NDA:
Avrei
voluto parlare di Annika in questo capitolo, ma altrimenti sarebbe
diventato
troppo lungo. ;A;
Rimando
quindi la riunione
tra sorelle al prossimo aggiornamento, così come
l’introduzione di “quell’uomo”
con cui Ann è sposata. /comincia a sbavare/ -scusate, io
sono di parte.
In
questo capitolo,
invece, abbiamo una visione più ampia di quella che
è la famiglia Hegertal, con
qualche accenno di più alla famosa Julieth della prefazione,
e anche al padre
di Lilyan, di cui vorrei tanto sapere cosa ne pensate.
Poooi,
come mi è stato
suggerito, ho deciso di inserire alla fine di ogni capitolo un
glossario -con
tanto di spiegazione dei nomi e la loro pronuncia- che procedendo con
la storia
verrà sempre più ampliato, in modo che non vi
confondiate con tutti questi nomi
che mi rendo conto siano un po’ ostici!
Per
ultima cosa, se vi
incuriosisce come mi immagino fisicamente i personaggi, ecco sul mio
profilo di
facebook l’elenco degli
attori/modelli/quelchel’è che più o
meno corrispondo a
quella che è l’idea di loro nella mia testa!
-> http://www.facebook.com/media/set/?set=a.444676705592017.101491.100001490736642&type=3
[e sentitevi liberi di mandarmi una richiesta di amicizia, se volete.]
-
CAPITOLO
3:
Ricordi
Lilyan
Hegertal alzò una mano guantata
a schermarsi gli occhi dalla luce sole, mentre osservava avanzare verso
di lei
la sua puledra di razza color palomino, come tutti i cavalli della
casata
imperiale, guidata dal giovane e nobile scudiero di suo padre. Appena le fu
accanto, con un sorriso le accarezzò il muso screziato di
bianco, che Gemma dell’Aria
aveva sollevato nella sua direzione con uno sbuffo compiaciuto.
« Ruffiana... », mormorò
ridacchiando, mentre passava le dita tra la sua
criniera dorata. Non era molto che la possedeva, le era stata donata
per il
compimento dei suoi sedici anni, la sua maturità, ma nei
suoi confronti aveva
sviluppato un affetto senza pari. Libera come il vento, Gemma era il
cavallo
più indomito con il quale si era trovata ad aver a che fare
in tutti gli anni
in cui aveva praticato equitazione, e scherzando, il Mastro delle
stalle le
aveva ripetuto più volte che aveva imparato a cavalcare
ancor prima di saper
camminare. Eppure Gemma era stata una sfida per lei, sfida che il suo
carattere
ostinato e irrequieto non aveva chiesto altro che poter affrontare. E
forse era
proprio considerando questo che suo padre gliel’aveva
regalata, provocando un
lei un misto di rabbia e commozione, al pensiero di quanto bene la
conoscesse.
Nonostante tutto.
Loro due erano
così simili.
« Se non ci affrettiamo, rischiamo di arrivare
in ritardo, mia signora.
», la richiamò alla realtà lo scudiero
Bart Keetan, porgendole una mano per
aiutarla a montare in sella.
La
principessa si costrinse a
trattenere un sospiro davanti a quel gesto che il più delle
nobili fanciulle
avrebbe giudicato gentile e cavalleresco, e, ignorandolo completamente,
si issò
con le sue sole forze sulla staffa. Lilyan cavalcava almeno dieci volte
con più
polso ed eleganza di quanto Bart Keetan e tutti gli altri giovani ser della corte reale avessero mai fatto
nella loro breve vita priva dell’esperienza di vere
battaglie, ma questo
ovviamente nessuno l’avrebbe mai ammesso.
Per
questo ser Keetan si limitò ad
accigliarsi senza proferire parola, anche di fronte al modo in cui
Lilyan si
era seduta, non all’amazzone come l’appartenenza al
suo sesso le avrebbe
imposto. Normalmente, di fronte a una ricorrenza come la celebrazione
di un
Equinozio o di un Solstizio, la principessa non avrebbe fatto troppe
storie e
si sarebbe attenuta alle tacite regole che l’avrebbero
relegata “al proprio
posto” nella processione verso il tempio. Ma normalmente
Lilyan non era così
furiosa.
Con
un secco colpo di redini, la
ragazza drizzò la schiena e si diresse a testa alta verso la
Porta
dell’Imperatore, che separava il fortino con gli alloggi
imperiali da tutto il
resto di Rykfort. Superando le guardie senza la minima esitazione, si
rese
conto che con tutta probabilità il suo nuovo vestito celeste
era stato
intaccato dalla polvere e dalla terra che aveva sollevato in quello
slancio, ma
non le sarebbe potuto importare di meno. Per quanto la riguardava, quel
vestito
come la ricorrenza per la quale era stato confezionato, potevano anche
finire in
fiamme.
