All
About Us - Anche noi diremo che eravamo giovani e che soffrivamo di
vertigini
Capitolo quattro.
Luke Richardson, a differenza della gemella, era un tipo
timido. Lo era sempre stato, e lo sarebbe stato per sempre. Gli sarebbe
sempre mancato il coraggio di guardare negli occhi le persone speciali,
quelle luminose, quelle che invidiava tanto e allo stesso tempo
ammirava.
Luke Richardson era un timido che, per via del suo aspetto, passava per
scemo : spalle grandi, grosso, muscoloso, naturale aria intimidatoria.
E secondo Juliet andava bene così, che lo prendessero per
uno scimmione senza cervello : stare in cima sarebbe stato ancora
più facile.
Non se lo ricordava quando era successo esattamente : forse in quelle
lunghe ore di punizione, forse una delle tante volte che lo aveva visto
togliersi la granita dalla faccia con una dignità
invidiabile, o forse quando aveva fatto cadere i libri apposta vicino
ai suo piedi, e lui si era chinato per aiutarlo. Così, anche
se faceva parte della gente che lo tormentava.
Semplicemente perché era buono, anche se portava un sacco di
rancore.
Non si ricordava di preciso quando Kurt Hummel aveva smesso di essere
un bersaglio che era obbligato a puntare e aveva iniziato a essere
quella creatura meravigliosa dai lineamenti delicati e la pelle di neve
che turbava le sue notti e i suoi desideri più reconditi, ma
anche quelli superficiali.
E, da bravo timido, Luke Richardson aveva anche un'autostima
notevolmente bassa.
Si diceva un giorno lo
invito a prendere un caffè a Westerwille, lontano da qui,
così non deve preoccuparsi e neanche io
ma si rispondeva, automaticamente ma lui mi dirà di no,
perché mi odia. Lo so che mi odia, solo che non me lo vuole
dire perché ha paura di me, e paura di cosa poi, non gli
torcerei un capello
ribatteva ma
forse se gli spiego le mie ragioni, se glielo dico una volta per tutte,
forse lui ricambia, forse lui.... e non finiva mai questo
discorso con sè stesso, perché neanche nei suoi
più ottimistici sogni Kurt Hummel lo ricambiava.
Li vide arrivare insieme. Si muovevano con una specie di sincronia, una
bella naturalezza, anche se completamente diversi nella camminata :
Smythe era sciolto, Kurt invece teneva la schiena dritta, drittissima,
ma questo non lo aiutava a sembrare più alto, non vicino a
Smythe.
C'era qualcosa di incredibilmente doloroso nel vederli camminare
insieme. Magari non era vero. Magari erano solo dicerie. Luke era
mancato da scuola per tutta la settimana, quindi non aveva avuto
né tempo né modo di verificare se le dicerie su
quei due erano vere. Si aspettava di vederli separarsi da un momento
all'altro, ma andarono avanti fino all'armadietto di Kurt -8, 2, 44, 7
, Luke ne aveva imparato a memoria la combinazione tante delle volte
che l'aveva guardato da dietro l'angolo- e Smythe si
appoggiò a quello affianco, poi chiese una cosa a Kurt, e
lui gli rispose con un sorriso gentile. Avrebbe dato una gamba per
sentire cosa dicevano. Perché stavano sussurrando?
«Il diavolo e l'acquasanta, non pensi, Luke?»
domandò Juliet, poggiata all'armadietto affianco al suo
esattamente come Smythe su quello vicino a Kurt. Solo che lei teneva le
braccia incrociate.
«Il
diavolo sei tu, Julie, non Smythe e tanto meno Kurt »
rispose Luke, guardandola. Non gli era mai piaciuta la divisa delle
Cheerios, quella gonna troppo corta e quel colore così
acceso «Comunque
hai ragione, quei due...» finì la frase
borbottando, Juliet non recepì bene cosa.
