Nelle “Metamorfosi” di
Ovidio, viene narrata la
morte di Fetonte, figlio di Apollo, ucciso da Giove perché
– alla guida del carro paterno ma incapace di controllarlo
– rischiava di distruggere ogni cosa.
La reazione di Apollo è così umana che mi ha
toccato.
Per di più, più avanti, è raccontata
la morte di una donna amata dal dio – sepolta viva dal padre
– e viene detto: “Dopo il rogo di Fetonte,
si dice
che niente di più straziante dovette vedere
l’auriga dei cavalli alati”.
Perciò, per quanto atroce sia stato quel dolore, il peggiore
resta quello per la morte del figlio… E a quel punto non
potevo esimermi da scrivere qualcosa al riguardo.
Ah, il titolo viene da Khorakhané (A forza di
essere vento),
una canzone di Fabrizio De André.
Buona lettura ^^
Un
sollievo
di lacrime
«Fratello»
disse Diana, posando la mano sulla
spalla di Apollo.
Ne
scorse il profilo: le labbra erano serrate, gli occhi colmi di una
furia incontenibile. E di dolore, sì, c’era anche
quello.
«Vuoi
dirmi a tua volta di pormi alla guida del mio
carro?» domandò aspramente il dio. «Di
far cessare queste tenebre insensate?»
Diana
tacque; le sue guance avvamparono e le sue sopracciglia ebbero un
guizzo bizzoso.
Ella
fu sul punto di alzarsi e andarsene, offesa
dall’ostilità del proprio gemello… Poi,
però, si impose la calma.
«Com’è
accaduto, fratello,
come?»
domandò. «Perché
Fetonte guidava il tuo carro?»
Le
labbra di lui si contrassero, le sue mani si chiusero a pugno sui
suoi ginocchi.
«È
giunto…»
cominciò a narrare, e dovette fermarsi un istante.
«Lui è giunto alla mia dimora, cercando la prova
ch’io fossi davvero suo padre, lui davvero mio
figlio… E giacché amai davvero sua madre
Clìmene, a lui giurai che gli avrei fatto qualsiasi dono
m’avesse richiesto».
S’interruppe
bruscamente, e digrignò i denti in un
moto di dolore e impotenza.
Diana
ormai aveva compreso, e fece scorrere la mano lungo il braccio
del fratello, sino a raggiungere le sue dita e intrecciarvi le proprie.
Oh,
gesto familiare!
Quante
volte, bambina, aveva afferrato la mano di colui con cui aveva
condiviso il ventre materno, e con quanta prepotenza!
Quasi
lo facesse – si sarebbe detto – per ribadire
ch’egli era di sua proprietà.
«E
lui ti chiese di guidare il carro?»
domandò Diana, a voce bassa.
Apollo
chiuse un istante gli occhi, sussurrando un
«Sì». Poi, «Ah!»
esclamò addolorato, riaprendoli, «tentai di
dissuaderlo, ma non volle darmi ascolto! Non cambiò
richiesta neppure dopo che gli ebbi narrato di tutti i pericoli che si
celano lungo il percorso!»
Si
girò a guardare la sorella, con occhi brucianti, pieni di
una disperazione che Diana non gli aveva mai visto.
Del
resto, non l’aveva mai neanche visto ridotto
così… Come se persino i suoi bei capelli, che
solitamente parevano intessuti degli stessi raggi del sole, avessero
perduto la loro luminosità.
Per
un istante, Apollo parve annaspare.
«Non…
non volevo porlo su un sentiero tanto
difficoltoso, ma avevo giurato, oramai avevo giurato…
Perché giurai? Maledetto sia quell’istante! Fu il
mio giuramento a decidere il fato di mio figlio: anche se lui, allora,
era ancora bello, le guance rosee e intatte, gli occhi pieni di luce,
fu morto nel momento in cui gli diedi la mia parola… Io, io,
fui io a ucciderlo!»
Diana
sbatté le palpebre, sgomenta di fronte a
quell’improvvisa e violenta recriminazione.
