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Chiedo perdono per il mostruoso ritardo con cui pubblico
questo capitolo, l’Università non mi ha mai lasciato un attimo di respiro!
Quello che conta è che, finalmente, sono riuscita a copiare questo enorme
capitolo e a pubblicarlo! Yeeeeee!
Non
vi trattengo oltre, vi lascio alla foto e…via col penultimo
capitolo!
The Dark Knight.
John sospirò sollevato quando anche l’ultima maglia
fu riposta ordinatamente nella sua valigia sdrucita. Con un sorriso
soddisfatto si sedette davanti alla scrivania, una scrivania troppo piccola per lui da
quando aveva compiuto sedici anni.
Lanciò un’occhiata alla stanza, come se volesse imprimersi
nella mente tutti i particolari di quel cubicolo grigio che lo aveva ospitato
per 8 anni, con tutte le sue crepe, le macchie d’umido e i graffiti di qualche
precedente occupante.
Quella era la sua ultima notte al St.Switin’s poiché John
aveva raggiunto la maggiore età e concluso gli studi:adesso era il momento di
fare una scelta.
“Allora , finalmente ci siamo!” gli aveva detto
Mattatias Shannon, dopo averlo convocato nel suo ufficio pochi giorni prima.
Shannon, col passare degli anni, si era affezionato a John ed era stato l’unico
a capire che, quella che gli veniva continuamente rimproverata, non era semplice
arroganza.
“Già Padre.” Aveva convenuto lui mettendo le mani nella
tasca della felpa.
Padre Shannon si sporse verso il ragazzo, dalla scrivania “E
hai già deciso cosa vuoi fare?”
John non rispose subito e Padre Shannon, cogliendo
l’occasione al volo, continuò a parlare “Sai che con la borsa di studio che hai
vinto non ci sarebbero problemi per il proseguimento della tua istruzione. Per
esempio potresti essere un ottimo insegnante! Con i bambini hai pazienza, ti ho
visto molte volte aiutarli con i compiti o tirare su qualche piccolo un po’ giù
di corda. Credo che come insegnante saresti perfetto! Sei attento, premuroso e
paziente. Non si direbbe per un ragazzo che ha dato filo da torcere a tutti gli
insegnanti della sua classe, eh?” terminò in modo scherzoso Padre Shannon,
ammiccando appena.
John sorrise, palesemente divertito.
“No Padre, non è quello che voglio fare.”
Padre Shannon rimase interdetto per pochi secondi ed un pensiero attraversò la
sua mente. Cercò lo sguardo dell'altro e vi lesse una risposta più che
chiara.
“Ah,
quello dici?”
John non poté non notare una lieve nota di delusione nella
voce di Shannon, mentre gli annuiva, il sorriso sparito dalla sua
faccia.
“Posso
usufruire della borsa di studio anche per quello .”
Rispose imitando il tono di Mattatias.
“Beh, d’altronde dovevo aspettarmelo. Lo dici da troppo
tempo perché si possa definire una “fissazione” da bambino..”
“Mai stato un bambino.” Disse John cercando di usare un tono
scherzoso e fallendo miseramente.
Mattatias guardò il ragazzo che gli stava di fronte: in
quegli anni lo aveva osservato attentamente e gli si era affezionato ma, per
quantoil ragazzo fosse cresciuto fisicamente o mentalmente, non riusciva a vederlo
diverso da quel bambino che si teneva a distanza da tutti gli altri.
Ma ora era diverso, ora doveva guardare in faccia la realtà:
quel bambino ora poteva uscire dal St.Switin’s e sarebbe diventato un uomo
“libero” non appena avrebbe varcato la soglia. Un uomo libero di fare le sue
scelte ed i suoi errori.
Perché, per Mattatias Shannon, la scelta di Blake era un
errore: come poteva farsi condizionare la vita a quel modo? Perché diamine
buttare al vento un futuro brillante per una carriera che gli avrebbe fatto
rivivere ogni giorno quello che gli era accaduto in passato?
“Lo so Blake. Non ti nascondo però che avrei auspicato altro
per te. Un lavoro sereno, una bella ragazza, una famiglia..”
John
rise “Non vado a fare l’eremita in Tibet! E per quanto riguarda la ragazza e la
famiglia..mi dia tempo, ho diciotto
anni!”
