Premessa
Questo
breve racconto si è classificato secondo assoluto ed ha ottenuto il “premio
italiano” al contest letterario sul forum di Gamesradar che aveva come tema
“fede e misticismo”,.
Vi
passo il link perché ci sono molte altre storie che meritano una letta, vi
consiglio vivamente di andare a dare un’occhiata.
http://forumgamesradar.futuregamer.it/showthread.php?t=527073
Il
testo è esattamente quello presentato al concorso, non ho apportato nessun tipo
di modifica.
Lysios
Aminta ondeggiava.
Dioniso gli sarebbe
entrato nell’anima, e gli avrebbe aperto la gola per farlo respirare, gli
avevano detto.
Lui non lo sapeva, lui
ondeggiava.
Era entrato nel
tempio al calar del sole, brandendo edere e pigne con la mano destra, quella
buona per lanciare il disco e per combattere, ma adesso era tutto quanto a
sinistra, anche il sole, ribollente e liquido come un’anfora orlata, di quelle
che si vedevano al mercato, costose e già sbeccate.
La luna, quasi
piena, quasi. Come un bocciolo in potenza, quasi vivo, quasi.
Aminta ondeggiava,
senza sapere perché.
Aminta aspettava
Dioniso, Aminta cantava con la sua voce dalle corde acute, Aminta si chiedeva
come sarebbe stato, cosa avrebbe visto, cos’avrebbe provato, si chiedeva se
Dioniso gli avrebbe mai permesso di toccargli i capelli, abbracciati in tanti
boccoli ariosi, si chiedeva cosa dire, come sorridere, che cosa chiedere.
Aminta peccava,
perché a un dio non si chiede di mostrarsi, ad un dio si china la testa, e come
massimo gli si offrono le cosce. Hybris, hybris, giovane Aminta.
Un cielo quasi
notturno spiegò in due ali le sue quasi stelle, con quella luna quasi piena a
fare da fermaglio, fiera e debole nella notte di Dioniso.
Aminta ondeggiava,
non sapeva perché, ma sapeva di non dover smettere.
Dioniso che
distilla latte dalle rocce, che scioglie l’erba in miele, si faceva aspettare,
come un oratore tracotante, come un maestro di sculture, ma Aminta non aveva
fretta, Aminta aveva una notte intera, Aminta aveva bevuto abbastanza ambrosia
da poter resistere al sonno degli occhi ed assecondare quello del cuore.
Aminta aveva
bisogno di ondeggiare, di vedere, di credere.
Sulla soglia nuda
del tempio spirava un venticello che trascinava qua e là l’odore rotondo della
roccia scaldata dal sole. La casa incestuosa di Apollo e Dioniso dominava il
monte e il mare tagliando l’orizzonte come un vessillo.
Aminta non sapeva
molto di dèi, ma vieni, gli avevano detto, vieni a conoscere Dioniso, vieni a
conoscere il dio bambino, il dio dal sorriso che vince la morte. Vieni a
sentire la sua pelle stillare vino bruno, vieni a sgozzare una capra e a
bagnare del suo sangue l’edera delicata che gli veste la fronte.
La luna, quella
quasi piena come quasi vuota, si nascose dietro uno degli abeti imponenti che
stavano a guardia del tempio. Le luci del comos guizzavano sulle colonne
bianche, sparpagliandosi sui tronchi più vicini, sui tempietti, sulla strada
argillosa e bordata di erbacce secche. Non voleva guardare, la luna dai vergini
occhi, lei che conosceva il fratellastro dal manto candido, lei che riprovava
il fratello di sangue per le sue disattente concessioni. Torse il collo bianco
sulle ultime gocciole di sole, sospese come olio sulla superficie grinzosa del
mare.
Apollo le scese
accanto, stretto in un chitone dal panneggio sottile e ventoso. Sorrideva, in
un modo che mostrava i canini acuti e candidi.
- Perché non lo
fermi? – Artemide della luna indicò il pronao del tempio, indicò uno ad uno i
fili di vento che vi si radunavano attorno, acquattandosi nelle nicchie in cui
le torce avevano già esalato le ultime vampate d’olio.
