E
adesso?
Rea si trasferì un paio di giorni
dopo. Uscì di casa sorridendo, cercando di nascondere le lacrime, e salì in
macchina della nonna senza guardarsi indietro.
“Quando
avrò il diploma tornerò e andremo insieme all’università” aveva promesso
alle sue sorelle. In realtà, Emma e Laura non avevano ben capito cosa fosse
successo o come mai lei stesse andando via, ma non avevano chiesto niente e
avevano deciso semplicemente di sostenerla.
E così, senza che se ne rendesse
conto nessuno, passarono tre mesi.
Le due Stevens avevano continuato
a studiare senza sosta per gli esami, una in un modo e una in un altro.
Emma faceva sessioni infinite di
ritiro in casa di Jason, alternando baci e amore a crisi isteriche.
“Non
so nulla, non so nulla, non so nulla, non so nulla!” ripeteva
ininterrottamente. L’uomo ringraziava di amarla e la sopportava, in qualche
modo, senza strozzarla.
“Posso
ripeterti un’altra volta il programma di chimica?” gli chiese un
pomeriggio, dopo tre ore di lettura del programma.
“Ancora? Ma lo sai a memoria” le rispose, disperato,
il professore. Era steso sul divano, arreso, ormai, alla sua furia isterica.
“No,
non so nulla!” ripeté la ragazza, disperata. Era sull’orlo di una crisi
nervosa, e si vedeva benissimo. Jason, allora, la tirò con sé sul divano e la
baciò profondamente.
“Tranquillizzati, amore” le disse. Emma mise il
broncio e si appoggiò con la testa al suo petto.
“Ho
paura. Manca un mese all’inizio degli esami e mi sembra di non aver studiato
abbastanza. Inoltre temo che le persone possano pensare che io sono
avvantaggiata perché sto con te” ammise. L’uomo sgranò gli occhi.
“Ma se
non lo sa nessuno!” esclamò. La mora sospirò.
“Siamo
bravi, ma non così bravi. C’è chi lo sa, purtroppo, anche se siamo stati
attentissimi” lo riprese, dandogli un buffetto sul naso.
“Bene,
la mia vita professionale è andata a farsi benedire” si auto compianse il
professore.
“Ma
va’! Nessuno vorrebbe danneggiarti, sei troppo amato tra gli studenti. Solo il
fatto che ti presenti col nome e non con il cognome ti fa amare” gli
assicurò.
“Speriamo” ribatté Jason.
La ragazza posò un dolce bacio sul
suo mento e poi sorrise.
“Ti
sei messo il dopobarba che ti ho regalato per Natale?” gli chiese.
“Forse” rispose lui, vago. Risero entrambi.
“Comunque i programmi li sai, i concetti pure. Quale è il
problema? Perché tanta ansia?” indagò il professore.
“Perché non mi posso permettere di sbagliare. Se c’è una
cosa di cui sono sicura e di cui sono sempre stata sicura è ciò che voglio fare
dopo il liceo, e io voglio diventare una dottoressa. Non posso assolutamente
passare la maturità con meno di ottanta punti su cento. Per cui devo essere
perfetta” spiegò sconsolata.
“Davvero vuoi entrare a medicina?” si stupì
l’uomo.
“Sì. È
l’unico sogno che ho da sempre. Sono una ragazza volubile, e cambio idea spesso,
ma questo è rimasto con me da quando ero piccola” confessò.
“Ho
capito”
Jason le baciò i capelli, poi
sorrise.
“Significa che mi fai fare gli straordinari,
quest’estate?” le domandò. Emma lo guardò senza capire.
“In
che senso?”
“Sa,
signorina Stevens, io sono un professore di matematica laureato in fisica e
chimica. Quindi posso aiutarla. Ma, naturalmente, il mio aiuto ha un
prezzo” spiegò malizioso. La mora si sedette a cavalcioni su di lui.
“E
quale è questo prezzo?” gli chiese.
“Non
saprei. Tu che mi offri?” s’informò lui, lasciandosi baciare.
Il libro di chimica cadde a terra
mentre Emma rispondeva a modo suo.
Laura e Johan, intanto, erano
impegnati a fare altro. Tipo passare interi pomeriggi a guardare i cartoni
animati giapponesi in televisione. Ogni tanto alla bionda veniva in mente che le
sue sorelle l’avrebbero uccisa se avessero saputo che non facevano niente di più
particolare, ma evitava di pensarci
per non sentirsi una stupida.
Un pomeriggio di inizio giugno
erano sui libri da un’ora quando il ragazzo sbuffò e si alzò.
“Basta, facciamo una pausa” disse. Lei non poteva
essere più d’accordo di così, e lo seguì il salotto, dove si sedettero
abbracciati a guardare la tv.
Rimasero in silenzio per un po’,
ridendo quando succedeva qualcosa di divertente. Laura si sentiva stranamente
nervosa. Era la prima volta che sentiva il cuore battere all’impazzata solo
stando vicina a Johan da quando si erano messi insieme otto mesi prima.
“Qualche problema?” le chiese lui, vedendo il suo
disagio.
“Eh?
No, no!” si affrettò a rispondere, ridendo isterica. Il ragazzo la fissò
senza farsi convincere.
“Davvero? Sembri preoccupata” notò.
“Nooo, figurati!” minimizzò. Lui rimase fermo e
guardarla con i suoi occhi azzurri come il mare, perforandola quasi. Erano
sempre stati così profondi?
“C-che c’è?” domandò la bionda, imbarazzata.
