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Autore: Ariadne_Bigsby    05/12/2012    1 recensioni
{OTTAVO CAPITOLO AGGIORNATO}
(ATTENZIONE, LA STORIA CONTIENE SPOILER)
Una Fan Fiction basata sul monologo di John Blake a Wayne Manor: l'infanzia "arrabbiata" di John, la perdita dei genitori, la scoperta dell'identità di Batman, la sua idea di giustizia e la sua crescita, da me immaginate ed elaborate in questa storia che ingloba luoghi e personaggi del film.
“John Blake hai detto? Ma, è il tuo cognome o quello della tua famiglia adottiva?”
“E’ il mio..”rispose Blake a voce bassa.
“Beh, è strano! Qui c’è un John Cain e un John Maislee, ma nessun John Blake.”
Blake si morse di nuovo il labbro e, senza volerlo, assunse un’aria colpevole che non passò ignorata da Shannon.
“Allora…non vuoi dirmi chi sei?” gli chiese in tono gentile. Quante volte aveva avuto a che fare con bambini del genere, che si rifiutavano di usare il loro cognome, usando quello della famiglia adottiva, quasi a voler rinnegare le loro origini?
“Robin. Mi chiamo Robin Blake..” cedette alle fine il bambino, abbassando gli occhi.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Batman aka Bruce Wayne, James Gordon, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: Spoiler!
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Chiedo perdono per il mostruoso ritardo con cui pubblico questo capitolo, l’Università non mi ha mai lasciato un attimo di respiro! Quello che conta è che, finalmente, sono riuscita a copiare questo enorme capitolo e a pubblicarlo! Yeeeeee!

Non vi trattengo oltre, vi lascio alla foto e…via col penultimo capitolo!

Photobucket

The Dark Knight.

John sospirò sollevato quando anche l’ultima maglia fu riposta ordinatamente nella sua valigia sdrucita. Con un sorriso soddisfatto  si sedette davanti alla scrivania, una scrivania troppo piccola per lui da quando aveva compiuto sedici anni.

Lanciò un’occhiata alla stanza, come se volesse imprimersi nella mente tutti i particolari di quel cubicolo grigio che lo aveva ospitato per 8 anni, con tutte le sue crepe, le macchie d’umido e i graffiti di qualche precedente occupante.

Quella era la sua ultima notte al St.Switin’s poiché John aveva raggiunto la maggiore età e concluso gli studi:adesso era il momento di fare una scelta.

“Allora , finalmente ci siamo!” gli aveva detto Mattatias Shannon, dopo averlo convocato nel suo ufficio pochi giorni prima. Shannon, col passare degli anni, si era affezionato a John ed era stato l’unico a capire che, quella che gli veniva continuamente rimproverata, non era semplice arroganza.

“Già Padre.” Aveva convenuto lui mettendo le mani nella tasca della felpa.

Padre Shannon si sporse verso il ragazzo, dalla scrivania “E hai già deciso cosa vuoi fare?”

John non rispose subito e Padre Shannon, cogliendo l’occasione al volo, continuò a parlare “Sai che con la borsa di studio che hai vinto non ci sarebbero problemi per il proseguimento della tua istruzione. Per esempio potresti essere un ottimo insegnante! Con i bambini hai pazienza, ti ho visto molte volte aiutarli con i compiti o tirare su qualche piccolo un po’ giù di corda. Credo che come insegnante saresti perfetto! Sei attento, premuroso e paziente. Non si direbbe per un ragazzo che ha dato filo da torcere a tutti gli insegnanti della sua classe, eh?” terminò in modo scherzoso Padre Shannon, ammiccando appena.

John sorrise, palesemente divertito.

“No Padre, non è quello che voglio fare.”

Padre Shannon rimase interdetto per pochi secondi ed un pensiero attraversò la sua mente. Cercò lo sguardo dell'altro e vi lesse una risposta più che chiara.

“Ah, quello dici?”

John non poté non notare una lieve nota di delusione nella voce di Shannon, mentre gli annuiva, il sorriso sparito dalla sua faccia.

“Posso usufruire della borsa di studio anche per quello .” Rispose imitando il tono di Mattatias.

“Beh, d’altronde dovevo aspettarmelo. Lo dici da troppo tempo perché si possa definire una “fissazione” da bambino..”

“Mai stato un bambino.” Disse John cercando di usare un tono scherzoso e fallendo miseramente.

