Botti
di capodanno
Anche se non nevicava più, l’aria era davvero fredda. Rea si strinse nella giacca a
vento e cercò di non pensare a come era vestita e al fatto che Fabio fosse
accanto a lei.
“Dove è casa mia lo sai, per cui non devo ripeterti la cartina
geografica. Sali in
moto e fai veloce, ti scongiuro, perché ci rimangono solo otto minuti” le disse il ragazzo, facendo accendere il
veicolo. Nonostante una vocina nella sua testa le stesse
sconsigliando vivamente di salirci, lei si mise a cavalcioni dietro e si strinse
forte al petto di lui, sentendone il calore.
“Siamo
pronti?” le chiese.
“Sì. Non farmi uccidere, ok?” lo implorò.
“Fidati
di me” le rispose. Si mise il casco e partì a tutta velocità ma, a
differenza dell’altra volta, Rea decise di non dire niente. Semplicemente
aumentò la stretta e rimase a testa bassa.
“Stai
bene?” le gridò Fabio per sovrastare il rumore del vento.
“Sì, ma
voglio arrivare prima possibile” ammise.
“Allora
stringimi di più” le suggerì, sorridendo.
“Guarda
che non sei simpatico” ribatté lei, alzando un po’ gli occhi per
guardarlo. Alle luci dei lampioni, a quella velocità e col casco sembrava
bellissimo. “No, in realtà lo è” prima o poi la
ragazza avrebbe accoppato la sua stupidissima vocina interiore.
“Me l’hai
già detto, quindi non c’è bisogno che tu me lo ripeta” le ricordò.
“Una
volta in più è meglio di una volta in meno” rise lei. Ci misero davvero
poco ad arrivare davanti casa, aprire la porta e scomparirci dentro.
“Muoviti” la spronò Fabio, tirandola per una mano e
trascinandola in casa.
“Ho i
tacchi, mi ammazzo se cado!”
“Sei tu
che te li sei messi, non te lo ha imposto nessuno” le fece presente. Rea
arrossì.
“Mi
sembrava carino mettermi qualcosa di elegante” ammise imbarazzata. Lui si
fermò di botto e si voltò a guardarla. Aveva le guance rosse e gli occhi bassi e
si torturava i capelli con le dita. Adorabile.
“A me
saresti piaciuta comunque” le assicurò. Lei alzò lo sguardo, colpita da
quelle parole, e lo fissò, divisa tra la gratitudine e la paura. Poi il ragazzo
si schiarì la voce.
“Spumante” si ricordò, lasciandole la mano e andando al
frigo. Lei si mise una mano sul cuore per cercare di fermare il battito
impazzito, ma fu inutile. Mentre Fabio cercava la bottiglia e i calici sentì
nitidamente QUELLA sensazione. La odiava: arrivava sempre quando lei si sentiva
emozionata e le troncava il fiato in gola. Era come quando hai un esame e non
sai niente, che lo stomaco si chiude e la gola si stringe.
“Ok, ecco qua. Abbiamo
venti secondi precisi, sei pronta?” le chiese il
ragazzo, passandole un bicchiere.
“Sì” rispose lei, leggermente tremante. Se lo sentiva
fino dentro alla pancia che qualcosa stava per succedere, e non sarebbe stato
niente di buono. Possibile che i problemi non facessero che inseguirla?
“Ok,
dieci… nove…” Fabio iniziò il conto alla rovescia, tenendo l’orologio
sott’occhio. “Ciao, ciao, vecchio anno” pensò
Rea, alzando il calice e aspettando lo scoccare della mezzanotte.
“…due…
uno…” non servì che lo dicesse lui che il minuto era scoccato, perché il
rumore festoso che si sentì fuori da casa fu un annuncio più che
sufficiente.
“Ecco qua, l’anno nuovo è arrivato. A noi”
disse il ragazzo, facendo scontrare i bicchieri e sorridendo mentre
beveva. Anche lei sorrise e si portò lo spumante alle
labbra, guardandolo.
“Buono” commentò lui, abbassando il suo.
“Già” annuì lei. Non riusciva a mettere insieme più di
due parole, si sentiva strana. Era una sensazione che, nonostante le avesse
creato un groppo in gola, la scaldava. Felicità, forse? Non la provava da così
tanto tempo che non avrebbe saputo riconoscerla.
Fabio finì lo spumante e appoggiò
il calice sul tavolo.
“Hai
altri programmi per la serata oppure io poi torno a casa?” domandò Rea,
riuscendo a creare una frase sensata.
“Dipende
da te” rispose il ragazzo, guardandola intensamente. Troppo intensamente.
Lei deglutì e distolse lo sguardo.
“Spiegati meglio, perché non ho capito cosa intendi”
disse. “Sì che lo hai capito!” ribatté la voce
in testa.
“Se vuoi fuggire come Cenerentola e rifugiarti nella tua
casetta dove la tua matrigna ti aspetta e le tue sorelle sono meglio di te, vai
pure. Significa che farò il principe
azzurro e verrò a prenderti domani con una scarpetta di cristallo. Altrimenti, se vuoi rimanere con me e, per una sola volta, rischiare
un po’, possiamo trovare qualcosa da fare” le
spiegò.
“Non…
non mi mettere davanti decisioni che sai che non posso prendere, Fabio”
lo implorò. Lui si avvicinò.
“Correggi
il verbo” le suggerì. Rea non capì.
“In che
senso?”
