Un
prezzo
La sala dei banchetti aveva un
soffitto alto, che pareva arrivare sino
al cielo in una volta levigata, sorretta da colonne maestose.
Vali
non aveva mai visto nulla di tanto spettacolare.
Eppure,
al momento, cercava di non rimanere imbambolato a guardarsi
attorno: doveva trovare al più presto sua madre e suo
fratello.
Muovendo
qualche passo, il bambino scoccò
un’occhiata contrariata all’uomo che, sulla soglia
della sala, lanciava in aria sette coltelli con sorprendente maestria.
Era
colpa di quel giocoliere, infatti, se si era distratto e aveva
perso di vista Sigyn.
Un
po’ intimidito proprio malgrado, in quanto non aveva mai
visto tante persone tutte insieme, Vali osservò il viavai
d’Asi.
Poiché
il banchetto non era ancora iniziato, i guerrieri ne
approfittavano per andare da una parte e dall’altra della
sala; reggevano nelle mani boccali colmi d’idromele, e quando
si assestavano sulle spalle delle calorose pacche di saluto, il liquido
traboccava, bagnando il pavimento.
E
naturalmente erano presenti anche molte Asinnie, vestite
sontuosamente e coi capelli meticolosamente acconciati.
Vali
pensò al vestito azzurro di sua madre, ai suoi capelli
biondi accuratamente intrecciati…
A
quel punto, però, gli si presentò davanti un
personaggio che catturò tutta la sua attenzione.
Era
un uomo alto e robusto, dai capelli mori e dalla mascella quadrata.
Le braccia scoperte erano segnate da alcune cicatrici, ma
ciò che maggiormente ipnotizzò il bambino fu il
moncherino che quel guerriero aveva al posto della mano destra.
Vali
esitò un attimo.
Poi,
però, dato che quell’Ase era il solo a non
essere circondato da una mandria di amici dalla risata tonante, e
risultava perciò più rassicurante degli altri, il
bambino si decise ad avvicinarglisi.
«Salve»
lo salutò, con una certa
spavalderia.
L’altro
gli scoccò un’occhiata cupa, poi
tornò a volgersi da un’altra parte.
Vali,
però, non demorse. «Salve»
ripeté, a voce un po’ più alta.
«Mi interessa sapere come avete perso la mano».
Il
guerriero lo fissò, col volto improvvisamente fremente.
«Non sono certo affari tuoi, ragazzo»
replicò, in tono rude.
Purtroppo
per lui, la curiosità di Vali aveva quasi del
tutto soppiantato il suo acuto disagio, attizzata dal comportamento
restio dell’adulto.
«Una
battaglia?» incalzò il ragazzino.
«Una pesca pericolosa?»
L’Ase
lo ignorò, ma la sua mano si strinse a pugno
e le sue nocche sbiancarono.
«Se
è un segreto vergognoso, prometto che non lo
dirò a nessuno».
A
quelle parole, il guerriero si rabbuiò. «Mi
prendi in giro, ragazzo? Quale segreto vergognoso,
io…»
Ma
con gran delusione di Vali, serrò le labbra e si
rifiutò di proseguire.
Il
bambino, allora, mosse un passo verso di lui, dichiarando:
«Sono Vali, figlio di Loki, e voglio sapere
come…»
Non
fece in tempo a finire.
Con
un improvviso moto di furia, il guerriero lo afferrò per
la collottola, sollevandolo dal suolo con un movimento tanto fulmineo
che Vali ebbe solo il tempo di emettere un guaito sorpreso, mentre il
pavimento si allontanava da lui a velocità allarmante.
«Senti,
tu» lo apostrofò il guerriero,
reggendolo davanti al proprio viso come un fastidioso fardello,
«ho già avuto abbastanza guai, con la progenie di
quell’ingannatore…»
«Lord
Týr!»
Sia
la testa di Vali che quella del suo interlocutore si girarono verso
la fonte della voce.
«Lady
Sigyn» mormorò il guerriero,
rabbuiandosi.
«Mi
auguro che mio figlio non vi stesse
importunando» aggiunse lei, in tono controllato.
Narfi,
che la affiancava, sembrava piuttosto ansioso. Per quanto
talvolta non mancasse di fargli ogni genere di dispetto, soleva essere
molto protettivo nei confronti del fratellino, quindi era probabile che
si sentisse in dovere di intervenire in qualche modo.
Týr,
però, si limitò ad appoggiare a
terra Vali, dicendo accigliato: «Somiglia molto a suo
padre».
«Fisicamente»
ammise Sigyn. «Vali
è una divinità benevola» aggiunse,
tendendo la mano verso il figlio.
Il
bambino, sollevato, fece per prenderla, ma poi qualcosa
scattò nella sua mente, e lui si girò nuovamente
verso il guerriero.
«Lord
Týr» disse, «voglio
sapere come avete perso la mano».
