The
Black Parade Is Dead!
So
say goodbye to the last parade,
And
walk away from the choice you made,
And
say goodnight to the hearts you break,
And
all the cyanide you drank.
2005,
Tennessee
Gerard
scese dal palco e percorse il corridoio che lo portava dietro le
quinte con il sorriso ancora stampato in faccia.
Quando
si sedettero sui divani proprio davanti ai tavoli del buffet, Frank
guardò Gerard storcendo il naso.
In
balia alle dipendenze, le persone cambiano. In balia ai sentimenti,
senza restrizioni, le persone fanno cose, dicono cose, giurano cose
che non avrebbero mai immaginato in un attimo di sobrietà.
Gerard non si concedeva un attimo del genere ormai da troppo tempo.
Frank
restò a guardarlo ancora per un po', ragionando su cosa stesse
diventando.
Gerard
non era mai stato un tipo normale. Lui era teatrale, come se vivesse
costantemente su un palco e dovesse dimostrare in continuazione di
che pasta fosse fatto. In tempi migliori avresti detto che la sua
caratteristica principale fosse l'energia vitale. Ora la sua energia
vitale era diventata mortale. Lo vedevi dagli occhi – lo vedi
da quelli quando una persona sta male con se stessa –, e nei
suoi Frank leggeva la disperazione.
«
Portatemi un bicchiere di vodka! » esclamò Gerard,
distogliendo lo sguardo dagli occhi di Frank.
2013,
Los Angeles
«
Dai, Gee, fallo per me... »
«
Non se ne parla, Frank. Non ho intenzione di lasciare mia figlia con
una perfetta sconosciuta la notte di Halloween »
«
Ha sei anni! E' arrivato il momento di lasciarle i suoi spazi, non
potrà starti attaccata per sempre. Devi incominciare ad
abituarti all'idea. E poi si tratta di una sera. Qualche oretta, e
poi torni da lei »
«
Frank... no »
«
Dai, siamo pure riusciti a convincere Mikey! »
«
Non lo faccio per cattiveria, è che non mi fido... »
«
E' il mio compleanno, fallo per me »
«
… »
«
Ti prego... »
«
Non lo so, Frank. E' che... è così piccola, ancora.
Senti, ci penso e poi ti faccio risapere, ok? »
«
Sei una fottuta checca, Gee, sappilo »
«
Anche io ti voglio bene, Frank » dico, ridendo mentre
riaggancio il telefono.
Hope
sta giocando nel suo spazio davanti alla televisione, e per qualche
secondo mi metto a guardarla. E' piccola e indifesa, e Frank non può
chiedermi una cosa del genere.
Oggi
è il 31 ottobre, il compleanno di Frank, ed è riuscito
ad organizzare una serata così, tra di noi. Io, lui e Mikey.
Ma questo comporta dover chiamare qualcuno per badare a Hope, e
sinceramente il solo pensiero di lasciarla sola mi uccide dentro.
Cerco
di non pensarci e vado in cucina a finire di asciugare i piatti della
colazione.
La
cosa che mi fa prendere in considerazione di poterlo fare, di poterla
lasciare sola per una sera, è il fatto che se ci riuniamo,
oggi, non so cosa potrà succedere. Magari questa sera è
destinata a diventare la sera in cui i My Chemical Romance
decideranno di tornare sul palco. O magari no. Ma sta tutto a me.
Con
Frank, poi, ci siamo rivisti svariate volte con lo scopo di farmi
cantare, di farmi riabituare, in qualche modo, a quel modo di vivere
la vita. Tutte le volte che ci siamo incontrati con una chitarra in
mano sono stato colpito da emozioni diverse tra loro, ma che credevo
di aver abbandonato. Non so cosa significhi, ma questo mese trascorso
a rivangare il passato mi sta cambiando, e ne ho quasi paura. Ho
paura perché mi sembra di non sapere più chi sono, mi
sembra di star perdendo me stesso. Ho già provato questa
stessa sensazione altre volte, nella mia vita, e tutte le volte non
ha mai portato nulla di buono.
Alle
sei del pomeriggio, dopo un lungo colloquio con me stesso, con la
testa tra le mani e i gomiti puntati sulle ginocchia, mi sono
convinto a prendere il giornale e leggere gli annunci che riportano
la scritta 'Baby-Sitter' in bella vista.