Superata
la Porta e giunta infine
davanti alla grata sollevata dell’arco d’ingresso
al castello, fu costretta a
rallentare fino a fermarsi. Nel frattempo, dietro di lei, ser Keetan
che aveva
distanziato senza molti riguardi, l’aveva raggiunta con aria
impettita,
tentando in tutti i modi di non mostrarsi offeso di fronte al resto
della corte
che sostava nei pressi del ponte levatoio abbassato. Calmandosi con un
profondo
respiro, Lilyan si ricompose e fece un cenno di saluto nei riguardi dei
presenti, che risposero chinando il capo, e incontrò per una
breve frazione di
secondo l’ampio sorriso di Larry Malgar, il veterano Primo
Cavaliere della
Guardia Imperiale, divertito come sempre dalle sue manifestazione di
insofferenza
nei confronti del buon costume.
Suo
padre, invece, la degnò solo di uno
sguardo inespressivo.
« Procediamo. », asserì
quindi ad alta voce, ponendosi a capo della
parata, subito affiancato da ser Malgar e dai paggi coi vessilli
imperiali.
Dietro
di lui, Lilyan strinse con
forza le redini nei pugni e regolò al passo
l’andatura di Gemma dell’Aria, non
riuscendo a fare a meno di abbassare lo sguardo. Criticata dal suo
silenzio
colmo di disapprovazione, le era sembrato come se mantenere una
posizione fiera
ed eretta le fosse diventato improvvisamente impossibile.
Era
questo l’effetto che ogni volta
gli occhi scuri di Raleigh Hegertal le facevano. Avevano il potere di
farla
sentire niente più che una bambina, infantile e capricciosa,
ottenendo solo di
farla infuriare di più. Non riusciva a perdonargli il modo
in cui si
permettesse di giudicarla con sprezzante freddezza, quando mai, invece,
si
azzardava ad elogiarla, o più in generale anche solo ad
interessarsi a lei. A
comportarsi come un
vero padre, insomma.
Lilyan
non riusciva a ricordare
neanche una sola volta in cui l’avesse sentito dirle che le
voleva bene.
« La mia incantevole nipote si diletta come al
solito a sfidare le leggi
dell’universo, vedo. », un commento pungente le
giunse all’orecchio,
distraendola dai suoi pensieri, mentre si voltava ad incontrare lo
sguardo
vivace di Josev Hegertal, accostatosi al suo fianco.
« E il mio venerabile zio si diletta come al
solito a canzonarmi. », replicò
tornando a guardare di fronte a sé, senza riuscire a
nascondere l’accenno di un
sorriso, a sentire la risata compiaciuta che le arrivò in
risposta.
« Oserei quasi dire che la tua irriverenza
l’hai presa da questo ramo
della famiglia. », lo sentì battere sulla cotta di
maglia della sua armatura,
con un pugno ricoperto dal guanto di ferro.
« Molti dicono che invece sia un lascito di mia
madre. », obiettò,
provocando un altro sorriso che infuse di calore il tono di Josev. Ma
anche di
una malinconia da cui non poté non sentirsi toccata.
« Allora lascia che aggiunga a questa leggenda
che sono stato io ad
insegnarle i trucchi del mestiere, quando non era niente più
che una fanciulla
coi fiori nei capelli, come la dea della fertilità Yvebloom
ne La Ballata della Primavera...
che credo
proprio saremo costretti a sorbirci anche quest’anno.
»
Non
riuscendo a trattenere una risata,
Lilyan tornò a voltarsi verso di lui, e incontrando
nuovamente i suoi occhi di
un vivo castano scuro, i suoi lineamenti duri e affilati, i suoi
capelli e la
sua barba nera brizzolata, non poté fare a meno di cercare e
trovare un’incredibile
somiglianza con suo padre. L’unica e cruciale differenza,
però, stava proprio
nel sorriso gentile e quasi immaturo che Josev Hegertal, secondogenito
in linea
di successione e cavaliere ormai congedato della Guardia Imperiale, le
stava
rivolgendo. Non avrebbe mai visto qualcosa del genere distendere le
rughe di
espressione di Raleigh.
« Mi siete mancato, zio. »,
mormorò con voce più esitante di quanto
avrebbe voluto. Davanti a quell’uomo che rappresentava la
così palese
possibilità di come le cose sarebbero potute essere se solo
suo padre avesse
saputo ancora come fare a sorridere, la sua rabbia si era sciolta,
lasciando
posto a un’incredibile senso di nostalgia per
l’infanzia piena di amore che non
aveva avuto, e di timore per il futuro altrettanto grigio e vuoto che
l’aspettava.
