I
problemi ti attaccano alle spalle
Quando aprì gli occhi non
ricordava dove fosse, né come c’era arrivata.
Si mise a sedere sul letto e il
lenzuolo le cadde lievemente da una parte, lasciandola scoperta e facendola
rabbrividire. “Ma sono nuda?” si chiese.
Sbadigliò e si stirò, poi si
guardò intorno alla ricerca di qualche segno per ricordarsi cosa fosse successo.
Quando vide Fabio appoggiato al cuscino che dormiva beatamente, tutte le
immagini della sera precedente si riversarono nella sua testa e lei arrossì,
portandosi le mani al viso. “Oddio!” esclamò
dentro di sé. In quell’istante il ragazzo fece un verso strano e poi aprì
assonnato un occhio.
“Che ore
sono, mamma?” domandò. La mise a fuoco un istante dopo.
“Rea? Ah, giusto” disse, stropicciandosi
gli occhi. La ragazza sentì il cuore accelerare.
“Buongiorno” la salutò sorridente, baciandola. Quel
contatto le fece dimenticare tutti i problemi che stavano nascendo nella sua
mente e la fece rilassare.
“Anche a
te” ricambiò. Lui si stirò, poi sbadigliò e infine si sedette sul
letto.
“Ho
fame” annunciò. Si tolse di dosso il lenzuolo, rimanendo nudo e facendo
girare Rea, che non voleva vederlo per semplice pudore.
“Ehi, non
devi mica vergognarti!” la prese in giro Fabio, ridendo. Si infilò i
boxer e il pigiama e poi la fissò divertito.
“Hai
intenzione di osservare le tende per molto tempo ancora?” domandò.
“Sei vestito?!”
“Certo
che si” la tranquillizzò. Rea sospirò sollevata e poi si voltò.
“Allora
mi faresti un favore?” lo implorò.
“Del
tipo?” chiese lui.
“Mi
passi i vestiti?” disse, indicando a terra l’abito che aveva la sera
prima. Il ragazzo scoppiò a ridere, poi le lanciò tutto sul letto.
“E
adesso girati” continuò lei, facendogli segno di voltarsi col dito.
“Sei seria?!” si
stupì lui, sgranando gli occhi.
“Certo
che lo sono!” rispose, continuando a muovere l’indice. Controvoglia, fece
come lei aveva detto, e la senti scendere e infilarsi i vestiti.
“Tutto
questo è ridicolo” commentò.
“No che
non lo è. È normalissimo” ribatté Rea,
mettendosi le calze.
“E invece no. Ti ho vista nuda, perché tutto questo pudore?” sbottò.
“Perché
mi vergogno, tutto qui” rispose semplicemente la
ragazza.
“Ieri
sera non ti vergognavi” le ricordò. Lei lo colpì con un cuscino.
“Maleducato!” lo aggredì. Fabio rise e la
abbracciò.
“Sei
adorabile quando ti arrabbi, te l’ho detto?” le sussurrò. Anche lei rise
e si appoggiò al suo petto.
“No, ma
se me lo ripeti cento volte forse ci crederò” disse. Rimasero fermi
qualche secondo, poi il ragazzo sospirò.
“Io ho
fame, andiamo a fare colazione?” la implorò, sciogliendo l’abbraccio.
“Colazione? Ma è mezzogiorno e mezzo!” rise
l’altra, aprendo la porta della camera.
“Va beh,
colazione pranzata”
“O
pranzo colazionato” suggerirono.
Quando entrarono in cucina
trovarono i genitori di Fabio seduti a tavola con un’enorme tazza di latte e
caffè davanti. Rea s’immobilizzò e arrossì violentemente.
“Oh, buongiorno” li salutò la
donna, stupita. Il ragazzo imprecò mentalmente e si stampò in faccia un sorriso
da poker.
“Buongiorno a voi.
Come è andata la festa ieri sera?” ricambiò, trascinandola su una sedia e facendocela
accomodare.
“Bene.
Come solito” rispose piatto l’uomo. “Mio caro Daniels, hai fatto una
cazzata” pensò lui.
