Disastro
“Emi, muoviti!
Dobbiamo uscire!”
“Mammina, guarda!
Una farfalla!”
“E’ molto bella,
ma papà ci sta aspettando, andiamo”
“Dobbiamo proprio?
Insomma, io non ho voglia di andare a una cena lavat… lavore… uff, a
quella!” la piccola mise il broncio, arrabbiata perché non sapeva
pronunciare una parola più difficile, e sua madre rise.
“Ma per papà è
importante. Tu vuoi bene a papà?”
“Certo!”
rispose prontamente lei. La donna si inginocchiò per essere alla sua stessa
altezza.
“E allora impara
che ogni tanto, per le persone a cui vogliamo bene, dobbiamo sopportare qualche
piccola noia. Se sarai brava stasera ti comprerò un gelato, ok?” le
propose, strizzando l’occhio. Emi si illuminò.
“Davvero?”
chiese estasiata. Lei tese il mignolo e la piccola lo strinse col
suo.
“Promesso”
Fabio sobbalzò e si ritrovò nella
sua camera, sudato e col respiro affannato. Si portò una mano alla fronte per
sentire se era caldo, magari gli era tornata la febbre, ma la sua temperatura
era normalissima. Erano già due giorni che sognava Emi, e non ce la faceva più.
Ogni mattino si svegliava sempre più stanco, terribilmente spossato dagli
incubi. Non poteva andare avanti così.
Si alzò e andò in cucina a
prendere un bicchiere d’acqua. “Certo che quel test mi
ha proprio messo K.O.” pensò, sedendosi a tavola.
Rea sembrava averla presa mille
volte meglio di lui, senza farsi particolari problemi, e aveva sorriso
rassicurante. “Visto? Tutto ok” aveva commentato. Ed era anche
quello che pensava lui, però non capiva come mai non riusciva a capacitarsi del fatto
che il risultato fosse stato quello. Forse si era talmente abituato, in quelle
due settimane, all’idea che la bambina ci sarebbe stata sul serio che ora ne
sentiva la mancanza. Ma poteva essere sul serio così? Cioè, non è che avesse
molto senso come ragionamento. Guardò l’ora: le tre e cinque. Sospirò
sconsolato. “Ho bisogno di sentire Rea” ammise a
sé stesso. Sorrise al pensiero di una canzone che aveva sentito qualche tempo
prima. Com’era?
“Perché sono qui sdraiata sveglia e ti penso?
Ho bisogno di dormire, domani ho da fare, ma tutte le volte che chiudo gli occhi
vedo la tua faccia. Magari leggo un libro, ma tutto ciò che ottengo è continuare
a pensarti […] Alla fine mi serviva solo chiamarti, so che sono le tre del
mattino e che ti ho visto poco fa, ma ho ancora bisogno di sentirti, di sapere
che sei qui. Non mi sembra di avere tante possibilità”
In quel momento squillò il suo
cellulare e lui lo fissò sorpreso.
“Pronto?”
“Sapevo che eri
sveglio”
“Ah sì? E
se fossi stato addormentato?”
“Ti saresti
svegliato. Ma io sapevo che così non era, quindi va
bene”
“E come
lo sapevi, di grazia?”
“Non sei nel tuo
letto” Fabio sgranò gli occhi e si guardò intorno.
“Che ne
sai tu di dove sono io?”
“Sono fuori dalla
tua finestra da dieci minuti che aspetto che tu rientri e mi apra” il
ragazzo schizzò in piedi e si precipitò in camera, dove Rea stava aspettando
pazientemente che la facesse entrare.
“Che
diavolo ci fai qui?” sussurrò per non svegliare i genitori.
“Sinceramente? Non lo so. Mi sono svegliata di soprassalto e
avevo bisogno di vederti, tutto qui” spiegò, togliendosi il cappotto.
“Tu sei
matta” commentò il ragazzo, scuotendo la testa.
“Sì, lo
so, ma che ci vuoi fare? E poi ho avuto gli incubi, quindi non volevo rimanere
sola, per il momento” ammise, arrossendo. “Anche
lei?”
“Che
genere di incubi?” s’informò lui, facendola sedere vicina a lui e
abbracciandola.
“Non mi
ricordo. Era come una visione del futuro, ma più sbiadita” raccontò.
Sbadigliò visibilmente.
“Tu stai
morendo di sonno” la prese in giro Fabio, sdraiandosi con la sua testa
sul petto.
“Per
forza, sono le tre e mezzo del mattino. Posso dormire qui per un po’?” lo
pregò.
“Se
rimetto la sveglia alle sei ce la fai a tornare a casa prima che qualcuno si
accorga che te ne sei andata?” le chiese. Lei annuì, chiudendo gli
occhi.