Padre Shannon fece un sorrisino un po’tirato, ma poi tornò
serio.
“Come farai per mantenerti, prima di iniziare a lavorare,
quando sarai ancora al corso? La borsa di studio non può certo coprire tutte le
spese!”
“Ho già pensato anche a questo. Troverò un lavoro part-time,
così non dovrò preoccuparmi, finché non comincio sul serio. Non farò una vita da
nababbo, magari sentirò un po’ il freddo d’inverno e rinuncerò a qualche altro
piccolo lusso…ma me la caverò.”
“Sei già passato al municipio per le faccende burocratiche?”
si informò Shannon rilassandosi un poco.
John ebbe un lieve fremito “No, non ancora. Contavo di farlo
domani.”
Il pensiero di rimettere piede nella sua vecchia casa, con i
mobili coperti da lenzuola bianche e lise lo inquietava non poco.
“Non sei obbligato ad andarci.” Gli disse Shannon intuendo
il suo turbamento.
“No, Padre.”rispose in tono risoluto “devo farlo.
Diciamo che…che fa parte della mia crescita.”
“Ti
vedo sempre bambino, Blake. Un bambino spaurito ed arrabbiato.” Disse Shannon in
tono nostalgico “c’è una cosa che ti voglio chiedere.”
“Mi
dica.”
“Ormai ne è passato di tempo..”principiò Shannon, cercando
di trovare le parole giuste da dire “perché non vuoi ancora che ti
chiamino..”
John, che si era accigliato mentre realizzava dove Mattatias
Shannon voleva andare a parare, lo fermò.
“No, Padre non ho nessuna intenzione di cambiare il modo in
cui mi faccio chiamare.”
“Ma è il tuo nome legale!” protestò Shannon.
“E il nome di mio padre è il mio secondo nome legale e farò
in modo che tutti mi conoscano solo con questo."
“Non ti si può proprio smuovere, eh?”
“No Padre. Ormai dovrebbe saperlo che sono un testardo”
rispose John sfoderando di nuovo un sorriso. “ora, se non le dispiace, è meglio
che vada. Em e Dennis partono e vorrei andarli a salutare.”
Emily e Dennis, alla fine, si erano messi insieme (Em non
aveva mai trovato il coraggio di dichiararsi a John ed aveva anche capito che
lui non si sarebbe mai interessato a lei) ed avevano deciso di lasciare Gotham
per cercare fortuna da qualche altra parte. E come dar loro torto?
“Va bene John” annuì Mattatias volgendo di nuovo lo sguardo
ad alcuni compiti da correggere, sparsi sulla sua scrivania “salutali anche da
parte mia e scusati per la mia assenza. Devo assolutamente correggere questa
roba.”
John
annuì e uscì silenziosamente.
John
svoltò a destra, imboccando una strada decisa all’ultimo momento: il distacco
dall’orfanotrofio era stato più complesso del previsto, sotto alcuni punti di
vista.
Un plotone di bambini lo aveva abbracciato, gli si erano
avvinghiati addosso tutti insieme, strappandogli la promessa che sarebbe venuto
a trovarli per fargli da allenatore di baseball, gli insegnanti si erano
congedati tutti con un gelido formalismo, mentre Shannon lo aveva abbracciato
calorosamente.
“Senti Blake.” Gli aveva detto sciogliendosi dall’abbraccio e
rovistando in tasca “ so che avrai bisogno di spostarti, quindi ho deciso di
farti un prestito.”
John lo guardò senza capire, ma quando vide Shannon tirare
fuori dalla tasca le chiavi di una macchina,c si oppose.
“Oh no, io non posso...”
“E non cominciare con i “se “ e con i “ma”! “lo rimbrottò
Shannon in finto tono di rimprovero “Non farti venire strane idee, ragazzino.
Questo è solo un prestito! E’ solo che io non la uso mai e se ne sta qui a
prendere polvere e basta.” Continuò porgendogli le chiavi “Quando potrai
permettertene una me la restituirai.”
John deglutì, commosso “Grazie Padre.”
Ora, guidava da circa un quarto d’ora, alla ricerca della
strada per arrivare al luogo che gli interessava. Aveva fatto una piccola sosta
per comprare una cosa ed era ripartito in fretta.
Ovviamente non poteva concedersi il lusso di un navigatore e
doveva trovare il posto facendo affidamento sulla sua memoria e sulla sua
abilità nel fare gimcane nel traffico perennemente congestionato di
Gotham.