Alle
nove di sera ho già avuto almeno dieci colloqui con persone
diverse, e non ce n'era nemmeno una che mi ispirasse fiducia. Neanche
un po', neanche per caso.
Mentre
chiudo la porta alle spalle dell'ennesima donnicciola da quattro
soldi che ha tentato fino a due minuti fa di convincermi che fosse la
persona adatta per mia figlia, mi chiedo se magari fosse giusto
chiedere il parere di Hope, prima di pensare di lasciarla sola.
Vado
in camera sua, con passo lento, e la vedo alle prese con un disegno
molto colorito.
«
Hope... » sussurro.
«
Che c'è, papà? » mi dice, voltandosi verso di me
con quegli occhi pieni di gioia.
«
Devo chiederti una cosa, vieni qui » le dico, accomodandomi sul
suo letto e facendole segno di raggiungermi.
Lei
si accoccola accanto a me come d'abitudine, e inizio ad accarezzarle
i capelli.
«
Se ti facessi conoscere una persona davvero molto simpatica, ti
dispiacerebbe se per una sera non stessimo insieme? Sai, devo
sbrigare una faccenda con lo zio Frank, è un cosa molto seria.
Mi capisci, vero? »
Sono
assolutamente conscio del fatto che un genitore qualunque, con la
testa sulle spalle, non avrebbe mai chiesto a sua figlia di sei anni
se le dispiacesse non passare una serata con suo padre ma con
un'emerita sconosciuta, ma da qualche parte dovevo pure iniziare. E
poi, c'è da dire che noi non siamo mai stati una famiglia
normale.
Ok.
Non ho ancora la persona adatta, ma credo che se Hope è
tranquilla, io sono più in grado di trovare qualcuno.
«
Ma dove devi andare? »
«
Te l'ho detto, sono a casa dello zio Frank. Sarà come quando
vai a scuola, però starai a casa. »
Lei
annuisce un po' triste, e per un attimo mi si stringe il cuore. Una
delle cose che mi colpiscono ogni volta, di questa bambina, è
che non sa mai dire di no. Neanche una volta che si fosse lamentata
di qualcosa, neanche un capriccio, mai uno screzio, e, arrivati a
questo punto, non so dirmi se sia un bene o un male.
Mi
squilla il cellulare nella tasca dei pantaloni ed è Frank.
Quasi quasi gli dico che non se ne fa niente.
«
Frank » rispondo, alzandomi dal letto ed uscendo dalla camera.
«
Prima che tu dica qualsiasi cosa, so che non hai ancora trovato
nessuna, me lo aspettavo, ed è per questo che ci ho pensato
io. E' mia cugina, si chiama Dianna, è adorabile, ha 28 anni
ed è molto più responsabile di suo cugino. »
«
Credi davvero che io sia in grado di mettere mia figlia nella mani di
uno qualsiasi della famiglia Iero? »
«
Se non altro ci spero! Dai... dai... »
Lo
odio quando inizia a fare il bambino, ma devo dire che mi ha quasi
convinto.
«
Ci organizziamo così. Vengo giù insieme a lei fra
mezz'ora, chiamo anche Mikey. Andiamo tutti insieme a fare dolcetto o
scherzetto con gli amichetti di tua figlia – e solo questo
dovrebbe farti capire quanto mi ci sto impegnando – così
le facciamo conoscere, dopodiché torniamo a casa e Hope sarà
così stanca da cedere a qualsiasi proposta, e la serata è
fatta. »
«
Perché mi sembra tanto un tradimento? »
«
Dai, Gee, sai che non è così... Lo faccio anche per te,
in parte. »
«
Facciamo che intanto venite a casa mia, poi vediamo come si mette la
serata. »
Chiudo
la chiamata e torno da Hope, che intanto si è rimessa a
lavorare sul suo disegno.
«
Allora ti va se andiamo a fare dolcetto o scherzetto con i tuoi
amichetti, Frank, lo zio Mikey e la cuginetta di Frank? » le
chiedo, accucciandomi accanto a lei.
«
Va bene » mi dice, con quegli occhi azzurri.
