27
– ultimo.
Chelsea
tiene il viso premuto contro il materasso tiepido e si lascia invadere
dalla
nuova sensazione che la sta prendendo. Dalla consapevolezza che
l’ha svegliata
quella mattina. Inspira. Espira.
Sente
Louis farsi la doccia nel bagno del suo appartamento e sente
l’odore del caffè
che sale dal bar lì davanti, violento. E non riesce a non
ricondurre anche
quello a come si sente, a quella nuova morsa allo stomaco, violenta. A
quel
nuovo calore, diverso.
Diverso
dal calore astratto dei flash delle macchine fotografiche, diverso da
quello
luminoso delle luci sulle passerelle, diverso da quello dei baci che
sua mamma
le dava quando ancora c’era, quando era bambina, e diverso
perfino dai baci che
era Dawson a darle.
È
un
calore nuovo, come lo era stato quello delle mani si Louis sulla sua
pelle
quella prima loro sera, diverso ma, lei lo sa,
potente.
Louis
esce dal bagno avvolto in un telo morbido di microfibra rosa dalla vita
in giù.
Davvero molto virile.
Si
siede sul bordo del letto e le posa una mano sulla schiena, in
silenzio. “Pensi
di muoverti, prima o poi?” chiede dopo un po’ e
allude al fatto che lei sia
nella stessa posizione da mezz’ora. Un mugolio è
la sua risposta. “Bene.” Le
sorride prima di alzarsi e avviarsi verso la cucina, i piedi nudi sul
parquet
caldo.
“Questo
profumo mi uccide, prendo un caffè. Te ne va uno?”
La
voce della ragazza, le sue parole dette veloci e attaccate le une alle
altre,
soffiate, lo bloccano sulla porta.
“Louispensodiamarti.”
E
per
fortuna Chelsea non può vedere il sorriso che ora dipinge il
viso del ragazzo,
la pennellata messa nel modo migliore di sempre.
Lo
sapeva, l’aveva sempre saputo. Sperato. E l’ama
anche lui, sebbene non sia il
momento giusto per dirglielo, per spezzare quel legame ancora
così fragile che
lei gli sta porgendo. Louis non si gira a guardarla e le torna a
parlare
cercando di modulare il timbro della voce e di non saltellare in giro
per la
stanza in preda ad un attacco di fangirlismo.
Lei
lo
ama.
“Due
di zucchero, vero?”
__
“Non
penso mi riprenderò mai.” La voce ridotta ad un
sussurro che Harry riesce a
percepire lo stesso. “Le cicatrici raccontano la nostra
storia.” Continua.
Allyson
sta rannicchiata tra le braccia del ragazzo e lancia veloci occhiate
allo
specchio in fondo al suo letto, con le dita percorre la cicatrice lunga
che le
passa sotto l’ombelico.
“Mi
dispiace averti mandato via.”
“Lo
so.” E lo sa davvero, e sa che ad entrambi dispiace. Dispiace
e basta.
“Ci
sarà mai un momento in cui ‘andare
avanti’ mi sembrerà una scelta giusta?
Un’alternativa che non ferisce nessuno? Che non ferisce
me?”
“No.”
Le risponde lui prima di prenderle il polso e spostarle la mano dalla
pancia,
prima di baciarle delicatamente la fronte. “Ma in ogni caso
io sono qui per te,
e tu sei qui per me. E noi siamo qui, noi.
E andremo avanti, in un qualche modo.”
“Per
quanto masochista mi possa essere sembrato i primi tempi, io davvero
volevo una
famiglia con te, davvero volevo mandare all’aria tutta la mia
giovinezza, tutte
le feste future e le nottate in bianco passate a ballare.”
“Tu
sarai sempre la mia famiglia, intesi? Sempre.”
E
parlano così per tanto, davvero tanto tempo. Fino a quando
le cose non sembrano
andare un pochino meglio o, almeno, sono meno torbide. Fino a quanto
tutte le
loro domande non si sono depositate.