Semplicemente
guardandola, Josev sembrò
intuire i pensieri che le stavano passando per la testa. Lilyan per lui
era
come un libro aperto, nonostante i momenti passati con lei negli ultimi
anni si
fossero ridotti drasticamente. Ormai la poteva incontrare solo quattro
volte
l’anno, nelle celebrazioni degli Equinozi e dei Solstizi, e
il giorno del suo
compleanno, al quale cercava di essere sempre presente. Di lei, aveva
il vivido
ricordo di quando non era niente più che una bambina, che
inizialmente l’aveva
temuto a causa della sua somiglianza con quel padre che non le aveva
mai
dimostrato il minimo affetto. Col tempo, però, aveva
conquistato il suo amore e
la sua fiducia, così come quella bambina dalla mente
brillante, irriverente più
del lecito, e orgogliosa dei suoi venerabili tre anni di
età, aveva completamente
conquistato lui. Tanto da spingerlo ad affrontare più volte
la freddezza
dell’Imperatore Raleigh, tentando di fargli capire quanto
Lilyan avesse bisogno
di lui. E tanto da spingerlo a sorpassare il limite del rispetto e del
buonsenso, arrivando a puntargli la spada contro quando lo aveva visto
darle
uno schiaffo per farla smettere di piangere, un episodio di violenza
ingiustificata nei confronti della figlia, che non aveva chiesto e
continuava a
chiedeva altro che la sua attenzione e il suo affetto. Il risultato era
stato
un tacito esilio, che lo aveva relegato a Brimstone, la fortezza che si
levava
a dominare l’arcipelago delle isole Vulkaan e
l’esiguo numero dei suoi
abitanti, ai margini dell’Impero.
Eppure,
sebbene ormai fosse ammesso a
corte e non potesse vedere Lilyan che cinque sole volte
l’anno, conosceva sua
nipote come il palmo delle proprie mani callose, che per tanti anni
avevano
impugnato una spada come comandante in seconda della Guardia Imperiale,
al
fianco di ser Malgar. La conosceva bene quanto aveva conosciuto suo
fratello
maggiore, quando ancora era un ragazzino schietto dalla risata facile e
spontanea, innamorato come lo è l’Astro che
insegue eternamente la Stella, di
quella fanciulla coi fiori nei capelli ramati, che era stata
l’ultima
discendente della casata Robyn, e che aveva sposato nonostante la sua
ormai
estinta famiglia non avesse più niente da offrire se non
l’onore della sua
antica stirpe. Julieth Robyn, che in Hegertal aveva sopperito
diventando la più
grande Imperatrice che Ryk aveva visto dopo gli anni di reggenza di
Martha la
Serena, passando alla storia come l’ambasciatrice di pace per
eccellenza per
essere riuscita a firmare un gran numero di alleanze in tutto il Mondo
Conosciuto, con regni e popoli di culture diverse, con i quali
l’Impero di Ryk
era stato in guerra da tempo immemore. Senza contare il fatto che aveva
regalato all’Imperatore tre figli in ottima salute, il primo
dei quali maschio.
Josev
Hegertal chiuse gli occhi al
ricordo di Julieth, che aveva amato come una sorella, e di Mark, che
aveva
amato come un figlio, e si costrinse ad ignorare la fitta al petto che
avvertì,
e che quasi gli fece mancare il fiato. Quel dolore non era niente in
confronto
a quello che aveva ormai corroso irrimediabilmente il cuore di Raleigh.
Con
l’ennesimo sorriso, allungò la mano a stringere
quella di Lilyan, ancora
serrata sulle redini di Gemma dell’Aria. Per quel poco che
avrebbe potuto stare
in sua compagnia, avrebbe dovuto essere forte, anche per lei, per
quella nipote
che ne aveva viste e sofferte tante, ma che nonostante tutto ancora
aveva un
futuro da vivere davanti a sé.
« Anche tu mi sei mancata, bambina. Avevo
proprio bisogno di una boccata
d’aria fresca dopo tutto quel puzzo di zolfo di Vulkaan.
», e non ebbe bisogno
di specificare che per quell’aria fresca intendeva proprio
lei, né che a
Brimstone l’odore di solfuri non si avvertisse più
da secoli di inattività del
vulcano dell’isola principale, ma che per lui rimanesse come
un veleno
ristagnante nell’aria, che lo stava lentamente intossicando.
Lilyan
sapeva bene quanto la vita di
corte mancasse a suo zio, e quanto l’isolamento dal resto
dell’Impero fosse per
lui una condanna. Aveva passato la sua infanzia a Rykstad, era
cresciuto tra le
mura di Rykfort, e aveva combattuto all’interno e
all’esterno di esse come
cavaliere investito, eppure uno sbaglio, un solo sbaglio,
l’aveva confinato
dall’altra parte del mondo. In un certo senso, si sentiva
responsabile perché
quell’errore Josev l’aveva commesso per proteggere
lei. Eppure non poteva che
essergli grata, e provare ancora più affetto nei suoi
confronti. Per Lilyan
sarebbe stato il più grande motivo di gioia andare a vivere
con lui nella
solitudine di Vulkaan, piuttosto che diventare la nuova Lady
Cattleback,
signora di Groenwoud.
« Pensate che abiti verdi e smeraldi mi
donerebbero, zio? », gli chiese
di punto in bianco, con tono indifferente.