“Allora
dormi pure”
Qualche giorno dopo, Rea era con
Fabio al parco. Stavano camminando e parlando del più e del meno quando lei tirò
fuori dalla borsa un quaderno e glielo passò.
“Questo
è un regalo” disse sorridendo. Lui la fissò senza capire.
“Cos’è?” chiese aprendolo. In prima pagina, scritto in
bella calligrafia con un verde speranza, c’era scritto “Prendi le mie mani”
“E’ il
primo romanzo che ho mai scritto. Tu sei l’unico che sa di questa mia passione,
e quindi sei l’unico che può leggere il libro e dirmi se va bene. L’ho finito un
paio di settimane fa” spiegò imbarazzata. Il ragazzo sorrise e la
baciò.
“Grazie
per la fiducia” le disse.
“Non è
fiducia, semplicemente non so a chi altro rivolgermi” lo punzecchiò lei,
rossa come un peperone.
“Comunque
grazie” ripeté lui. La ragazza non seppe come controbattere e si
zittì.
Nel frattempo, Emma stava parlando
con Laura.
“Io li
ho visti con i miei occhi!”
“Senti, io glielo chiederei. Non posso credere che Rea sia
capace di fare una cosa simile, non ha senso! Lo sai quanto sia legata ai valori
di amicizia e fiducia, non ti ruberebbe mai il ragazzo”
“Però
è uscita con lui l’altro giorno. Cosa dovrei pensare secondo te?”
“Che
aveva bisogno di ripetizioni?”
“Certo, immagino. Ripetizioni private, per
caso?”
“Ascoltami, parla con lei. È nostra sorella, non farebbe
mai niente per ferirci, soprattutto dopo che ha fatto tanto per aiutarci ad
essere felici. Se è successo qualcosa ce lo dirà” le consigliò la bionda.
L’altra sospirò.
“Non
riesco quasi a guardarla, tanto sono triste. Ormai non parlo quasi nemmeno con
Jason, e questo mi fa stare male. Che devo fare?” chiese disperata.
“Parla con entrambi. È l’unica cosa che mi sento di
consigliarti”
Fabio lesse il quaderno in una
sola notte. Era fluido e scorrevole, e la trama piuttosto avvincente, e non
voleva smettere di andare avanti. Quando lo finì, aveva gli occhi rossi e un
sonno tremendo, però era felice di poterglielo riportare subito. Aveva fatto
qualche correzione qua e là, togliendo un paio di colloquialismi, per il resto
era perfetto. Lo sistemò in cartella, tra il libro di chimica e quello di
inglese, e poi si coricò.
Il mattino seguente, arrivato a
scuola, la aspettò seduto sul suo banco.
“Ehi,
avrei bisogno di posare la roba” lo sgridò bonariamente. Lui tirò fuori
il quaderno.
“Ecco a
te” le disse, scendendo elegantemente. La ragazza lo nascose prontamente,
imbarazzatissima.
“Ma vuoi
farlo vedere a tutti? È privato!” esclamò, mettendolo in cartella e
sigillandola.
“E’ un
semplice quaderno degli appunti, che vuoi che sia?” commentò Fabio,
scoccando un’occhiataccia in direzione di Maria, Matilde e Ginevra, che stavano
ascoltando la conversazione.
“Lascia
perdere. Come ti è sembrato, piuttosto?” gli domandò Rea, iniziando a
respirare più tranquillamente ora che il blocco era nascosto.
“Dipende” rispose lui, sorridendo furbo. La ragazza
sospirò e mise le mani sui fianchi, divertita.
“Cosa
vuoi per dirmelo?”
“Usciamo
insieme oggi pomeriggio?” le propose.
“Dobbiamo studiare, domani c’è compito” gli ricordò.
Il moro ci pensò su un attimo.
“Allora
vieni da me stasera” sussurrò nel suo orecchio. Rea rise.
“Va
bene, Dongiovanni, ma ora dimmi che ne pensi” accettò, tirandolo per un
braccio fuori dalla classe.
Lo zaino rimase sotto al banco,
incustodito.
Quando le sorelle Stevens
rientrarono a casa, Emma si decise, finalmente, a parlare con la rossa. Ci aveva
riflettuto bene e aveva capito che Laura aveva ragione a dire che, se non ci
chiariva subito, rischiava di star male per qualcosa che in realtà non esisteva,
così si era preparata il discorso in testa, aveva pensato alle possibili
risposte della ragazza e aveva cercato di seguire il piano alla lettera.
“Rea,
possiamo parlare?” le chiese, seduta a tavola. Sua sorella la guardò, poi
sorrise.
“Certamente, dimmi pure” accettò, mettendosi davanti a
lei e aspettando.
“Ecco,
hai presente quando l’altro giorno sei uscita di casa per… per andare da
Fabio?” le ricordò. La rossa ricollegò subito quel giorno al test, e
rabbrividì, innervosendosi.