Lei
chiedendo e lui rispondendo ai quesiti di entrambi, perché
ci sono persone che
semplicemente vivono in simbiosi, prima e dopo che qualcosa le scuota.
Qualsiasi
cosa.
Parlano
così fino a quando entrambi si addormentano stretti e
vicini, troppo deboli per
rivivere il passato, ma forse sufficientemente forti per affrontare il
futuro.
Perché
ci sono traumi che non passano mai, cicatrici che restano davvero per
sempre (e
che quasi mai sono esterne), parole che danno i brividi e vuoti a forma
di
persone che non si potranno mai colmare. Ma per ogni trauma Allyson
aveva
trovato Harry e lui aveva trovato lei; per ogni cicatrice potevano
contare nel
trucco che l’altro poteva stendere per renderle, almeno agli
occhi della gente,
invisibili; per ogni parola da brividi avrebbero trovato
un’intera canzone che
li scaldasse a vicenda e per quanto riguarda i vuoti sarebbero
semplicemente
stati vicini ad ammirarne la forma, a tracciarne il contorno con le
dita. E non
c’era niente di più simile al vero amore che
avrebbe potuto rompere la vetrata
del bar che li divideva all’inizio, e non
c’è niente di più simile al vero
amore che possa tenerli insieme per sempre.
__
Niall
guarda l’interno della vetrina ancora per qualche secondo
prima di chiudere
forte gli occhi, girarsi e riprendere a camminare. Vede le lucine che
si
muovono ovunque quando li riapre, quando consente alla gente che gli
cammina
veloce accanto di pensare un ‘wow’ guardandoli.
Ricondurli al mare, o a quel
cielo di quando erano giovani e liberi e lontani.
Sente
che qualcosa lo attrae nuovamente verso la vetrina dalla quale sta
cercando di
scappare, il negozio che ha lasciato lo chiama ed è davvero
difficile non
starlo a sentire.
Devia
per una stradina secondaria e si siede sugli scalini di una palazzina
in
mattoni scuri, inizia a muovere ritmicamente la gamba destra cercando
invano di
calmarsi.
Torna
a chiudere gli occhi e appoggia la testa contro il portone in legno,
canticchia
una qualche melodia che passa nel suo cervello e che gli dà
l’impressione di
essere integro e fedele a se stesso.
Nei
giorni
come quello, in cui il sole bacia la pelle ma non è quello a
fare caldo,
vorrebbe tornare in Irlanda. Sarebbe andato, così, al bar di
quel vecchietto
così simpatico che diceva cose senza senso e che dava
consigli belli da sentire
ma indecifrabili.
Se
si fosse
seduto al suo bancone l’anziano signore, facendo penzolare il
sigaro spento tra
le labbra, avrebbe detto qualcosa come: “Molte
volte i fiori più belli non sono ancora sbocciati, ma nulla
ti vieta di
prendere il seme e aspettare.”
E
lui
l’avrebbe guardato e per tanto, tanto tempo dopo avrebbe
pensato alle sue
parole.
Il
ragazzo biondo sorride distratto al cielo di Londra e si alza, allunga
il giro
e ripassa davanti alla vetrina, continua a camminare in cerchio
pensando a cosa
deve fare.
Poi
si
ferma.
“Sei
bellissima.”
“Sei
un bugiardo.”
“Forse,
ma tu rimani bellissima.”
Sarabeth
gli sorride e due lievi fossette le si disegnano ai lati del viso. Lui
le si stende
accanto sul telo verde pastello che hanno steso per terra.
“Oggi
pomeriggio ho letto qualche fan fiction su di te.”
Niall
non si gira quando lei gli parla, si limita a fissare il cielo ora
coperto da
una lieve foschia. “Tutte ti vogliono felice. Nessuna parla
di dolore, o
sofferenza, o separazione.”
“E
io
ho te.”