« Qualsiasi cosa di qualsiasi colore ti
donerebbe, mia cara. Perché me
lo chiedi? Trovo difficile immaginare che in te si sia svegliata
un’improvvisa passione
per vestiti e gioielli. », replicò lui, divertito.
Ma nella sua testa aveva già
cercato e trovato il collegamento più ovvio che si potesse
fare con il colore
verde. Il verde dei boschi e degli stendardi di Groenwoud.
« Pensavo solo che quest’anno potreste
anche essere invitato una sesta
volta a Rykstad. », continuò Lilyan. La sua voce
era talmente atona da
risultare agghiacciante. E Josev Hegertal si rese conto con nauseante
certezza
che il matrimonio che l’Imperatore Raleigh stava pianificando
da anni, era
stato definitivamente combinato.
« Spero vivamente di no. »,
riuscì solo a dire in risposta, desiderando
di poter infondere in qualche modo una dolce illusione in sua nipote.
Avrebbe
voluto prendere nuovamente la sua mano in modo da trasmetterle tutta la
sua solidarietà,
ma Lilyan fu più veloce. Con un secco colpo di redini, fece
in modo di
accelerare il passo di Gemma dell’Aria, e si
distanziò da lui.
« Ormai non c’è
più niente da sperare. », Josev Hegertal
poté solo udirla
dire in un sibilo.
Lilyan
avanzò tra i destrieri e gli
stendardi della parata imperiale proseguendo in disparte, fermandosi
giusto a
scambiare un saluto con i ser, i lord e le lady che le rivolgevano la
parola.
Aveva bisogno di rimanere in solitudine coi propri pensieri, o
altrimenti
avrebbe finito per rispondere seccamente anche alle persone per cui
provava
affetto o rispetto, come aveva appena fatto con suo zio Josev.
Già si era
pentita e si sentiva in colpa per averlo lasciato così,
senza spiegazioni di
sorta, ma sapeva anche che lui avrebbe capito. Probabilmente anche
perché era a
conoscenza dei progetti che suo fratello, l’Imperatore, aveva
in serbo per lei.
Guardandosi intorno e incontrato visi di nobili sconosciuti e non, si
chiese
quanti di loro fossero consapevoli che Lilyan Hegertal presto sarebbe
diventata
Lilyan Hegertal Cattleback, e sentì inaspettatamente salirle
un nodo alla gola,
che ricacciò indietro a forza, insieme alle lacrime che
aveva portato con sé.
Eppure
non riuscì a scacciare dalla
testa le parole di suo padre, né il macigno che ora le
pesava sul petto,
rendendole quasi difficile respirare. Avrebbe voluto lanciare
nuovamente la sua
puledra al galoppo, correre nel vento e lasciarsi tutto e tutti alle
spalle, ma
quel peso la teneva ancorata ai suoi doveri di figlia e principessa. E
quasi il
cadenzato battito degli zoccoli di Gemma sul viale pavimentato che
conduceva
verso il tempio, le ricordò il suo stesso incedere mentre
era avanzata lungo la
sala del trono per affrontare suo padre.
Era
da almeno un mese che non veniva
convocata ufficialmente al cospetto dell’Imperatore e non
camminava su quel
pavimento di marmo grigio venato del nero più buio e del
bianco più puro, alla
luce delle grandi vetrate che ricoprivano entrambi i lati del salone.
Ogni
volta, il ritmico eco prodotto dai suoi passi che si andava a smorzare
contro
le pareti affrescate e decorate, le sembrava il conto alla rovescia che
precedeva la fine, di neanche lei sapeva cosa. Per un attimo, la sua
risoluzione aveva vacillato, ed era stata rimpiazzata dalla soggezione
che quel
luogo le incuteva. Se solo ripensava alle volte in cui sua sorella
Annika le
aveva raccontato che prima della sua nascita, lei e Mark da bambini
erano stati
soliti giocare spensieratamente a rincorrersi e a nascondersi dietro le
file
delle colonne di sostegno, a Lilyan quasi veniva da sorridere. Ora
neanche le
risa di un esercito di infanti avrebbe saputo rallegrare
l’atmosfera cupa che
aleggiava in quell’ampia sala, perché
l’unico esercito presente era formato dalle
Guardie Imperiali, che avevano preso il posto dei suoi fratelli,
nascondendosi
dietro l’ombra delle colonne col palmo della mano
sull’elsa della spada.
Tenendo
lo sguardo fisso sui propri
piedi, che spuntavano dall’orlo della gonna del suo vestito,
aveva percorso
l’intera navata che l’aveva condotta dritta davanti
a una fila di gradini,
oltre ai quali, su un piano rialzato, erano posizionati due troni in
legno
finemente lavorato e decorati d’oro, che al solo vederli
sembravano il massimo
della scomodità. Annika le aveva anche raccontato di tutte
le volte che Mark
era salito in piedi sul trono del loro padre e che, brandendo la sua
spada di
legno da allenamento, aveva dato vita ad epiche battaglie completamente
da
solo, battaglie che finivano immancabilmente con la sua auto
proclamazione come
“sovrano del mondo”. Quello forse non sarebbe stato
il ruolo che avrebbe
ricoperto, ma in futuro, lui era destinato a diventare
l’Imperatore di Ryk. O
almeno, così era come sarebbe dovuta andare.