«Penso che
farò qualcosa» disse la ragazza guardandosi le
unghie.
«Farai qualcosa?» chiese
confuso il ragazzo. Juliet annuì piano mentre continuava a
studiarsi le unghie rosa.
La ragazza non ebbe bisogno di
guardare per sapere che suo fratello gemello aveva occhi spalancati,
allarmato «E...e
cosa hai intenzione di fare?» domandò il ragazzo,
appunto, con una nota allarmata nella voce mascolina. Juliet sorrise un
pochetto, poi alzò lo sguardo dalle sue unghie perfettamente
smaltate.
«Ti prometto che non faccio male a
nessuno, o perlomeno non tanto. Buona giornata!»
esclamò allegra, salutandolo con un bacio sulla guancia.
Luke alzò un braccio e stava per gridarle di
fermarsi, ma rinunciò. Rivolse di nuovo lo sguardo alle sue
spalle, dov'erano Kurt e Sebastian, ma erano andati via.
Che diamine vuole fare
quella pazza di mia sorella? si trovò a
pensare preoccupato, mentre camminava verso la sua lezione.
Quel pomeriggio alla fermata nessuno dei due
disse una parola. Sebastian era stato agitato e scontroso per
tutta la giornata. Aveva persino urlato contro
una ragazzina del primo anno quando li aveva guardati a pranzo mentre
ridacchiava con l'amica.
Eppure Kurt capiva. Era
come sbirciare nelle emozioni di Sebastian, capiva che c'era
altro, molto altro, e che non era arrabbiato. Capiva che era spaventato
qualcosa, c'era questo terrore
che aleggiava nei modi bruschi, nel vago tremolio della penna, il modo
in cui deglutiva a vuoto e si stringeva nelle spalle. Lo stava facendo
anche in quel preciso istante.
Sebastian si agitò un bel po' quando arrivarono a Keith
street, e a un certo punto parlò. Sentire la voce di
Sebastian fu un mezzo shock per Kurt «Senti, io devo scendere
prima oggi. Domani non vengo a scuola, ma tu non preoccuparti se non mi
vedi, sto bene. Ti chiamo io, okay? Comunque non ti preoccupare per
me.» disse, agitato.
Kurt lo guardò preoccupato e gli poggiò una mano
sulla gamba «Che succede? Perché non vieni
domani?»
«Io...è troppo difficile. Chiedimi qualcos'altro e
promettimi di non preoccuparti e farti trovare vivo domani
sera» rispose Sebastian con quel tono agitato, quel tono che
non gli si addiceva per niente.
«Come faccio a chiederti qualcos'altro? Mi hai appena detto
che salti un giorno e di non preoccuparmi! Pensavo che avessimo
chiarito che....insomma, possiamo parlare tra noi.»
ribatté Kurt, leggermente irritato.
«Ti prometto che domani ti spiego, ma adesso promettimi che
non ti preoccuperai per me. Starò...starò...non
lo so come starò, ma tu mi farai stare meglio come fai
sempre, quindi starò bene!» sbottò.
Seguì un silenzio che parve eterno, e solo poi Sebastian
guardò la faccia che stava facendo Kurt. Sorpresa.
Frastornata. Quella di uno che non può credere alle proprie
orecchie.
«Scusa» borbottò.
Quando l'autobus rallentò, in prossimità della
fermata di Sebastian, lo sentì espirare profondamente
«Ci vediamo domani, okay?»
«No!»
rispose immediatamente Kurt, ma Sebastian lo ignorò e scese.
Camminò di fronte alle imponenti scale della chiesa e
guardò per un attimo la piazza deserta, poi si
infilò nel lagno di destra, una strada che saliva fino al
confine con le campagne.
Ovunque guardasse, lo stesso spettacolo : case malandate,
più grandi delle palazzine, ma altrettanto malandate. Le
macchie di umidità scendeva sulle pareti esterne come
grovigli di capelli scuri.
