Paura
“Pronto? Chi
parla?”
“Indovina!”
“Johan? Perché mi
hai chiamato con lo sconosciuto?”
“Non
sapevo se mi avresti risposto, così ho preferito non rischiare”
“Vedo con piacere
che ti fidi di me. A te avrei risposto, sei il mio migliore amico, non ti
chiuderei mai il telefono in faccia, razza di idiota”
“Ahahahah, meglio così. Allora? Come te la
passi?”
“Bene. Gli esami
sono alle porte e studio parecchio”
“Stai
parlando con me, non con tua madre”
“Ok, sinceramente?
Mi sono impegnata a scrivere e ho finito il mio libro. Praticamente non ho
nemmeno ricontrollato il programma scolastico e tra venti giorni abbiamo la
prima prova. Sono nel panico più totale e non so come
fare”
“A
questo credo di più. Quindi tra poco torni?”
“Entro un mese e
mezzo. Però non dirlo a nessuno, voglio fare una
sorpresa”
“Bocca
cucita. Lo sai che non dico mai niente di ciò che mi dici tu”
“Hai ragione, però
per sicurezza facciamo come solito, ok? Un segreto…”
“Va
bene, lo so. E, infatti, ti avevo chiamata per un’altra ragione”
“Sul serio?
Raccontami”
“Si
tratta di Laura, e temo che ci vorrà un po’”
“Mi metto
comoda”
“Cosa
posso fare per aiutarla?”
“Niente”
“Come
niente?”
“Il punto è
questo: lei è una testona. Io l’ho sempre vista disegnare, fin da quando era
bambina, e non credo che vorrebbe mai fare altro. Però teme di non essere
all’altezza delle aspettative di mamma e papà se non fa qualcosa che lei
considera, forse, più dignitoso. La realtà è che ha solo paura di inseguire il
suo sogno perché teme di non farcela. Come me. Però io ce la sto mettendo tutta
perché non voglio diventare, un giorno, uno di quegli adulti frustrati che hanno
fatto qualcosa perché era più comodo. Non è mai sicuro inseguire un sogno, lo so
da sola, e se lo capisse sarebbe più felice. È un terno al lotto ammettere di
voler fare qualcosa che ci sembra impossibile e lei, semplicemente, non vuole
rischiare. E questo mi ha sempre resa triste perché mi dispiace vedere che non
si sente all’altezza di un’aspettativa che non esiste. Nessuno ha mai voluto che
lei fosse diversa da come è di solito, però vuole dimostrare qualcosa, più a sé
stessa, temo, che agli altri”
“Ma
dovrà capire prima o poi che non c’è bisogno di essere diversi da sé stessi per
essere accettati!”
“Sì, quando si
renderà conto che ha sprecato tanti anni a cercare di diventare qualcosa che non
è”
“Devo
aiutarla, Rea! Devo riuscire a starle vicino e a farle inseguire il suo
sogno”
“Lo pensavo anche
io, una volta, ma poi ho capito che non ha bisogno di questo. Ha bisogno di
sapere che la sosteniamo, per cui non fare niente che possa farla arrabbiare,
capito Johan?”
“……”
“Johan…”
“Va
bene! Non le imporrò niente!”
“Bravo. Faresti
solo peggio”
“Sei
cambiata. Ma non sono sicuro che sia in meglio”
“Ahahahah, è
sicuramente in meglio. Ora ti saluto, domani abbiamo ripasso generale del
programma e devo almeno fare finta di studiare. Temo che mia nonna si sia resa
conto che non mi sono impegnata molto ultimamente, e non vorrei che si
arrabbiasse. Se hai bisogno non ti fare scrupoli a chiamarmi. Magari senza lo
sconosciuto”
“Ti
tartasserò di messaggi, tranquilla”
“Perfetto. Ah,
Johan?”
“Sì?”
“Mi sei mancato. È
stato bello risentirti”
Nonostante quello che gli aveva
consigliato Rea, però, il biondo decise di parlare con Laura. L’aveva invitata a
casa per studiare e si era preparato il discorso da farle. Si sentiva in dovere
di dirle che sbagliava a non inseguire il suo sogno, ecco tutto.
“Ehilà, sono arrivata” si annunciò la ragazza,
entrando in cucina. Aveva trovato la porta aperta e non aveva chiesto permesso.