Prese da mangiare sia per sé che
per la ragazza, poi si mise vicino e lei e iniziò a mangiare. Era sceso uno
strano clima glaciale nella stanza.
“Allora, Rea, come procede?”
chiese la madre, cercando di essere più gentile possibile. La nominata alzò lo
sguardo e tentò con tutte le sue forze di non sembrare più impacciata di come
già non era.
“Bene,
grazie” rispose sorridendo. Scese altro silenzio, rotto solo dal
tintinnare dei cucchiai nelle tazze.
Lei deglutì e sperò con tutta sé
stessa che i due signori non si arrabbiassero troppo.
Cazzo, non aveva pensato
all’eventualità che fossero in casa. Eppure avrebbe potuto: in fin dei conti era
loro, quell’appartamento.
Rimasero tutti zitti fino a che
non ebbero finito di mangiare, poi Fabio si schiarì la gola.
“Noi
andiamo” annunciò alzandosi e tirandosi dietro Rea. Lei lo seguì
docile.
“Ci
vediamo dopo” li salutò il ragazzo.
“Arrivederci, signori Daniels” disse la ragazza, agitando lievemente la
mano.
I due rimasero zitti a fissarli,
mettendole addosso una terribile sensazione.
“Ho i
brividi” commentò la rossa quando furono per strada, stringendosi nel
giaccone.
“Per il
freddo?” s’informò l’altro, guardandola. Lei scosse la testa.
“Per la
figuraccia fatta con i tuoi” spiegò. Arrossì solo a pensarci.
“Non è niente, tranquilla. Non sono abituati a ospiti improvvisi,
tutto qui” le assicurò.
“Comunque non è stato il modo migliore per presentarmi
stamani” commentò.
“Ma va’,
cosa vuoi che sia? In un modo o nell’altro se ne sarebbero comunque accorti,
giusto? Per cui non c’è niente di cui preoccuparsi”
“Sicuro?”
“Al cento
per cento” confermò. Rea sorrise, poi lo guardò.
“Da qui in poi posso proseguire da sola. Devo passare da dietro per rientrare,
non voglio farti nascondere”
disse. Ormai era quasi arrivata, in fin dei conti.
“Mi piacerebbe accompagnarti fino a casa,
invece. Cioè, sempre se
non ti dispiace” ribatté Fabio, arrossendo
leggermente.
“No che
non mi dispiace” lo rassicurò.
Camminavano vicini, ma le loro
mani non si sfioravano. Nella testa della ragazza c’erano mille mila domande:
sono la sua ragazza a questo punto? Ne vale la pena? E se fosse stata una cosa
da una notte e via? Sarà il tipo che si vanta con gli amici di aver fatto sesso
con le ragazze?
“A che
pensi?” le domandò lui a un certo punto, fermando quel flusso infinito di
problemi che stavano piano, piano prendendo possesso della sua mente.
“A
niente in particolare” mentì lei, arrotolando una ciocca di capelli con
le dita.
“Bugiarda” sorrise il moro, guardandola divertito.
“Chi? Io?” esclamò la rossa, continuando a
giocare con i capelli. Il ragazzo si fermò e la fece
voltare verso di sé.
“Quando
sei nervosa giochi con i tuoi capelli e distogli lo
sguardo, e quando dici una bugia diventi rossa” spiegò. Rea deglutì a
fatica: rischiava di perdersi in quegli occhi profondi.
“M-ma ero sincera. Non pensavo a nulla” cercò di
ribattere. Le prese il viso tra le mani e la baciò
lentamente. “Ora mi sciolgo” si disse lei,
sentendo le gambe cedere.
“Ok, farò
finta di crederci” decise Fabio, staccandosi.
Rea rimase con gli occhi chiusi e il fiato corto un paio di secondi, poi abbassò
lo sguardo.
“Direi
che questo è un saluto” dedusse. Ormai vedeva casa sua in fondo alla
strada.
“Penso che sia meglio, sì. Non vorrei far arrabbiare i signori
Stevens” rise il ragazzo, accarezzandole una
guancia.
“Ok” annuì lei. Rimasero fermi così, finché la rossa
non si decise a parlare.