Continuò a salire, e quando i muscoli delle gambe iniziarono
a tirare spiacevolmente, seppe di essere arrivato. Guardò la
targa lucida a destra della porta dell'edificio, che riportava quello
che c'era scritto sul biglietto da visita :
Steve Wright.
Psicologo.
Cercò di rimuovere quella parola dalla mente e fece roteare
gli occhi prima di entrare, affondando le mani nelle tasche. Solo
quando avvertì un discreto dolore ai palmi si accorse di
averle strette a pugni.
«Allora Sebastian, c'è qualcosa che
vuoi raccontarmi?»
Il dottor Steve Wright,un uomo di mezza età magro e alquanto
stempiato, sedeva dietro la scrivania. Sebastian gli lanciò
l'ennesimo sguardo torvo in un'ora e mezza che si trovava
lì. L'uomo sospirò «Hai fatto qualcosa
di interessante in questi giorni? Hai saltato un sacco di sedute
ultimamente.» disse il dottore paziente.
Sebastian lo guardò con sincera incomprensione
«Vengo qui a farmi strizzare il cervello una volta al mese,
mi pare di non aver mancato proprio nessuna seduta»
Il dottor Wright sorrise «Certo, questo fino a Dicembre. Con
l'anno nuovo avevamo deciso che saresti venuto qui ogni settimana,
ricordi?»
«Io non ho nulla da dirle» sibilò il
ragazzo
«E invece sì, Sebastian, solo che non vuoi
aprirti. Con me devi parlare liberamente di qualsiasi cosa tu
voglia» spiegò lo psicologo, mantenendo il
sorriso. Sebastian sbuffò una risatina senza allegria.
«Proprio il fatto che io DEBBA parlare con lei, dottore, mi
sugerisce che non sono libero di fare un bel niente e questo, come sa,
mi da incredibile fastidio e mi mette fortemente a disagio»
rispose in tono di sfida, con le braccia incrociate.
Lo psicologo aprì le mani che teneva chiuse sotto il mento e
produsse uno schiocco, simile a un applauso, poi mostrò le
mani, come per arrendersi. Aveva dipinto sul viso un sorriso sgradevole
che Sebastian avrebbe voluto immediatamente cancellare. Sebastian
inarcò un sopracciglio.
«Ma bravo Sebastian, mi hai incastrato. Sì, sei
decisamente molto furbo. Ma adesso voglio che tu mi parli di qualsiasi
cosa, così posso scrivere qualcosa di diverso nella
relazione e tu potrai andare a casa» il tono del dottor
Wirght era improvvisamente cambiato, più tagliente di prima
«Allora, di cosa vuoi parlarmi?»
Sebastian represse la voglia di mandarlo a quel paese,
perché se l'avesse fatto sarebbe rimasto
là un sacco di tempo. E voleva andarsene al più
presto, andare a casa, andare da Kurt, parlare con Kurt....
«Ho un nuovo amico.» disse senza rendersene
conto.
«Lui è reale o immaginario?» chiese lo
psicologo, con una nota annoiata nella voce, riallacciando le dita
sotto il mento.
«Reale» rispose Sebastian «E' reale,
io...almeno penso che sia reale, non ho più quelle
allucinazioni spaventose da una vita, lui...lui è reale,
l'ho toccato. Lo tocco di continuo e lui non sparisce» la
voce di Sebastian si incrinò di nervosismo febbrile
«Non ho più le allucinazioni, non sono
pazzo» gemette.
«Tranqillo Sebastian, ho capito. Se non sparisce è
reale.» annuì «E come si
chiama?»
«Kurt. Si chiama Kurt.» rispose Sebastian, ancora
agitato.
«Ed è un tuo amico.» incalzò
il dottor
Wright. Sebastian annuì e sibilò un
"sì" tra i
denti. Il dottore sorrise sgradevolmente «Lo chiedevo per
confermare» spiegò, mentre scribacchiava alcune
parole sul
blocco note. «Lui è etero?» chiese,
guardandolo
neglio occhi. Il professor Wright aveva gli occhi azzurri, ma non come
quelli di Kurt. Quelli di Kurt erano spettacolari.
