lo giuro sulla mia vita!- disse lei, disperata, con le lacrime
agli
occhi. Non aveva fatto niente per meritarsi tutti quei mesi di
prigionia e
tortura.
***
–Se
non sei stata tu, chi è stato allora?- aveva chiesto il
capitano guardandola
diffidente. Che cercasse di discolparsi, era un cliché, una
scena già vista e
rivista. Però quella ragazza sembrava sincera. Era una
zingara, però già solo
per la propria bellezza e giovane età (infatti non aveva mai
incontrato una
zingara bella e giovane allo stesso tempo!) dubitava che potesse essere
falsa
come gli altri. La ragazza, alla sua domanda aveva titubato a lungo,
come se ci
fosse qualcosa che la turbasse. E per questo lui non aveva esitato a
farle
pressione. –Allora?
Si può sapere chi è
stato se non tu?- chiese lei.
***
Esmeralda
titubava. Doveva raccontare proprio tutto quello che sapeva al
capitano? Doveva
consegnare un uomo alla giustizia? Non sapeva se sarebbe stato giusto,
cosa
avrebbe detto Clopin se fosse stato lì. Però
sapeva chi era l’uomo in
questione, e cosa le aveva fatto patire. Quel prete maledetto, che
odiava con
tutta se stessa. Che aveva commesso un crimine e poi l’aveva
accusata. Che l’aveva
fatta torturare e le aveva fatto quella proposta indecente nella cella.
Che,
anche se non l’aveva consegnata alle guardie, continuava a
guardarla con la
stessa lussuria e lo stesso desiderio che gli aveva visto negli occhi
quel
mattino nella cella. Si sentì terribilmente in colpa. Ma fu
più veloce di lei,
le parole le sfuggirono di bocca ancora prima di poterle frenare.
-Il
prete maledetto.- rispose lei per poi raccontargli tutto ciò
che lui le aveva
raccontato. –è stato lui, io non c’entro
niente, mio Febo. Credimi.- rispose
lei.
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