Timeless 2
Timeless
I
Fear thy
kisses, gentle maiden
thou needest not fear mine
my spirit is to deeply laden
Ever to burthen thine.
I fear
thy mien, thy tones, thy motion
Thou needest fear mine
Innocent is the heart’s devotion
With which I worship thine.(1)
(Percy Bysshe Shelley)
Lucius Malfoy aveva sempre avuto
difficoltà a
ricordare la data esatta in cui aveva visto
Narcissa per la prima volta.
Orologio e calendario erano per lui oggetti inutili di per
sè, superflui; un
Malfoy non sottostà a imposizioni o scadenze, un Malfoy non
è mai in anticipo
né in ritardo, un Malfoy fa ciò che vuole quando
lui e solo lui ritiene
conveniente farlo - e questo gli aveva creato non pochi problemi a
scuola, che
comunque non erano stati oggetto di ramanzine o punizioni, dato che suo
padre
la pensava esattamente come lui.
Già. Suo padre.
Scegliti una delle sorelle Black per moglie, entro dicembre.
Ma padre, io....
Come osi ribattere, ingrato ragazzino? Dovresti ringraziarmi
in ginocchio
solo per il fatto che ti sto dando una rosa di possibilità.
Ti consiglio di
fare in fretta, prima che questa mia assurda fase di
magnanimità svanisca e
concluda io l'affare in una mattina.
Se solo l'avesse lasciato finire di parlare, Lucius gli avrebbe
comunicato di
aver già scelto.
Aveva deciso, irrevocabilmente, senza possibilità di
appello, due sere prima,
al gran ballo d'inverno dei Rosier.
Narcissa Black era la più piccola delle tre, la
più timida, la più incerta su
come comportarsi; aveva da poco compiuto diciassette anni, sicuramente
quello
era uno dei primi, se non proprio il primo, evento sociale a cui le era
stato
concesso di partecipare. Sedeva dritta e composta con le mani in
grembo,
osservando attenta la gente che conversava e danzava, con una maschera
di
imperturbabile superiorità sul viso, come di chi si trova
lì in mezzo per fare
un piacere all'intera platea.
Lucius l'aveva guardata, e anche spesso, durante gli anni di scuola,
rilevandone le modifiche che il tempo ancora benigno aveva apportato al
suo
volto e alla sua figura trasformando una minuta bambina in un'avvenente
fanciulla, ma sempre con un occhio più distaccato, impegnato
com'era da ben
altri progetti - un potere sconosciuto e incalcolabile stava iniziando
a
sorgere, e lui non si sarebbe fatto sfuggire l'occasione per nulla al
mondo - ;
tuttavia, da quando aveva sentito forte, più forte, il
richiamo dell'altro
sesso e aveva percepito intorno a sé i primi preparativi per
stringere accordi
matrimoniali vantaggiosi, si era ricordato di quella piccola figlia di
Salazar
che spesso aveva inconsciamente richiamato su di sé il suo
sguardo. E quella
sera, per la prima vera volta, la stava vedendo: ogni
tanto la sua
maschera di nobiltà e alterigia si sgretolava, crollava
impietosa sotto la
pressione delle aspettative della buona società, ed ecco
allora un guizzo di
conferma in uno sguardo preoccupato - mi sto comportando
bene, madre? -
un istante di dubbio mentre lisciava con le mani le pieghe della gonna -
il
mio vestito è in ordine? - uno sprazzo di
umanità quando un canino sbucava
fuori per mordicchiare il labbro inferiore, l'emergere prepotente della
ragazzina che ancora non era pronta a essere murata viva dall'etichetta
degli
adulti, un'evasione della durata di un battito di ciglia. La
analizzava, la
scrutava, la rimirava, perché nonostante ci fossero ragazze
molto più
disinibite e smaliziate di lei, che danzavano leggiadre come ninfee
volteggiando tra ranocchi imbevuti di colonia, nonostante la bellezza
di
Bellatrix avesse un richiamo animalesco e selvaggio, una furia a stento
trattenuta dalle iridi - promessa di lussuria e ferinità ma
anche, Lucius
l'avrebbe appreso più tardi, di follia - Narcissa rifulgeva
in mezzo a
quell'accozzaglia di colori, il più rigoglioso dei gigli,
dritta come un fuso
nel suo abito pervinca. Splendeva, semplicemente. Splendevano i
capelli, una
complicata rosa d'oro che le accarezzava morbida la base del collo e i
lobi
delle orecchie, ornati di piccole perle; splendeva il suo incarnato
tenue,
un'alba primaverile quando ancora il sottile gelo non ha abbandonato
siepi e
giardini, spruzzato da gerbere di un rosa più intenso sugli
zigomi; splendevano
i suoi occhi, campanule azzurre che Lucius si ritrovò
stupidamente a sperare di
riempire d'emozione, come quando la profumata, leggera pioggerellina
cade
dentro le corolle delicate; splendevano i suoi denti, mandorle acerbe
negli
alveoli(2) quando si voltava per sussurrare una
frase alla madre,
celando le sue forse innocenti, forse pungenti parole dietro un piccolo
ventaglio dal manico di madreperla.