«No.» rispose immediatamente Sebastian. Un attimo
dopo
trasalì, e balzò in piedi dalla sedia
«LEI E' UN
ESSERE SPREGEVOLE SE PENSA CHE IO ME LO PORTI A LETTO!» gli
urlò, puntandogli l'indice contro.
«Sebastian, siediti.» disse calmo il dottor Wright,
con un gesto della mano.
«Ma col cazzo! Me vado!» rispose Sebastian
arrabbiato.
Afferrò il giaccone e lo zaino dallo schienale della sedia e
se
ne andò sbattendo la porta forte, ignorando le esortazioni
dello
psicologo a tornare indietro, non ci voleva stare un secondo di
più no
che non ci torno ho parlato anche troppo lo sapevo che non ne dovevo
parlare io lo sapevo lo sapevo cazzo.
Spalancò la porta - quella antincendio- e si
catapultò fuori. Si rese conto di stare correndo solo quando
l'aria che mandava giù affannosamente gli faceva bruciare
spaventosamente la gola e alimentava poco i polmoni. Si
appoggiò
al muro bianco e sporco del vicolo tra due palazzine in cui si era
infilato e fece respiri profondi, tentando di regolare il respiro. Fece
aderire la testa al muro e guardò lo scuro cielo
di
febbraio, stanco e affannato chissà
dove cazzo sono.
Proprio in quel momento, nel vicolo si affacciò qualcuno
«Sebastian?» chiese
stupefatto «Che
ci fai qui?»
Ci mise qualche secondo a metterlo a fuoco. Capelli castani,
felpone marrone scuro, gambe lunghe, la pelle bianco latte e quegli
occhi spettacolari. Kurt.
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Il
ritardo si faceva più grande,
Dovevo
aggiornare per i lettori prima che mi mandassero a fanculo,
Le
mie ricerche sulla sociopatia erano durate ore,
Il
capitolo andava finito.
Sembrava
impossibile, ma ce l'abbiamo fatta!
....ossia,
io ce l'ho fatta. Mandando
a fanculo Gabriele e tutti quelli che mi interrompevano, ma ho finito
sto benedetto capitolo. Col cliffahanger, ma l'ho finito. Che epopea
che è stato sto capitolo, veramente : avevo bene in mente
cosa
doveva succedere, ma non sapevo come legare le scene tra loro. A finale
ho fatto la cosa più semplice : me ne sono sbattuta le palle
e
ho scritto come veniva.
Parlando del capitolo...well, ecco che tutti noi scopriamo il grande
segreto di Sebastian : è pazzo. No, okay, non è
proprio pazzo, ma ha seriamente bisogno di uno psicologo competente e
che magari non gli propini medicine, visto che con lui servono a poco.
Ma quando mai sono stata giusta? (AAAA) Infatti lo psicologo di
Sebastian...l'avete visto. Lo psicologo di Effy era un professionista a
confronto.
MA QUANT'E' PATATO LUKE? Lo amo,
sappiatelo. E lo dovete amare anche voi, perché lui ama Kurt
e
ama anche voi, quindi amatelo (?) Sì, avete capito bene :
sono
gemelli xD
Niente, dal prossimo capitolo ci dovrebbe essere Finn, e finalmente la
madre di Sebastian. E niente, se shippate
Davebastian/Sebofsky/Smythofsky come me, preparatevi, perché
prevedo una scena che spezzerà il cuore a voi shippers.
Ah, prima che mi dimentico : I
gemelli Richardson (non so come possano scambiarli per
gemelli ma okay) e lo
psicologo di Sebastian, che non a caso ha questa faccia .
Ci vediamo giovedì o venerdì,
Robs.
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