PREMESSA
Il racconto, pur
basandosi su alcuni accadimenti storici, non pretende in alcun modo di essere
fedele alla realtà storico/politica, che viene piegata alle esigenze di
finzione.
I personaggi, ad
eccezione di Joseph Turner, sono di mia invenzione, e non intendono riferirsi
ad alcuna persona realmente esistita.
CAPITOLO 1
- E così, ci
ritroviamo tutti naufraghi, a guardare la nostra nave arrendersi alle fiamme. -
Il volto pallido e
raffinato di un giovane uomo di non più di venticinque anni si affacciò oltre
il parapetto del battello, fermo sulle acque placide del Tamigi. Lord David
Charles Mallow-Hamilton guardava il Parlamento londinese inginocchiarsi e
contorcersi come un condannato a morte, sputando di tanto in tante fiamme
rossastre e scintille indignate verso la bella luna piena, l’unico astro
rimasto visibile nel cielo oscurato della città(*).
E se ne sentiva
affascinato. Era a Londra da meno di due giorni, e nemmeno volendolo sarebbe
riuscito ad arrivare più puntuale, per vedere la sua carriera politica morire
senza nemmeno essere nata. Quelle fiamme significavano la paralisi di ogni
attività, il cambio della sede, e mille altre incombenze che avrebbero
scavalcato la questione della sua nomina, posticipandola di anni. Probabilmente
non lo avrebbero mai più convocato.
Ma nonostante
tutto, Londra che fiammeggiava nella notte era bellissima, più bella della
città congestionata dalle carrozze e dalla confusione di troppe persone troppo
vicine che aveva avuto occasione di visitare quello stesso pomeriggio. Assieme
a quell’incendio andavano in fumo anche molte delle sue ambizioni, ma per
Giove, quanto volavano alto, quelle guglie nerastre.
- Non ditelo, o
andremo a fondo sul serio. -
La voce vagamente
maliziosa che aveva appena parlato se ne stava seduta sulle labbra curiosamente
rosse di un uomo dai capelli scuri, che non doveva essere più vecchio che di
qualche anno. David inarcò involontariamente un sopracciglio, osservandolo
alzarsi da uno sgabello e avvicinarsi a lui senza fretta, a suo agio come se si
fosse trovato in un banchetto fra amici.
- Come avrete modo
di notare, ci troviamo su una barca noi stessi, e benché la mia casa non disti
poi molto da qui, gradirei non doverci tornare nuotando fra i liquami fognari
della mia meravigliosa città. -
- Siete
superstizioso? -
- Prudente, mio
caro amico, prudente. – il giovane signore sorrise. – Siete scozzese? -
- Di Glasgow. -
- Oh, Glasgow!
Magnifico sobborgo di allevatori di bovini, davvero. -
David aprì la bocca
per replicare, ma ciò che ne uscì fu piuttosto una specie di smorfia sdegnata.
L’uomo sorrise
apertamente. – Lo sapete? Trovo che il vostro modo di infiammarvi per la vostra
città sia assolutamente migliore di quello del nostro Parlamento. -
- Sono Lord David
Charles Mallow-Hamilton. – sbuffò David, allo strano uomo.
- Oh,
Lord Hamilton. Si è parlato
della vostra nomina, in una delle ultime riunioni. Un vero peccato che non vi
siate potuto godere i magnifici marmi dei corridoi della Camera dei Lord. Il
mio nome è Lord William Thomas Hudgens. Ma spero che William vi risulterà
sufficientemente noioso da accontentarvi di chiamarmi così, soprattutto davanti
al nostro povero palazzo in rovina. -
- Già. – David si
appoggiò all’inferriata del parapetto, abbandonandosi sul busto. – Non trovate
anche voi che ci sia qualcosa di immenso, in questo incendio? -
- Di immenso? –
William inarcò un sopracciglio. – Temo piuttosto di vederci qualcosa di
sciagurato. -
- Dovresti dare
ragione al tuo giovane amico, William, una volta tanto, o finirai con lo
strozzartici, con il tuo cinismo. – gracchiò improvvisamente una voce canuta,
alle spalle dei due.
