Attesa
Passarono dieci giorni, e Rea,
Laura, Emma, Fabio e Johan rientrarono a scuola. Di comune accordo i due avevano
deciso di non dire niente alle sorelle della possibile gravidanza, perché
avevano paura che si lasciassero sfuggire qualcosa e, al momento, era l’ultima
cosa che volevano.
“Bentornati a tutti!” li accolse Jason, strizzando
l’occhio alla mora quando entrò in classe.
“Com’è
bello?!” chiese lei retoricamente, perdendo
subito la testa. Non c’era niente da fare: più passava il tempo e più il suo
cervello friggeva quando pensava al suo “bellissimo,
sexyssimo, stupendissimo
ragazzo”. Ormai le sorelle avevano accettato l’idea di averla persa per
sempre. Ogni tre giorni ripeteva con voce sognante che non sarebbe riuscita ad
arrivare a luglio per esprimere i suoi sentimenti a tutto il mondo e per andare
a spasso in giro per le strade mano nella mano con lui. Quando faceva partire
quella lagna loro alzavano lo sguardo e cercavano di ignorarla.
Mentre Rea finiva, con sua somma
soddisfazione, l’ultima pagina abbozzata del primissimo romanzo che aveva
iniziato, e che aveva circa quattro anni, le sue orecchie captarono un pezzo di
discussione dalle file accanto. Ringraziò di aver fatto cambio posto con Laura
perché le aveva chiesto la finestra per poter disegnare il panorama, e allungò
un po’ il collo a destra per ascoltare.
“Sì, pare che
siano già un paio di mesi che va avanti questa cosa. Li
hanno visti passeggiare mano nella mano e si guardavano con quell’aria da
innamorati che hanno due ragazzini” disse Maria.
“Cioè, ma vi
rendete conto? Un professore e una studentessa. Ma siamo matti? Ci credo che i suoi voti siano così alzati negli ultimi tempi”
commentò Matilde.
“In effetti…
secondo me lei lo fa solo per un motivo scolastico. Uno
scambio di favori, se vogliamo chiamarlo così: lei ci va a letto e lui la
promuove” ragionò Ginevra.
Rea strinse i pugni e fece per
girarsi, ma una mano si posò sulla sua spalla e la bloccò. Da dietro anche Fabio
aveva ascoltato e le fece segno con la testa di rimanere ferma.
“Farai
peggio se ti muovi” sussurrò. La ragazza chiuse gli occhi e lo ascoltò,
trattenendo le lacrime.
“Quelle… quelle vipere! Che stronze che saranno! Non è possibile che esistano
persone simili. Emma non lo fa per sesso o per tornaconto personale, lei lo fa
per amore! Non ci credo che a quest’età siamo già così crudeli
da dire certe… certe cattiverie!” si sfogò
durante la ricreazione. Dalla rabbia si era messa a
piangere e Fabio la strinse forte a sé.
“Non pensarci. Devi essere superiore e non badare loro” le consigliò.
“Ma non posso! È mia
sorella, devo proteggerla! Non è vero che si comporta così, mi
fa male sapere che loro la pensano in quel modo”
ribatté, guardandolo.
“Io ti capisco, ma se intervieni peggiori la situazione e
basta. Invece se rimani
buona, buona da una parte non darai loro modo di pensare che ti arrabbi perché,
magari, ciò che hanno detto è vero” le spiegò,
asciugandole una lacrima. Rea rimase immobile e poi
sbuffò.
“Ti
odio” esclamò. Lui rise.
“Perché?”
“Perché so che hai ragione e che è meglio se sto
zitta. Anche se io,
zitta, non so starci!”
ammise. Il ragazzo la baciò e poi sorrise, divertito.
“Cambiando discorso, sappiamo niente su… sì, insomma… hai
capito, no?” le chiese, adesso più titubante.
“No,
niente per il momento” rispose, portando automaticamente una mano alla
pancia.
“Sei in
ritardo?” s’informò lui. La rossa scosse la testa.
“No, però non è detto. Ormai sono passate quasi due settimane,
quindi pensavo che magari potremmo… potremmo fare il test” suggerì. Fabio sospirò.