Alla fine trovò il posto, dopo aver imboccato diverse strade
sbagliate e sentì il cuore accelerare di qualche battito, mentre parcheggiava la
macchina e guardava fuori dal finestrino.
I suoi passi risuonarono sulla ghiaia color grigio sporco,
mentre John entrava nel piccolo cimitero.
Guardò a destra e a sinistra, osservando le persone venute a
rendere omaggio ali loro cari: un’anziana donna in piedi davanti ad una croce
bianca, una famiglia con un bambino al seguito che accendeva un cero su una
lapide di marmo scuro ed un’altra donna, sui 40, che spazzava le foglie morte da
un’altra lapide.
A passo sicuro si diresse verso l’estrema destra del
cimitero, ascoltando lo scricchiolare dei sassolini sotto le sue scarpe: in quel
silenzio carico di mille ricordi e pensieri, gli sembrò assordante.
Si fermò davanti ad una semplice lapide che una volta era
stata bianca ma che, col tempo e con l’incuria, si era ingiallita e
sbeccata.
Dove prima riposava Margery Blake, con una foto che la
ritraeva felice ed una semplice scritta nera ad indicare il nome, la data di
nascita e quella della morte, era stato posto anche suo marito.
Il contrasto fra le due foto era notevole; mentre la Sig.ra
Blake rideva come se avesse appena sentito la cosa più divertente al mondo, il
signor Blake era serio, con le rughe che gli avevano prematuramente segnato il
volto.
John ricordò che quella era la foto che suo padre allegava
in tutti i curriculum vitae che presentava nella vana speranza di essere assunto
da qualche parte anche perché, nella vita che lui e suo padre avevano condotto
dopo la morte della signora Blake, non c’erano mai stati momenti da
immortalare.
Si chinò sulla lapide e passò la mano sulle foto, per
togliere la patina di polvere e sporco “Avrei dovuto portare uno straccio.” Si
disse mentre grattava via la sporcizia dal marmo ingiallito “domani lo
farò.”
Si chinò sula lapide e, con estrema cura, mise il mazzo di
fiori che aveva comprato,nel vaso di ottone della tomba, un vaso che era rimasto
vuoto troppo a lungo.
John
rimase fermo, in piedi, davanti ai suoi genitori, lasciando che il vento
autunnale gli scompigliasse i capelli.
La chiave girò a fatica nella toppa, proprio come John
ricordava. Non si perse d’animo quando questa parve incepparsi e, come aveva
fatto tante altre volte anni prima, pose il palmo della mano destra sotto la
serratura e spinse continuando a tenere la chiave girata,
La porta si aprì e, dopo aver preso la sua valigia, entrò in
quell’appartamento, vuoto da anni.
Non faceva salti di gioia all’idea di rimettere piede in un
luogo così denso di ricordi ma, pensandoci razionalmente, poteva considerarsi
fortunato:non era da tutti avere una base così stabile, specie se eri
un fresco diplomando di un orfanotrofio.
John arricciò il naso: c’era una puzza di chiuso che
permeava l’ambiente e ci sarebbe voluto del bello e del buono per farla andare
via.
“Tanto vale che cominci subito” Si disse dirigendosi
verso il salotto e spalancando la finestra.
Ripeté l’operazione per ogni stanza, degnando appena di
un’occhiata i teli bianchi che coprivano il poco mobilio rimasto (poiché una
parte era stata venduta anni prima per pagare i debiti contratti dal Signor
Blake.)
John spalancò le finestre della sua vecchia
cameretta(prendendo mentalmente nota del fatto che si ricordava l’esatta
collocazione di ogni singolo sgraffio del parquet) del piccolo bagno e della
camera da letto di suo padre, lasciando la cucina per ultima.
La porta era chiusa e Blakeindugiò per qualche secondo, la
mano stretta sul pomello di ferro arrugginito, prima di decidersi ad
aprirla.
Aveva quasi
paura di cosa avrebbe potuto vedere, avvertiva questo strano senso di inquietudine,
lo stesso che provava anni prima, quando si trascinava in cucina
per prendere dell’acqua e si sentiva trafiggere la schiena dalle occhiate malevole che
gli scoccavano gli ospiti di suo padre.