Lilyan,
non aveva mai conosciuto bene
Mark. Fin da piccoli, erano stati separati ancor prima che potessero
instaurare
qualcosa di più del legame di nascita tra fratello e
sorella, con la scusa che
dovessero venir educati in discipline differenti. Tra i vaghi ricordi
che Lilyan
aveva di lui, più vividamente la ragazza poteva rammentare
solo la volta in cui,
tra lacrime di rabbia causate da qualcosa di cui lei non era a
conoscenza, Mark
l’aveva accusata di essere responsabile, con la sua nascita,
della morte della
loro madre, al pari degli Assassini, gli Elfi. Lilyan aveva sei anni,
Mark quasi
undici. E l’aveva odiato con tutta sé stessa per
quella affermazione ingiusta,
arrivando ad urlargli contro davanti a tutta la corte imperiale che se
non
l’avesse lasciata in pace, avrebbe causato anche la sua, di
morte. Da quel momento
erano diventati ancora più estranei l’uno
all’altra, non tanto per il rancore
che presto li aveva abbandonati, ma per il senso di colpa reciproco, e
soprattutto, per il comune ferreo orgoglio, che gli aveva impedito di
tentare
nuovamente di intavolare un dialogo. Ricordava anche quanto questo
avesse fatto
soffrire la dolce Annika, che voleva incredibilmente bene ad entrambi,
e come sua
sorella, nonostante tutto, si fosse posta in sua difesa quando poi, due
anni
dopo, Mark era scomparso in un tragico incidente a bordo de La Gloria,
una delle navi di testa della flotta imperiale, e solo successivamente
ad estenuanti
operazioni di ricerca era stato dato per morto, nonostante il suo corpo
non
fosse mai stato ritrovato. Silenziosamente, Lilyan aveva avvertito il
peso
anche di quella colpa caderle sulle spalle, insieme agli sguardi
turbati e
incredibilmente superstiziosi di tutti i cortigiani, e primo tra tutti,
quello
pieno di rancore di Raleigh.
Infondo,
lei era nata maledetta. Era
venuta al mondo tra gli Elfi, quel popolo di assassini famosi per le
loro arti
magiche.
Per
un attimo, si chiese come sarebbe
stato se quel fratello sconosciuto, per il quale non aveva mai provato
un vero
attaccamento, fosse stato ancora vivo. Forse il cuore di suo padre non
si
sarebbe indurito così tanto. Forse non si sarebbe chiuso
così irrimediabilmente
in sé stesso, al punto di arrivare a voler allontanare
entrambe le sue figlie
da Rykfort con dei matrimoni combinati, per rimanere da solo con il suo
dolore.
Era
questo che aveva pensato
trovandosi al cospetto dell’Imperatore, austero e composto
nella sua veste blu
notte e oro, con in capo la corona piena di gemme preziose. I capelli e
la
barba, un tempo neri e ricci come quelli di lei, ormai tendevano al
grigio, e le
rughe gli contornavano gli occhi intensi e severi color nocciola,
così come la
bocca, che ormai da tanto, troppo tempo non vedeva più
neanche l’ombra di un sorriso.
Quando,
dopo essersi inchinata, Lilyan
aveva trovato finalmente il coraggio di incontrare lo sguardo duro di
Raleigh
Hegertal, con un fremito aveva capito che la decisione era
già stata presa, e
che niente l’avrebbe più fatto cambiare idea.
« Principessa, quale onore. »
Lilyan
non aveva neanche fatto in
tempo ad aprire la bocca per parlare e porgere i suoi saluti al padre,
che un
suono stridente come vetro le aveva ferito le orecchie.
Immediatamente,
la ragazza si era
voltata nella direzione di quella voce, imponendosi di trattenere un
sussulto
quando aveva riconosciuto il suo proprietario. Dalla penombra creata da
una
colonna di sostegno, aveva visto avanzare il Cancelliere, curvo e
vecchio più
di quanto fosse capace di immaginare un uomo, coi capelli bianchi come
la neve,
e piccoli occhi neri, guizzanti come carboni ardenti, quasi nascosti
sotto la
pelle rugosa e coperta di macchie. La sua voce era rauca e dal tono
modulato
con una strada cadenza, che la faceva risultare quasi melliflua,
strisciante,
terribilmente fastidiosa da udire, e il suo sguardo sembrava penetrare
l’anima.
Sguardo che si era data della stupida per aver incrociato,
perché se quello di
suo padre le metteva soggezione, quello del Cancelliere Ygard era
capace di
instillare in lei il timore più puro. Deglutendo, si era
imposta di rispondere
al suo saluto in modo cortese, e poi era tornata a concentrarsi su suo
padre,
cercando di calmare il battito del suo cuore improvvisamente
imbizzarritosi.