Mattatias guardò il ragazzo che gli stava di fronte: in quegli anni lo aveva osservato attentamente e gli si era affezionato ma, per quantoil ragazzo fosse cresciuto fisicamente o mentalmente, non riusciva a vederlo diverso da quel bambino che si teneva a distanza da tutti gli altri.

Ma ora era diverso, ora doveva guardare in faccia la realtà: quel bambino ora poteva uscire dal St.Switin’s e sarebbe diventato un uomo “libero” non appena avrebbe varcato la soglia. Un uomo libero di fare le sue scelte ed i suoi errori.

Perché, per Mattatias Shannon, la scelta di Blake era un errore: come poteva farsi condizionare la vita a quel modo? Perché diamine buttare al vento un futuro brillante per una carriera che gli avrebbe fatto rivivere ogni giorno quello che gli era accaduto in passato?

“Lo so Blake. Non ti nascondo però che avrei auspicato altro per te. Un lavoro sereno, una bella ragazza, una famiglia..”

John rise “Non vado a fare l’eremita in Tibet! E per quanto riguarda la ragazza e la famiglia..mi dia tempo, ho  diciotto anni!”

Padre Shannon fece un sorrisino un po’tirato, ma poi tornò serio.

“Come farai per mantenerti, prima di iniziare a lavorare, quando sarai ancora al corso? La borsa di studio non può certo coprire tutte le spese!”

“Ho già pensato anche a questo. Troverò un lavoro part-time, così non dovrò preoccuparmi, finché non comincio sul serio. Non farò una vita da nababbo, magari sentirò un po’ il freddo d’inverno e rinuncerò a qualche altro piccolo lusso…ma me la caverò.”

“Sei già passato al municipio per le faccende burocratiche?” si informò Shannon rilassandosi un poco.

John ebbe un lieve fremito “No, non ancora. Contavo di farlo domani.”

Il pensiero di rimettere piede nella sua vecchia casa, con i mobili coperti da lenzuola bianche e lise lo inquietava non poco.

“Non sei obbligato ad andarci.” Gli disse Shannon intuendo il suo turbamento.

“No, Padre.”rispose in tono risoluto “devo farlo. Diciamo che…che fa parte della mia crescita.”

“Ti vedo sempre bambino, Blake. Un bambino spaurito ed arrabbiato.” Disse Shannon in tono nostalgico “c’è una cosa che ti voglio chiedere.”

“Mi dica.”

“Ormai ne è passato di tempo..”principiò Shannon, cercando di trovare le parole giuste da dire “perché non vuoi ancora che ti chiamino..”

John, che si era accigliato mentre realizzava dove Mattatias Shannon voleva andare a parare, lo fermò.

“No, Padre non ho nessuna intenzione di cambiare il modo in cui mi faccio chiamare.”

“Ma è il tuo nome legale!” protestò Shannon.

“E il nome di mio padre è il mio secondo nome legale e farò in modo che tutti mi conoscano solo con questo."

“Non ti si può proprio smuovere, eh?”

“No Padre. Ormai dovrebbe saperlo che sono un testardo” rispose John sfoderando di nuovo un sorriso. “ora, se non le dispiace, è meglio che vada. Em e Dennis partono e vorrei andarli a salutare.”

Emily e Dennis, alla fine, si erano messi insieme (Em non aveva mai trovato il coraggio di dichiararsi a John ed aveva anche capito che lui non si sarebbe mai interessato a lei) ed avevano deciso di lasciare Gotham per cercare fortuna da qualche altra parte. E come dar loro torto?

“Va bene John” annuì Mattatias volgendo di nuovo lo sguardo ad alcuni compiti da correggere, sparsi sulla sua scrivania “salutali anche da parte mia e scusati per la mia assenza. Devo assolutamente correggere questa roba.”

John annuì e uscì silenziosamente.

John svoltò a destra, imboccando una strada decisa all’ultimo momento: il distacco dall’orfanotrofio era stato più complesso del previsto, sotto alcuni punti di vista.

Un plotone di bambini lo aveva abbracciato, gli si erano avvinghiati addosso tutti insieme, strappandogli la promessa che sarebbe venuto a trovarli per fargli da allenatore di baseball, gli insegnanti si erano congedati tutti con un gelido formalismo, mentre Shannon lo aveva abbracciato calorosamente.

