“Breve” nota prima della storia.
Salve!
Son tornata a scassare i santissimi, yeah! Allora, premetto che
ultimamente sto
detestando (è il termine giusto, sì) questo
fandom. Non solo per le storie che
circolano, quanto per la freddezza che c’è. Io non
sono una grande scrittrice o
chissà cosa, ma vedo alcune poche autrici che, come me, si
dannano per poter
scrivere qualcosa di originale e che non sia masticato e risputato da
secoli e non vengono degnate di mezza recensione. Poi vedo le
storie che di identico non hanno solo
la trama, ma anche la mancanza della grammatica basilare e di idee
nuove ricevere plausi a go-go. Vi scrive comunque una che
ancora oggi fa degli strafalcioni enormi e ricicla le stesse scene.
Ad
ogni modo,
non so quanto questo possa interessare, dato che non interessano
nemmeno le
storie che scrivo. Detto ciò, vi auguro una buona lettura e
vi elenco di
seguito i tre motivi (se scorrete sui titoli e cliccate avrete il link
delle
canzoni) che mi hanno convinta, ancora una volta, a tentar di scrivere
una
storia.
Grazie
a chi lascerà una recensione o semplicemente
leggerà e basta, sempre e
comunque!
La vostra cara, vecchia You
are forgiven che oggi si presenta a voi nelle nuove vesti di Bloody
Murder ( adoro Nuclear Family, già!).
Inspirational
songs:
Green Day - The Forgotten
Pink Floyd - Nobody Home
Negramaro - Sei
Sul viso, nell'aria
c'è una parte di te e ho capito che se mi rifletto,
guardandomi in viso, non
mi riconosco,
ma
poi un bel sorriso mi taglia la faccia e mi dico: “Sono
identico a te!”
(Negramaro
– Sei)
NOWHERE
TO FLY TO.
Oakland, CA –
21 Ottobre 2012
Luce.
La calda luce di
quel pomeriggio d’ottobre entrava dalla finestra spalancata inondando
la stanza, danzando
sulle pareti bianche e colorandole di rosso e giallo. Filtrava
attraverso i
rami e le foglie dei grandi alberi del giardino, mentre il vento che
entrava
dalla finestra aveva il profumo del caffè proveniente da una
caffetteria lì
vicino.
Lui suonava.
Aveva
spostato il
pianoforte di fronte alla finestra che dava sul giardino. Si
fermò a guardarlo
sull’uscio del salone, contemplando quella silhouette nera
che si delineava
contro il cielo ormai al tramonto. Improvvisava, esplorando con
dolcezza la
tastiera in cerca forse d’ispirazione, forse di qualche
canzone lasciata nel
dimenticatoio.
La trovò.
Mike
la riconobbe subito. Nobody Home, Pink Floyd.
Poggiò una
spalla sull’arcata della stanza e chiuse gli occhi per godere
solo della voce
di Billie che iniziò a cantare.
I've got a little black book with my poems in.
Got a bag with toothbrush and a comb in.
When I'm a good dog they sometimes throw me a bone in.
I got elastic bands keeping my shoes on.
Got those swollen hand blues.
I've got 13 channels of shit on the T.V. to choose from.
I've got electric light
and I've got second sight.
I've got amazing powers of observation
and that is how I know.
When I try to get through
on the telephone to you
there'll be nobody home!
I've got the obligatory Hendrix Perm
and the inevitable pinhole burns.
All down the front of my favourite satin shirt.
I've got nicotine stains on my fingers.
I've got a silver spoon on a chain.
Got a grand piano to prop up my mortal remains.
I've got wild staring eyes
and I've got a strong urge to fly,
but I've got nowhere to fly to!
Oh, babe when I pick up the phone
there's still nobody home?
I've got a pair of Gohills boots
and I've got fading roots...
Lentamente,
Mike riaprì gli occhi, mentre cresceva in lui
l’urgenza di corrergli incontro,
di staccarlo da quella tristezza, da quella mancanza che inquinava la
sua voce,
impedirgli di scavare ancora in quella parte di anima diventata un covo
di
demoni e incubi. Si rese conto solo in quel momento di quanto fosse
stata
assurda la decisione di non vedersi, di creare quella dannata distanza,
opprimente e vuota, quando poi Billie non l’avrebbe mai fatto
nei suoi
confronti. Era stato sempre dalla stessa parte della strada, la sua strada, di quel percorso complesso
che era stata la sua vita. Billie era lì, ad un passo da
lui, sempre. Ma quello
non era il momento dei sensi di colpa e dei rimpianti.
Ora
era lì e la
gioia di esserci non permise a Mike di trattenere i passi,
di avvicinarsi a
Billie. Quando gli fu dietro, lo vide con le mani ancora sulla
tastiera, gli
occhi chiusi, il respiro regolare. Gli cinse le spalle, abbracciandolo
da
dietro. Sobbalzò e Mike sfoderò uno di quei
sorrisi che scaldano il cuore.
-
Mike! – disse
sorpreso, carezzandogli una guancia e regalandogli un sorriso.
- Non
ce la
facevo più!
Billie
annuì,
gli occhi verdi brillavano come a voler fare un dispetto alle foglie
rinsecchite del suo giardino e degli alberi di tutta la
città, costrette al loro
autunno, mentre per Mike erano riusciti ad anticipare la primavera.
- Non
ti ho
sentito entrare! Che ci fai qui?
-
Brit doveva
uscire con Adie, devono comprare le zucche per Halloween, e ho
insistito per
accompagnarla.
- Una
scusa,
quindi.
-
Già! – disse
Mike imbarazzato, annuendo e sembrando esagerato per via del naso
adunco.
Billie
rise,
voltandosi verso il piano e richiudendolo.
-
Grazie!
-
Sono stato
uno stronzo, lo sai!
-
Solo un po’! –
sorrise amaramente Billie – Ma adesso sei qui, il resto non
importa. Fanculo
questo mese di merda!
Mike
sospirò,
sollevato. Prese a fissare Billie negli occhi come a voler cercare
conferma di
ciò che aveva detto. Li trovò sereni, limpidi e
cristallini, e sentì dentro di sé
il cuore impazzire di gioia mentre Billie poggiava la testa sulla
spalla. Lo
strinse ancora di più nel suo abbraccio possente.
-
Questa è l’ultima
volta che ti abbandono. – disse, per poi attaccare le sue
labbra a quelle dell’amico.
Le ritrovò piene, morbide, fresche, proprio come
l’ultima volta, un mese prima.
Strofinò il viso contro quello di Billie, quasi fino ad
impedirgli di
respirare.
Si
allontanarono,
guardandosi e riflettendosi uno nello sguardo dell’altro.
Occhi in cui era
appena passato un tremendo inverno. Ora no. Ora era tornata
l’estate e il sole
si affacciava sui loro visi. L’autunno era solo uno sfondo
sbiadito di un
quadro a tinte forti, di quelle emozioni che non si spiegano a parole,
ma che
spesso ti fermi ad ammirare, silenziosamente, sull’uscio di
una stanza.
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