Le
risponde e Sarabeth sorride e gli dà un lieve bacio su una
guancia. Gli si
spinge più contro, ne sente il calore.
“In
una finivi per sposarti con una ragazza che era perfetta. Amo quella
storia.”
Niall
si gira di scatto e chiude il pugno dentro la tasca della felpa.
“Tu sei
perfetta.” Continua a dire con il solito tono, cercando di
non far trasparire
quanto le parole della ragazza l’abbiano colpito. ‘nulla ti vieta di prendere il seme e
aspettare’ si ripete
mentalmente.
Niall
si chiude la porta di casa alle spalle e per la prima volta estrae
dalla tasca
l’acquisto della giornata. La piccola scatola fa un rumore
sordo e vellutato
quando la appoggia sul tavolo, scatta facilmente sotto la pressione
delle sue
dita.
Quando
si apre rivelando il sottile anello che contiene, Niall non
può non sentirsi
invadere da un’ondata di caldo improvviso.
Perché
quella è la vita che vuole avere, lui e Sarabeth sempre e
per sempre.
Si incanta
a guardare il piccolo diamante. E se il per sempre non esiste, se
è una cosa da
fan fiction che a lei piacciono tanto, vorrà dire che
saranno lui e Sarabeth finchè
morte non li separi.
Chiude
la scatola e la ripone al sicuro dentro ad un cassetto, il cuore che
gli batte
forte nel petto, e si promette di aspettare. I desideri più
attesi hanno l’adempimento
migliore.
Guardando
fuori dalla finestra il cielo ormai scuro si ripete nuovamente la frase
del
vecchio barista e annuisce pensando che, ancora una volta, avrebb avuto
ragione.
“Molte
volte i fiori più belli non sono
ancora sbocciati, ma nulla ti vieta di prendere il seme e
aspettare.”
__
“Ciao.”
Quella
voce. Quante volte l’ha sognata? Un brivido le scorre lungo
la schiena e
spalanca gli occhi dietro le mani che li coprono. Li sente umidi di
lacrime che
non vogliono essere di delusione, di illusione.
Da
quando è andata via le è capitato troppe volte di
vederlo passare per le
strade, di sentire la sua voce a scuola, di sentire il suo tocco sui
fianchi,
di crederlo lì accanto a lei per poi riscuotersi e trovarsi
nuovamente sola. Al
freddo.
Le
è
capitato troppe volte, tante volte, di tornare a casa e cercare la sua
orma sul
cuscino, sentire il suo profumo nell’aria, di non trovare
nulla e sentirsi
nuda, spogliata di tutto.
E
nulla
ha più senso.
Ora
respira piano e cerca di concentrarsi su ogni cellula del viso che
è a contatto
con le mani calde e grandi che le coprono la vista, si impegna per
trattenere
la sensazione che dà il contatto pelle contro pelle nel caso
anche questa volta
fosse solo un suo sogno.
Poi
le
mani si aprono e il sole le brucia negli occhi, la visuale compromessa
per
qualche minuto.
Si
gira lentamente in direzione della voce e trattiene il respiro.
Ed
è
lui, è davvero lui. Il
suo sorriso
storto con la lingua tra i denti, i capelli sacrificati sotto ad un
cappello in
lana grigia e azzurra, gli occhi profondi e scuri che la guardano
ridendo.
“Zayn.”
È l’unica cosa che riesce a dire prima che la gola
le si riempia di lacrime.
È
lì,
con lei. Così lontano da quella che è la sua
casa, così nuovamente vicino a
lei.
La
voce di Miriam risuona ancora nell’aria tra loro quando il
ragazzo annulla la
distanza che li divide e la bacia. Ed è un bacio che sa di
distanza, di
mancanze, di nostalgia e di vuoto. E sa di cuori che scoppiano e fuochi
d’artificio,
di zucchero e abbracci nuovi.
“Cosa
ci fai qui?”