Non riusciva a capire perché mai avesse quella reazione ogni
volta che si
trovava dinnanzi a quel vecchio canuto, ma dentro di sé era
in qualche modo
convinta che ci fosse qualcosa di incredibilmente e profondamente
malvagio in
quell’uomo, e non poteva concepire come suo padre si potesse
fidare di lui
tanto da eleggerlo al rango di suo primo consigliere. Per questo aveva
esitato
un attimo prima di avanzare ancora, sollecitata da un cenno della mano
di
Raleigh, aspettandosi quasi che da un momento all’altro il
Cancelliere si
allontanasse per lasciarla parlare da sola col padre. Invece
l’uomo era rimasto
al suo posto al fianco dell’Imperatore, al di sotto dei
gradini che innalzavano
la piattaforma, e aveva fissato su di lei i suoi occhi indagatori, con
un
sorriso appena accennato sul volto segnato.
Maledicendo
il corpetto che indossava
e che le impediva di fare respiri profondi per tranquillizzarsi, Lilyan
si era
fermata esattamente di fronte a Raleigh. La luce del sole pomeridiano
arrivava
a malapena a colpire il suo viso, e creava su di esso ombre che gli
davano
un’aria ancora più austera, quanto stanca.
Impassibile
come sempre, Raleigh si
era informato della salute e dell’istruzione della figlia.
Lei aveva risposto
educatamente e con molta calma a ogni domanda del padre, anche se
dentro di sé non
aveva fatto che fremere dal desiderio di allontanarsi da quella sala e
da quei
due uomini che insieme avevano il potere di farla sentire indifesa. Ma
non
poteva permettersi di lasciarsi soggiogare così, quel giorno
lei si era recata
alla sua udienza con l’intenzione di far valere la sua voce,
nonché il suo
diritto di scegliere da sé il suo destino.
Dopo
che aveva finito di rispondere,
nella sala era caduto un lungo silenzio, cosa che l’aveva
fatta ancor più
innervosire. In quella pausa, aveva avvertito gli occhi di Ygard
scrutarla
attentamente, e si era sentita quasi come se fosse nuda, esposta, come
se lui
potesse leggere quello che le passava per la testa. Non era riuscita a
sopportarlo. E quando la sua pazienza aveva raggiunto il culmine, si
era decisa
a chiedere:
« Padre, per quale motivo mi avete fatta
chiamare? Non per sapere che
materia ho studiato ieri, suppongo. »
Forse
aveva parlato con un tono più
tagliente di quanto avrebbe dovuto, perché lo sguardo di suo
padre si era
improvvisamente fatto più affilato. Lilyan si era sentita
esaminata anche da
lui, e aveva dovuto compiere un enorme sforzo per non cedere alla
tentazione di
fare un passo indietro.
« Supponi bene, figlia mia. Ma non essere
impaziente. », aveva replicato
infine lui con severità.
Tanto
valeva che le avesse chiesto di non respirare,
aveva pensato Lilyan, la cui inquietudine
non aveva fatto che crescere ogni secondo di più. In quel
momento, avrebbe
voluto solo poter esprimere a gran voce tutta la sua rabbia, ma sapeva
che così
avrebbe solo peggiorato le cose. Sì, doveva
essere paziente.
Ed
erano passati altri minuti in cui
la principessa era stata costretta a rimanere in silenzio a sopportare
gli sguardi
penetranti dell’Imperatore e del Cancelliere, prima che
Raleigh Hegertal si
decidesse finalmente a parlare. Col cuore in gola, Lilyan lo aveva
osservato
chiudere gli occhi e poggiare i gomiti sulle braccia del trono,
intrecciando le
mani davanti al proprio viso.
« Quanto in là credi si debba
spingere un imperatore per garantire la
pace e la prosperità dell’impero che governa?
»
A
quelle parole, Lilyan era rimasta
interdetta, la domanda l’aveva colta completamente alla
sprovvista. Aveva
sbattuto le palpebre, aggrottando le sopracciglia, riflettendo su quale
potesse
essere la risposta adatta, ma soprattutto, sul perché mai
suo padre le avesse
chiesto una cosa del genere. Ma ben presto le era stato chiaro, fin
troppo
chiaro, ed era stata obbligata a mordersi con forza il labbro inferiore
per
impedirsi di esternare la collera che le era montata dentro in un
istante.
« Ti ho fatto una domanda. »,
l’aveva quindi richiamata all’attenzione
Raleigh, sentendosi ignorato dalla figlia che aveva abbassato lo
sguardo.
« Di cui non conosco la risposta. Mi manca la
saggezza per avere anche
solo l’ardire di esprimere la mia opinione in merito.
Perché non me lo dite
voi, padre? », Lilyan aveva sibilato tra i denti con
l’intenzione di
provocarlo, mentre era tornata a fissare i suoi glaciali occhi azzurri
nei
suoi. « Cosa siete disposto a sacrificare per il bene del
vostro impero? »
« Ryk non è mio.