“Non è vero che non le puoi prendere. Tu non vuoi prenderle, è diverso. Così
come non vuoi stare con me, come non vuoi essere felice, come non vuoi vedere
quanto sei speciale” la sgridò
dolcemente. Lei arretrava a ogni suo passo, ma alla fine
rimase schiacciata al muro, senza avere la possibilità di muoversi. Eccolo lì,
il problema a cui pensava poco prima.
“Ogni tanto mi domando se tu non stia meglio
così. Se non ti piaccia, in fin dei
conti, piangerti addosso. È più facile, vero?” le domandò. Aiuto.
“No, non
è più facile. È solo…”
“Meno complicato? Il
fatto è che nascondendoti non ti esponi, e se non ti esponi non rischi di
soffrire. Giusto? Ma se non ti esponi non riuscirai nemmeno a
trovare la felicità” le
spiegò.
“Sei
semplicemente una codarda” commentò. Per Rea fu come uno schiaffo in
pieno viso. Si sentì malissimo.
“Non è
vero!” gridò arrabbiata.
“Sì, lo
è. Se non lo fosse, rischieresti un po’ nella tua vita”
“Ma tu chi sei per dirmi come vivere la mia
vita? Chi te lo ha
dato questo permesso?” gli chiese
infuriata.
“I miei
sentimenti per te” rispose semplicemente.
“Che sono ricambiati.
Lo so che sono ricambiati. Ma non vuoi ammetterlo per paura,
ergo sei una codarda”
ragionò. Gli occhi della ragazza mandavano lampi di odio
puro.
“Fabio
Daniels, stai giocando col fuoco” lo avvisò,
ponendo il suo viso a un centimetro dall’altro.
“Non mi
fai paura” la rimbeccò lui, guardandola fisso. Forse fu la sua
sfacciataggine a farla muovere, forse l’odio. O forse solo l’aver represso per
troppo tempo quello che il suo cuore cercava di far uscire da mesi. Fatto sta
che lo prese per il bavero della camicia e se lo tirò contro, baciandolo con
tale foga da togliergli il respiro. Lo strinse a sé, possessiva, e non lo lasciò
andare fino a che non fu a corto di ossigeno.
Si staccò col fiato corto e lo
guardò.
“Io. Non. Sono. Una.
Codarda”
specificò. Fabio era incredulo, ma felice, dentro di sé, di
aver avuto una qualche reazione da parte sua.
“Io
nemmeno” rispose, prendendole il viso e tornando a baciarla.
Le loro mani si accarezzavano il
volto, il collo, si cercavano. Il bicchiere che la ragazza aveva in mano si era
frantumato a terra ma non poteva interessargli di meno.
A un certo punto fu lui a prendere
l’iniziativa e a passarle la lingua sulle labbra, sul mento, giù fino sul collo,
facendole venire i brividi in tutto il corpo. Si fermò a morderle la base del
collo, e sentì il suo respiro farsi sempre più affannato.
“Sei
buona” le sussurrò, andando con le mani ad alzarle il vestito.
“Stai
attento al veleno” rispose lei, sorridendo. Lui sorrise a sua volta, poi
la premette di più alla parete.
“Se non mi vuoi, dillo ora e in qualche modo mi
fermerò. Con molta
fatica, lo ammetto, ma ci proverò” le disse
affannato. La ragazza non rispose, semplicemente lo spinse
leggermente per aver modo di passare e se lo tirò dietro in camera da letto.
“A che
pensi?”
“A una
filastrocca per bambini che mi diceva mia madre quand’ero
piccolissima”
“Per
bambini? Quanti anni avevi?”
“Tre o
quattro, non ricordo. Era la mia mamma vera”
“Conosco
la storia, me l’hai raccontata tu per Natale”
“Davvero?”
“Già”
“Basta
alcool per me, ho capito”
“Ahahahah, te lo
consiglio, sì. Parli a sproposito da ubriaca”
“Comunque non so perché mi è venuta in mente, è una di quelle
filastrocche sceme per festeggiare l’ultimo dell’anno”
“Ti va di
dirmela?”
“Davvero
sei disposto ad ascoltare una filastrocca per bambini?”
“Perché
no? È molto lunga?”
“No”
“Allora
fammela sentire, dai”
Rea si sedette sul letto,
coprendosi pudicamente col lenzuolo, e chiuse gli occhi per concentrarsi.
“Il mio pupazzo di
neve si è sciolto,
c’era un bel sole e
io ho pianto molto.
Ora è sparito, può
darsi che dorma,
o è sempre qui ma
ha cambiato forma.
Anche il pupazzo
Anno Vecchio è passato,
col nuovo sole sarà
già squagliato.
Lascia ricordi,
qualche rimorso,
cambia la forma e
diventa Anno Scorso.
Ma c’è il bambino
Anno Nuovo che viene,
ha gli occhi allegri
e le tasche piene
di mesi, di giorni,
di ore e minuti
e questa notte
anche tu lo saluti”
“Carina” commentò Fabio, tirandola di nuovo verso di sé
e facendosela stendere sul petto. Lei chiuse gli occhi e iniziò lentamente ad
addormentarsi.
“Dovrei
chiamare a casa per dire che non torno” disse sbadigliando.
“Mando un
messaggio io alle tue sorelle, tanto ho il loro numero” la rassicurò lui,
baciandole la testa.
“Grazie” rispose.
“Di
niente” minimizzò il ragazzo, sorridendo. Rimase in silenzio ad
ascoltarla addormentarsi.
“Fabio?” sussurrò Rea a un certo punto.
“Mh?”
“Non
farmi male” lo implorò, cadendo finalmente tra le braccia di Morfeo.
“Mai” promise lui.