Frank
entra in casa vestito da vampiro con tre sacchi di plastica con una
zucca disegnata sopra. Dietro di lui c'è Mikey, e dietro
ancora sua cugina, vestiti rispettivamente da Frankestein e da
strega. Evviva l'originalità.
«
E Hope da cosa si è vestita? » mi fa Frank, tutto
emozionato.
«
Beh, ancora da niente. Siamo indecisi sul vestito da ape assassina, o
quello da scienziato pazzo »
«
Tutte cose molto femminile, eh, Gee? » mi fa lui, ironico.
«
Le ha scelte lei! » esclamo, alzando le mani in segno di
discolpa.
«
Comunque lei è Dianna. Dianna, lui è Gee » dice
Frank, lanciando l'indice alla rinfusa prima verso l'uno, poi verso
l'altro, e viceversa.
Questa
ragazza un po' bassetta mi si avvicina e mi tende la mano,
guardandomi negli occhi. Non la vedo bene perché ha una
maschera che le copre metà volto, ma ha dei grandissimi occhi
verdi scuro, a tratti grigi. Potrebbe essere una bella ragazza.
«
Piacere » sussurro.
Solo
quando apro bocca mi rendo conto di essermi soffermato un po' troppo
su quel poco di lei che riesco a identificare.
Lei
mi stringe la mano e sussurra lo stesso. Ha una stretta forte e
salda, e la voce quasi un sospiro. Nonostante questo, mi sembra una
tipa apposto, una ragazza che mi ispira fiducia. Forse potrei davvero
cedere e lasciare Hope con lei per un'oretta o due. Non dico niente
per non dare a Frank troppe speranze.
«
Ciao Gee » mi dice Mikey, dandomi una pacca sulla spalla.
«
Come vanno i preparativi del matrimonio? » gli chiedo, anche se
non mi interessa troppo.
«
Alla grande »
A
parlare di matrimoni mi trovo male. Ho sempre sognato il mio, e non
l'ho mai avuto.
«
Forza, andiamo a vestire questa povera bambina! » esclama
Frank, andando in camera di Hope facendo grotteschi versi da serata
di Halloween.
Offro
un bicchiere d'acqua a Mikey e Dianna, e ci sediamo in cucina
aspettando che Frank vesta Hope.
«
E così tu saresti la cugina di Frank? » le chiedo.
Lei
annuisce e si porta la maschera in testa, chiudendo leggermente gli
occhi mentre lo fa. Adesso che la vedo senza maschera mi sembra di
averla già incontrata, ha un non so che di familiare.
Le
chiedo se ci siamo mai visti da qualche altra parte.
«
Pranzo di primavera a casa dei miei, in campagna. 2011. »
risponde, sorridendo.
«
Ma tu sei quella ragazza che ha tenuto a bada i bambini per tutta la
giornata? »
Ora
mi ricordo di lei. Certo, come posso essermi dimenticato.
Dianna
annuisce.
«
E questo è uno dei motivi per cui dovresti fidarti a lasciare
Hope con Dianna... è una ragazza piena di sorprese » si
intromette Mikey, sempre fuori luogo.
Credo
di essere diventato rosso come un pomodoro, dopo quest'insinuazione.
Se non altro anche lei è arrossita leggermente sulle guance.
E'
una ragazza riservata, dai lineamenti poco marcati; due grandi occhi
e la bocca carnosa e morbida, rossa come una ciliegia. Ha i capelli
biondi, e credo siano lunghi, perché – nonostante li
tenga legati con un fermaglio dietro alla nuca – ha ancora
qualche ciocca che le ricade un po' a caso attorno al volto.
Questo
vestito da strega non le dona affatto. Questi colori spenti, mi
sembrano poco adatti.
«
Bene, noi siamo pronti! » urla Frank, dall'altra stanza, mentre
torna da noi assieme ad Hope.
«
Papà, papà! Guarda come mi ha truccata bene lo zio
Frank! » urla Hope, saltandomi in braccio con tanta foga che
quasi la faccio cadere. E mentre la riprendo al volo vedo Dianna
sporgersi impercettibilmente verso di me, ed aprire leggermente la
bocca in una smorfia quasi di paura. Rimango impressionato.