“Senti Blake.” Gli aveva detto sciogliendosi dall’abbraccio e rovistando in tasca “ so che avrai bisogno di spostarti, quindi ho deciso di farti un prestito.”

John lo guardò senza capire, ma quando vide Shannon tirare fuori dalla tasca le chiavi di una macchina,c si oppose.

“Oh no,  io non posso...”

“E non cominciare con i “se “ e con i “ma”! “lo rimbrottò Shannon in finto tono di rimprovero “Non farti venire strane idee, ragazzino. Questo è solo un prestito! E’ solo che io non la uso mai e se ne sta qui a prendere polvere e basta.” Continuò porgendogli le chiavi “Quando potrai permettertene una me la restituirai.”

John deglutì, commosso “Grazie Padre.”

Ora, guidava da circa un quarto d’ora, alla ricerca della strada per arrivare al luogo che gli interessava. Aveva fatto una piccola sosta per comprare una cosa ed era ripartito in fretta.

Ovviamente non poteva concedersi il lusso di un navigatore e doveva trovare il posto facendo affidamento sulla sua memoria e sulla sua abilità nel fare gimcane nel traffico perennemente congestionato di Gotham.

Alla fine trovò il posto, dopo aver imboccato diverse strade sbagliate e sentì il cuore accelerare di qualche battito, mentre parcheggiava la macchina e guardava fuori dal finestrino.

I suoi passi risuonarono sulla ghiaia color grigio sporco, mentre John entrava nel piccolo cimitero.

Guardò a destra e a sinistra, osservando le persone venute a rendere omaggio ali loro cari: un’anziana donna in piedi davanti ad una croce bianca, una famiglia con un bambino al seguito che accendeva un cero su una lapide di marmo scuro ed un’altra donna, sui 40, che spazzava le foglie morte da un’altra lapide.

A passo sicuro si diresse verso l’estrema destra del cimitero, ascoltando lo scricchiolare dei sassolini sotto le sue scarpe: in quel silenzio carico di mille ricordi e pensieri, gli sembrò assordante.

Si fermò davanti ad una semplice lapide che una volta era stata bianca ma che, col tempo e con l’incuria, si era ingiallita e sbeccata.

Dove prima riposava Margery Blake, con una foto che la ritraeva felice ed una semplice scritta nera ad indicare il nome, la data di nascita e quella della morte, era stato posto anche suo marito.

Il contrasto fra le due foto era notevole; mentre la Sig.ra Blake rideva come se avesse appena sentito la cosa più divertente al mondo, il signor Blake era serio, con le rughe che gli avevano prematuramente segnato il volto.

John ricordò che quella era la foto che suo padre allegava in tutti i curriculum vitae che presentava nella vana speranza di essere assunto da qualche parte anche perché, nella vita che lui e suo padre avevano condotto dopo la morte della signora Blake, non c’erano mai stati momenti da immortalare.

Si chinò sulla lapide e passò la mano sulle foto, per togliere la patina di polvere e sporco “Avrei dovuto portare uno straccio.” Si disse mentre grattava via la sporcizia dal marmo ingiallito “domani lo farò.”

Si chinò sula lapide e, con estrema cura, mise il mazzo di fiori che aveva comprato,nel vaso di ottone della tomba, un vaso che era rimasto vuoto troppo a lungo.

John rimase fermo, in piedi, davanti ai suoi genitori, lasciando che il vento autunnale gli scompigliasse i capelli.

La chiave girò a fatica nella toppa, proprio come John ricordava. Non si perse d’animo quando questa parve incepparsi e, come aveva fatto tante altre volte anni prima, pose il palmo della mano destra sotto la serratura e spinse continuando a tenere la chiave girata,

La porta si aprì e, dopo aver preso la sua valigia, entrò in quell’appartamento, vuoto da anni.

Non faceva salti di gioia all’idea di rimettere piede in un luogo così denso di ricordi ma, pensandoci razionalmente, poteva considerarsi fortunato:non era da tutti avere una base così stabile, specie se eri un fresco diplomando di un orfanotrofio.

John arricciò il naso: c’era una puzza di chiuso che permeava l’ambiente e ci sarebbe voluto del bello e del buono per farla andare via.

“Tanto vale che cominci subito” Si disse  dirigendosi verso il salotto e spalancando la finestra.