Quando aprì la porta, tuttavia, rimase quasi deluso nel
constatare quanto quella cucina sembrasse banale e scialba senza il tavolo tondo
al centro e quelle 4 o 5 sedie spaiate intorno.
Aprì la finestra e contemplò per un attimo il palazzo di
fronte al suo, un fabbricato che ricordava essere colorato di bianco, ma che ora
era di un grigio smorto e scalcinato in più punti, destino che accomunava tutti
i palazzi di Gotham
Guardò il mondo che una volta conosceva, le forme di palazzi
che gli erano familiari, illuminati dalla luce settembrina del tardo
pomeriggio.
Con un sospiro si tolse la giacca rosso scuro e fece per
lasciarla sulla sedia, come faceva anni prima.
Quando questa cadde con un tonfo lieve, poiché non c’era
alcuna sedia, John rimase per un attimo impalato a fissarla e poi scoppiò in una
risatina.
“Le vecchie abitudini non muoiono mai.” Disse fra sé e sé,
chinandosi a raccogliere la giacca. Poi si accorse che mancavano anche il frigo
ed il fornello e si mise a ridere quasi istericamente.
“Già, bravo John, cosa pensavi di fare?” si disse,
continuando a ridere incontrollabilmente “sarà bene che chiami un fattorino per
una pizza..” spostò lo sguardo verso il banco cucina, dove il telefono stava
abitualmente, solo per constatare che non c’era neanche quello e questo lo fece
ridere ancora di più.
“Sarà bene che controlli se mi hanno almeno attivato la luce
elettrica, o ci sarà parecchio da ridere.” Pensò fra una risata e l’altra,
arrancando verso l’interruttore.
La luce elettrica, fortunatamente, funzionava e questo parve
placare l’ilarità di John.
“Dovrò comprare degli elettrodomestici prima o poi.” Si
disse accarezzando il muro freddo e liscio “dovrò rimboccarmi le maniche, ci
sarà parecchio da fare.”
Dopo un attimo di esitazione si infilò di nuovo la giacca ed
estrasse dalla tasca il consunto portafoglio che gli era stato regalato anni
addietro per un compleanno: la pelle si era lacerata in più punti ed il
portafoglio era pieno di venature e di bolle d’aria, che avrebbero presto fatto
staccare altri brani di pelle.
“E pensare che, quando me lo regalarono, mi parve chissà
quale bene di lusso..” rimuginò John controllando rapidamente i dollari a sua
disposizione.
Ricordava le parole che gli aveva rivolto Mattatias Shannon,
pochi giorni prima che se ne andasse e, per un attimo, accarezzò l’idea di
chiedere aiuto o supporto a lui.
Contò meccanicamente i dollari e se ne mise 5 in tasca
mentre, con decisione, si vietava di chiedere aiuto a chicchessia:aveva sempre
fatto tutto da solo da quando aveva 4 anni, non riusciva a concepire una realtà
diversa da quella.
Prese le chiavi e si preparò ad uscire ma, prima di chiudere
la porta, percorse con lo sguardo l’anticamera, con le sue pareti bianche,
ancora con i segni dei quadri che erano stati li appesi, una volta.
“Le
vecchie abitudini non muoiono mai ma..chissà se mi riabituerò mai a tutto
questo, a queste 4 mura..” pensò John mentre usciva e chiudeva la
porta.
Si
svegliò di soprasalto: si sentiva la gola secca e riarsa.
Al buio John tastò il letto, per rendersi conto che si
trovava davvero a casa sua.Si
accorse che era andato a dormire vestito di tutto punto e si chiese che ora
avesse fatto.
La sete che lo tormentava pareva inestinguibile: provò a
deglutire ma non ci riuscì:trovava seccante l’idea di doversi alzare per andare in
cucina, ma se voleva dormire sonni tranquilli, doveva farlo.
Ancora inebetito dal sonno, John si mise a sedere e si prese
la testa fra le mani: non riusciva a focalizzare cosa lo avesse fatto andare a
dormire vestito di tutto punto. Buio totale…in tutti i sensi.
A
tastoni cercò l’interruttore dell’abat-jour che aveva comprato,
ma non lo trovò. Si lasciò sfuggire un’imprecazione, mentre si alzava al buio e
cercava alla cieca l’interruttore, tastando il muro come un cieco. Ancora una
volta, nessun risultato.