“Sì,
perché?” s’informò, ora un po’ meno a suo agio.
“Tu mi
avevi detto che andavi dal tuo ragazzo, ma eri strana e io… io non ti ho
creduto” ammise. Una strana sensazione iniziò a farsi largo nella mente
di Rea, che si irrigidì. “Vuoi vedere che era così
strana solo perché…”
“E ti
ho seguita” confessò. Abbassò gli occhi un istante, poi li rialzò su di
lei, ferita.
“Che
ci facevi tu da sola con Jason?” le domandò gridando. La ragazza sospirò,
poi sorrise.
“Era
solo per questo che tu non mi hai praticamente rivolto la parola negli ultimi
giorni?” chiese sollevata. Emma la guardò stupita.
“Come?
Che intendi? Rispondi alla domanda!” esclamò confusa.
“Non
esco con il tuo fidanzato, se è questo che mi stavi dicendo” le assicurò
con la sua espressione più rassicurante.
“Che
cosa? E perché eri con lui, allora?” la aggredì. Lei rise nervosamente,
poi distolse lo sguardo.
“Mi ha
aiutata a fare una cosa” rispose criptica.
“E
cosa mai dovevi fare per chiedere aiuto a lui?” continuò a indagare. A
quel punto Rea strinse le labbra come faceva quando non voleva confessare una
cosa.
“Beh, in
realtà… mi serviva un… un…” non riusciva nemmeno a dirlo senza Fabio
vicino che la sosteneva. Arrossì violentemente e Emma si arrabbiò.
“Lo
vedi che il vostro era un appuntamento? Stai cercando una scusa per
mentire!” la accusò. Lei alzò lo sguardo.
“Che
cosa? No, non è vero! Chiedilo anche a Fabio, che sapeva che io dovevo andare
con Jason in città” ribatté. La mora si bloccò.
“In
città? Che diavolo dovevate fare in città?” chiese. La rossa rimase
zitta, e lei continuò a infierire.
“Siete
andati in un motel e avete consumato lì? O avete fatto un giro per le strade
mano nella mano? Io mi fidavo di te, non puoi avermi tradito così! Sei
meschina!” la accusò, sull’orlo delle lacrime. Non resistendo più, Rea si
alzò e batté una mano sul tavolino.
“Smettila! Non dovevo andare ad un appuntamento con Jason. È
tuo, è solo tuo, e io non te lo ruberei mai! Sei un’idiota se lo credi sul serio. Io dovevo comprare
una cosa in farmacia” esclamò.
“Questa è la scusa più stupida che tu potessi trovare!
Anche qui c’è una farmacia, lo sai benissimo perché la farmacista è nostra
amica. Perché andare in città?” domandò. La sorella sospirò
sconsolata.
“Perché,
ovviamente, qui non potevo comprarlo o sarebbero andati a dirlo a mamma e papà.
La verità è che io ho rischiato di essere… di essere incinta” ammise a
denti stretti. La mora rimase allibita, in silenzio.
“Scusa
non ho capito bene” disse.
“Mi
serviva un test di gravidanza, ok? E l’unico che poteva portarmi a comprarlo era
Jason, perché non avrebbe parlato. Sarebbe dovuto venire anche Fabio con noi, ma
era malato e non si è potuto muovere di casa. Contenta ora? Io non ti toglierei
mai dalle braccia il fidanzato” le assicurò imbronciata. Emma sentì
sciogliersi il nodo che aveva avuto nello stomaco per tutto quel tempo e rise di
gusto.
“Meno
male, temevo che, per avere delle risposte, avrei dovuto guardare di nuovo il
tuo diario segreto” ammise. Un attimo dopo si maledisse, e Rea sgranò gli
occhi.
“Che
significa di nuovo?” le chiese. Lei agitò una mano per smorzare la
tensione.
“Niente, figurati” rispose minimizzando. Sua sorella
perse un battito quando comprese.
“Tu hai…
hai letto il mio diario segreto?” domandò con un tono di voce ferito.
“Ma
no! Cioè, forse un pochino lo abbiamo letto, ma solo per capire di cosa avevi
bisogno” si scusò.
“ABBIAMO?” gridò la rossa. Sentì le lacrime pungerle
agli occhi.
“N-no,
non abbiamo, ho… io…” Emma si mise a balbettare e cercò di inventare sul
momento una ragione per quello che aveva detto, ma non riuscì a dire niente che
convincesse l’altra.
“Siete…
siete entrate in camera mia e avete tolto il mio diario… i miei segreti… non è
possibile…” sussurrò distrutta.
“Dovevamo farlo! Tu non ci dicevi niente, Fabio era
disperato, io e Laura non sapevamo come aiutarti e questo era l’unico
modo” spiegò.
“Merda” pensò il secondo dopo, quando si accorse di
aver confessato anche per gli altri tre.