L'altra
faccia del dolore
Lo
trova ritto, immobile come una statua imponente. Lo sguardo indugia
sull'ampia schiena rigida, le spalle larghe, la nuca coi suoi corti
capelli biondi.
Rimane
a fissarlo per qualche lungo minuto, stringendo le mani tra loro e
tormentandosi le dita, rabbrividendo nonostante la temperatura mite.
Sa
che deve farsi forza ed affiancare l'uomo in piedi; lo sta
aspettando, in anticipo come ogni volta e, puntualmente, lui esita ad
interrompere il suo momento privato.
Non
ha bisogno di sentire la voce profonda o di vedere le labbra muoversi
per sapere che sta comunicando, perché lo fa interiormente, in
contrasto con lui che invece ha bisogno di parlare per dare forma ai
pensieri e renderli concreti.
Sospira
rassegnato, alla fine, raggiungendolo a piccoli passi, leggeri e
silenziosi sull'erba soffice.
«Eccomi.»
Lo
sussurra inutilmente, gli occhi bassi rivolti al mazzo di fiori dai
colori vivaci posato accanto ad un piccolo piatto di ceramica bianca,
dentro il quale sono disposti ordinatamente alcuni biscotti al burro
preparati in giornata.
Deglutisce
a fatica, anche dopo tutto quel tempo, anche dopo tutti quegli anni e
la tradizione ormai consolidata che li riporta lì, come
dandosi appuntamento per salutarlo insieme.
Lo
svedese annuisce e sbatte pigramente le palpebre, sempre con lo
sguardo fisso alla lapide solitaria posta in quel luogo speciale,
sconosciuto, con quel singolo nome inciso sopra dalle sue abili mani.
Un
nome che provoca solo nostalgia e ganci crudeli che tirano il cuore.
Un
nome che rievoca ricordi di ogni genere, ma che, con il trascorrere
degli anni, sembrano essersi ridotti sempre più a quelli
positivi, i più dolorosi e difficili da affrontare.
Finlandia
alza gli occhi al cielo e tira le labbra tristemente, ricordando la
schiena curva dell'uomo accanto a sé, intento a scolpire
lettera dopo lettera senza singhiozzare.
Il
suo volto era una maschera impassibile di lacrime quando si era
rialzato e voltato. Il lavoro era di una precisione incredibile, come
se le sue mani non avessero tremato tutto il tempo.
«Un
altro compleanno», mormora, un
misto di affetto e pena nel tono basso.
Solleva
il braccio e posa la mano sulla spalla di Svezia.
Ricorda
che a Danimarca piaceva tantissimo sommergere il taciturno fratello
di cose buone da mangiare. Le loro feste erano contigue, quindi
avevano due giorni di fila per abbuffarsi e stare insieme. Erano
belli, quei compleanni, sembravano la celebrazione di tutti, riunioni
di famiglia dove c'erano troppi dolci da dividersi.
Era
felice di festeggiare con loro e a Svezia faceva piacere averlo lì,
anche se si manteneva apparentemente burbero e spesso finivano per
rimbeccarsi sulle questioni più insignificanti, ma non sarebbe
stato lo stesso se non ci fossero stati scontri, non sarebbero stati
loro.
Stai
zitto e bevi un po' di più, Berwy!, gli diceva alla fine
con un ghigno, allungandogli un boccale di birra. Svezia grugniva,
obbediva e riemergeva con il baffo fatto di schiuma, facendoli ridere
per diversi minuti e sorridendo anche lui ad occhi bassi.
Dischiude
le labbra prendendo un bel respiro e torna a guardare la lapide,
allungando la mano che stava sulla spalla dello svedese per fare una
carezza gentile alla pietra.
«Ciao,
Tanska, siamo qui. Come stai?»
È
stupido quando si ferma, prima di continuare il suo monologo. È
stupido ma non può farne a meno, perché ci vuole una
pausa, anche breve, a quel punto.
Il
vento soffia così quieto, tra i capelli di Tino, che gli
sembra la sua carezza contenta e deve quindi fermarsi per riceverla,
sorridere timidamente, godersela.