Io non lo
posseggo, quanto non l’hanno posseduto gli Imperatori che mi
hanno preceduto. »
« Che gli dei abbiano in gloria la loro anima.
», aveva aggiunto in un
sussurro Ygard, a cui Raleigh aveva rivolto un cenno
d’assenso prima di continuare,
serrando la stretta sulle proprie mani.
« L’Imperatore è solo una
figura, un simbolo che riunifica in sé potere,
sacralità e giustizia, culture differenti e terre lontane le
une dalle altre
quanto il giorno e la notte, l’Astro e la Stella. Ma le
città e i popoli che su
cui estende il suo dominio non gli appartengono, non possono essere
considerati
una sua proprietà materiale e personale. Ciò non
di meno, deve fare di essi il
significato della sua intera esistenza. »
Prendendosi
altro tempo prima di
continuare, Raleigh aveva sciolto le dita e appoggiato le mani sul
legno di
cedro del suo trono, distendendo la spalle contro lo schienale.
Nonostante
fosse seduto, a Lilyan era sembrato immenso.
« Non esiste un limite davanti al quale un
imperatore debba fermarsi, né
sacrifici che non debba essere più che disposto a compiere.
È questa la mia
risposta. L’intera vita di quel singolo individuo
è in funzione di un bene più
grande, il bene del suo popolo. »
« Devo... devo dunque concludere che mi avete
chiamata per farmi una
lezione di filosofia? », a quel punto Lilyan aveva sorriso
ironicamente, per
mascherare l’esitazione nella sua voce. Per un attimo, si era
sentita come
vacillare, di fronte all’inflessibilità nel tono
di suo padre.
« Siamo ben lontani dalla conclusione di questo
discorso. »
« Perché non arrivate al punto,
allora? », lo aveva rimbeccato, con più
arroganza di quella che avrebbe dovuto. « Di
grazia. »
Di
fronte a quella dimostrazione di
irriverenza, Raleigh si era limitato a stringere con forza il legno dei
braccioli.
« Volevo solo che ti fosse chiaro cosa sia o non
sia in mio potere. Ma
visto che con questi giri di parole ti risulta così
difficile capire, mi
spiegherò meglio. Quello che voglio che tu comprenda
è molto semplice. », e con
la coda dell’occhio, Lilyan aveva potuto osservare il sorriso
del Cancelliere
Ygard distendersi, mentre lei aveva potuto solo serrare i denti.
«
Non possiederò Ryk... però, in
quanto mia figlia, posseggo te.
»
Questo
era stato troppo. La
principessa aveva perso la sua compostezza, e la sua espressione si era
tramutata in una smorfia del disprezzo più puro. Il suo
orgoglio, ora ferito,
non poteva sopportare un affronto del genere. Lei non apparteneva a nessuno,
se non a sé stessa.
« Forse non sai quali siano i doveri di un
imperatore, ma quelli di una
principessa dovrebbero esserti più che chiari. »,
aveva aggiunto Raleigh, senza
mostrare il minimo turbamento davanti alla sua reazione.
« E i vostri doveri di padre vi sono chiari?!
», la giovane era sbottata
al culmine della rabbia, urlando il proprio risentimento. Era stanca di
tenere
controllata la voce. Era stanca di non mostrare mai i suoi veri
sentimenti. Era
stanca, maledettamente stanca di rimanere sempre in-...
« Silenzio.
»
Lilyan
si era come pietrificata, il
senso di soggezione che suo padre le incuteva era tornato a pesare su
di lei
insieme al suo sguardo carico di risentimento e rancore, che le aveva
ricordato
lo stesso che le aveva rivolto il giorno dell’incidente in
cui Mark era
scomparso. L’Imperatore si era alzato in piedi, ergendosi in
tutta la sua
statura. E Lilyan era tornata ad essere la bambina che di notte
piangeva
premendo il viso contro il cuscino per soffocare i singhiozzi.
« Sono un Imperatore prima che un padre.
», Raleigh aveva asserito a
quel punto, chiarendo ancora di più quanto
fosse disposto a sacrificare.
« Prima che un uomo, vorrete dire...
», lei aveva mormorato tra i denti,
prima di riuscire a trattenersi. Nel frattempo suo padre era tornato a
sedersi,
e per un attimo la giovane aveva sperato che avrebbe ignorato le sue
parole. Ma
non era stato così.
« Prima che un uomo, sì. »
E
Lilyan si era sentita perduta.
« Tra due cicli esatti della Stella, a due mesi
a partire dal Solstizio,
andrai in sposa al, confido, l’allora Lord Gellert Cattleback
e diventerai la
signora di Groenwoud. Le nozze si celebreranno nel tempio di Hemel,
sotto la
benedizione del dio Padre del Cielo e di tutti gli dei-... »
« ... No.
», aveva potuto solo
negare con orgogliosa
veemenza, analogamente a
quando Nania le aveva dato per la prima volta la notizia.