Ripeté l’operazione per ogni stanza, degnando appena di un’occhiata i teli bianchi che coprivano il poco mobilio rimasto (poiché una parte era stata venduta anni prima per pagare i debiti contratti dal Signor Blake.)

John spalancò le finestre della sua vecchia cameretta(prendendo mentalmente nota del fatto che si ricordava l’esatta collocazione di ogni singolo sgraffio del parquet) del piccolo bagno e della camera da letto di suo padre, lasciando la cucina per ultima.

La porta era chiusa e Blakeindugiò per qualche secondo, la mano stretta sul pomello di ferro arrugginito, prima di decidersi ad aprirla.

Aveva quasi paura di cosa avrebbe potuto vedere, avvertiva questo strano senso di inquietudine, lo stesso che provava anni prima, quando si trascinava in cucina per prendere dell’acqua e si sentiva trafiggere la schiena dalle occhiate malevole che gli scoccavano gli ospiti di suo padre.

Quando aprì la porta, tuttavia, rimase quasi deluso nel constatare quanto quella cucina sembrasse banale e scialba senza il tavolo tondo al centro e quelle 4 o 5 sedie spaiate intorno.

Aprì la finestra e contemplò per un attimo il palazzo di fronte al suo, un fabbricato che ricordava essere colorato di bianco, ma che ora era di un grigio smorto e scalcinato in più punti, destino che accomunava tutti i palazzi di Gotham

Guardò il mondo che una volta conosceva, le forme di palazzi che gli erano familiari, illuminati dalla luce settembrina del tardo pomeriggio.

Con un sospiro si tolse la giacca rosso scuro e fece per lasciarla sulla sedia, come faceva anni prima.

Quando questa cadde con un tonfo lieve, poiché non c’era alcuna sedia, John rimase per un attimo impalato a fissarla e poi scoppiò in una risatina.

“Le vecchie abitudini non muoiono mai.” Disse fra sé e sé, chinandosi a raccogliere la giacca. Poi si accorse che mancavano anche il frigo ed il fornello e si mise a ridere quasi istericamente.

“Già, bravo John, cosa pensavi di fare?” si disse, continuando a ridere incontrollabilmente “sarà bene che chiami un fattorino per una pizza..” spostò lo sguardo verso il banco cucina, dove il telefono stava abitualmente, solo per constatare che non c’era neanche quello e questo lo fece ridere ancora di più.

“Sarà bene che controlli se mi hanno almeno attivato la luce elettrica, o ci sarà parecchio da ridere.” Pensò fra una risata e l’altra, arrancando verso l’interruttore.

La luce elettrica, fortunatamente, funzionava e questo parve placare l’ilarità di John.

“Dovrò comprare degli elettrodomestici prima o poi.” Si disse accarezzando il muro freddo e liscio “dovrò rimboccarmi le maniche, ci sarà parecchio da fare.”

Dopo un attimo di esitazione si infilò di nuovo la giacca ed estrasse dalla tasca il consunto portafoglio che gli era stato regalato anni addietro per un compleanno: la pelle si era lacerata in più punti ed il portafoglio era pieno di venature e di bolle d’aria, che avrebbero presto fatto staccare altri brani di pelle.

“E pensare che, quando me lo regalarono, mi parve chissà quale bene di lusso..” rimuginò John controllando rapidamente i dollari a sua disposizione.

Ricordava le parole che gli aveva rivolto Mattatias Shannon, pochi giorni prima che se ne andasse e, per un attimo, accarezzò l’idea di chiedere aiuto o supporto a lui.

Contò meccanicamente i dollari e se ne mise 5 in tasca mentre, con decisione, si vietava di chiedere aiuto a chicchessia:aveva sempre fatto tutto da solo da quando aveva 4 anni, non riusciva a concepire una realtà diversa da quella.

Prese le chiavi e si preparò ad uscire ma, prima di chiudere la porta, percorse con lo sguardo l’anticamera, con le sue pareti bianche, ancora con i segni dei quadri che erano stati li appesi, una volta.

“Le vecchie abitudini non muoiono mai ma..chissà se mi riabituerò mai a tutto questo, a queste 4 mura..” pensò John mentre usciva e chiudeva la porta.

Si svegliò di soprasalto: si sentiva la gola secca e riarsa.

Al buio John tastò il letto, per rendersi conto che si trovava davvero a casa sua.Si accorse che era andato a dormire vestito di tutto punto e si chiese che ora avesse fatto.