«Il
piccolo sta imparando tante cose nuove ed insiste per andare a
parlare di politica ed economia al tuo... suo capo. Ha un sacco di
idee, è difficile tenerlo a bada e farlo stare tranquillo, ma
è un bravo bambino, è adorabile e noi tutti gli
vogliamo bene. Siamo sicuri che ti rappresenterà nel migliore
dei modi. È giocoso e saltella ovunque, parla
ininterrottamente! Sai, sembra che abbia qualcosa di te, come se
l'avesse ereditato e per questo motivo, dopo un po', Norja ha
cominciato a dire che non è colpa tua se sei stupido, è
la nazione che incarni ad averti rovinato.»
Il
sorriso si fa più ampio e si ritrova a ridacchiare. È
una risata sincera e argentina, non suona come qualcosa di artefatto.
«È
il suo modo per dire che ama la tua allegria, lo conosci»,
continua accomodante, avvertendo il corpo di Svezia che gli si
avvicina un po', arrivando a sfiorarlo con il braccio.
«Più
tardi verranno a trovarti Nor e Is. Preferiamo lasciarvi soli, non te
la prendere se non rimaniamo mai insieme a loro. Non sta bene
ascoltare le cose che dovete dirvi, s-sai.»
La
sua voce trema sempre, verso la fine. I suoi occhi vedono annebbiato
ogni anno, alla fine.
Si
dice che ci riuscirà, prima o poi, a salutarlo e a dare voce
ai pensieri di entrambi senza ridursi in lacrime, ma gli manca
che risponda per davvero e lo inciti a continuare.
Non
ci sono occhi spalancati, curiosi e limpidi, sormontati da
sopracciglia buffe. Sta parlando con una lapide e le gambe diventano
malferme come la convinzione della voce.
Si
zittisce ed i singhiozzi lo scuotono, impedendogli di salutarlo
ancora, come in una lettera, fare una bella chiusura dove gli dice
che si ricordano di lui, che mai si permetterà di
rivolgerglisi usando verbi al passato.
«Ci
manchi, Ta. Vorremmo abbracciarti, ma... sei ancora con n-noi...»
È
a quel punto che Svezia si volta e lo prende tra le braccia; quando
entrambi non riescono più a reggersi in piedi ostentando
accettazione e contegno, quando tutti e due hanno raggiunto il
limite.
Tino
non riesce più a parlare, Berwald non riesce più ad
ascoltare.
Si
aggrappa alla sua schiena e piange cercando di trattenersi, sempre
inutilmente.
Svezia
gli tiene la grande mano sulla nuca e continua a guardare la pietra
con le sue lettere grandi ed eleganti, le iridi vacillanti dietro le
lenti degli occhiali.
Muove
le labbra senza parlare, formulando un saluto, un augurio ormai
perduto che non riceverà a sua volta.
Buon
compleanno, fratello.
-Angolo
Autrice-
Se
qualcuna di voi sperava in un capitolo speciale diverso, in
qualcosa di rasserenante -se non altro- si sbagliava di grosso.
Angst.
Angst ovunque.
Inutile
dirvi come sia ridotta adesso, ma... dovevo scriverlo.
Dovevo
perché mi è venuto in mente e perché credo sia
giusto, anche se fa male, mostrarvi questi due e la loro dolcezza;
dovevo mostrarvi -come se non si immaginasse- che Danimarca ha
lasciato un vuoto in tutti, non soltanto come uomo/padre amato. Tutti
soffrono come bestie.
La
storia è finita per davvero, adesso, e tirando le fila di
tutto quello che è stato scritto spero davvero di aver
trasmesso emozioni e che vi sia “piaciuto” soffrire, se
l'avete fatto.
Grazie
a tutte quelle che hanno letto, aggiunto la storia alle preferite,
perso del tempo per commentare e farmi quindi leggere le loro
apprezzatissime opinioni.
Dopotutto
si pubblica anche per conoscerle, no?
*piccola
nota, forse inutile: Tanska, per chi non lo sapesse/avesse
capito, è semplicemente Danimarca in finlandese. ♥
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