“Non posso andare in farmacia a chiedere un test di
gravidanza, e tu nemmeno. La farmacista ci conosce” le
ricordò.
“Lo so,
però avevo pensato a una cosa” confessò, nascondendo un sorriso
divertito. Lui alzò gli occhi al cielo e gemette.
“Quando
tu pensi a un piano, va sempre a finire con qualcuno che si fa male”
commentò.
“Scusa,
ripeti un po’!”
“Abbassa
la voce!”
“Porc… Rea, ma voi
avete diciotto anni, per l’amor del cielo!”
“Lo so,
siamo due deficienti e ce ne rendiamo conto, però abbiamo bisogno di prove. Non
penso di essere incinta –non lo spero- ma senza un test rimarremo col dubbio
altri dieci giorni. Non mi capita mai di avere un anticipo, semmai un ritardo,
quindi ti prego, portaci in città e noi andremo in farmacia”
“E se
ci vede qualcuno?”
“Ci metteremo poco, pochissimo. Dieci minuti, e tu rimarrai in macchina. Ti prego, Jason, sei
l’unico che può darci una mano!” lo
implorò. L’uomo si stropicciò gli occhi e poi la
guardò.
“Siete
comunque due idioti, sia che il risultato sia positivo che negativo”
commentò. La ragazza si illuminò.
“Significa che ci aiuterai?” chiese.
“Sì, lo
farò” accettò. Lei si gettò tra le sue braccia, stringendolo forte.
“Grazie, grazie, grazie, grazie, mille volte
grazie! Sei il cognato
migliore di questo mondo” esclamò
felice. Fabio, che in tutto il discorso era rimasto zitto,
si schiarì la voce.
“Quando
andiamo?” chiese.
L’appuntamento era stato fissato
per il mercoledì pomeriggio. I due ragazzi non dovevano studiare, e avrebbero
perso al massimo un’ora, non di più, per andare, comprare il test e
rientrare.
“Ma come
sei malato? Che significa?”
“Che ho la febbre
alta! Non ci vuole un genio per capirlo”
“Quindi
mi mandi da sola a comprarlo? Io? Che mi sento male al sol pensiero?”
“Perché, io
no?”
“Va
bene, dai, riposati e cerca di star meglio in tempi
brevi, ok? Ci sentiamo più tardi. Un bacio, a presto”
Attaccò il telefono e, nello
stesso istante, le arrivò il messaggio di Jason che le diceva di stare
aspettandola in macchina dietro l’angolo.
“Io devo
uscire, ci vediamo tra un po’!” annunciò, prendendo la borsa.
“E
dove vai?” chiese Emma.
“Ehm…
esco con Fabio” inventò sul momento. La mora la fissò un po’ confusa.
“Ma non aveva la febbre? Stamani a scuola stava da fare
schifo” ricordò. Rea imprecò dentro di sé.
“S-sì, ma vado da lui
e vedo… come sta!” balbettò. Non convinse la sorella, che continuò a
guardarla male, ma comunque aprì la porta.
“Ci
vediamo dopo!” salutò, fuggendo di casa.
Camminò a passo veloce e salì
sulla macchina di Jason col cuore in tumulto.
“Problemi a uscire?” chiese mettendo in moto.
“Sì, la tua ragazza mi ha fatto il terzo
grado. A parte questo,
tutto ok” rispose.
“Perché
non le hai detto la verità?”
“Figuriamoci. Escludendo che Emma è bambinofobica, non voglio allarmare lei e Laura”
“Quella
parola non esiste!”
“Dettagli. Tra quanto saremo arrivati?”
“Dieci
minuti”
Rea e Fabio erano seduti sul
tappeto di camera della ragazza e stavano aspettando. Aspettavano di trovare il
coraggio di fare, finalmente, quel benedetto test.
“Io non
ce l’ho la forza” ammise lei, alzandosi.
“Figurati
io” commentò l’altro, seguendola.
“Ti va un pezzo di torta? L’ha fatta mia mamma” gli
offrì, aprendo lo scaffale in cucina e prendendo il dolce.