Sospirando, John aprì la porta della sua stanza dirigendosi
in cucina ma, quando arrivò nell’ingresso, udì delle voci sommesse provenire
dalla cucina e rimase impietrito. Al buio riusciva a vedere il rettangolino di
lice provenire da sotto la porta ed i mormorii provenienti dalla stanza. Nel
buio più completo, John si ritrovò a chiedersi cosa diamine stesse succedendo
“Che siano dei ladri?” pensò, avvicinandosi in punta di piedi alla porta “Com’è
possibile? Li avrei sentiti entrare..” Poi ripensò al buio totale che permeava i
ricordi di come fosse rientrato in casa e si preoccupò ulteriormente.
“Qui non c’è proprio niente da rubare, hanno sbagliato posto.” Considerò,
rievocando l’immagine del suo spoglio appartamento.
Il parlottio oltre la porta si fece più concitato e John
decise che doveva assolutamente sapere cosa stesse succedendo là dentro. La
porta si aprì lentamente, con quel familiare cigolio che l’aveva sempre
contraddistinta.
La scena che si presentò davanti agli occhi di John aveva i
contorni indefiniti di un sogno, ma ben presto capì che quella nebulosità era
dovuta al fumo che riempiva la stanza con una coltre spessa.
“Ma guarda chi si vede…” bisbigliò una voce familiare, che
aveva infestato gli incubi di John per anni “il piccolo pettirosso spaventato!
Non ti smentisci mai, eh? Sempre la solita faccia da ragazzetto
impaurito…”
Blake rimase impietrito mentre la figura assumeva
contorni più definiti; il familiare ghigno di Roger, che aveva visto così
chiaramente quando lui si era acceso quel sigaro, anni prima, fu la cosa che
catturò di più la sua attenzione.
Roger non sembrava essere invecchiato e, se era per questo,
aveva pure lo stesso cappotto lungo, di colore nero. Alla cintura una rivoltella
che aveva già visto.
“Ora non ci sono più nascondigli, figliolo.” Riprese Roger
con una lentezza disarmante, aspirando una lunga boccata dal suo sigaro “non ci
sono più poliziotti pronti a salvarti. Ora che farai?”
Lo
smarrimento di John durò solo un attimo ; con gesto meccanico estrasse dalla
fondina della sua divisa d’ordinanza che lo qualificava come poliziotto di
Gotham City,la pistola che gli avevano assegnato dopo aver finito il corso
preparatorio, che lo aveva impegnato per qualche anno.
“No.
Ora siamo io e te. E, per la cronaca, ora sono l’agente
Blake.”
“Terra
chiama Blake. Ehi, di casa? Terra chiama Blake!” abbaiò qualcuno alla segreteria
telefonica.
John sollevò il viso che aveva appoggiato alle sue braccia:
si era appisolato in cucina mentre leggeva. Con un movimento rapido afferrò la
cornetta
“Frank?” chiese ritrovando subito la lucidità.
“Oh,
grazie al cielo John, cominciavo a perdere le speranze.” Sbottò
Frank.
“Scusami, mi ero appisolato al tavolo.”
“Tanto lavoro e niente riposo rende Jack un
ragazzo triste” cantilenò Frank “Comunque ti ho telefonato per confermarti il turno
di stasera, Mr. Stakanovista
.”
“Si, lo immaginavo. Probabilmente la dormita che ho fatto è
stata provvidenziale.”
“Eh
già, con la grande mole di lavoro che abbiamo da sorbirci c’è da pregare che tu
non ti addormenti durante una sparatoria” rispose Frankie in tono ironico “Va
là, John..il massimo rischio che puoi correre al lavoro è di essere l’ennesima vittima della macchinetta del caffè impazzita.
Sono quasi sicuro che
l’ultima volta che ha sputato caffè da tutte le parti,se fossi stato qualche
centimetro più a sinistra, mi avrebbe procurato un’ustione. Non c’è più
gusto a fare il poliziotto, era quasi meglio quando qualche pazzo si metteva in
testa di radere al suolo la città.”
“Già, già.” Convenne John appoggiandosi al bancone della
cucina “allora devo entrare alle 21:00, come sempre?”
“Esatto John. Io stasera non ci sono, ma penso tu lo sappia.
In realtà stasera sono quasi tutti a casa.”