William si girò sui
tacchi delle scarpe, e alzò gli occhi al cielo. – Non puoi dire sul serio,
Joseph. – scandì, esasperato. – È un incendio, per Diana, non uno spettacolo
teatrale. –
- Punti di vista,
questione di punti di vista. -
- Lord David
Mallow-Hamilton, mi permetterete di presentarvi il signor Joseph Turner? Si
crede un pittore, stando a quel che si dice in giro. -
David trasalì senza
far rumore, e si affrettò a tendere la mano. – Ho sentito molto parlare di voi,
signor Turner. È un vero onore. – blaterò, imbarazzato.
- Onore sarebbe
stringere la mano a Tiziano, ragazzo, non a me. –
- Ma se tu
diventerai il nuovo Tiziano britannico, come si vocifera, questo giovane Lord
sfortunato potrà dire di averti stretto la mano. –
- E a chi lo
racconterò, Lord William, di grazia? Alle capre dei miei concittadini? –
William non rispose
subito. Il fuoco che mangiava il Parlamento riluceva sul suo sorriso assente,
rendendolo inquietante come un ritratto mal sfumato.
- Mucche, Lord
David, mucche. –
David piegò la
testa di lato. – Mucche. Dovete perdonarmi. –
- Sa il fatto suo,
lo scozzese. – borbottò il signor Turner, gli occhietti affossati ben lontani
dallo sforzarsi di dissimulare un certo divertimento.
Doveva essere ormai
l’una del mattino, quando il battello fu attraccato al molo, e i passeggeri
fatti scendere. Ognuno con la propria faccia, diversa dalle altre non tanto per
i connotati, quanto per le sensazioni, la forma e la profondità delle rughe
sulle loro fronti, o attorno agli occhi. C’era chi aveva aguzzato la vista per
tutto il tempo, e adesso si massaggiava le tempie; chi non aveva fatto che
discutere, chi aveva scosso la testa fino a farsi venire mal d’acqua. Qualcuno,
forse, aveva persino pregato, fra quelli che ora si incamminavano con le mani
strette dietro la schiena, il bastone sospeso a mezz’aria, perché a quell’ora
darsi un tono non serviva a nulla.
David rimase dietro
al signor Turner. Si era offerto di tenere i suoi blocchi da disegno per
permettergli di scendere più agilmente, ma la poca luce del pontile non gli
aveva permesso di distinguere altro che i segni lunghi e fluidi che abbozzavano
il Tamigi, alcune macchie sullo sfondo, e una grande luna, che voleva essere
bene illuminata, a giudicare dalla chiazza pulita che la circondava, prima che
il gessetto si prendesse tutto lo spazio del buio di quella notte.
Nemmeno riusciva a
vederlo, il Parlamento. Doveva essere uno dei tanti scarabocchi illeggibili,
così complicati da sembrare studi su voli di farfalle. Si chiese se il signor
Turner sarebbe stato capace di decifrare i suoi stessi schizzi, alla luce del
giorno, nel suo studio, come fa chi ha una calligrafia talmente nervosa da non
riuscire più a leggerla a distanza di giorni, e finì persino con il domandarsi
quanto di ciò che stava tracciato sulla carta ruvida di quei blocchi fosse
Londra, e quanto fosse Joseph Turner.
- Non vorrete
passare la notte su quella canoa, mi auguro. –
La voce di William
lo distrasse all’improvviso. Il giovane londinese lo stava guardando,
sorridendo in quella maniera mordace che ricordava il modo di fare le fusa di
un gatto dispettoso. Aveva un modo di guardare la gente davvero particolare,
lui. La fissava con l’intensità di una sfida, e con la malizia di chi gioca una
partita già vinta; e allo stesso tempo con l’ansia di riuscire a dire qualcosa,
di aggrapparsi a quel contatto per chissà quale motivo.
- No, naturalmente.
– rispose, fin troppo seriosamente. Restituì i quaderni al signor Turner, e
balzò giù dal battello, raggiungendo gli altri due uomini, gli ultimi rimasti.