La sete che lo tormentava pareva inestinguibile: provò a deglutire ma non ci riuscì:trovava seccante l’idea di doversi alzare per andare in cucina, ma se voleva dormire sonni tranquilli, doveva farlo.

Ancora inebetito dal sonno, John si mise a sedere e si prese la testa fra le mani: non riusciva a focalizzare cosa lo avesse fatto andare a dormire vestito di tutto punto. Buio totale…in tutti i sensi.

A tastoni cercò l’interruttore dell’abat-jour  che aveva comprato, ma non lo trovò. Si lasciò sfuggire un’imprecazione, mentre si alzava al buio e cercava alla cieca l’interruttore, tastando il muro come un cieco. Ancora una volta, nessun risultato.

Sospirando, John aprì la porta della sua stanza dirigendosi in cucina ma, quando arrivò nell’ingresso, udì delle voci sommesse provenire dalla cucina e rimase impietrito. Al buio riusciva a vedere il rettangolino di lice provenire da sotto la porta ed i mormorii provenienti dalla stanza. Nel buio più completo, John si ritrovò a chiedersi cosa diamine stesse succedendo “Che siano dei ladri?” pensò, avvicinandosi in punta di piedi alla porta “Com’è possibile? Li avrei sentiti entrare..” Poi ripensò al buio totale che permeava i ricordi di come fosse rientrato in casa e si preoccupò ulteriormente.

“Qui non c’è proprio niente da rubare, hanno sbagliato posto.” Considerò, rievocando l’immagine del suo spoglio appartamento.

Il parlottio oltre la porta si fece più concitato e John decise che doveva assolutamente sapere cosa stesse succedendo là dentro. La porta si aprì lentamente, con quel familiare cigolio che l’aveva sempre contraddistinta.

La scena che si presentò davanti agli occhi di John aveva i contorni indefiniti di un sogno, ma ben presto capì che quella nebulosità era dovuta al fumo che riempiva la stanza con una coltre spessa.

“Ma guarda chi si vede…” bisbigliò una voce familiare, che aveva infestato gli incubi di John per anni “il piccolo pettirosso spaventato! Non ti smentisci mai, eh? Sempre la solita faccia da ragazzetto impaurito…”

Blake rimase impietrito mentre la figura assumeva contorni più definiti; il familiare ghigno di Roger, che aveva visto così chiaramente quando lui si era acceso quel sigaro, anni prima, fu la cosa che catturò di più la sua attenzione.

Roger non sembrava essere invecchiato e, se era per questo, aveva pure lo stesso cappotto lungo, di colore nero. Alla cintura una rivoltella che aveva già visto.

“Ora non ci sono più nascondigli, figliolo.” Riprese Roger con una lentezza disarmante, aspirando una lunga boccata dal suo sigaro “non ci sono più poliziotti pronti a salvarti. Ora che farai?”

Lo smarrimento di John durò solo un attimo ; con gesto meccanico estrasse dalla fondina della sua divisa d’ordinanza che lo qualificava come poliziotto di Gotham City,la pistola che gli avevano assegnato dopo aver finito il corso preparatorio, che lo aveva impegnato per qualche anno.

“No. Ora siamo io e te. E, per la cronaca, ora sono l’agente Blake.”

“Terra chiama Blake. Ehi, di casa? Terra chiama Blake!” abbaiò qualcuno alla segreteria telefonica.

John sollevò il viso che aveva appoggiato alle sue braccia: si era appisolato in cucina mentre leggeva. Con un movimento rapido afferrò la cornetta

“Frank?” chiese ritrovando subito la lucidità.

“Oh, grazie al cielo John, cominciavo a perdere le speranze.” Sbottò Frank.

“Scusami, mi ero appisolato al tavolo.”

Tanto lavoro e niente riposo rende Jack un ragazzo triste” cantilenò Frank “Comunque ti ho telefonato per confermarti il turno di stasera, Mr. Stakanovista .”

“Si, lo immaginavo. Probabilmente la dormita che ho fatto è stata provvidenziale.”

“Eh già, con la grande mole di lavoro che abbiamo da sorbirci c’è da pregare che tu non ti addormenti durante una sparatoria” rispose Frankie in tono ironico “Va là, John..il massimo rischio che puoi correre al lavoro è di essere l’ennesima vittima della macchinetta del caffè impazzita. Sono quasi sicuro che l’ultima volta che ha sputato caffè da tutte le parti,se fossi stato qualche centimetro più a sinistra, mi avrebbe procurato un’ustione. Non c’è più gusto a fare il poliziotto, era quasi meglio quando qualche pazzo si metteva in testa di radere al suolo la città.”

