Il
cuculo
Smarrimento.
Fu
la prima sensazione che Loki provò, trovandosi davanti
quel bambino. Ma si riprese subito, e lo esaminò inarcando
un sopracciglio.
Era
un ragazzino gracile, minuto. Il volto infantile aveva un colorito
pallido sul quale risaltavano il rosso delle labbra carnose e il nero
corvino dei capelli arruffati.
In
quanto agli occhi chiari – che osservavano tutto, curiosi
e pieni d’interesse –, contrastavano
spaventosamente con quelli freddi di Loki.
L’uomo
sbatté le palpebre e si guardò
attorno, diffidente.
Si
trovavano in un prato.
Mentre
lui era in piedi, il bambino era seduto a cavalcioni di una
panca di legno, all’ombra di un melo, e faceva dondolare
ansiosamente le gambe avanti e indietro.
Loki
conosceva fin troppo bene quel posto, poiché vi aveva
trascorso intere giornate della propria infanzia.
Fece
un passo in avanti, assottigliando gli occhi… E il
bambino si mosse, raddrizzandosi sulla panca.
Istintivamente,
Loki si bloccò.
Dunque
era così che funzionavano le cose? Il ragazzino
poteva vederlo?
Un
istante dopo, però, si rese conto che lo sguardo del
bambino non era diretto verso di lui, e si girò per
controllare cosa stesse osservando.
Si
trattava di un uomo anziano, con una barba a punta e un copricapo
color prugna.
Mentre
il nuovo venuto avanzava in direzione del melo, tenendo alcuni
libri sotto braccio, il bambino si preoccupò di sedersi
più composto.
Loki
si accigliò, facendosi da parte.
Quella
scena aveva qualcosa di dannatamente familiare… Non
si trattava solo di un sogno, no… Stava assumendo i contorni
limpidi e sgraditi di un ricordo.
Giunto
davanti al bambino, l’uomo anziano scaricò
i libri sulla panca, con uno sbuffo sonoro.
«Mio
principe» disse poi, un po’
ansimante.
«Salve,
maestro» replicò il bambino, con
voce sottile ed educata.
Il
suo interlocutore fece un sorriso rugoso, quindi si
guardò attorno. «Vostro fratello?»
indagò, riportando gli occhi sul bambino.
Quest’ultimo
parve esitare, come se non sapesse bene cosa
dire, ma alla fine dovette alzare le spalle ed ammettere:
«Non lo so».
Il
precettore sospirò, scuotendo la testa. «Siamo
alle solite… Ah, suppongo che si possa attendere il suo
arrivo ancora per qualche momento».
Loki,
che sino a quel momento aveva osservato il duo con aria
circospetta, ne distolse di colpo lo sguardo.
Aveva
sentito abbastanza per capire che, di lì a poco,
avrebbe visto una persona che non desiderava assolutamente vedere.
A
riprova della sua deduzione, un urlo squarciò la quiete:
«Sto arrivando!»
Al
suono di quella voce – familiare ma tanto detestata
– Loki digrignò i denti, ma il bambino dai capelli
corvini sollevò gli occhi e si illuminò.
E
poi, eccolo… Thor giunse lì di corsa. Aveva i
capelli biondi scompigliati e gli abiti in disordine, ma i suoi occhi
brillavano come diamanti. Sprigionava vita ed eccitazione da tutti i
pori, e c’era poco da aggiungere.
«Loki!»
esclamò, allegramente, salutando
prima di tutto il bambino moro.
Il
precettore tossicchiò discretamente. «Bene,
principe Thor» commentò. «Ora che siete
arrivato, immagino sia possibile cominciare la lezione».
Molto
poco turbato dal velato rimprovero racchiuso in
quell’osservazione, Thor sfoderò un sorriso a
trentadue denti.
«Lo
immagino anch’io, maestro»
concordò senza sforzo, prendendo posto accanto al fratello
minore.
Loki
si sentì percorrere da un fremito di rabbia.
Dov’era
finita la vecchia regola, quella secondo la quale ci
si sveglia non appena ci si rende conto di star sognando?
Lui
non voleva essere lì.
Non
era sicuro di cosa sarebbe successo, ma non voleva rivivere quel
pomeriggio.
Fissò
il primogenito di Odino con espressione velenosa,
sentendosi invadere dall’invidia e dal rancore. Ancor
più della presenza di Thor, però, lo infastidiva
l’atteggiamento del proprio giovanissimo alter ego.