“Senza
ossigeno non si vive.” E non le confessa, passandole le mani
sul viso come per
riconfermare che ciò che aveva sognato tutte le notti era
reale, che quella
frase se l’è preparata nel volo di dodici ore che
l’ha portato lì.
“Non
andartene mai più, Miriam.” Le dice stringendola a
sé così forte che le nocche
gli diventano bianche e la gola gli si secca. Parla con voce impastata
dalle
lacrime che non vuole versare. “Non lasciarmi mai
più.”
La
ragazza gli si abbandona contro il petto e ne respira nuovamente
l’odore, così tanto
più materiale delle sue ormai
solite visioni che fa male.
“Dimmi
che mi amerai sempre.”
“Ti
amerò sempre.” Gli ripete lei poco dopo, seduti su
una panchina a caso, in una
strada a caso, perché non è il luogo che conta.
“Dimmi
che amerai solo me, e che nessun ragazzo di qui potrà mai
farti cambiare idea.”
“Sai
che è così.” Fa un grande respiro e
torna ad appoggiare la testa sulla sua
spalla. Quel calore di cui ha avuto così bisogno che
nuovamente la riempie.
“E
tu
dimmi che mi aspetterai, che resisterai anche se sono qui. Dimmi che
non mi
dimenticherai e che continuerai a sognare un futuro con me.”
Torna nuovamente a
piangere verso la fine della frase.
Perché
tutto davanti a loro sembra incerto e offuscato, ma qualcosa nello
stomaco la
sprona ad andare avanti, a non arrendersi. Perché il tempo
passa veloci, se
solo lo si lascia scorrere, se solo si distoglie l’occhio
dall’orologio le
lancette corrono.
E
forse
per la prima volta nella sua vita Miriam ringrazia che sia
così.
__
Liam
esce dal bar dove Allyson è tornata a lavorare e dove dove
ha accompagnato
Harry quella mattina. Esce dal bar e stringe le mani attorno al
bicchiere di
caffè caldo.
Deve
ricostruirsi, riplasmarsi, tornare a respirare.
Madison
ha lasciato la propria impronta sul suo petto, la sagoma della sua mano
posta
accanto al cuore. E ha lasciato un sacco di immagini che non smettono
di
passargli davanti agli occhi, ha lasciato la sua risata che lo culla
ancora la
sera.
Ma
ha
lasciato disperazione e terra bruciata, ha lasciato dolore e lacrime
piante
contro ad un cuscino. Ha lasciato un vuoto che sembra così
enormemente grande e
così fermamente incolmabile che lo spaventa.
Lo
spaventa davvero il fatto di aver sofferto e di stare soffrendo, lo
spaventano
le proprie lacrime che lo colgono impreparato, ormai estraneo ai propri
sentimenti, come se li avesse gettati ai piedi di
quell’albero che aveva preso
a pugni, arrabbiato, quell’ultima sera.
L’ultima
sera in cui avesse il ricordo di un battito nel petto,
l’ultima sera prima
della sua discesa nell’apatia.
Deve
scuotersi e tornare ad urlare, a cantare con passione, a credere nei
propri
sogni.
Magari
deve finire quel puzzle che tiene sotto al letto e di cui ha
già completato
tutto il bordo e sicuramente perso qualche pezzo fondamentale per
l’intreccio. L’occhio
della bambina sulla destra, metà del sorriso della
vecchietta sullo sfondo.
È
ancora
immerso nei suoi pensieri quando passa davanti ad una casetta di un
insolito color
pesca e va a sbattere contro la ragazza che ne è appena
uscita.
È
sicuro
che la colpa non sia sua ma ad ogni modo è suo il
caffè che ora gocciola dal
trench beige della ragazza che gli sgrana gli occhi grandi e scuri
davanti.
Come
la
recita di una vecchia poesia che si conosce a memoria Liam si prepara
per
srotolare la sua infinita serie di scuse, ma la voce cristallina della
ragazza
lo blocca.
Ride.