“Già, già.” Convenne John appoggiandosi al bancone della cucina “allora devo entrare alle 21:00, come sempre?”

“Esatto John. Io stasera non ci sono, ma penso tu lo sappia. In realtà stasera sono quasi tutti a casa.”

“Già, il “Dent-Day..” ricordò John.

“Precisamente. Gli altri a casa e voi poveri stronzi a passare la serata in ufficio a non ricevere segnalazioni. Nemmeno il commissario sarà dei vostri stasera.”

“Si, lo sapevo. E’ invitato alla commemorazione di Harvey Dent a Villa Wayne, vero?”

Frank sbuffò “Commemorazione un accidente. Due paroline accorate, qualche lacrimuccia e poi un bel rinfresco per archiviare la “pratica” fino all’anno prossimo.”

John rise “Va bene Frank, ti lascio alle tue considerazioni. Io mangio un boccone e vengo in centrale.”

“Ci si vede, Blake.”

John riattaccò e aprì il frigo, alla ricerca di qualcosa da preparare in poco tempo. Erano le sette e mezza, aveva fatto ben più di un semplice sonnellino. Le braccia anchilosate erano una valida conferma.

 

John Blake guidava  per le strade di Gotham; qua e là faceva bella mostra di sé uno striscione con su stampato il volto di Harvey Dent, la stessa foto che era stata usata per la sua campagna elettorale e che campeggiava sulla sua tomba, meta fissa dei suoi devoti.

Gotham aveva dimostrato ancora una volta la sua diversità rispetto a tutte le altre città del globo: laddove si commemorava la nascita di un qualche personaggio di spicco ,Gotham (nella sua miglior tradizione macabra) ne commemorava la morte.

Oh, certo non era quello che scrivevano sugli opuscoli e sulle guide della città.

Il Dent-Day è la commemorazione del sacrificio di un uomo integerrimo, un uomo che aveva fatto della giustizia il suo punto di riferimento. Un uomo che ha dato la vita per proteggere questo innegabile valore a cui tutti dovrebbero aspirare. Ricordiamo  Harvey Dent. Crediamo ancora in Harvey Dent! ” Anche a distanza di anni dall’ultima volta in cui aveva letto un simile opuscolo, John poteva recitare a mente la manfrina.

Una particolare che gli opuscoli tendevano ad omettere era il modo in cui Harvey Dent aveva dato la vita per la sua amata giustizia. John aveva iniziato da poco il corso per l’accettazione fra le forze di polizia, quando il criminale Joker aveva fatto la sua comparsa.

Quel clown folle, che ora marciva dentro qualche cella nelle viscere dell’Arkham Asylum, aveva letteralmente messo in ginocchio la città e Batman, il Commissario Gordon e Harvey Dent si erano ritrovati soli a fronteggiare un criminale che sembrava aver messo radici ovunque. Non ci si poteva fidare di nessuno, la notizia che alcuni membri della polizia avevano addirittura collaborato con quel criminale aveva esasperato i cittadini, che si erano sentiti davvero rivoltare le viscere dalla paura. Joker aveva ucciso personalità importanti ed era arrivato quasi ad uccidere lo stesso Dent.

Forse la morte sarebbe stata preferibile: Dent aveva perso tutto, aveva perso la sua fidanzata ed era rimasto orrendamente sfigurato in una parte del volto (come avevano riportato i giornali). Era cominciata una strenua lotta per ristabilire l’equilibrio a Gotham ma qualcosa era andato storto.

Batman si era rivelato per quello che era: un criminale. Era riuscito a fregare tutti: il commissario Gordon, Harvey Dent, la gente di Gotham…

Aveva collaborato con Joker fin dall’inizio per seminare il panico in città, probabilmente smanioso di avere la sua fetta di torta ed era arrivato ad uccidere lo stesso Dent, dopo che questi, uscito coraggiosamente dall’ospedale in procinto di esplodere, aveva cercato di salvare i figli del commissario Gordon, che lo stesso Batman aveva rapito e portato nello  luogo dove la fidanzata di Dent era morta, come se fosse un macabro scherzo. Tuttavia, quando aveva capito che le cose non si sarebbero messe bene per lui, Batman era semplicemente sparito, dopo aver freddato il procuratore distrettuale.