“Dimmi
che problema hai” le ordinò.
“Nessuno” assicurò, continuando a diventare sempre
più rossa. E fu quello a tradirla.
Vedendo che era imbarazzata, Johan
capì che c’era qualcosa che lei non aveva detto, e la bloccò con le mani dietro
la testa e il volto vicinissimo al suo. Laura, che non se l’aspettava, sentì il
cuore volarle in gola e sgranò gli occhi.
“Mi
dici che ti prende oggi?” ripeté il biondo per l’ennesima volta. Lei non
riusciva più a pensare, più nemmeno a respirare. Quello era il suo incubo:
quella era una posizione tremendamente sensuale e provocante. E non era sicura
di riuscire a controllare la situazione.
“Non
è nulla, ti dico!” ripeté sicura. Il ragazzo si avvicinò ancora e mise le
mani sui suoi fianchi per fermare qualsiasi suo tentativo di fuga.
“Sei
certa? Perché mi sembri terrorizzata da me” sussurrò Johan sulle sue
labbra. Lo era. Era terrorizzata davvero. Ma quanto era invitante quella
situazione, però!
“Al
cento per cento” assicurò, baciandolo. Il ragazzo si appoggiò sui palmi
per evitare di schiacciarla, ma non si mosse, anzi cercò di approfondire quel
contatto e passò le labbra sul suo collo. Laura rabbrividì.
“Fermo” disse. Lui alzò il viso e la guardò.
“S-scusa, se non vuoi…” rispose mesto. Si allontanò
da lei arrossendo e si irrigidì.
“No,
non volevo dire… non è che non… insomma, non è che non ti voglio!” cercò
di rimediare la ragazza.
“Non
importa, va bene così” le assicurò, sorridendo tristemente.
“No
che non va bene!” ribatté lei. Ecco il discorso che le faceva paura.
“Dai, puoi farcela” si spronò.
“L-la
verità è che… insomma, io ho un po’ di… di…” balbettò. Il respiro non era
più regolare da un pezzo, ormai, ma non importava.
“Non
hai mai fatto…?” le chiese. Lei scosse la testa.
“Ma
vorresti…?” domandò di nuovo. Stavolta lei annuì.
“Allora vieni con me” decise Johan, prendendola per
una mano. E Laura lo seguì senza dire una parola.
“Tu
cosa farai dopo il liceo?” le chiese il ragazzo, accarezzandole un
braccio.
“A me
piace disegnare” disse vaga. Il biondo le lanciò un’occhiataccia.
“Ti ho
chiesto cosa farai, non cosa ti piace fare ora” le fece presente.
“Farò
medicina, credo” rispose. Non ci credeva nemmeno lei in quello che
diceva, si vedeva lontano un chilometro.
“Sei
sicura?” insistette.
“Sì.
Perché?” s’informò lei.
Da dove partire? A scuola non era
una cima, intanto. Poi lei odiava tutte le materie scientifiche. Inoltre tutti
sapevano che lei avrebbe voluto fare la mangaka, era risaputo. Infine nessuno, e
non lo pensava per cattiveria, sarebbe mai andato da un dottore come lei. Quando
parlava sembrava un po’ sciocca, non dava molta sicurezza alle persone per
quanto riguardava la sua affidabilità.
“Niente, così” minimizzò Johan, lasciando cadere il
discorso.
“E se
non entrassi vorrei fare la veterinaria” continuò Laura. Pure?
“Qualcosa di non scientifico?” domandò il
ragazzo.
“No,
niente” negò lei. Però sospirò nel dire questa frase, segno che non era
assolutamente vero. Come mai non diceva la verità? Perché non ammetteva di non
voler fare scienze all’università?
“Se tu
dovessi decidere così, su due piedi?” s’informò. La bionda ci pensò un
attimo.
“Forse disegnerei. Mi piacerebbe tanto, mi ci
diverto” rispose.
“E
perché non lo fai comunque?”
“Perché non dà un lavoro. Cioè, se disegno nessuno mi
assicura che troverò lavoro, per cui tanto vale buttarsi nella medicina”
spiegò.
“Ah”
“E
tu? Che farai?” indagò, ora, lei.
“Probabilmente studierò letteratura o filosofia. Mi
piacerebbe tanto diventare professore” rispose sorridendo.
“Davvero? Non pensavo che ti piacesse l’italiano”
esclamò Laura.
“Già,
infatti i miei nove sono regalati” la rimbeccò lui. La ragazza rise.
“Scusa, è vero” ammise. Rimasero abbracciati ancora
un po’ prima di decidere di rivestirsi e tornare in cucina per studiare.
Una volta di nuovo sui libri,
però, Johan non riuscì a concentrarsi. Continuava a pensare alle sue parole e al
fatto che era una cosa triste che non seguisse i suoi sogni per puro interesse
finanziario. Era squallido.
Quando la salutò e si chiuse la
porta alle spalle si rese conto che l’unica persona che avrebbe voluto sentire
al momento era Rea. Aveva bisogno di sentire le sue parole di conforto e qualche
consiglio per aiutare Laura. Ma lei non c’era ormai da più di tre mesi, e ne
sentiva tremendamente la mancanza. Però non ce la faceva a resistere, voleva un
po’ di conforto. In fin dei conti aveva rispettato il suo volere fin troppo, ora
era il momento di infrangere la promessa e chiamarla.
Non era mai stato uno che
rispettava le decisioni degli altri, tutto sommato, pensò sorridendo.