“Già, il “Dent-Day..” ricordò John.
“Precisamente.
Gli altri a casa e voi poveri stronzi a passare la serata in ufficio a non ricevere segnalazioni. Nemmeno il commissario sarà
dei vostri stasera.”
“Si, lo sapevo. E’ invitato alla commemorazione di Harvey
Dent a Villa Wayne, vero?”
Frank sbuffò “Commemorazione un accidente. Due paroline
accorate, qualche lacrimuccia e poi un bel rinfresco per archiviare la “pratica”
fino all’anno prossimo.”
John rise “Va bene Frank, ti lascio alle tue considerazioni.
Io mangio un boccone e vengo in centrale.”
“Ci si vede, Blake.”
John
riattaccò e aprì il frigo, alla ricerca di qualcosa da preparare in poco tempo.
Erano le sette e mezza, aveva fatto ben più di un semplice sonnellino. Le
braccia anchilosate erano una valida conferma.
John
Blake guidava per le strade di
Gotham; qua e là faceva bella mostra di sé uno striscione con su stampato il
volto di Harvey Dent, la stessa foto che era stata usata per la sua campagna
elettorale e che campeggiava sulla sua tomba, meta fissa dei suoi
devoti.
Gotham aveva dimostrato ancora una volta la sua diversità
rispetto a tutte le altre città del globo: laddove si commemorava la nascita di
un qualche personaggio di spicco ,Gotham (nella sua miglior tradizione macabra)
ne commemorava la morte.
Oh, certo non era quello che scrivevano sugli opuscoli e
sulle guide della città.
“Il Dent-Day è la commemorazione del
sacrificio di un uomo integerrimo, un uomo che aveva fatto della giustizia il
suo punto di riferimento. Un uomo che ha dato la vita per proteggere questo
innegabile valore a cui tutti dovrebbero aspirare. Ricordiamo Harvey Dent. Crediamo ancora in Harvey
Dent! ” Anche a distanza di anni dall’ultima volta in cui aveva letto un simile
opuscolo, John poteva recitare a mente la manfrina.
Una particolare che gli opuscoli tendevano ad omettere era
il modo in cui Harvey Dent aveva dato la vita per la sua amata giustizia. John
aveva iniziato da poco il corso per l’accettazione fra le forze di polizia,
quando il criminale Joker aveva fatto la sua comparsa.
Quel
clown folle, che ora marciva dentro qualche cella nelle viscere dell’Arkham
Asylum, aveva letteralmente messo in ginocchio la città e Batman, il Commissario
Gordon e Harvey Dent si erano ritrovati soli a fronteggiare un criminale che
sembrava aver messo radici ovunque. Non ci si poteva fidare di nessuno, la
notizia che alcuni membri della polizia avevano addirittura collaborato con quel criminale aveva
esasperato i cittadini, che si erano sentiti davvero rivoltare le viscere dalla
paura. Joker aveva ucciso personalità importanti ed era arrivato quasi ad uccidere lo
stesso Dent.
Forse la morte sarebbe stata preferibile: Dent aveva perso
tutto, aveva perso la sua fidanzata ed era rimasto orrendamente sfigurato in una
parte del volto (come avevano riportato i giornali). Era cominciata una strenua
lotta per ristabilire l’equilibrio a Gotham ma qualcosa era andato
storto.
Batman si era rivelato per quello che era: un criminale. Era
riuscito a fregare tutti: il commissario Gordon, Harvey Dent, la gente di
Gotham…
Aveva collaborato con Joker fin dall’inizio per seminare il
panico in città, probabilmente smanioso di avere la sua fetta di torta ed era
arrivato ad uccidere lo stesso Dent, dopo che questi, uscito coraggiosamente
dall’ospedale in procinto di esplodere, aveva cercato di salvare i figli del
commissario Gordon, che lo stesso Batman aveva rapito e portato nello
luogo dove la fidanzata di Dent era morta, come se fosse un macabro scherzo.
Tuttavia, quando aveva capito che le cose non si sarebbero messe bene per lui,
Batman era semplicemente sparito, dopo aver freddato il procuratore
distrettuale.
All’indomani della morte di Dent, la città di Gotham aveva
perso un falso idolo, ma aveva trovato qualcosa di più: avevano trovato qualcosa
in cui credere, avevano trovato la speranza che, anche in una città oscura come
Gotham, si potevano ancora trovare uomini giusti. Non cavalieri oscuri come
Batman, ma veri e propri paladini dal volto pulito e dalla corazza splendente.