All’indomani della morte di Dent, la città di Gotham aveva perso un falso idolo, ma aveva trovato qualcosa di più: avevano trovato qualcosa in cui credere, avevano trovato la speranza che, anche in una città oscura come Gotham, si potevano ancora trovare uomini giusti. Non cavalieri oscuri come Batman, ma veri e propri paladini dal volto pulito e dalla corazza splendente.

La morte di Dent, per quanto tragica, aveva smosso qualcosa negli animi della gente: subito dopo la sua morte, era stato promulgato il Dent-Act, che prevedeva un inasprimento delle pene dei criminali, in un timido tentativo di scoraggiare la malavita. Gotham aveva stretto i denti, aspettandosi una feroce rappresaglia che non era mai avvenuta. Così come un ingranaggio inceppato riprende piano piano la sua funzione ancora meglio di prima, Gotham aveva ricominciato a vivere tranquilla, con i crimini in vertiginosa diminuzione e  tutto grazie al sacrificio di un uomo giusto, la cui morte andava commemorata come una sorta di scongiuro.

John Blake pensava tutto questo, mentre la sua macchina si faceva strada per le vie di Gotham. Si era sorbito quella storia per anni e, tuttavia, non riusciva a venirne a capo. C’era qualcosa che non quadrava in questo quadro idilliaco di morte e “rinascita”, qualcosa che riguardava Batman.

Ricordava lo sgomento che lo aveva pervaso, quando aveva letto sul giornale quelle cose tremende sul giustiziere mascherato, pubblicamente “bandito”, la sua luce sul commissariato di Gotham pubblicamente fatta a pezzi, come a sancire la sua cacciata.

John scosse la testa, mentre per l’ennesima volta si poneva una domanda che era destinata a rimanere senza risposta. Alla polizia, quando aveva cercato di dire la sua in proposito, aveva ricevuto in premio occhiate astiose e commenti velenosi. Era un argomento tabù: si poteva parlare di Batman solo nel caso di avvistamenti, poiché avevano l’ordine di catturare Batman appeso in bacheca da anni, perché ogni altra parola su di lui sarebbe stata superflua.

Parcheggiò la sua macchina nella zona riservata ai poliziotti ed entrò nella centrale che, come aveva previsto, era semi deserta.

“Ciao John.” Lo salutò Charlie Bowers, anche lui di servizio notturno “ ci aspetta una nottata terribilmente noiosa, temo.”

“Si, Frank me ne ha già parlato. Siamo solo io e te?” si informò l'altro prendendo posto alla scrivania che condivideva con un altro collega.

“Troy  e Gary sono di pattuglia. Bah, benzina sprecata dico io. Non succede mai nulla in questa città. Credo che comincerò a pregare per qualche catastrofe, tanto per avere le mani e la mente occupata.”

“Prega pure, ma le scartoffie di rito non si riempiono da sole.” Osservò John lanciando un’aria preoccupata alla montagna di pratiche inutili che il suo collega aveva premurosamente lasciato lì per lui.

Charlie roteò gli occhi “Cristo santo John. Ti ho appena detto che è una serata noiosa, vuoi farla diventare una serata da suicidio?”

John rise mentre, controvoglia, prendeva una penna e trasportava la pila di fogli sulla sua scrivania “Non avevi detto di volere le mani e la mente occupati? Questo è il modo giusto.”

Dovevano essere passate delle ore, quando John rimise la penna al suo posto e lanciòun’occhiata esausta alle pratiche che aveva esaminato e firmato. Non si era lasciato distrarre da nulla e ora poteva concedersi un caffè ristoratore. Guardò al di là del vetro che separava gli uffici e si rese conto che Charlie era crollato sulla pila immane di pratiche. Sorridendo e scuotendo la testa, John fece per dirigersi verso la saletta con la macchina del caffè, ma lo squillo del telefono lo fece sussultare.

John guardò nervosamente l’ora; era quasi l’una di notte, chi poteva mai essere?

“Polizia di Gotham city.” Rispose John in tono professionale, sollevando la cornetta.

“Mio marito è sparito! Doveva essere qui un’ora fa ed non c’è! Dovete fare qualcosa!” la voce isterica di una donna lo investì e John allontanò d’istinto la cornetta dal suo orecchio.

