PREMESSA:
questa è
la mia prima shot ambientata nel mondo di FMA. Spero di aver fatto un buon
lavoro, e auguro a tutti una buona lettura!
Asylum
Non era colpa sua,
si ripeteva Ed.
Non era colpa sua,
se ogni tanto capitava. Se succedeva, maledizione, succedeva e basta.
E quando succedeva,
lui era l’unico che riusciva a mettere in qualche modo una pezza alla
situazione.
E nemmeno questa
era colpa sua.
- Cosa ci fai qui a
quest’ora, Fullmetal? –
Ed detestava essere
chiamato Fullmetal.
Ma in momenti come
quelli suonava persino rassicurante, anche se Ed non pensava mai volentieri
all’eventualità che fosse così perché a chiamarlo in quel modo era lui.
- Colonnello. –
Si sentiva uno
stupido. Un maledetto poppante con la faccia gonfia e il moccio al naso.
Ma non era colpa
sua, maledizione, non era colpa sua.
- Uhmpf. Vieni
dentro, dai. –
Era strano pensare
che il colonnello Mustang vivesse da qualche parte che non fosse il suo ufficio,
fra le sue scartoffie contorte, la sua scrivania sempre uguale a sé stessa, le
sue cose consuete e familiari. E invece aveva una casa, come ogni comune
mortale di questo mondo, una casa da single, non particolarmente grande, e
nemmeno ordinata. Aveva una cucina grande, con dei finestroni enormi, una
camera piuttosto spoglia, di quelle che capisci alla prima occhiata essere la
stanza meno vissuta della casa, una sala, un bagno con la doccia, per far prima
la mattina probabilmente. E una camera per gli ospiti. In assoluto la stanza
che dava di più da pensare, perché a chiunque, davvero a chiunque sarebbe
suonato improbabile che il colonnello ricevesse mai degli ospiti. Chissà che la
sua non fosse una sorta di predisposizione scaramantica, in vista del giorno in
cui, chissà, qualcuno sarebbe andato a trovarlo. Brutta bestia schifosa, la
solitudine.
Edward entrò a
passo spedito, superando l’ingresso senza pensare nemmeno per un momento al
cappotto, o a qualsiasi cosa riguardasse le formalità.
Roy lo seguì in
salotto senza scomporsi, e con un cenno gli indicò il divano basso e morbido,
di pelle, un po’ vecchiotto.
- Di nuovo in
crisi? –
- Oh, chiuda il
becco. –
- E’ già la seconda
volta in questo mese. Tuo fratello si preoccuperà. –
- Basta! Zitto! –
Edward lo minacciò
con gli occhi arrossati dall’astio e dalla collera. Ma Roy Mustang non era tipo
da lasciarsi fermare da un così insignificante tentativo di liberarsi del suo
sguardo inquisitore.
Ed si accucciò su
sé stesso, cercando di difendersi da lui, dal suo silenzio pregno del rumore
soffuso del suo respiro adulto, lo stesso respiro che gli metteva addosso i
brividi, quando si avvicinava troppo, valicando il sottile filo rosso, di lana
cotta, che lui aveva prudentemente teso sul confine del suo cuore e della sua
coscienza, per segnalare un territorio minato e instabile. Ma Roy passava oltre
con lo sguardo fisso in avanti, ogni volta, ignorandolo e facendogli vedere la
sua barriera per ciò che era: solo un misero filo di lana rosso.
E i brividi, quei
brividi, ogni volta che oltrepassava il confine, lui li sentiva anche
attraverso l’acciaio.
- Sono stanco. –
- Lo so, Fullmetal.
–
- No, no. Non lo
sa. –
Non lo sai, Roy.
La mia stanchezza è come una malattia.
- Credi che la
accetterò come giustificazione? –
Ed si mordicchiò
l’interno del labbro inferiore e aggrottò le sopracciglia, formando sulla
fronte due o tre linee leggere e labili.
- Sono un tuo
superiore. Se ti dico di non arrenderti, sei tenuto a farlo. –
- La prego. Ti
prego. Fammi il favore. –
Roy sospirò,
ammettendo il fallimento del suo primo approccio. La tecnica urto aveva effetto
immediato sull’orgoglio di Edward, quando funzionava, ma Ed raramente si
rivolgeva a lui, se la sua crisi constava solo in un po’ di desolazione
superficiale, un momento di sconforto naturale e passeggero.