- E’ stato un vero
piacere conoscervi, signor Turner. –
Educato, ma anche
entusiasta, infantilmente entusiasta. I suoi occhi chiari brillavano come
quelli di un cuccioletto, mentre stringeva di nuovo la mano dell’uomo.
Turner non doveva
essere uno di molte parole, a giudicare dalle poche, burbere, che rivolse a
William. Dovevano essere piuttosto in confidenza, vista la reazione di lui,
sarcastica e ilare.
David suppose di
dover salutare anche lui, a breve.
- Avete dove
dormire, David? – esordì William, muovendo i primi passi.
- Ho preso alloggio
non lontano da St. Paul. –
- Oh, mio povero
amico, dovrete sentirvi uno scoiattolo che riposa vicino ad un enorme elefante.
–
David accennò ad un
sorrisino paziente. - Un problema che non tocca affatto voi, mi sbaglio,
William? La vostra squisita boriosità vi proteggerebbe persino dall’ombra della
luna. –
- Abito nella zona
di Westminster, non ho bisogno di proteggermi da altre ombre. –
William si strinse
nelle spalle in modo curioso, scrollandole leggermente, come se fosse stato
sotto una pioggia fastidiosa. – Lasciate perdere St. Paul, i fantasmi del
vecchio Wren e di tutti i gentiluomini sepolti lì dentro vi rovineranno il
sonno. Sarei felice di offrirvi un buon Brandy. –
David reclinò la
testa. – Mi state offrendo…? –
- Di certo non vi
metterò nelle stalle, amico mio. Quella è una divertente usanza delle vostre
parti. –
- Volete smetterla
di sputare sentenze su Glasgow? –
William rise di
cuore, gettando all’indietro i capelli neri, raccolti con un’incuria
apertamente provocatoria.
- Amico mio, il
vostro accento diventa ancora più deliziosamente provinciale, quando vi
irritate, sapete? –
David gemette, e si
premette una mano sulla tempia. - Cielo, e dire che non dovevo nemmeno venirci,
qui a Londra. –
- E perdervi il
miglior spettacolo pirotecnico dal lontano 1666? – William ridacchiò
allegramente. – Certo che voi scozzesi siete proprio gente strana. –
- Ancora con questa
faccenda? -
- Su, su,
lamentatevi di meno e allungate il passo, casa mia non vi verrà di certo
incontro! -
*
David si accomodò
nel salottino privato che William doveva usare spesso come studio, a giudicare
dalla scrivania di ebano, completamente ingombra di carte, volumi, fermagli e
matite. La casa di William gli era sembrata subito molto grande, ma quella
stanza era curiosamente piccola, piccola in un modo raccolto, con il suo
soffitto alto a cassettoni, disadorno. C’era un caminetto, proprio in fronte
alla scrivania, che doveva essere acceso da parecchio, ma la cenere e le braci
non minacciavano ancora in alcun modo la vitalità del fuocherello che ardeva
allegramente. Due poltroncine, una delle quali gli fu indicata, ed un divano
rivestito di velluto verde scuro, e poco altro. Lord Hudgens non sembrava
preoccuparsi particolarmente di come si presentasse la stanza. Doveva essere un
luogo straordinariamente intimo, per lui, e David si sentì vagamene in imbarazzo,
come se avesse sorpreso il suo ospite in un momento privato.
William aprì l’anta
di legno di un mobiletto intarsiato, e ne estrasse una bottiglia e due
bicchieri.
- Vi piacerà. –
disse con una certa impudenza, versando una generosa quantità di Brandy in
ciascun bicchiere.
David sentì subito
l’inconfondibile odore rotondo di un eccellente Brandy d’annata diffondersi nel
salottino, incalorendo l’atmosfera. Accettò il bicchiere, e rise, quando
William propose il suo brindisi.
- Al nostro
incontro, e alla gloria della città di Glasgow, che ha dato i natali ad un tale
concentrato di affascinante, trasognato provincialismo. –
- Siete
tremendamente offensivo verso la mia città, Lord William. -
- Sono anche
tremendamente divertente. -
David gli concesse
un sorriso, sul bordo del bicchiere. – Devo ammettere che nessuno mi aveva mai
insultato in modo così interessante. –
William si rigirò
il suo bicchiere fra le dita, con movimenti ipnotici e fluidi. – Ditemi di voi.