Il
piccolo Loki, infatti, sembrava perfettamente a proprio agio.
A
dirla tutta, lanciava qualche occhiata di rimprovero a Thor quando
questi interrompeva il maestro o sbadigliava troppo vistosamente, ma
non mancava mai di ricambiare gli sguardi complici del bambino biondo.
Loki
strinse le labbra e si avvicinò di qualche passo.
Cercò
di calmarsi: aveva la forte sensazione di non poter
toccare quelle persone, ma anche se così non fosse
stato… Non era contro quel Thor radioso e così
fastidiosamente giovane che voleva vendetta.
Per
qualche istante si dibatté inutilmente nella propria
ira, finché il libro che il precettore stava mostrando ai
suoi allievi non catturò la sua attenzione.
Loki
si accigliò. Si ricordava di quel libro, un manoscritto
che parlava della natura, spaziando dai benefici delle piante alle
abitudini degli animali.
Ne
ricordava le figure minuziose, i colori ancora nitidi nonostante il
tempo.
Nella
sua mente, balenò la rimembranza di
un’illustrazione di un pentapalmo, così
spaventosamente realistica che da bambino l’aveva trovata
terrificante.
La
voce un po’ querula del precettore lo riscosse.
«Dunque,
sapete per quale motivo non avete mai visto nidi di
cuculo?»
«No»
esclamò subito Thor.
«Depongono le uova in posti molto, molto alti e
inospitali?»
Il
suo fratellino gli scoccò un’occhiataccia.
A
Loki la cosa non sfuggì, e provò
un’immensa soddisfazione.
Una
soddisfazione tinta d’amarezza,
però… Era questo il solo genere di rivalsa che
gli era concesso di ottenere?
«No,
principe» rispose il precettore. «Il
motivo, effettivamente, non
è questo». Volse lo
sguardo sull’altro suo allievo. «Voi che dite,
principe Loki? Avete un’altra ipotesi da proporre?»
«Be’,
sì» rispose il bambino.
«Non si trovano i nidi dei cuculi perché i cuculi
non hanno nidi propri».
Thor
sbatté le palpebre. «Che cosa?!»
esclamò, prima di guardare verso il precettore con aria
indignata. «Allora era una domanda a trabocchetto!»
L’uomo
lo zittì con un gesto, quindi fece cenno
all’altro bambino di continuare.
«I
cuculi, infatti» riprese il piccolo Loki,
«depongono le proprie uova all’interno dei nidi
degli altri uccelli».
«Precisamente»
confermò il precettore
con aria soddisfatta, e Loki poté osservare il suo fragile
alter ego illuminarsi d’orgoglio. «Il cuculo,
inoltre, occupa per lo più i nidi di specie come le
cannaiole, le capinere, le forapaglie, le averle e le ballerine,
poiché le sue uova sono molto simili a quelle di questi
uccelli».
«Insomma»
intervenne Thor, «in poche
parole il cuculo è uno schifoso parassita!»
Loki
sentì un’ondata di rabbia. Aveva dimenticato
l’irritante abitudine del fratello di snocciolare tutto
ciò che gli passava per la testa.
Il
precettore, al contrario, doveva aver ormai fatto il callo alle
uscite del bambino biondo, e infatti prese quel commento con molta
calma. «Non è tutto qui, principe Thor»
disse, gravemente. «Il piccolo del cuculo, infatti, nasce
prima degli altri, e a quel punto si sbarazza delle uova che ha
intorno».
«Si
sbarazza?» ripeté Thor, con gli
occhi spalancati.
“Esattamente
ciò che io avrei voluto fare con
te” pensò Loki, gelidamente. “Ma tu non
sei mai, mai stato indifeso alla mia mercé”.
«Le
fa cadere dal nido» spiegò il
precettore. «Così da rimanerne il solo occupante,
e poter essere l’unico a ricevere le attenzioni dei
proprietari del nido, che lo nutrono come se fosse un proprio
nidiaceo».
Ascoltando
quelle parole, Loki cominciò ad avvertire un
vuoto sgradevole sul fondo dello stomaco.
Immagini
non volute si presentarono alla sua mente:
l’orgoglio che aveva visto sul viso di Frigga e di Odino il
giorno dell’incoronazione di Thor, ma anche la nebulosa e
confusa eco della voce della Regina che gli diceva di mangiare
un’altra cucchiaiata di quanto aveva nel piatto.