“Si calmi signora, si calmi. Una persona non può essere dichiarata come ufficialmente sparita se non sono passate almeno 24 ore. Si calmi e mi dica cosa è successo.”

Mentre la donna abbaiava al telefono qualche frase sconnessa, John lanciò un’occhiata nel corridoio. All’attaccapanni c’era un cappotto che riconobbe come quello del Commissario Gordon. La luce nel suo ufficio era accesa, ma non riusciva a vederlo. Mentre la donna continuava a parlare, John aspettò che il Commissario uscisse dal bagno o dalla sala delle macchinette per il caffè, ma non fu così. C’era un solo posto dove poteva essere andato.

 

L’aria sulla terrazza del commissariato era più fresca e John rabbrividì istantaneamente, mentre varcava la soglia delle scale e metteva piede sulla terrazza. Il Commissario era proprio dove lui aveva ipotizzato, accanto ad un riflettore, con il vetro in pezzi. Quel riflettore.

“Signore” esordì John “la moglie del parlamentare Gilly dice che il marito non è rientrato, dopo l’evento della fondazione Wayne.”

Il commissario Gordon lo fissò per un attimo, distogliendo lo sguardo dal foglio che stava leggendo, per poi arrotolarlo e metterselo in tasca.

“E’ un lavoro per la polizia..” commentò in tono stanco.

“Quando lei e Dent avete ripulito le strade avete fatto un buon lavoro” osservò John fissando il Commissario con un mezzo sorriso stampato in volto “ Presto daremo la caccia a quelli che non restituiscono in tempo i libri della biblioteca.”

“Ha!” rispose il Commissario, mettendosi sotto braccio un bloc-notes, l’aria palesemente divertita.

“Eppure..eccola qui.” Continuò John, avvicinandosi lentamente al suo capo “Come se fossimo ancora in guerra.”

John non proseguì oltre, quando vide che il commissario si era mosso a sua volta verso di lui. Per un attimo si chiese se lo avesse irritato, ma il tono conciliante con cui il commissario gli rivolse la parola lo tranquillizzò.

“Come ti chiami, figliolo?”

“Blake, signore.”

“C’è qualcosa che volevi chiedermi, agente Blake?”

John indugiò per un attimo, osservando il volto del commissario, prematuramente segnato dalle rughe. Poi trovò il coraggio di chiedergli qualcosa che, fino a quel momento aveva tenuto solo per sé.

“Si tratta di questa notte, otto anni fa. La notte in cui morì Harvey Dent, l’ultimo avvistamento di Batman. Uccide quelle persone, fa fuori due squadre Swat, spezza il collo a Dent e poi…svanisce?”

Gordon lo fissò attentamente “Qual è la domanda?”

“Non vuole sapere chi era?” chiese Blake osservandolo a sua volta. Se avesse parlato così, anni prima, ad un suo insegnante, sarebbe stato chiamato subito insolente e messo in punizione.

Con sua sorpresa, il tono del Commissario non cambiò. “So esattamente chi fosse.” Commentò lanciando un’occhiata a quello che restava del Bat-Segnale e toccandone un’estremità in modo affettuoso “Era Batman.”

Il Commissario sorrise a John, mentre si incamminava verso la porta dalla quale era entrato “Beh, andiamo a parlare con la moglie del parlamentare Gilly..”

John lo osservò sparire dietro la porta, con ancora più dubbi di prima.

E anche questa meta è stata raggiunta. Mi dispiace un po’ sapere che il prossimo capitolo sarà l’ultimo ma….all good things must come to an end (Good, ma dove?!) Spero di non dovervi fare attendere così tanto per il prossimo capitolo (o forse si?) e spero di potermi anche mettere in pari con le recensioni in tempi ragionevoli.

L’ultima parte del capitolo, la conversazione fra Blake e il commissario, è presa pari pari dal film.La prima parte ho dovuto “ricostruirla” cercando le citazioni del film, la seconda parte eccola qui http://www.youtube.com/watch?v=TY4ad1GqBy0, tradotta liberamente da me (non è uguale al doppiaggio del film ma…penso vada bene)

Bene, detto questo vi saluto e vi anticipo che nelle “note” del prossimo capitolo ci sarà una “chicca” che mi ha ispirato molto nella stesura dei capitolin(è un sottofondo musicale con video di TDKR ma….taccio). Besos!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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