– disse con voce improvvisamente assorta. – Avete dei terreni, a Glasgow? -
- Verso nord, sì.
Ma la vita dell’amministratore dei miei stessi possedimenti non faceva per me,
è per questo che ho tentato la strada della politica. -
- Siete certo che
vi si addica, un simile percorso? -
- So combattere per
i miei ideali. -
- Ah sì? E quali
sono i vostri ideali, David? -
David trasalì. Non
tanto per la domanda, ma per il modo quasi feroce in cui William l’aveva posta.
- Io… -
William scosse
vivacemente la mano destra. - Voi siete il genere di persona che sogna una
grande, immensa Gran Bretagna, a cui garantire abbastanza pace da potersi
permettere di passare il proprio tempo a tormentarsi con tutte le nuove idee
anticlassiciste con cui la Germania e la Francia ci stanno invadendo con tanta
veemenza. Mi sbaglio? –
David non osò
replicare. Improvvisamente, il londinese ironico e snob che gli si era rivolto
sul battello sembrava aver lasciato il posto ad un uomo mordace e
incredibilmente acuto, in modo persino inquietante. Si sentì davvero un
provinciale, davanti ai suoi occhi scuri che brillavano, puntati nei suoi.
- Non stupitevi
così, David. -
William rise
all’improvviso, sgretolando in un momento la maschera che gli aveva adombrato
il volto. - Il signor Turner la pensa esattamente come voi, e ormai ho imparato
a leggerli, gli occhi di questi novelli amanti della tragedia. –
- Siete così
avverso a queste idee? -
- Tutt’altro. –
William picchiettò due delle sue dita sottili sul bracciolo della sua poltrona.
– Stimo di gran lunga di più un uomo che disegna lune piene con il cuore, di
uno che scolpisce titani ed eroi con il cervello. -
- E allora perché
insistete nel voler essere così cinico? –
- Perché non voglio
fare la fine che fanno quelli come voi, mio caro David. Bollati come distratti
sognatori di cui tener poco conto. -
- Siete ipocrita. -
- E voi siete
bello. Nessuno è esente da colpe, come potete vedere. -
David sbarrò gli
occhi, e William gli sorrise mitemente.
– Non ditemi che
nessuno, oltre vostra madre, vi aveva mai fatto notare questa tremenda pecca
che vi affligge. – disse con leggerezza.
No, al dire il vero
non gliel’aveva mai fatta notare nessuno. Di sicuro non un uomo, non un
signorotto londinese. Ma Lord William ne parlava con la stessa ironia con cui
commentava le nuvole nel cielo, senza nessun imbarazzo. Da parte sua, pensare
che William fosse un uomo bello, e una persona affascinante, lo avrebbe fatto
sentire terribilmente infantile.
– I vostri occhi
sono preziosi. – aggiunse William, sollevando verso di lui il bicchiere di Brandy.
– Vorrei essere capace di dipingere, sapete? L’Inghilterra avrebbe proprio
bisogno di qualcosa di bello da guardare. –
David sbatté le
palpebre meccanicamente, come se William, con le sue parole, vi avesse passato
sopra le dita.
- Qualcosa di scozzese.
– disse, inarcando un sopracciglio.
- Qualcosa di
scozzese. – asserì William. – Sono i difetti che rendono le perle così
affascinanti. –
- I difetti? –
protestò David.
La mano di William
percorse pigramente la poca distanza che separava dalla sua bocca il bicchiere
di Brandy. Ne sorbì un sorso, gli occhi bassi sul vetro del bicchiere, le
ciglia scure che vibravano appena per i vapori alcolici che ne salivano.
- La Scozia è
lontana. – espirò infine, come se le sue parole fossero state una boccata di
fumo.
David si irrigidì
sulla sedia imbottita. William bevve ancora un po’, senza alcuna fretta di
tornare a guardarlo. E forse David nemmeno voleva, che lui lo guardasse ancora.