La
morte di Dent, per quanto tragica, aveva smosso qualcosa negli animi della
gente: subito dopo la sua morte, era stato promulgato il Dent-Act, che prevedeva
un inasprimento delle pene dei criminali, in un timido tentativo di scoraggiare
la malavita. Gotham aveva stretto i denti, aspettandosi una feroce rappresaglia
che non era mai avvenuta. Così come un ingranaggio inceppato riprende piano
piano la sua funzione ancora meglio di prima, Gotham aveva ricominciato a vivere
tranquilla, con i crimini in vertiginosa diminuzione e tutto grazie
al sacrificio di un uomo giusto, la cui morte andava commemorata come una sorta
di scongiuro.
John Blake pensava tutto questo, mentre la sua macchina si
faceva strada per le vie di Gotham. Si era sorbito quella storia per anni e,
tuttavia, non riusciva a venirne a capo. C’era qualcosa che non quadrava in
questo quadro idilliaco di morte e “rinascita”, qualcosa che riguardava
Batman.
Ricordava
lo sgomento che lo aveva pervaso, quando aveva letto sul giornale quelle cose
tremende sul giustiziere mascherato, pubblicamente “bandito”, la sua luce sul
commissariato di Gotham pubblicamente fatta a pezzi, come a sancire la sua
cacciata.
John scosse la testa, mentre per l’ennesima volta si poneva
una domanda che era destinata a rimanere senza risposta. Alla polizia, quando
aveva cercato di dire la sua in proposito, aveva ricevuto in premio occhiate
astiose e commenti velenosi. Era un argomento tabù: si poteva parlare di Batman
solo nel caso di avvistamenti, poiché avevano l’ordine di catturare Batman
appeso in bacheca da anni, perché ogni altra parola su di lui sarebbe stata
superflua.
Parcheggiò la sua macchina nella zona riservata ai poliziotti ed entrò nella
centrale che, come aveva previsto, era semi deserta.
“Ciao
John.” Lo salutò Charlie Bowers, anche lui di servizio notturno “ ci aspetta una
nottata terribilmente noiosa, temo.”
“Si, Frank me ne ha già parlato. Siamo solo io e te?” si
informò l'altro prendendo posto alla scrivania che condivideva con un altro
collega.
“Troy e Gary sono di pattuglia. Bah, benzina
sprecata dico io. Non succede mai nulla in questa città. Credo che comincerò a
pregare per qualche catastrofe, tanto per avere le mani e la mente
occupata.”
“Prega pure, ma le scartoffie di rito non si riempiono da
sole.” Osservò John lanciando un’aria preoccupata alla montagna di pratiche
inutili che il suo collega aveva premurosamente lasciato lì per lui.
Charlie roteò gli occhi “Cristo santo John. Ti ho appena
detto che è una serata noiosa, vuoi farla diventare una serata da
suicidio?”
John
rise mentre, controvoglia, prendeva una penna e trasportava la pila di fogli
sulla sua scrivania “Non avevi detto di volere le mani e la mente occupati?
Questo è il modo giusto.”
Dovevano essere passate delle ore, quando John rimise la penna al suo posto e
lanciòun’occhiata esausta alle pratiche che aveva esaminato e firmato. Non si era
lasciato distrarre da nulla e ora poteva concedersi un caffè
ristoratore. Guardò al di là del vetro che
separava gli uffici e si rese conto che Charlie era crollato sulla pila immane
di pratiche. Sorridendo e scuotendo la testa, John fece per dirigersi verso la
saletta con la macchina del caffè, ma lo squillo del telefono lo fece
sussultare.
John guardò nervosamente l’ora; era quasi l’una di notte,
chi poteva mai essere?
“Polizia di Gotham city.” Rispose John in tono
professionale, sollevando la cornetta.
“Mio
marito è sparito! Doveva essere qui
un’ora fa ed non c’è! Dovete fare
qualcosa!” la voce isterica di una donna lo investì e John allontanò d’istinto
la cornetta dal suo orecchio.
“Si calmi signora, si calmi. Una persona non può essere
dichiarata come ufficialmente sparita se non sono passate almeno 24 ore. Si
calmi e mi dica cosa è successo.”