Poi
gli strinse la mano, con decisione.
«Fratello,
è giusto che tu dia sfogo al tuo
dolore» disse, seriamente, «ma se ciò ti
porta ad attribuirti colpe che non sono tue, allora devo
fermarti».
Apollo
distolse lo sguardo, pieno di amarezza e di sofferenza.
«Fratello»
insistette Diana, «tu dirigi
la tua ira nella direzione sbagliata! Verso te stesso… E
verso la terra che rifiuti di illuminare».
In
uno scatto iroso, Apollo cercò di sottrarre la mano da
quella di Diana, ma ella la trattenne nella propria.
«Puoi
odiare Giove nostro padre, forse, poiché suo
fu il braccio che scagliò la saetta che uccise tuo figlio
– e devi rammentare che lo fece per evitare la distruzione di
ogni cosa – ma questa terra… Essa ha nutrito
Fetonte, gli è stata casa, l’ha cresciuto bello e
forte come dici di ricordarlo… Perciò non
punirla, fratello, non le negare il tuo sole».
Apollo
chinò il capo, ed aveva il volto tutto contratto dal
dolore.
Per
un istante, parve sul punto di soffocare, poi si
aggrappò alla mano della sorella e un ansito gli
scaturì dalle labbra.
«Potessi
piangerlo!» gridò.
«Potessi almeno sentire le guance bagnate di lacrime versate
per lui – oh, lui, il mio Fetonte! Ma gli dèi non
possono commuoversi alla maniera dei mortali…»
Diana
esitò, percependo il dolore del fratello come se fosse
stato il suo, e non desiderando altro che lenirlo…
Cinse
Apollo con le proprie braccia, gli baciò il viso.
«Sì,
gli dèi non possono versare
lacrime» mormorò, mestamente, toccandogli di nuovo
la pelle con le labbra. «Ma attendi, fratello,
fintantoché i miei baci non avranno scaldato e inumidito le
tue guance… Allora ti parrà forse
d’aver pianto, e potrai trovare
consolazione…»
Apollo
s’immobilizzò, sorpreso, e la sorella prese
a fare come gli aveva preannunciato: lo baciava ripetutamente, su
entrambe le guance.
E
quando lui le sentì bagnate, le toccò con la
punta delle dita, incredulo.
“Dunque
è questo” si chiese,
“che gli esseri umani provano dopo aver pianto?
Sì, la mia tristezza è ancora un terribile
macigno, ma… è mai possibile?… mi par
d’esser più leggero…”
Così
abbracciò Diana, in un tacito ringraziamento.
Lei
osservò quel bel volto ancora disperato, ma spoglio
della furia che l’aveva arroventato poc’anzi.
«Presto
dovrò guidare il carro della
luna» gli sussurrò, lasciando una domanda
implicita nel silenzio che seguì.
«E
quando terminerai il tuo percorso» disse Apollo,
sommessamente, «quando sarà tempo che il sole
sorga, il sole sorgerà».
Tacque
un attimo, stringendo le labbra mentre pensava.
Forse,
si disse Diana, rivedeva nella propria mente il corpo di suo
figlio che veniva sbalzato dal carro, e i suoi capelli in
fiamme…
«È
già trascorso un dì
d’oscurità, per Fetonte» riprese Apollo.
«Ora ci sarà il sole per la sua terra».
Sì,
pensò Diana, osservandolo mentre si alzavano,
in suo fratello c’era ancora molto dolore…
Probabilmente, altra sofferenza e altra rabbia sarebbero scaturite dal
suo cuore, quando avrebbe tenuto tra le mani le redini dei suoi
destrieri alati… Forse, avrebbe accusato quei cavalli della
morte del figlio, li avrebbe frustrati con maggior furia… E
con dolore – dolore, sì, suo fratello soffriva
ancora…
Diana
strinse i denti.
Poco
male. In lei c’era tutta la tenacia e la determinazione
di aiutarlo a guarire, a star di nuovo bene.
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