- Sarà meglio che
vada, ora. – disse, evasivo, facendo leva sulle mani per alzarsi. Si aggiustò
rapidamente la giacca sul petto, con pochi movimenti nervosi delle dita,
controllò il nodo del fazzoletto, e fu pronto.
- David.
–
David
trasalì. William si era alzato
con la stessa, controllata calma con cui faceva sempre qualsiasi cosa. Ed ora
eccolo, a guardarlo di nuovo. Troppo da vicino.
- Riesco a sentire
l’odore del vostro Brandy. – fu tutto ciò che David riuscì a dire di quello che
provava.
- E io il vostro. –
Ne assaggiarono un
po’, di quel Brandy eccellente. William non aveva fretta nemmeno in quello, a
quanto sembrava. Era ben rasato, morbido sulla pelle quanto spigoloso sulle
ossa. Il sapore del Brandy in verità non era che una sfumatura che aggiungeva
calore ad una bocca già calda, come un tocco di raffinata colonia su una pelle
già profumata. David non lo sapeva, perché baciare quel giovane Lord londinese
lo facesse sentire così molle, e così tramortito. Era qualcosa di intimamente
giusto, di stupefacente e di rilassante allo stesso tempo. Era simile, davvero
simile a quello che aveva provato guardando un incendio mostruoso dalla
sicurezza di una barca. Il bacio di William era fuoco, e le sue braccia il
rifugio che lo proteggevano da esso. Chissà se avrebbe finito con
l’incendiarsi, se lui avesse lasciato andare le sue spalle prima della sua
bocca.
La porta del
salotto era chiusa a chiave, David ricordava di aver visto William trafficare
con la serratura, al loro arrivo, e si chiese persino se quel demonio di un
Lord non avesse previsto fin dall’inizio, di arrivare a quello. Cedette alla
tentazione di affondare le dita nei capelli scuri di William, raccolti con poca
attenzione sulla nuca. Erano naturali, e piacevoli da toccare.
William socchiuse
la bocca, ma prima di interrompere il bacio si prese qualche momento per sfiorare
le labbra di David.
- Non ve ne andate.
– disse a mezza voce.
- Che cosa stiamo
facendo? – boccheggiò David.
- Ha importanza? -
- Ne ha. -
- Quanta? -
David esitò.
William era immobile, calmo come lui non riusciva ad essere. –Non lo so. –
ammise. – Non molta, forse. -
William sorrise
mitemente, e allungando una mano gli prese un polso, scivolando appena al di
sopra dei bottoni che chiudevano il risvolto della giacca.
- Allora restate
qui, con quest’uomo di non molta importanza. -
David accennò ad un
sorriso teso. – Voi ignorate le conseguenze. – mormorò.
- Lo so. Le sto
deliberatamente ignorando. Ma ditemi, David, non è questo che andiamo tutti
cercando, al giorno d’oggi? Non è la libertà di sfuggire alle conseguenze? -
- Voler sfuggire
alle conseguenze non è libertà, William, ma egoismo. –
- Oh, con me non
serve che giochiate a fare il sofista. -
David abbassò lo
sguardo, e dentro di sé sorrise. Di certo, si sarebbe deriso da sé,
ascoltandosi predicare la moralità all’uomo che aveva appena baciato. Avrebbe
più volentieri inveito contro sé stesso, ma la verità era che dell’etica non
importava a nessuno dei due. Per William provava qualcosa che andava oltre
l’ammirazione, e se questo forse non era naturale, era senza dubbio forte,
troppo forte per poter essere messo a tacere. Troppo bello, per Diana, troppo
sublime, per impedirsi di viverlo.
- Resterò. – disse
a mezza voce.
Gli occhi di
William si accesero di una luce pacata. Si sedette sul divano, lasciando
abbastanza spazio da far capire a David che il suo era un invito a sederglisi
accanto.
- Volete sapere
perché ho scelto questa specie di stanzino, fra tutte le camere della mia casa,
per il mio studio? – domandò, divertito.