Mentre
la donna abbaiava al telefono qualche frase sconnessa, John lanciò un’occhiata
nel corridoio. All’attaccapanni c’era un cappotto che riconobbe come quello del
Commissario Gordon. La luce nel suo ufficio era accesa, ma non riusciva a
vederlo. Mentre la donna continuava a parlare, John aspettò che il Commissario
uscisse dal bagno o dalla sala delle macchinette per il caffè, ma non fu così.
C’era un solo posto dove poteva essere andato.
L’aria
sulla terrazza del commissariato era più fresca e John rabbrividì
istantaneamente, mentre varcava la soglia delle scale e metteva piede sulla
terrazza. Il Commissario era proprio dove lui aveva ipotizzato, accanto ad un
riflettore, con il vetro in pezzi.
Quel
riflettore.
“Signore” esordì John “la moglie del parlamentare Gilly dice
che il marito non è rientrato, dopo l’evento della fondazione Wayne.”
Il commissario Gordon lo fissò per un attimo, distogliendo
lo sguardo dal foglio che stava leggendo, per poi arrotolarlo e metterselo in
tasca.
“E’ un lavoro per la polizia..” commentò in tono
stanco.
“Quando lei e Dent avete ripulito le strade avete fatto un
buon lavoro” osservò John fissando il Commissario con un mezzo sorriso stampato
in volto “ Presto daremo la caccia a quelli che non restituiscono in tempo i
libri della biblioteca.”
“Ha!” rispose il Commissario, mettendosi sotto braccio un
bloc-notes, l’aria palesemente divertita.
“Eppure..eccola qui.” Continuò John, avvicinandosi
lentamente al suo capo “Come se fossimo ancora in guerra.”
John non proseguì oltre, quando vide che il commissario si
era mosso a sua volta verso di lui. Per un attimo si chiese se lo avesse
irritato, ma il tono conciliante con cui il commissario gli rivolse la parola lo
tranquillizzò.
“Come ti chiami, figliolo?”
“Blake, signore.”
“C’è qualcosa che volevi chiedermi, agente
Blake?”
John indugiò per un attimo, osservando il volto del
commissario, prematuramente segnato dalle rughe. Poi trovò il coraggio di
chiedergli qualcosa che, fino a quel momento aveva tenuto solo per
sé.
“Si
tratta di questa notte, otto anni fa. La notte in cui morì Harvey Dent, l’ultimo
avvistamento di Batman. Uccide quelle persone, fa fuori due squadre Swat, spezza
il collo a Dent e poi…svanisce?”
Gordon
lo fissò attentamente “Qual è la domanda?”
“Non vuole sapere chi era?” chiese Blake osservandolo a sua
volta. Se avesse parlato così, anni prima, ad un suo insegnante, sarebbe stato
chiamato subito insolente e messo in punizione.
Con sua sorpresa, il tono del Commissario non cambiò. “So
esattamente chi fosse.” Commentò lanciando un’occhiata a quello che restava del
Bat-Segnale e toccandone un’estremità in modo affettuoso “Era
Batman.”
Il Commissario sorrise a John, mentre si incamminava verso
la porta dalla quale era entrato “Beh, andiamo a parlare con la moglie del
parlamentare Gilly..”
John
lo osservò sparire dietro la porta, con ancora più dubbi di
prima.
E
anche questa meta è stata raggiunta. Mi dispiace un po’ sapere che il prossimo
capitolo sarà l’ultimo ma….all good
things must come to an end (Good, ma dove?!) Spero di non dovervi fare
attendere così tanto per il prossimo capitolo (o forse si?) e spero di potermi
anche mettere in pari con le recensioni in tempi
ragionevoli.
L’ultima parte del capitolo, la conversazione
fra Blake e il commissario, è presa pari pari dal film.La prima parte ho dovuto
“ricostruirla” cercando le citazioni del film, la seconda parte eccola qui
http://www.youtube.com/watch?v=TY4ad1GqBy0,
tradotta liberamente da me (non è uguale al doppiaggio del film ma…penso vada
bene)
Bene,
detto questo vi saluto e vi anticipo che nelle “note” del prossimo capitolo ci
sarà una “chicca” che mi ha ispirato molto nella stesura dei capitolin(è un
sottofondo musicale con video di TDKR ma….taccio). Besos!
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