Tutte le volte che
se lo vedeva comparire alla porta di casa, piccolo nel suo cappotto pesante,
piccolo con il suo braccio ostinatamente coperto e nascosto, ai suoi occhi
innanzitutto, piccolo ed orgoglioso nella sua compostezza disperata e
dignitosa, Roy sapeva che lui era lì per avere una cura, era lì per pretendere
una soluzione, una certezza, un miracolo.
Ma tutto ciò che
lui aveva da offrirgli erano i suoi giochi di fuoco, tanto belli e caldi
quanto, in ultima analisi, inconsistenti.
- Sei solo un
bambino, Fullmetal. –
Edward fu scosso
dal brivido gentile del tono triste e roco del Colonnello. Come quello di un
padre, come quello di un fratello che una volta tanto facesse sentire lui
quello minore, quello da proteggere e da rassicurare.
Senza dire una
parola, gli si fece vicino, e gli abbracciò la vita. Roy lo strinse e gli
sospirò fra i capelli, scompigliando i pochi che erano sfuggiti alla sua
treccia e facendoli danzare per qualche istante sulla sua testa.
E in quel momento,
Ed avrebbe voluto essere un po’ più piccolo, piccolo abbastanza da credere
ancora nei fantasmi. Per poter chiedere a Roy di cacciarli via, e sentirsi
rispondere che i fantasmi, piccolo Ed, non esistono.
Il braccio di
metallo stridette leggermente, mentre Ed lo affondava di più.
Perché a volte,
sai, fa davvero tanto male.
Roy riuscì a
percepire distintamente il suo sforzo per cercare di sentire qualcosa, sentì il
suo tentativo di accarezzarlo, di avvertire il calore e la consistenza della
sua camicia e del suo corpo sul suo automail.
Riuscì a seguirne
passo dopo passo l’inevitabile, dolorosa resa.
- Non sento niente.
–
- Sei solo un
bambino, Fullmetal. –
Chissà come mai, a
Ed non faceva un effetto particolare sentirsi chiamare bambino dal Colonnello,
in quella situazione. Lo faceva spessissimo, quasi tutte le volte che lui
andava a trovarlo perché non aveva più nemmeno la forza di far finta di averne,
e non aveva più voglia di combattere, di cercare, di bruciarsi gli occhi sui
libri, pagina dopo pagina, fallimento dopo fallimento, e allora tutto ciò che
gli restava era lui, era sempre lui. Era il colonnello Mustang, era il Flame
Alchemist, era Roy.
- Lo so. Sono solo
un bambino. –
Ma non era colpa
sua.
A ben guardare, lo
era sempre stato, non era mai davvero cresciuto, da quel giorno di tanti,
troppi anni prima.
- Nemmeno questa è
una scusa accettabile, Edward. Sai benissimo dove cercare la forza di andare
avanti, se vuoi. –
Già, Al.
Edward strinse la
mano destra di Roy, priva del guanto, e lasciò che le dita di lui, tanto più
grandi e forti, e adulte, consolassero la sua unica mano di carne.
Era persino
difficile cercare di capire che genere di rapporto li legasse, era impossibile
dare un nome a ciò che nasceva fra loro in quei momenti di pace malinconica, e
malinconica solitudine, quando le ore trascorrevano senza far rumore sul divano
della casa di Roy, basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto. E loro
parlavano poco, si toccavano con pudore e bisogno, Roy cercava di scaldarlo un
po’, di rimetterlo in piedi, di oliare il metallo perché sembrasse un po’ meno
artificiale, e lui in cambio cercava di medicare ferite che nemmeno sapeva se
esistessero, dove fossero, e quanto potessero far male.