Narcissa. Narcissa. Narcissa.
Pronunciare quel nome era come avere bocca d'ostrica e creare con esso
una
piccola perla; con la prima sillaba la si formava, con la seconda le si
dava
una perfetta forma sferica, con la terza si presentava il gioiello al
mondo -
ma questo Lucius Malfoy si guardava bene dal farlo. Per il
momento non
gli era concesso di chiamarla per nome.
La scrutava, quasi sfacciato, rubava pezzi di lei come il
più abile dei ladri -
un accenno di sorriso, una porzione di polso, una fetta di collo del
piede, per
un fantastico, breve istante anche uno spicchio di seno - , si
imprimeva bene
nella memoria quanti più dettagli possibile per rivederli
ancora e ancora e
ancora quella notte, nel buio della sua stanza satura di desiderio e
voglia,
per allungare una mano nelle coltri vuote e immaginare che, in futuro
poco
lontano, ripetendo lo stesso gesto avrebbe potuto averla accanto,
averla e
basta.
Sua. Doveva essere sua. Sarebbe stata sua.
Non c'era nemmeno stata battaglia con le sorelle: Andromeda
aveva, come
dire, disdicevoli tendenze ed amicizie - troppo
disdicevoli - e in
Bellatrix c'era qualcosa, il suo modo di parlare, forse, di osservare,
di
ghignare feroce, che gli mettevano addosso una strana inquietudine,
senza
contare gli sguardi assolutamente espliciti ed infuocati che si
scambiava con
un altrettanto disponibile Lestrange.
Ma non erano state considerazioni preliminari che aveva messo sul
piatto della
bilancia.
Lucius aveva già scelto il suo gioiello, il più
bello di tutti, quando aveva
gettato un'occhiata distratta sul resto dei preziosi.
♣
Lucius
Malfoy aveva sempre avuto difficoltà a
ricordare la data esatta del suo matrimonio con Narcissa.
Una
sequenza di numeri non aveva il benchè minimo significato,
quando nella sua
mente erano altri i dettagli importanti.
Il
suo bocciolo meraviglioso - solo nella sua testa si permetteva di
chiamarla
in quel modo, perché un Malfoy non si umilia con stupide
parole d'amore, ma
adorava l'idea che da quel momento in poi, al riparo tra i petali di
seta della
loro alcova, se solo avesse voluto avrebbe potuto farlo - il suo giglio
rigoglioso avanzava verso di lui, nivea e leggiadra, quasi librandosi
sul
morbido tappeto argento del gazebo. Persino il padre - il suocero - gli
era parso emozionato, un po' amareggiato, quando gliel'aveva consegnata
al braccio,
come consapevole di star cedendo ad un altro il fiore più
prezioso della sua
serra, timoroso forse che potesse distruggerlo o rovinarlo.
Lucius
non poteva nemmeno immaginare di fare qualcosa del genere.
(Ancora
non sapeva con quanta intensità e profondità,
invece, l'avrebbe fatto).
Più
di tutto, più di qualsiasi altra cosa, amava lo
straordinario potere che si
era scoperto ed allenato ad esercitare su di lei, ormai educata ed
avvezza ad
indossare la maschera dell'altezzosità, a tenere sempre un
comportamento
ineccepibile e un contegno regale; solo con lui Narcissa aveva perso la
sua
espressione algida e distante - pochissime volte, certo, e brevi come
un
respiro, brevi come l'unico bacio che fino ad allora si erano
scambiati, appena
un mero sfiorarsi di labbra che Lucius le aveva rubato di sorpresa
proprio per
la smania disperata di godersi quello sguardo genuinamente stupito ed
emozionato, e oh, oh se se l'era goduto - e gli balzava agli occhi la
ragazzina
ingenua e candida che era, ancora piena della capacità di
sorprendersi, umana e
semplice persino nel più intricato abito di broccato.
Eccola,
quindi, eccola che lo fissava, piena di paura e gioia insieme,
la piccola mano bianca poggiata sulla sua proprio nel modo
preciso in cui
era prescritto dalla norma, ma solo a lui era concesso di sentirla
leggermente
tremare; pronunciava i voti con voce ferma, ma quegli occhi stellati
brillavano
di un'emozione pregnante e prepotente che poteva vedere solo lui, solo
lui,
solo lui.