Loki
scacciò tutto questo. Un improvviso panico gli punse lo
stomaco e lui si girò verso il palazzo, quasi temendo di
vederne uscire sua madre da un momento all’altro.
Temendo…
o desiderando?
Loki
era lacerato, ma rifiutava la seconda ipotesi con tutte le proprie
forze.
«Ma
come?!»
La
voce di Thor vibrava di indignazione, e Loki riportò a
fatica lo sguardo sulle persone radunate sotto il melo.
Il
bambino moro lanciò un’occhiataccia al
fratello. Probabilmente, riteneva che il suo coinvolgimento nella
lezione fosse eccessivo… Non sapeva, così giovane
e inconsapevole di tutto, che sarebbe stato lui a doversi sentire
chiamato in causa.
«E
loro non si accorgono che è un
intruso?»
«Thor,
sono solamente uccelli» osservò
il più piccolo, cercando di calmarlo.
Loki
provò uno strano misto di fastidio e delusione. In
fondo, non erano solo gli uccelli, a non essere in grado di comprendere
quando avevano un intruso tra loro.
«Sì,
ma un intruso rimane un intruso, non importa
a quale razza appartenga!» ribatté il bambino
biondo, scaldandosi.
Il
Loki futuro gli rivolse uno sguardo gelido.
Povero
stolto, parlava tanto di intrusi e non si rendeva conto di
averne uno accanto…
L’odio
e la rabbia gli artigliarono l’animo, e
improvvisamente Loki desiderò che si trattasse di un sogno
diverso, un sogno in cui non essere un semplice spettatore…
Un sogno in cui potersi intromettere… Era certo che, a
quell’età, anche Thor si sarebbe spaventato nel
vedersi rivolgere un’occhiata simile.
«E
i genitori?» volle sapere improvvisamente il
piccolo Loki, strappando un sussulto alla sua controparte adulta.
«I cuculi grandi, intendo… Cosa fanno, una volta
deposto l’uovo?»
Il
precettore parve lieto del fatto che il bambino avesse interrotto la
cascata di parole di Thor. «È semplice»
rispose, strofinandosi un sopracciglio con un dito. «Dato che
non devono occuparsene, migrano subito nei quartieri di
svernamento».
Il
bambino dai capelli corvini arricciò il naso.
Loki
lo guardò. Con suo gran disappunto, non ricordava
proprio cosa gli fosse passato per la testa, in quel momento…
Forse
si era sentito indignato, arrabbiato, senza sapere che i suoi, di
genitori, lo avevano ugualmente abbandonato?
Forse
si era sentito dispiaciuto, senza sapere che avrebbe fatto molto
meglio a provare pietà per se stesso?
«Il
sangue non è acqua»
commentò Thor, con l’aria di chi la sa lunga.
«La
classe non
è acqua» lo corresse suo
fratello.
«Ciò
che volevo dire»
borbottò il più grande, «è
che i genitori dei cuculi sono degli esseri ignobili e anche i loro
figli sono degli esseri ignobili».
«I
genitori sono più ignobili,
però» obiettò il piccolo Loki, con una
certa ostinazione.
«Miei
principi» intervenne il precettore,
«dubito che dovremmo discuterne come se parlassimo di
psicologia. I soggetti di questa lezione sono animali, pertanto
agiscono come dice loro l’istinto».
Il
minore parve accettare con sollievo quella spiegazione, mentre Thor
borbottò qualcosa come: «Sì, bella
scusa».
Il
precettore osservò il cielo che li sovrastava.
«Va bene, penso che la lezione di oggi possa dirsi
terminata…»
A
quelle parole, il sorriso di Thor si accese immediatamente, e il
bambino balzò giù dalla panca.
«Rammentate
che domani ripasseremo le ultime regole di
aritmetica che vi ho insegnato» aggiunse
l’istruttore, precipitosamente, «e vi
assegnerò delle esercitazioni per…»
«Certamente!»
esclamò Thor, sprizzando
contentezza per essere finalmente libero di muoversi. «Sai
cos’ho pensato, Loki?» domandò,
spostando l’attenzione sul fratellino.
Quest’ultimo
salutò il precettore, quindi si
girò verso Thor. «A cosa?»