Come sempre.
“Salve” la salutò, dandole un veloce bacio sulle
labbra. La fece sedere e le servì dei biscotti al cioccolato, sapendo che lei ne
andava matta, poi si mise vicino a lei. Rimase rigido a fissarla, e la bionda si
rese conto che c’era qualcosa che non andava. Lo vedeva imbarazzato e si sentiva
imbarazzata a sua volta.
“Qualche problema?” chiese alla fine. Johan si
schiarì la voce.
“N-no,
figurati. Ho solo una domanda… insignificante” rispose lui.
“Dimmi, ti ascolto” lo spronò Laura. Il ragazzo
esitò, poi sospirò.
“Senti, te lo ricordi il discorso dell’altro giorno? Quando
parlavamo dell’università?”
“Sì,
certo che me lo ricordo”
“Ok,
la domanda è questa: tu sei sicura di voler avere una carriera in
medicina?” sputò fuori alla fine. Lei si bloccò.
“C-certo” balbettò in risposta. Gli occhi azzurri
del ragazzo si piantarono nei suoi e la fecero rabbrividire.
“Sul
serio? Insomma, sei certa di voler fare una vita in cui non farai che studiare
scienze, chimica, matematica, fisica, anatomia, numeri, formule…” iniziò
a torturarla, dicendo le parole a raffica. La bionda strinse i denti e lo
ascoltò solo fino a un certo punto, poi batté il pugno sul tavolo.
“Fermo!” esclamò. Johan rimase con la bocca aperta
a fissarla, aspettando.
“Cosa
vuoi che ti dica?” lo aggredì, infuriata.
“Non
saprei. La verità?”
“La
verità? E cioè? Sentiamo, illuminami su qual è la verità”
“Che
tu non la vuoi quella vita. Dimmi se sbaglio: tu sei un’artista, ami disegnare,
sei sempre con la testa tra le nuvole, ti piacciono le cose irrazionali e
incomprensibili. Secondo quale strano ragionamento dovresti voler fare
medicina?” domandò. Laura strinse i pugni.
“Perché i miei vogliono questo. Vogliono che io sia brava
e che io non li deluda. Quindi non posso fare altro!” rispose. E quella
verità fece male anche a lei perché ad alta voce non se l’era mai detta.
“Te
l’hanno detto loro?” chiese Johan. La ragazza rimase ferma,
immobilizzata. Gliel’avevano mai detto?
“Per
quanto ne so io loro non ti costringono, giusto? Insomma, sarebbe insensato che
facessero fare a Rea ciò che vogliono e a te no, sbaglio forse? Quindi cosa vuoi
dimostrare?”
“Niente, io non voglio dimostrare niente!”
“Sicura? Perché sembra che tu voglia far vedere di
potercela fare anche se nessuno te l’ha chiesto!”
“Smettila, dannazione! Chi sei tu per giudicarmi? Tu non
lo sai che significa essere me!” urlò, al limite di sopportazione. Forse
era questa la reazione che Rea temeva.
“Io
non sono intelligente come Emma. O coraggiosa come Rea. Non ho mai studiato
disegno o arte in generale. Come posso anche solo pensare di andare dietro a un
sogno come questo se non ho né la preparazione né la forza per farlo? Fare
un’università come medicina e diventare un chirurgo mi dà più sicurezza nella
vita e nel mio futuro” spiegò. Johan scosse la testa, orripilato.
“Credevo che tu fossi diversa, sai? Credevo che tu amassi
inseguire il tuo sogno. Perché io lo so che tu vuoi solo disegnare. Però no, hai
troppa paura vero e allora nasconditi e diventa un’adulta frustrata e delusa
dalla vita. Io ci ho provato a farti ragionare” disse sconsolato. Laura
tremò lievemente, poi lo guardò.
“Tu
non capisci, vero? Se non ce la faccio rischio di inseguire qualcosa e farmela
poi sfuggire dalle mani. No, non penso di volere questo” ribatté.
“E
cosa vuoi? Far finta di amare la medicina e diventare una dottoressa
malfidata?” l’aggredì.
“NO!
Io voglio disegnare, ho sempre voluto quello, ma le persone pensano che io sia
una buona a nulla e non posso…”
“Chi?