Poi
tutto il resto era stata solo frenesia, e forse per la prima volta
nella
sua vita Lucius aveva guardato l'orologio con ossessività,
con una impazienza
tesa ed elettrizzata che gli fece accelerare tutto - camerieri,
sbrigatevi con
le portate, orchestra, niente lenti, rapidi, rapidi con gli auguri e le
felicitazioni - per averla in ogni senso, in ogni senso solo per lui,
nuda,
spoglia di tutti i pizzi e le trine e soprattutto della composta
dignità che in
società da loro si pretendeva ma era solo un impiccio
fastidioso quand'erano soli.
E
la ebbe, infatti, finalmente priva di teli d'educazione, timorosa ma
allo
stesso tempo desiderosa di scoprire quella nuova dimensione dell'amore
che fino
ad allora aveva potuto solo immaginare - chissà come,
chissà quanto, Lucius non
vedeva l'ora di scoprirlo -; sincera in ogni piega della sua pelle che
gli
aveva donato senza alcuna remora calore, una generosità solo
per quella volta
mal ripagata con un inevitabile dolore; reale in ogni sfumatura della
sua voce,
dal sibilo al gemito all'ansito alle parole sussurrate nella
spossatezza
successiva, quando avevano riso insieme e lui l'aveva guardata tutta,
guardata
bene, a luci accese, e lei aveva sorriso birichina mordendosi il labbro
inferiore e giocando a tentarlo con quegli occhi luminosi;
così fragile e allo
stesso tempo imponente - perché Narcissa, l'aveva
già notato, saturava ogni
ambiente in cui si trovava, quando lei faceva il suo ingresso in una
stanza non
c'era bisogno che fosse finemente arredata o decorata,
perché solo la sua
presenza bastava a rendere anche un maniero freddo come il suo
accogliente e
piacevole - in quella ciocca di capelli abbandonata sulla bianca federa
di
lino, lunga e sinuosa come un fiume, simile alla rossa figlia dello
stesso
corpo che più in basso ornava, non macchiava, le candide
coltri della loro
prima notte di nozze.
Lucius
sapeva di non conoscerla davvero, sapeva che tre mesi di fidanzamento
sono niente più che una mera formalità, sapeva di
avere un carattere scorbutico
e prepotente, sapeva di avere un tono rude e poca dimestichezza con
tenerezze
esterne alla camera da letto, così come presagiva che anche
lei dovesse avere i
suoi difetti, ma quella notte, mentre la fissava dormire beato ed
incantato,
promise a se stesso e al vincolo che li aveva uniti che si sarebbe
sempre
impegnato con tutte le sue forze per non dare troppo spazio ai lati
più
spigolosi del suo carattere e a dare il suo meglio affinché
quell'unione
funzionasse.
Perchè
non aveva mai nemmeno immaginato che, un giorno, avrebbe potuto godere
di una visione così meravigliosa.
Sarebbe
stata una magnifica Malfoy, forse davvero l'unica meritevole di
ricevere un simile cognome.
Ma
per lui, solo e unicamente per lui, Lucius voleva Narcissa.
♣
Lucius Malfoy aveva sempre avuto
serie difficoltà a
ricordare le date.
Ma quando tutto ciò che ti tiene ancorato alla vita sono i
ricordi, numeri e
giorni e mesi trafiggono occhi e cuore e balzano agli occhi ingigantiti
di
commozione.
Nessun Dissennatore gli avrebbe mai potuto portar via il ricordo della
prima
magia di Draco, o della sua prima parola: papà.
Nessuno gli avrebbe mai potuto sottrarre la percezione che ancora
sentiva lì,
lì accanto, delle labbra di Narcissa, bocciolo di rosa che
solo per lui si era
schiuso, bellezza che consolava e rischiarava(3)
le tenebre in cui
era condannato a pagare per i suoi errori.
Non gliel'aveva mai detto, mai, perché un Malfoy non
può esprimere sentimenti,
se è così fortunato ed incosciente da provarli.
Ma quando tutto ciò che ti tiene ancorato alla vita continua
a vivere per te,
merita e necessita di un riconoscimento.
Fu per questo che, quella sera ad Azkaban, chiese ed ottenne pergamena,
piuma
ed inchiostro.
21 marzo 1975 - 21 marzo 2000
Venticinque anni insieme.
Buon anniversario, amore mio.
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(1) Temo
i tuoi baci fanciulla gentile, ma tu / non hai motivo di temere i
miei / troppo profondamente il mio spirito è oppresso /
perchè io possa
opprimere anche il tuo. / Temo il tuo viso e la tua voce e i gesti, ma
tu / non
hai motivo di temere i miei / la devozione del cuore con la quale adoro
/ il tuo cuore, sii certa, è innocente.
(2) "I denti, mandorle acerbe negli alveoli" : Gabriele D'Annunzio, La
pioggia nel pineto.
(3) Niccolò Fabi, La bellezza.
Non ho trovato informazioni in merito alla data di matrimonio dei
coniugi
Malfoy, perciò ho scelto l'equinozio di primavera.
Colonna sonora.
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