L’uomo
lo scrutò con aria cupa… Alla
fine, però, sorprendentemente, i suoi tratti si distesero, e
lui sembrò quasi sorridere.
«Non
sei uno che si arrende facilmente, ragazzo»
riconobbe, riluttante. «Questo te lo concedo».
«E
mi concedete anche di sapere ciò che
voglio?» incalzò il bambino.
«È
stato Fenrir, il vostro fratellastro»
rispose Týr, senza preamboli. «Quando Odino lo
fece condurre tra gli Asi, io ero il solo che osasse portargli da
mangiare. Ma poiché cresceva di giorno in giorno, e le
profezie al suo riguardo erano allarmanti… Decidemmo di
incatenarlo con l’inganno. Gli dicemmo che volevamo provare
la sua forza, ma il lupo accettò la sfida a patto che uno di
noi ponesse la mano nelle sue fauci. E io mi offrii volontario,
poiché nessun altro osava».
«E
così perdeste la mano» concluse Vali,
molto poco impressionato.
Narfi,
invece, adocchiava il moncherino di Týr con aria
turbata. Forse pensava alle disgrazie che si erano abbattute su
Ásgardhr per mano del suo genitore.
Il
guerriero annuì lentamente, lo sguardo puntato sul
secondogenito di Loki. «E così persi la
mano» confermò. «Ma suppongo che ogni
inganno abbia il suo prezzo».
«Capisco»
disse Vali, anche se non ne era per
niente sicuro.
Si
girò verso Sigyn, come in cerca di aiuto, e
l’occhiata ammonitrice della madre gli rammentò
che aveva dimenticato qualcosa.
Il
bambino, obbediente, si voltò di nuovo a guardare
Týr.
«Vi
ringrazio per aver risposto alla mia domanda»
disse.
Il
guerriero gli fece un cenno col capo. «Figlio di
Loki…» Spostò lo sguardo sulla donna.
«Lady Sigyn» disse, in tono di congedo.
«Lord
Týr» replicò lei.
Un
sorriso increspò per un istante le labbra
dell’Ase, e lui si allontanò verso il centro della
sala.
Vali
lo seguì con lo sguardo finché
poté, poi si avvicinò alla madre.
«Stai
bene?» s’informò Narfi,
osservando il fratellino con aria preoccupata.
Il
bimbo annuì. «Sì».
Sigyn
gli sistemò la giubba sulle spalle e gli
scostò un ciuffo di capelli corvini dalla fronte, per poi
abbracciarlo brevemente.
«Vali,
mi sono preoccupata tantissimo!» gli disse.
«Dov’eri finito?»
«Non
era mia intenzione allontanarmi» si
giustificò il bambino, contrito. «Mi ero distratto
a guardare l’uomo coi coltelli».
«Fa
dei lanci davvero incredibili» concesse Sigyn,
accennando un sorriso.
Vali
si affrettò ad annuire. Quando la madre gli tese
nuovamente la mano, lui l’afferrò senza indugio,
poiché non aveva la minima intenzione di perdersi una
seconda volta.
Scambiò
un’occhiata con Narfi, che dal canto suo
si sentiva abbastanza grande da poter camminare senza che Sigyn gli
tenesse la mano, poi un pensiero improvviso gli fece aggrottare la
fronte.
«Madre?»
chiamò.
«Týr ha detto che ogni inganno ha il suo prezzo, e
ha pagato quello di Fenrir con la sua mano». Assunse
un’aria rattristata. «Però io sento
sempre dire che nostro padre ha fatto più imbrogli di
chiunque altro. Vuol dire che anche lui perderà la
mano?»
Quell’idea
non gli piaceva. Loki andava e veniva, e non
sembrava interessarsi particolarmente a lui e a Narfi, però
era suo padre.
Vali gli voleva bene.
Sigyn
rabbrividì appena, e la sua stretta si fece
più forte.
Tuttavia,
quando parlò, la sua voce era calma e controllata:
«Non credo, Vali».
«Perché
no?» insistette il bambino.
«Vuol dire che pagherà un prezzo diverso? E
quale?»
Sigyn
si fermò, e con lei i suoi due figli, che la fissarono
confusi.
Un’ombra
sembrava essere calata sugli occhi della donna.
«Non lo so, Vali» rispose lei, con voce a malapena
udibile. «Spero solo che non si riveli troppo alto».
Note:
Era da un secolo che volevo scrivere questa one-shot :°)
Davvero, ho anche passato una nottata in cui mi sembrava che Vali si dimenasse dentro la mia testa...
Devo dire che mi è sembrato stranissimo attribuire a
Týr e a Sigyn titoli come “Lord” e
“Lady”, ma onestamente se si fossero chiamati per
nome come se niente fosse mi sarebbe suonato ancora più
bizzarro ^^”
Niente di ché, spero che a qualcuno sia piaciuta.
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