«
Ehy, amore, ma sei bellissima! » Le rispondo, contento di
vederla ridere; era da molto che non lo faceva.
Ed
è vero, Frank l'ha truccata proprio bene.
Alla
fine avevano optato per lo scienziato pazzo, anche se il trucco che
aveva addosso assomigliava molto di più a quello di uno
zombie.
Qualsiasi
persona che non conosca Frank direbbe mai che in fondo è una
checca. Che quando eravamo giovani ci piaceva salire su un palco
conciati come mostri e scatenarci fino a sudare via le paure e le
angosce. Funzionava così, era la nostra terapia, per quanto
poco efficace potesse essere.
Usciamo
di casa tutti insieme. Io e Frank per ultimi.
«
Ah, giusto... Auguri » gli sussurro, in privato.
Quando
eravamo giovani, tra me e Frank c'è sempre stato un rapporto
particolare. Più di un'amicizia, meno di un innamoramento. Non
so perché in quel periodo ci piacesse andare in giro a dire di
essere bisessuali, e non so neanche se fosse vero o se lo facessimo
solo per darci delle arie. Erano gli anni d'oro degli alternativi,
qualsiasi pretesto era buono per dimostrare qualcosa agli altri, e
noi, in quanto una delle band di maggiore rilevanza del genere,
facevamo da portavoce come meglio potevamo.
Inutile
dire che tra me e lui l'attrazione c'era stata davvero. Non eravamo
mai andati oltre a qualche bacio dato sul palco per attirare
l'attenzione dei media, ma in cuor mio sapevo bene che Frank era
diventato come una droga per me, una delle tante, in ogni caso, e
che, per quanto potesse sembrarmi irreale, ne avevo bisogno come
dell'aria che respiravo.
Ad
ogni modo, non ero innamorato, questo è certo, e ogni
attrazione inconveniente con il tempo è scemata via da sé.
Ma non per necessità o per condizionamento, solo perché
quando cresci ti rendi conto davvero di cosa vuoi per te e cosa
decidi di lasciare per strada. Io avevo semplicemente deciso di
buttare via quelle pretese infantili, e concentrarmi interamente su
Julie.
Non
mi sono mai pentito della scelta che ho fatto, e neanche Frank. Ma
tutt'ora ci unisce qualcosa che è necessariamente e
indubbiamente diverso dagli altri. E' qualcosa di tanto innocuo
quanto forte, ma ciò di cui ho sempre avuto bisogno.
Ancora
non riesco a credere di aver lasciato Hope ad una quasi
perfetta sconosciuta. In situazioni di poca rilevanza direi di non
fidarsi di Frank, ma so anche che in circostanze del genere non mi
avrebbe mai lasciato affidare Hope a qualcuno che non fosse
responsabile. Nonostante questo, l'immagine della mia casa che va in
fiamme è sempre al primo posto nel mio cervello.
Siamo
tutti e tre seduti sul pavimento di camera di Frank, appoggiati con
le schiene al muro, come quando eravamo adolescenti.
«
Ho parlato con Ray » fa poi Frank, dal nulla, con la voce
leggermente impastata dall'alcol.
Io
e Mikey rimaniamo impietriti; nessuno dei due si aspettava una
confessione così.
Ovviamente
entrambi sapevamo che Frank era rimasto in contatto con l'altro
chitarrista dei My Chemical Romance, ma nessuno di noi aveva
mai accennato a volerne parlare. Semplicemente, avevamo sempre fatto
finta di niente, avevamo deciso che se quello era il corso naturale
delle cose, allora era inutile rimuginarci sopra più di quel
tanto.
Lo
guardiamo un po' turbati, finché non si decide a parlare.
Guarda fisso davanti a sé, con le ginocchia strette al petto e
lo sguardo vuoto.
«
Gli ho parlato di quello che sta succedendo, del fatto che forse
possa esserci un futuro per il gruppo... »
«
Sai che non ho mai detto di voler continuare, Frank » lo
interrompo.
Lui
si volta verso di me. « Frena tigre, non gli ho dato nessun
tipo di certezza, gli ho solo detto come stanno le cose »
«
E lui che ha detto? » chiede Mikey.