- Perché è mio
fratello. –
- E’ anche il mio.
–
- Ma tu non
oseresti fermarlo. –
- Lo lascerai fare?
–
Apollo seguì con
gli occhi il lento comporsi di figure animali sulle colonne solide e sui
gradoni, leoni e tori, e puledri ancora teneri.
- Andrò a vederlo.
–
- Non lo farai. –
Apollo sogghignò. –
Suonerò la cetra in suo onore. E in onore delle sue vittime. –
La luna diede un
sibilo schifato, e si rinchiuse dietro ad una nuvola spessa e tenace. Apollo
discese con piedi leggeri, e si infiltrò fra i marmi del tempio robusto come un
vento indiscreto.
Il fratello,
signore dagli occhi dolci di ogni violenza, lo precedeva di molto, e lui
avrebbe dovuto sbrigarsi, se non voleva rischiare di perdersi l’inizio delle
danze.
Aminta ora non
ondeggiava più.
Apriva e chiudeva
la bocca come se una membrana resistente, di budello, gliela sigillassero,
impedendogli di respirare.
Dioniso scorse
amorevolmente i capelli disordinati di Aminta. Non sembrava preoccuparsi
nemmeno un po’ del suo respiro, ed anzi, ogni volta che Aminta trovava una via
d’aria, lui subito gliela riempiva di nettare dolcissimo e delicato.
- Guarda, fratello,
come sono belli gli uomini. –
- Caduchi. Come
foglie d’edera. –
Dioniso sorrise
come un bambino. – Ma a me piacciono. E voglio salvarli, tutti quanti. –
- Fratello mio
bambino, come pensi di fare, con il tuo vino? –
- Con il mio vino. –
asserì Dioniso, felice. – Essi tutti berranno di me, ed io mostrerò loro la
realtà altra, quella di noi dèi. –
Apollo squadrò il
corpo di Aminta con compassionevole sufficienza.
- Dioniso dolce e
terribile, credi davvero possibile, dio come sei, di poter comprendere gli uomini?
-
- Naturalmente. Io
so per certo cosa essi desiderano. –
- Hai ucciso quel
ragazzo con la tua estasi. –
- Ucciso? – Dioniso
arricciò il naso in una buffa smorfia. – Fratello mio, non dire sciocchezze.
Come potrei uccidere un uomo, io che sono qui per il loro bene? –
E così dicendo,
sollevò Aminta.
- Dorme soltanto,
non vedi? Coraggio, giovane uomo, va’, va’ dai tuoi fratelli. –
Disse sospingendolo
allegramente in avanti, incurante di vederlo crollare a terra scompostamente.
- Forse hai ragione
tu. – asserì Apollo. – Forse noi dèi compiamo sempre ciò che è giusto per gli
uomini. –
Dioniso regalò al
fratello un grande e dolce sorriso puerile. – E’ così per certo. Noi dèi siamo
sempre giusti, ed è per questo che l’umanità è felice. Vedrai tu stesso,
domani, quando sorgerai assieme al sole, come questo ragazzo spenderà parole di
miele per me, e onorerà Dioniso misericordioso che gli ha concesso di
contemplare ciò che sta oltre il cielo. –
- Fratello Dioniso,
mi disponi all’impazienza. Torniamo alle nostre dimore, e aspettiamo l’alba di
domani, quando tutti questi che tu hai addormentato con la tua ebbrezza si
sveglieranno, e ti canteranno. –
Dioniso accomodò i
piedi delicati nei calzari, e si alzò, luminoso come il riflesso delle stelle.
- Quando si
sveglieranno. – disse con un sorriso gioioso. – Perché essi si sveglieranno,
proprio come faremo noi due, e tutti gli altri dèi, domani e per sempre, non è
così, fratello Apollo? –
Apollo scoccò
un’ultima occhiata, limpida e ferma, al corpo di Aminta, riverso sul fianco, e
a quelli altrettanto immobili di tutti gli altri, uomini e donne, che
adornavano il pavimento e le pareti con le loro immobilità contorte, con il
loro silenzio muto persino del sibilo regolare di un respiro.
Immobili e
pacifici, come se fossero davvero felici.
- E’ così, Dioniso.
–