- Strappami il
braccio, Roy. E anche la gamba. –
- Smettila. Non ti
priverei mai del piacere di farlo tu stesso, quando sarà tutto finito. –
- Non credo… -
- Quando avrai
trovato la soluzione. –
- Ma forse… -
- Quando ce l’avrai
fatta. –
- Roy… -
- Quando tutto
tornerà normale, e tu sarai riuscito a ridare a tuo fratello il suo corpo, e a
riprenderti ciò che manca a te. –
Roy aveva un modo
tutto suo di zittire il suo pessimismo. Un modo efficace, doveva ammetterlo.
Si sentiva già
meglio.
Chissà se era per
le sue parole, dette con militaresca durezza, o per la sua mano ancora stretta,
o per il suo corpo che emanava un calore mite, ed un odore leggero e pulito e
rilassato, che lavava via tutte le colpe, vere o presunte che fossero.
Chissà se era
davvero grazie a Roy Mustang che tutto questo succedeva, però Ed sapeva che
ogni volta che andava da lui, i suoi arti di metallo smettevano di stridere e
cigolare come trappole per topi.
Chissà, poi, se era
un merito di Roy, o piuttosto una sua colpa.
- Vieni qui. –
Ecco, ora veniva il
momento dei baci. Erano baci strani, i loro, lo erano sempre stati. Cominciava
sempre Roy, era lui che faceva il primo passo e guidava quelli successivi. E
questo non significava che Ed non lo volesse. Almeno, non più.
I primi tempi, le
primissime volte in cui Edward si era presentato a casa sua, alla ricerca di
uno sfogo, alla ricerca di qualcuno a cui poter dire che odiava quelle
maledette protesi, e odiava sé stesso, e tutto quanto, e maledizione, basta,
non ne poteva più, quei pochi baci che c’erano stati erano venuti naturali, ma
allo stesso tempo Ed li aveva avvertiti come una sorta di pedaggio inevitabile,
un dovuto dare in cambio.
Poi c’era stato un
pomeriggio in cui era da solo in camera sua, perché Al stava rovistando per
conto suo fra qualche libro raccattato chissà dove, e improvvisamente si era
ritrovato a toccarsi le labbra, e a pensare.
E da quel momento i
baci di Roy si erano trasformati da un peso ad un motivo in più per andare da
lui, quando la spalla di acciaio cominciava a cigolare sotto il peso di troppe
responsabilità.
Un motivo sempre
più urgente, più pressante, più fisico.
- Vorrei essere
capace di aggiustarti, Fullmetal. –
Roy lo mormorò fra
un bacio e l’altro, con la sua voce così strana, solenne e malinconica, vorrei
esserne capace, vorrei poterti aggiustare, Edward, vorrei davvero. Vorrei
essere io a farlo.
Ed singhiozzò per
la sorpresa, e perché no, per l’imbarazzo. Mustang non gli aveva mai detto
niente del genere prima, niente che somigliasse così tanto a parole di
comprensione autentica, di condivisione. Si sentì alleggerito e sollevato,
stupidamente, come se Roy gli avesse appena promesso di farsi carico di tutti i
suoi problemi, come se gli avesse appena offerto il suo braccio e la sua gamba
in cambio delle sue ferraglie, e ritrovò la forza, quel po’ di forza che gli
serviva, per confessare fra i sussulti della sua voce rotta il suo crimine
senza colpa, la sua speranza ingenua ed egoista.
- Allora
aggiustami. Aggiustami, Roy. Ti prego. –
Roy gli sfiorò la
punta del naso con il suo, sigillando la sua promessa.
- Sai una cosa,
stupido Fullmetal? Ogni tanto dovresti provare a passare di qui anche quando
non sei in crisi nera. –
Edward rabbrividì senza
troppa discrezione. La bocca di Roy lo aspettava a pochi centimetri di
distanza, senza mettergli fretta, e lui si appoggiò sul suo automail per
raggiungerla. Così potè avvolgere l’altro braccio attorno al collo di Mustang e
sentirlo, almeno con quello, sentirlo bene, sentirlo caldo e umano.
- Chiama tuo
fratello. Digli che non si preoccupi, digli che resterai fuori a dormire,
stanotte. –
Ed annuì senza fare
domande. Non ce n’era bisogno, e in ogni caso ce ne sarebbe stato tutto il
tempo. Si alzò, Mustang gli indicò il telefono e lui lo raggiunse, lo sollevò,
compose il numero e aspettò di sentire la voce di Al all’altro capo. Gli parlò
in modo rassicurante, come sempre, gli disse che non sarebbe rincasato senza
aggiungere altro, senza includere spiegazioni di sorta.