«
Ha detto che torna. Solo questo, non ha aggiunto altro. Ma non credo
lo faccia per noi. O meglio, credo che quella sia la scusa, la
maschera che gli permette di tornare senza vergognarsi di essere
partito. »
Mi
rimetto l'anima in pace, appoggio la testa contro il muro, e tiro un
sospiro di sollievo. Per un secondo, la paura che Frank avesse
frainteso le mie intenzioni mi ha fatto gelare il sangue. Non sono
mai stato sicuro delle mie intenzioni, tanto meno adesso.
«
Quando torna? » sussurro.
E'
tutto silenzioso, e sembra impossibile in un appartamento nel bel
mezzo di Los Angeles. Ma è così, c'è silenzio.
«
A natale. »
Nessuno
dice niente per un po'. Nessuno ha niente da aggiungere, oppure
abbiamo solamente troppe cose da dire, e invece che sforzarci stiamo
tutti zitti.
Mi
è venuto un groppo in gola.
Passa
poco tempo, e già non ci pensiamo più. Come se niente
fosse stato realmente detto.
«
Frankie, ce l'hai più quella roba che ti portavi sempre dietro
al liceo? »
Frank
guarda Mikey come se avesse appena bestemmiato su sua madre, e solo
dopo capisco davvero a cosa si riferisca. Mi sento tradito, mi sento
scansato.
«
Non starete mica parlando di quella roba... »
«
Sì, cioè... a te darebbe fastidio se me ne facessi una?
»
Siamo
seduti sotto alla finestra della camera da letto di Frankie, e credo
di essere rimasto l'unico sobrio, per ovvi motivi.
In
tutto il tempo in cui sono stato pulito da droghe e alcol, non mi ha
mai dato realmente fastidio vedere altre persone abusarne. Non sono
mai stato uno protettivo sotto quel punto di vista, neanche con mio
fratello Mikey, perché so per certo – perché l'ho
sperimentato su me stesso – che qualcuno che ti stia lì
col fiato sul collo a dirti quanto sia sbagliato quello che stai
facendo è una delle cose più inutili di questo cazzo di
mondo. E' semplicemente insensato. Per questo non ho mai detto
niente, non ho mai fatto niente per impedire agli altri di fare certe
cose davanti ai miei occhi. Era una prova per me stesso, per vedere
per quanto tempo sarei riuscito a resistere. E fin'ora non mi sono
mai dato l'opportunità di deludermi.
Ora
è diverso. Non mi ritrovo in una situazione di questo genere
da troppo tempo.
Quando
eravamo un gruppo di rockstar smontate dalla vita era diverso. Era
quasi all'ordine del giorno che qualcuno si accendesse una canna con
la stessa facilità con cui si accende una sigaretta. Ma questo
era prima di Hope, prima di crescere, prima di sentirsi davvero
apposto col mondo, davvero completamente pulito.
«
No, fate pure » dico, senza dimostrare troppo ciò che
sento.
In
realtà ho le budella contorte per l'agitazione, e credo di
stare sudando freddo. All'improvviso, il mio amico Frank e mio
fratello Mikey sembrano distanti anni luce da me. Come bloccati in un
vita passata, come se ancora non ne fossero usciti realmente.
«
Ma non credo vi faccia poi così bene » aggiungo, mentre
Frank torna da noi con un sacchettino di plastica in mano.
«
E' il mio compleanno, concedimelo » mi chiede Frank,
guardandomi negli occhi senza troppo sicurezza.
Non
rispondo, li lascio fare.
Dopo
poco sento già quell'odore familiare avvolgermi senza
lasciarmi aria da respirare. E' sempre più forte, sempre più
acre, e il mio stomaco sta sempre peggio.
«
Gee, stai bene? » mi chiede Mikey. « Sei più
bianco del solito »
«
Io... » faccio per dire. Ma appena apro bocca sento una
sensazione strana all'altezza dello sterno. Ho i brividi, e
quell'odore è insopportabile.
Mi
alzo in fretta e corro al bagno a vomitare.
«
Gerard! » mi urla dietro Frank. Mi raggiunge.
Quando
ho finito mi rialzo, mi sciacquo la bocca con l'acqua del rubinetto.
Frank
sta bussando con tutta la sua forza. Dopo un po' gli apro.