- Ditemelo, vi
prego. -
William indicò con
malizia la finestra dietro la sua scrivania. David notò che le tende erano
ancora raccolte, nonostante fosse notte fonda, e che tutt’intorno correvano due
scaffali gemelli, ricolmi di libri, disposti senza troppa cura, l’uno
sull’altro. Sulla sinistra, lo scaffale arrivava quasi fino al camino, mentre
sulla destra si fermava prima di un grande quadro di un bel paesaggio
curiosamente rurale.
Oltre la finestra,
le fioche luci della città erano offuscate e continuamente spazzate dal
movimento placido delle fronde di un albero dalle foglie sottili, ormai quasi
completamente spoglio.
David pensò che
dovesse essere bellissimo, l’effetto delle ombre delle foglie che si muovevano
sulla schiena di William, mentre lui era intento a scrivere, o a leggere.
- Il perfetto
complemento a quelle orribili tende, non trovate? – commentò William, sornione.
- E’ davvero
splendido. – ammise David, sottovoce. – Lavorate sempre qui? -
- Vorrei viverci,
qui. -
Sì, anche lui.
Anche David avrebbe voluto viverci, lì.
Raccolse un po’ di
coraggio, e baciò di nuovo William, provando a restare concentrato sulla
sensazione di vertigine che gli si accumulava all’altezza dello stomaco, e che
gli intorpidiva le mani. William rimase sorpreso dal suo gesto, ma ne sorrise,
e ne prese le redini, per guidarlo ancora un po’ più in là. Fece scivolare
all’indietro il busto di David, verso il bracciolo del divano, adattandosi ad
una posizione scomoda, per non comprimerlo troppo sotto di sé. David mosse le
mani a piccoli scatti, su di lui, stropicciandogli i vestiti senza darsene
pena. Bruciava, tutto il suo corpo, di un incendio palpabile e irruente, un
incendio che William sentì contagiare presto anche la sua pelle, ed assediargli
la mente e il cuore, finchè ogni cosa prese fuoco.
*
- David. – William
sorrise, assorto e affettuoso. - Permettetemi di pensare al vostro nome come ad
un nome francese, se vorrete. -
David sollevò la
testa dalla sua colazione, e inarcò le sopracciglia. – Perché mai dovreste
pronunciarlo alla francese? – si sorprese.
William scrollò le
spalle. – Amo molto i nomi privi della fastidiosa presenza delle erre. Il
vostro per fortuna ne ha solo una. -
- Non ho mai amato
il mio secondo nome. – ammise David, piegando all’insù l’angolo destro della
bocca.
- Certo che no,
Charles è un nome terribile. – fece William, con la sua naturalezza tutta
irritante. – Ma David è un nome che varrebbe una poesia. –
David si schiarì la
voce, quando la cameriera di William venne a portare un vassoio di pasticcini,
e non riaprì bocca finchè non se ne fu andata, con un veloce inchino.
L’intimità improvvisa con William era ancora qualcosa di selvaggio, qualcosa
che gli impediva di giocare sulle sfumature dell’intesa, sugli sguardi
sfuggenti, qualcosa che richiedeva delle briglie solide, per poter essere
controllata. William non tradiva alcuna forma di disagio, davanti alla servitù,
e nemmeno davanti a lui. Aveva un sorriso limpido e incurante, persino
sconsiderato.
- Non arriveremo
tardi, all’incontro con gli altri membri della Camera? –
- Oh, Lord
Burghwell è abituato al mio ritardo. –
- Lord Burghwell? –
*
- Lord William
Hudgens, che voi siate dannato! –
Un uomo sui
trent’anni raggiunse William e David a piccole falcate, quasi saltellando.
Aveva un volto morbido e ben nutrito, animato da un sorriso enorme e sincero. –
Amico mio, a quale Provvidenza dovrò affidarmi, per sperare di vedervi arrivare
ad un orario appropriato? -
- Non siate
ingenuo, amico mio, sapete che lo faccio per voi. – rise William. – Se
arrivassi in anticipo, vi causerei un imperdonabile collasso. -
David trattenne a
stento un sorriso. William era davvero sfacciato, beffardo, e affascinante. Il
genere di persona che riesce a conservare per tutta la vita il grande
privilegio che hanno di bambini, di vedersi sempre accordato il perdono.