« No? », suo padre aveva ripetuto,
come a sfidarla a ribadirlo un'altra volta.
« È quello che ho detto... mio
Imperatore. », lei aveva sottolineato, come se si
trattasse di un insulto.
A
quel punto il Cancelliere Ygard si
era fatto avanti.
« Questo è il volere di vostro padre,
il volere dell’Imperatore,
principessa Lilyan. Dovete comprendere le vostre
responsabilità come-... », ma
Raleigh l’aveva interrotto con un gesto della mano, potendo
vedere che sua
figlia aveva ancora da dire. Lilyan si era sentita derisa,
perché sapeva bene
che suo padre le aveva ceduto la parola solo per farla sfogare, e non
perché
avesse reale interesse ad ascoltare la sua opinione o a cambiare la
propria, ma
non per questo scelse di rimanere zitta.
« Se volete che io comprenda le mie
responsabilità, fatemi assistere
alle riunioni del Consiglio, rendetemi ambasciatrice, non datemi in
sposa a uno
sconosciuto solo perché ha le risorse e le ricchezze per
aiutarvi nella vostra
folle e vana caccia agli Elfi! Credete che sia stupida?! Credete che
non mi
accorga che i vostri Soldati di Vurige abbiano fatto un fiasco dietro
l’altro?!
Sono passati diciassette anni, padre! Diciassette!
E ancora non una testa di un Elfo è caduta per vendicare mia
madre, mentre voi
vi ostinate a non-...! »
« Adesso basta.
»
Ancora
quel tono, ancora quello
sguardo. Odiando sé stessa, Lilyan aveva sentito i propri
occhi inumidirsi
mentre la voce le era morta in gola.
« Ho sopportato a sufficienza le tue mancanze di
rispetto. », Raleigh si
era nuovamente alzato, sistemandosi il lungo mantello blu notte dietro
le
spalle, per poi scendere con incedere lento ma deciso i gradini che lo
sopraelevavano. Prima di ritirarsi dietro un ampio portone che le
guardie gli
avevano prontamente aperto, si era voltato un ultima volta verso sua
figlia,
rimanendo a guardarla per una breve frazione di secondo. Poi le aveva
dato le
spalle. « Ho preso la mia decisione e la rispetterai, che tu
sia d’accordo o
meno. », ed era sparito nell’ombra.
Suo
malgrado, Lilyan fu costretta a
chiudere gli occhi e a prendere fiato quanto più
profondamente i suoi stretti
abiti le consentivano, per calmarsi dopo aver rievocato quei ricordi.
Quando
infine fu giunta davanti al
tempio e fu costretta a smontare dalla sella, per un attimo
sentì mancare la
terra sotto i propri piedi. Ma si riprese in fretta, serrando con forza
i
denti.
« Andrà tutto bene, Gemma.
», sussurrò, circondando con le braccia il collo
della sua puledra dello stesso colore dell’oro, mentre
respirava a fondo il
tipico odore del suo pelo. Solo quando si sentì abbastanza
forte per farlo, si
distaccò da lei, che sbuffò nuovamente, pestando
a terra gli zoccoli. Fissando
i suoi lucenti occhi scuri, Lilyan lasciò che sulle proprie
labbra tremanti di
distendesse un sorriso furioso.
« Ho fatto una promessa a me stessa. E non ho
intenzione di infrangerla.
»
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GLOSSARIO
Astro
Infuocato: è come viene chiamato il Sole.
Brimstone:
nome
del castello che si erge a dominare l’arcipelago delle isole
Vulkaan. In
inglese, significa “zolfo”.
Gevries:
[ghèvries]
Dea della Luna, della razionalità, e dell’inverno.
Letteralmente, il suo nome
significa “congelato”.
Groenwoud:
[groenvud]
nome del feudo governato dai Cattleback. Letteralmente, significa
“bosco verde”.
Hemel:
Dio del
Cielo, cioè il significato del suo nome. È
considerato il padre di tutti gli Dei.
Oëlig:
altro nome degli Elfi, che letteralmente significa “occhi
lucenti”.
Col procedere della storia capirete perché vengono chiamati
così.
Ryk:
[ric] l’impero
in cui è ambientata la vicenda.
Rykfort:
nome
del palazzo imperiale. Il suffisso “fort” sta ad
indicare “fortezza”.
Rykstad:
la
capitale dell’Impero. Il suffisso “stad”
sta ad indicare “città”.
Stella
di
Ghiaccio: come viene chiamata la Luna.
Vulkaan:
arcipelago di isole di origine vulcanica, prima disabitate ma
recentemente
diventate un feudo.
Vurige:
[vùrighe]
Dio del Sole, dell’istinto, e dell’estate.
Letteralmente, il suo nome significa
“ardente”.
Yvebloom:
[ìvblum]
Dea dei Fiori, della vita/rinascita, e della primavera. “Yve”
è una distorsione del nome “Eva”
che significa “vita”, mentre
“bloom” significa “fiore”.
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