«Potremmo
organizzare una battaglia! Questo giardino
può essere la landa di Jotunheim e…»
Mentre
parlava, spedito e concitato, indietreggiava e allargava le
braccia come ad illustrare le proporzioni ciclopiche che avrebbe dovuto
avere quello scontro immaginario.
Il
suo fratellino lo seguiva, ascoltando le sue parole senza commentare.
Loki
serrò i denti. Si girò per seguire con lo
sguardo il precettore che si allontanava, e intanto si sentiva furioso
con se stesso.
Non
avrebbe dovuto interessargli affatto, se Thor bambino progettava un
assalto ai Giganti di Ghiaccio.
Non
avrebbe dovuto ferirlo, per due motivi.
Primo,
non gliene importava nulla di ciò che Thor pensava, e
tantomeno di ciò che poteva aver pensato in passato.
Secondo,
aveva rinnegato la propria natura Jotun, e non voleva sentirsi
parte di quel popolo mostruoso.
Trasalì,
perché i due bambini, spostandosi nel
giardino, gli erano passati accanto… Vedendosi vicino quel
se stesso così piccolo, Loki non resistette. Come guidato da
un impulso irrefrenabile, si tese in avanti e lo toccò sul
braccio.
Fu
un tocco leggero, ma fu sufficiente.
Il
bambino ebbe un brivido e Loki ritrasse la mano di scatto.
E
raggelò a propria volta, perché
all’improvviso ricordò.
Si
ricordò di quel giorno, del momento in cui, mentre
ascoltava Thor parlare, si era sentito assalire da un gelo immotivato.
“Non
ha senso” pensò l’uomo,
scosso, davanti agli occhi limpidi e irrequieti del suo alter ego.
“Non posso essere stato io a procurarmi quella sensazione.
Adesso sto sognando, non sono certo tornato indietro nel
tempo…”
Più
probabilmente, all’epoca, si era sentito
sgomento per qualcosa che Thor aveva detto…
Poi
decise di non darsi troppa pena. Dopotutto, non lo riguardava come
il suo subconscio decideva di rielaborare i suoi maledetti ricordi.
«Ehi,
cos’hai?»
s’informò Thor, perplesso.
«Niente»
mormorò l’altro
bambino, pur senza sembrarne totalmente convinto.
«Penso… di aver avuto una sorta di…
presentimento».
Thor
fece spallucce. «Queste faccende lasciale agli indovini,
Loki! Noi dobbiamo organizzare una bella imboscata, non lo
dimenticare».
Loki
spostò di nuovo lo sguardo da quella scena, e i suoi
occhi caddero sul melo.
C’era
un ramo più robusto degli altri, che
cresceva verso l’esterno, ed era quasi perfettamente
orizzontale.
L’uomo
deglutì.
Ricordava
che, un giorno, aveva proposto a Thor di costruire
un’altalena e di appenderla lì. Il bambino biondo
si era mostrato a dir poco entusiasta a quell’idea.
E
quando l’idea era stata realizzata, lui e l’altro
ragazzino ci avevano giocato per anni.
Poi,
un bel giorno, avevano deciso che si trattava di un passatempo da
femmine, e non l’avevano più usata.
Loki
sentì di nuovo l’ormai familiare puntura
della gelosia.
Ma
non era rivolta a Thor, stavolta… Bensì al se
stesso bambino, coi capelli scompigliati e le guance pallide ora
arrossate, che si sentiva così pateticamente al sicuro e non
si rendeva conto di niente.
L’uomo
lo guardò come se avesse potuto trafiggerlo.
«Adesso
non ne sei consapevole, Loki» disse, con un
sorriso beffardo, pur non riuscendo a celare del tutto
l’amarezza nella propria voce, «ma tu, qui, non sei
altro che un cuculo».
Note:
Dopo una lunghissima fase di revisione – perché
naturalmente non potevo limitarmi a descrivere un pomeriggio dei
piccoli Thor e Loki, ma dovevo complicarmi la vita inserendo anche la
versione adulta del secondo – eccola qui.
I miei sentiti complimenti a chi è riuscito ad arrivarvi in
fondo… Spero che ti (vi?) sia piaciuta, e che non ci siano
stati equivoci tra il Loki presente o quello del passato.
Per facilitare la distinzione tra i due, ho chiamato semplicemente
“Loki” solo il primo, mentre il secondo ho cercato
di definirlo in altre maniere – e, quando l’ho
chiamato per nome, ho sempre aggiunto aggettivi come
“piccolo”.
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