- Lord David,
lasciate che vi presenti l’uomo a cui Londra deve il fastidio della mia
presenza qui, Lord Richard Burghwell. Lord Burghwell, Lord David Charles
Mallow-Hamilton. -
- Oh, Lord
Hamilton. – Lord Burghwell strinse con entusiasmo la mano di David. – Sono desolato,
davvero desolato, che il vostro arrivo sia coinciso con una simile disgrazia. -
- Uno spettacolo
affascinante, Lord Burghwell. – sorrise David.
- Oh, non dategli
ascolto. – lo liquidò William. – Lord David è membro onorario di quella
deprecabile loggia presieduta dal caro Joseph Turner. -
- Siete voi che non
capite gli orizzonti dell’arte del signor Turner, William. – lo rimproverò
bonariamente Lord Burghwell. – Se questo signore ama le nuove scuole, allora ha
gusto. –
- Povero me, sono
l’unico a non vedere nulla di artistico, in un incendio? – si lamentò William,
con un certo, drammatico autocompiacimento che fece sorridere gli altri due.
Il Parlamento era
stato trasferito in un grande palazzo di cui David ignorava il nome, a non
molta distanza dalla sede andata distrutta. E ci sarebbe rimasto finchè non si
fossero ricostruite almeno le Aule, a meno che Sua Maestà non avesse deciso per
un ulteriore cambio di sede. E, a quanto sembrava, la priorità di tutti i
presenti era proprio quella di riorganizzarsi. Per il momento, non c’era tempo
da perdere con altre questioni.
David non fu che
uno spettatore della seduta, convocata quasi esclusivamente per discutere della
situazione. Lord Burghwell parlò più di una volta, e David lo stette ad
ascoltare con un mezzo sorriso, seduto accanto a William. Di fronte a tutti
quei signori, provava un disagio fastidioso, e il fatto che William fosse la
sola presenza in grado di rassicurarlo non lo aiutava per nulla. William era il
suo appoggio ideale con il suo sciocco modo di fare, ma era capace di fargli
scordare della notte appena trascorsa con una sola battuta, e di
rammentargliela con uno sguardo rapido e suggestivo.
- Lord Hamilton. –
una voce cupa lo fece sobbalzare.
Vicino a lui c’era
un uomo, in piedi. Indossava dei vestiti piuttosto fuori moda, e troppo caldi,
e aveva uno sguardo duro e brillante.
- Mi fareste il
favore di seguirmi? -
David annuì con un
po’ di esitazione, e vide William corrugare appena un po’ la fronte.
- Temo siate stato
davvero molto sfortunato, Lord Hamilton. – disse Lord Burghwell, sinceramente
costernato.
David sorrise,
senza sapere cos’altro fare. Quando lui, assieme a tutti i nuovi membri della
Camera dei Lord, erano stati chiamati dal vecchio uomo dai vestiti troppo
pesanti per la stagione, che aveva comunicato loro la necessità di rimandare le
loro investiture, vista la situazione, si era improvvisamente ritrovato a
riflettere su cosa fosse meglio per la sua, di situazione. Ma adesso che
Burghwell, che doveva contare davvero molto, ripeteva quasi letteralmente ciò
che quell’uomo gli aveva prospettato, David si sentiva costretto in un sentiero
che minacciava di biforcarsi bruscamente entro pochi passi. Due anni almeno, il
tempo che serviva per rimettere le cose in ordine, e poi finalmente si sarebbe
potuto procedere, e nel frattempo, non c’era altro da fare che tornare a casa,
e aspettare.
Senza rendersene
conto, cercò lo sguardo di William.
- Via, non mi
direte davvero che non c’è posto per lui. Vorrà dire che farò portare qui una
seggiola da casa mia, perché Lord David non sia costretto a stare in piedi. –
- Non è una
questione di seggiole, amico mio, lo sapete. – rispose pacatamente Burghwell. –
Vi renderete conto anche voi che la situazione è davvero straordinaria. Sua
Maestà in persona ha chiesto di rimandare ogni nomina a quando ci saranno le
condizioni per farlo. –
- E’ un’assurdità.