“Sì, mi
piacciono le torte” accettò il ragazzo, sedendosi a tavola. In quel
momento arrivò Emma, che li vide e si bloccò.
“Torta?” le chiese la rossa, sorridendo. Lei la guardò
con gli occhi sgranati, sul punto di dire qualcosa, poi decise di stare zitta e
se ne andò, senza proferire parola. La sorella fissò la porta, confusa.
“Avete
litigato?” chiese Fabio.
“Non che
io sappia. Anche se, da quando sono uscita mercoledì per andare a comprare il
test, si comporta in modo strano. Più tardi, magari, vado a parlarle con una
tazza di cioccolato e una fetta di pane e nutella e vedo se riesco a tirarla su
di morale”
“Servirebbe a noi qualcosa che ci
tiri su di morale. Non abbiamo il coraggio di
affrontare il responso di quello stupidissimo affare” osservò il ragazzo.
“Senti,
facciamo così, finiamo di mangiare e poi controlliamo, ok?” propose
Rea.
“Ok” acconsentì lui. Ma il solo pensiero di quello che
il test avrebbe potuto dire lo spaventava, così si irrigidì. La ragazza se ne
accorse e sorrise.
“Ehi,
non è tutto questo gran problema, tranquillo” gli assicurò, andandogli
alle spalle.
“Che
fai?” le chiese preoccupato. Le sue mani gli
premettero le spalle, iniziando a massaggiarlo lentamente sulla cima della
schiena. Quel tocco lo rilassò.
“Cavolo, che bella sensazione. Sei brava” commentò, facendola ridere.
“Dove hai
imparato?” domandò lentamente. Le dita della ragazza premevano i punti
giusti, sciogliendo la sua ansia e lasciandogli addosso solo un benessere
dolce.
“Non ho mai imparato.
In verità non ho idea di cosa sto facendo” ammise lei.
“E come
fai a… a essere così… brava?” s’informò tra un sospiro e un altro.
“Da piccola facevo il pane e la pizza con mia nonna, così so
come si impastano gli ingredienti e come si spiana poi la base, massaggiandola
con forza fino a farla diventare morbida e elastica. Il principio, più o meno, è quello anche
qui” spiegò.
“Allora
sei una brava pizzaiola” decise Fabio, dimenticandosi per dieci minuti
del bambino.
“Quanto
manca?”
“Sessantacinque secondi”
“Ancora?”
“Smettila! Mi fai venire l’ansia”
Il ragazzo sbuffò e incrociò le
braccia, impaziente. Stavano aspettando il campanello che dicesse loro che il
tempo era finito e che il test era pronto per il responso, ma il timer del
cellulare sembrava non voler squillare mai.
“Hai
pensato a che succederebbe se il risultato fosse positivo?” gli chiese
Rea, appoggiandosi con la testa al letto.
“No,
perché, al momento, non mi rendo conto di poter essere padre, quindi non saprei
proprio come comportarmi. Tu?”
“Io sì.
In realtà è da quando ero piccolissima che sogno di avere una bambina bellissima
che chiamerò Emi”
“Emi?
Perché proprio Emi?”
“Non so. Perché è un nome dolce e simpatico, e sa di zolletta di
zucchero” spiegò
ridendo.
“Tu non
stai bene” osservò Fabio.
“Mai
stata, altrimenti non mi sarei messa con te” ribatté lei, con un’alzata
di spalle.
“Non sei
simpatica” la punzecchiò il ragazzo.
“Ehi,
quella battuta è mia!” si arrabbiò, lanciandogli contro un cuscino. Lui
rise.
“Lo so, ma il copyright non c’è, quindi posso
copiarti. Ha - ha” la prese in giro.
“Sbruffone” lo accusò,
scherzando.
Tornarono entrambi silenziosi e
aspettarono zitti che il tempo passasse. Quando il timer scattò, i loro cuori
persero un battito per uno.
“E
ora?” chiese lui, avvicinandosi al bastoncino di plastica bianco che
avevano messo in terra.
“E ora
guardiamo” rispose la rossa, prendendogli la mano.
In cuor suo nemmeno lei sapeva
cosa stava sperando.
Presero in mano il test e
controllarono la risposta…