“Mi
chiami?” domandò speranzosa.
“Non
avrai nemmeno il tempo di accorgerti che sono andato via” le assicurò,
sorridendo.
La baciò un’ultima volta sulla
fronte e poi la fissò scomparire nel giardino della sua abitazione.
Quando varcò la porta di casa,
con sul viso stampato uno di quei sorrisi ebeti che ti
danno un’aria più che mai stupida, Fabio non se l’aspettava. Né pensava che
sarebbe successo.
“Sono
tornato” annunciò, mettendo il giacchetto all’attaccapanni.
“Puoi venire qui un momento?” lo
chiamò la madre dalla cucina. Lui ubbidì tranquillo ed entrò nella stanza. Lo
schiaffo che lo prese in pieno viso lo fece barcollare.
“Ma
che…?” si portò una mano alla guancia e guardò il padre, stralunato.
“Sei. Un.
Irresponsabile” sillabò l’uomo, furibondo.
“Scusami?” chiese lui, sperando di aver capito
male.
“Da quando in qua porti la prima
ragazza venuta a casa e la fai dormire qui?” lo aggredì. La moglie gli mise una
mano sulla spalla.
“Tesoro, calmati un secondo” gli
suggerì, ma lui non l’ascoltò.
“La prima ragazza venuta? Intanto quella è la MIA ragazza, e poi sai benissimo che
non l’ho mai fatto, per cui non vedo perché farne un dramma. Ieri sera abbiamo
festeggiato e si è addormentata qui. Qual è il tuo
problema?” domandò, iniziando anche lui ad
arrabbiarsi.
“Tu hai fatto venire qui Rea,
approfittando del fatto che noi non c’eravamo perché eravamo andati a
festeggiare l’ultimo dell’anno, e ci sei andato a letto!” lo accusò.
Ok, era ufficiale: Fabio ora non
capiva sul serio come mai tanta irritazione.
“E anche se fosse?
Cavolo, papà, ho diciotto anni, lei sta con me. Se l’ho fatta
dormire qui non dovresti prendertela tanto”
sbuffò.
“Ragazzino, questa è casa mia, e
qui ci entra solo chi dico io. Lei mi sta simpatica, non fraintendermi, ma il
tuo comportamento mi ha fatto imbestialire. Non posso fidarmi
di mio figlio”
“Ma
allora ti sei bevuto completamente il cervello! Non era una cosa programmata, è
capitato per sbaglio! Cosa avrei dovuto fare, stamani alle quattro? Rimandarla a
casa da sola con tutta la gentaglia che c’è in giro? Ma ti
ascolti quando parli?”
“Non mi
interessa! Dovevi prima chiedermelo!” continuava a
ripetere l’uomo.
“Sei un
testone” lo accusò Fabio, incrociando le braccia.
“E tu sei in punizione, caro mio.
Per un mese”
“Che
cosa?! Papà, questo non è giusto! L’ultima volta che mi
hai messo in punizione avevo cinque anni e avevo rotto il vaso di mamma! Non mi sembra altrettanto grave aver fatto rimanere qui Rea per la
notte” si ribellò lui,
infiammandosi.
“Impara una
cosa: questa è casa mia e qui non sei tu a comandare, ma io. Quindi non
controbattere, o peggiori la situazione” rispose freddo il padre,
alzandosi e andando in camera.
“Ma certo: voi decidete cosa volete, invitate chi vi pare e va
tutto bene. Io faccio dormire qui la mia
ragazza e vengo punito. Logico, no?” chiese
retorico. La donna, che era rimasta zitta tutto il tempo, strinse le
labbra.
“Ha ragione lui,
mi dispiace dirlo. Sei stato un irresponsabile”
disse.
“E
perché?” si arrabbiò il ragazzo.
“Fabio, ti farò una domanda ben
precisa, ma tu rispondi sinceramente senza vergognarti, ok?” ordinò. Lui
annuì.
“Avete usato precauzioni? Perché io non ne ho trovate di usate in giro” gli chiese
gravemente.
Il moro strinse gli occhi e il suo
cuore perse un battito.
“Merda”