Si
è messa a ridere dopo aver guardato i propri vestiti forse
irrimediabilmente
compromessi e la faccia del ragazzo che le ha versato tutto addosso
prima
inespressiva poi come risvegliata.
Ride
e
Liam sente uno strano caldo alle punte delle dita.
“Senti,
mi dispiace davvero.” Attacca a dire lui quando la risata
della ragazza si
smorza leggermente. Ed è vero dispiacere
quello che prova?
“Volevo
buttarlo, non ti preoccupare.” Gli risponde lei alludendo al
trench, le guance rosse per la risata
e gli occhi luminosi.
“A
me
piaceva.” Confessa lui sorridendo leggermente. È vera attrazione quella che prova?
“Se
vuoi un giorno te lo presto.”
Ridono
un poco assieme e Liam riscopre fremiti che non ricordava. È
vera allegria, questa?
O
sono
solo tutte immagini distorte che la sua mente gli manda per combattere
l’evidente
stato di solitudine e isolamento in cui la delusione l’ha
fatto chiudere?
“Potremmo
discutere dei dettagli a colazione. Il tuo bel cappotto si è
appena mangiato la
mia.” Le risponde e lei non smette di sorridere.
“È
per
caso la scena di un film, questa?” chiede la ragazza dai
grandi occhi alzando
un poco le spalle e guardandosi velocemente in torno in cerca delle
telecamere.
“Ha
per caso importanza?” le sorride Liam ponendo il primo pezzo
per il
completamento del nuovo puzzle che ora ha deciso di ricomporre dopo il
pugno all’albero:
se stesso.
__
Liam,
Harry, Niall, Louis e Zayn stanno seduti in silenzio dentro al piccolo
pullman
che li porterà in una nuova città dove potranno
urlare al cielo quanto sono
felici, o tristi, o incompleti, o soli, o distrutti, o stanchi. Dove
potranno cantare quanto sono vivi.
Ognuno
è immerso nei propri pensieri, ognuno sente gli altri che
fremono piano, che
respirano ciò che la vita ha preparato per loro.
E
non c’è
spazio per la disperazione, o il dolore, o la malinconia accanto a quei
visi
ormai così noti e familiari. Ognuno le cova dentro di
sé, le rinchiude in un
piccolo scompartimento buio dentro al proprio cervello per evitare di
farcisi divorare.
Liam,
Harry, Niall, Louis e Zayn stanno seduti in silenzio dentro al piccolo
pullman
che li porterà in una nuova città e, lo sanno,
ognuno sta pensando esattamente
alla stessa cosa: davanti al futuro che gli sorride per poi
distruggerli,
davanti alle lacrime e al dolore, c’è solo una
cosa che possono fare, qualcosa
che possono ripetersi mentalmente o che possono far vibrare
nell’aria e che
avrà sempre la solita, azzeccata conseguenza. Davanti al
futuro che li nomina
casualmente vincitori o vinti, prede o cacciatori, rimangono loro solo
quelle
due parole.
Inspira.
Espira.
Ciao
a tutti, questo è il
capolinea.
Mi
scuso enormemente per il
ritardo assurdo, ma un po’ non avevo ispirazione, un
po’ sono stata molto
impegnata e un po’, probabilmente, non volevo staccarmi
definitivamente da
questa storia. Ma tutte le cose belle prima o poi finiscono e io voglio
davvero
ringraziare tutti, dal primo all’ultimo che ha posato gli
occhi sulle mie
parole.
Voglio
ringraziare chi ha
recensito e chi ha letto in silenzio, chi recensirà magari
in futuro.
Voglio
ringraziare tutti
per le belle parole e per il sostegno che forse non sapete di avermi
dato.
Tornerò
presto con una
nuova storia, Word ha un’influenza troppo grande su di me per
tenermi lontana
molto tempo. E chissà, magari, se vi interesserà,
ci rivedremo anche là.
Ancora
grazie.
Giulia.
xx
|