Chi è che lo pensa?” la interruppe lui. La ragazza si bloccò, senza
sapere che rispondere.
“C-chi? B-beh…” balbettò. Non le veniva in mente
nessuno.
“Noi
non lo pensiamo, non l’abbiamo mai pensato. I tuoi nemmeno. I professori non
credo. Quindi chi è che ti considera una buona a nulla?” chiese di nuovo.
Lei abbassò gli occhi e trattenne le lacrime.
“Io” rispose infine.
“Cosa?”
“Io
mi considero una buona a nulla, capito? Io odio il fatto che non sono brava a
scuola, non sono coraggiosa e non sono in grado di ammettere che questa vita non
la voglio! Sei contento adesso?” domandò. Alla fine il pianto era venuto
da solo, senza che lo avesse sentito prima.
Johan l’abbracciò, e la fece
piangere.
“Non
potrei mai essere contento se tu sei infelice. Ed è per questo che voglio starti
accanto. Sono sicuro che nessuno ti considererà una buona a nulla, noi ti
sosterremo tutti. Fidati di me, non ti mentirei mai” assicurò. La baciò e
Laura penso che forse sì, aveva ragione. Che magari poteva farcela. Che
probabilmente si sarebbe dimostrata capace di qualcosa se avesse inseguito quel
desiderio, piuttosto che costringendosi a fare qualcosa che non voleva, anzi che
odiava.
“Se
non ci riesco?” domandò tristemente.
“Io ti
sosterrò, ora e fino in fondo. E anche Emma e Rea, ne sono certa. Per cui non
avere paura di ammettere che vuoi fare qualcos’altro, nessuno ti giudicherà mai
male se inseguirai il tuo sogno” rispose.
Il mese di giugno fu un mese
assurdo per tutti quanti. Le tre Stevens, chi in un modo, chi in un altro,
studiarono e si impegnarono al massimo per l’esame, così come Johan e Fabio.
Nessuno dei cinque ebbe molte occasioni di sentirsi e vedersi, soprattutto
perché Emma voleva prendere il massimo possibile, Laura era distratta da tutto e
stava china sui libri per poche ore al giorno, Rea scriveva per la maggior parte
del tempo, Johan pensava alle vacanze e Fabio a Rea. Ormai mancava poco al suo
ritorno, i cinque mesi erano passati.
Nonostante questo, la maturità
arrivò e passò per tutti con velocità impressionante e di lei nessuna traccia.
Aveva chiesto anche alle sorelle, ma nessuna pareva sapere niente. Era
semplicemente scomparsa.
Aveva saputo che era passata con
70/100, mentre le altre due con 85/100 (con non poca delusione, Emma) e 60/100
(la più grande), e che aveva in atto un qualche piano per il futuro. Si era
informato anche con Johan, ma a metà luglio tutti andarono a godersi le meritate
vacanze e lui si ritrovò solo, in casa, mentre i suoi erano al lavoro, ad
aspettare una qualche notizia. Non che si sarebbe mosso, non poteva perché il
ristorante rimaneva aperto fino a ottobre, però gli dava noia che lei non desse
sue notizie.
E così luglio terminò, portandosi
dietro anche il mese successivo.
Ormai le speranze di rivederla si
erano ridotte ai minimi storici.
Fu solo una mattina di fine agosto
che Fabio ebbe di nuovo delle notizie da Rea. E furono proprio le sue sorelle a
portargliele.
Arrivarono Emma e Laura poco prima
che lui uscisse per andare a pranzo a portargli un pacchetto.
“Questo è per te” gli sorrise la mora.
“E
anche questo” concluse la bionda, passandogli una lettera.
“Che roba
è?” domandò lui, confuso. Loro si sorrisero e si misero un dito sulle
labbra.
“Abbiamo promesso. Ciao Fabio!” risposero, andando
via.
“Come?
Ehi, ferme!” esclamò il ragazzo, non capendo. Rientrò in casa e aprì il
pacchetto. Un grosso volume rosso con un disegno giallo sopra apparve dalla
carta marrone che lui aveva appena strappato e il suo cuore fece un balzo. Non
lesse nemmeno una riga della lettera: s’infilò le scarpe e corse via.