–
- Non lo è. –
ammise David. –E’ una scelta comprensibile. –
William gli rivolse
uno un’occhiata strana. Per la prima volta, da quando lo conosceva, sembrava
davvero in difficoltà.
– Non lo pensate
davvero. – disse con decisione.
Ma David lo pensava
davvero.
*
- Restate. –
mormorò soltanto William, senza nemmeno cercare di nascondere il leggero
tremore della sua voce.
David si fermò, a
pochi passi dal suo alloggio. L’ombra di St. Paul incombeva davvero, vicina,
sulla locanda elegante e discreta che presto avrebbe dovuto lasciare.
E insieme ad essa,
lasciare William.
- E per cosa? –
disse amaramente. – Non posso passare due anni qui senza far nulla. È meglio
che io torni a Glasgow, ad occuparmi dei miei terreni, e che aspetti lì. -
- Siete qui
soltanto da pochi giorni. – disse William. Parlava in un modo concitato che gli
si addiceva per nulla; la sua voce elegante si mangiava lettere su lettere,
rendendosi quasi irriconoscibile.
- Lo so. – David si
morsicò forte un labbro. – Ma cercate di pensarci. Resterei solo per voi, e
sarebbe un rischio troppo grande, soprattutto per voi. –
- Mi ci lucido le
scarpe, con i rischi, maledizione. – inveì William. – Restate, ve ne prego. –
- Potrei. Ma
sarebbe soltanto per pochi giorni. Per pochi altri giorni, William, nulla di
più. –
William rivolse a
David uno sguardo ferito e fiero, che non distolse nemmeno quando David fece
per aprire la porta del suo albergo.
David trasalì.
- Salite con me. –
mormorò, senza voltarsi.
William rientrò a
casa con la luce morente del crepuscolo che giocava con la sua ombra
lunghissima. Si levò la giacca, che scagliò al maggiordomo senza dire niente, e
andò a chiudersi nel suo studio. Si versò una buona quantità di liquore
profumato, si lasciò cadere sul suo divano verde scuro, suo e di David, e cercò
di calmarsi un po’.
Se nemmeno
Burghwell poteva far nulla, per trattenere David, allora non c’era davvero
speranza. Quel maledetto testardo di uno scozzese non ne aveva voluto sapere,
di restare a Londra. William gli aveva offerto di pagargli l’affitto della
pensione, di occuparsi di presentargli tutte le persone che valeva la pena di
conoscere a Londra, ma la paura di David per ciò che era successo fra loro era
troppo forte, e il fatto che fosse poi successo di nuovo, in quella stessa
stanza di albergo, non aveva fatto altro che convincerlo definitivamente a
partire.
Sciocco ragazzino,
così innamorato delle sue idee tragiche e sublimi, ma così spaventato, poi,
dalle loro conseguenze.
“ Tornerò a
trovarvi”, gli aveva promesso, come avrebbe fatto con un vecchio parente
malato, senza capire che lo avrebbe condannato a passare i suoi giorni senza di
lui nell’attesa di vederlo, e quelli con lui nell’amarezza di sapere che presto
sarebbe partito di nuovo. E se anche lui lo amava, doveva per forza provare uno
strazio simile, e allora come poteva essere così deciso ad andarsene?
Amare, poi, aveva
il sapore di una minaccia, ma William era troppo avido di emozioni, per cercare
di sottrarsene.
David era bellezza
da contemplazione, ma anche una suggestione, era una voce entusiasta e viva,
era un mosaico di idee, era la passione che lui non riusciva più a sentire per
la vita.
William imprecò
sottovoce contro se stesso, e contro Dio, e scagliò nel fuoco del camino il suo
bicchiere di Brandy ancora mezzo pieno. Il fuoco lo incendiò, scoppiettandone
l’odore per qualche passo, prima di divorarselo di nuovo ed eclissarlo.
(*)16/10/1834: il
Parlamento di Londra è distrutto da un grave incendio.