Salutò, un sorriso,
buonanotte Al, e mi raccomando, poi riattaccò.
E tornò dal
colonnello per farsi abbracciare, per farsi dare ancora qualcosa, per ascoltare
i rumori regolari del suo corpo nel silenzio della sua casa, sul suo divano
basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto.
Cercò un po’ di
pace, per sé e per lui, e per quel loro segreto indefinibile e pudico, quel
loro amarsi inconsistente, quel loro accettarsi passivamente, come una
punizione l’uno per l’altro, e come una redenzione, come una condizione
necessaria ed imprescindibile al loro voler essere a tutti i costi umani, umani
nonostante tutto.
E questa non poteva
essere una colpa.
Si lasciò andare
alle carezze che Roy gli stava dedicando ad occhi chiusi, percependo la
consistenza diversa dei loro mondi, separati da quelle cose strane che chiamano
anni. Lui si sarebbe fermato anche lì, ma Roy aveva un corpo adulto da nutrire,
aveva esigenze più spinte e più profonde, bisogni e stimoli che lentamente,
volta dopo volta, stavano cominciando ad infettare anche lui con il loro potere
infame di far scordare ogni cosa, per qualche immenso secondo, ogni singola
cosa di questo pianeta che non fosse Roy, il viso di Roy, le mani di Roy, la
sua pelle che si arroventava e si contraeva inseguendo una chimera sensuale.
- Hai la testa così
piena di pensieri che ti si leggono negli occhi. –
- Lo so. Ma tanto
non è nulla di importante. –
- Tuo fratello
Alphonse? –
- No, no. –
- I tuoi automail?
–
- … -
- Ricerche? –
- Colonnello
Mustang? –
- Uhm? –
- Che cosa
penseresti se ti dicessi che stavo pensando a te? –
- Beh, penserei a
un po’ di cose. Una quantità non indifferente di cose. Ma poi credo che finirei
con il dirti poco più di niente. –
- Capisco. –
- Hey, Edward. –
- Cosa. –
- Ti prometto che
troverò il modo. E un giorno riuscirò ad aggiustarti. –
Edward annuì senza
crederci troppo.
No, bugia.
La verità è che non
voleva crederci, non voleva illudersi, non voleva rischiare di proiettare su
Roy la sua disperata incapacità di arrendersi a quella sua vita a metà.
- Però, Fullmetal,
quando ci sarò riuscito, tu dovrai restare con me. Non ti premetterò
assolutamente di andartene. –
- Tanto non avrei
nessun altro posto dove andare, nemmeno dopo. –
Non del tutto vero.
ma non c’era nessun altro posto al mondo dove sarebbe voluto andare, questo sì.
Nessun posto al mondo lontano da Roy, perché il fatto era che Ed non poteva
dirsi certo che, anche dopo aver risolto ogni cosa con Al e con sé stesso, lui
non avrebbe più avuto bisogno di una valvola di sfogo per i suoi momenti bui.
Ed era soltanto una
questione di tempo, prima che il suo egoistico bisogno della maturità e
dell’esperienza del Colonnello passasse in secondo piano. Sarebbe diventato
adulto anche lui, e allora Mustang avrebbe cominciato ad assumere un ruolo
diverso nella sua vita, più profondo e radicato, meno pratico.
Meno àncora di
salvezza, più umano abbraccio.
E comunque, fino ad
allora, lui avrebbe continuato a cercarlo, e ad usarlo come un cuscino di piume
da stracciare e sbattere ovunque per dar sfogo alla sua voglia di cambiare le
cose. E Roy avrebbe continuato ad aprirgli la porta, ad ospitarlo sul suo
divano basso e morbido, di pelle, un po’ vecchiotto, e ad offrirgli un riparo
sicuro per una notte, un’altra effimera notte.
Perché le cose
stavano così, così e basta.
Non era colpa sua.
E nemmeno di Roy.
Non era colpa di
nessuno.