Penso
a Hope, penso a me stesso. Penso all'odore di quella canna, e ai
capelli biondi di una perfetta sconosciuta che ora è con mia
figlia, mentre io sono qui a subire il mio passato senza riviverlo.
«
Cosa c'è? » mi chiede, preoccupato in volto.
«
Credo di non stare bene. Forse tutti quei dolcetti di Halloween mi
hanno fatto male. Credo tornerò a casa... » mento.
Mi
asciugo gli occhi, e li saluto con brevi frasi di circostanza. Salgo
in macchina, e a metà strada una lacrima mi scende lungo la
guancia.
Ho
sempre recitato la parte di quello forte, di quello che non si
abbatte facilmente, ma ora sento il peso del mondo sulle spalle. Ora
sento di non farcela, sento che improvvisamente tutte le frustrazioni
di una vita stanno tornando su dai meandri di me stesso. Come se
avessi bisogno di qualcuno che mi protegga da quella parte di me che
avevo giurato di non far riaffiorare mai.
Gerard
Way, quello della Black Parade, quello dipinto dai media. Quel demone
che si è impossessato di me con tutta la forza del mondo, è
morto sei anni fa.
Cerco
di convincermi di questo mentre torno a casa da mia figlia. Da quel
qualcosa che mi ricorda perennemente chi sono e cosa ho sempre voluto
da questa vita che toglie tutto senza dare indietro niente.
Gerard
Way, quello col trucco nero in faccia, è morto sei anni fa.
Il
tintinnio delle chiavi che sbattono tra di loro mentre le giro nella
toppa mi è familiare. Mi ha sempre dato un senso di sicurezza,
come a volermi dire “Gee, sei a casa, sei salvo anche per
oggi”. E non potrebbe farlo più di stasera.
Controllo
l'orario sul cellulare, che illuminandosi rischiara il buio del
corridoio prima che la porta si apra a lasci uscire la tenue luce del
soggiorno.
Dianna
mi si catapulta davanti alla visuale come un grillo. Ha gli occhi
spalancati, e ha tolto il costume da strega e tutto il trucco. Tiene
i capelli legati alla meno peggio con un elastico che sembra aiutarla
ben poco, e un cerchietto scuro che le tiene i capelli lontani dalla
faccia. Ha un abbigliamento pratico, come se ci si fosse impegnata
con tutta se stessa, in quell'incarico posticcio.
«
Buonasera » mi sussurra, con uno sprint vitale un po'
inappropriato all'orario.
«
Dov'è Hope? » le chiedo, sollevato del fatto che la casa
non sia realmente in fiamme.
«
Sta dormendo, era stanchissima »
Vado
nella sua cameretta e la guardo dormire. Per un attimo faccio caso se
il suo sterno si muova regolarmente o no. Quando vedo che respira, mi
sento un completo idiota. Però sono sollevato.
«
Bene, il mio lavoro qui è finito, allora. Posso andare? »
mi fa, sorridente.
«
No, aspetta. Dimmi quanto ti devo... » le dico, fermandola
prima che metta la mano sulla maniglia della porta.
Fa
storie, dice che non ce n'è bisogno, che l'ha fatto con
piacere. Ma decido di metterle dei soldi in mano e basta, e alla fine
li accetta.
«
Com'è stata Hope, ha fatto i capricci? »
«
No, è stata fantastica, ovviamente. »
Mentre
parla ha un tono così lieve ma energico allo stesso tempo che
è un po' come una dose forte di camomilla.
Quando
mi sorride con quei suoi denti bianchissimi, mi tranquillizzo un po'.
Per
un attimo dimentico Ray, dimentico la canna di prima, e le lacrime.
Per un attimo penso che in tutta questa merda di vita ogni tanto
accada anche qualcosa di positivo.
Quando
qualcuno entra nella tua vita, può essere un bene enorme o la
delusione più grande. Lei non può che essere un bene,
soprattutto per Hope.
Mentre
chiudo la porta alle spalle di quella biondina di un metro e sessanta
con gli occhi troppo grandi e la postura da ballerina di danza
classica, capisco che forse questa serata assomiglia ad un grande
svolta. E fa male, come ogni grande svolta, in base a quanto farà
bene col passare del tempo.
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