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!AVVISO! Il capitolo purtroppo non è betato e per alcune parti nemmeno riletto,
il punto è che volevo postarlo prima di Natale per fare un regalo alle mie
quattro fedelissime lettrici (e non sto citando Manzoni qui, no....)! Quindi, se
trovate errori di battitura, grammatica, parole mancanti o altri Orrori,
sentitevi pure libere di segnalarmeli e insultarmi, e poi perdonarmi ovviamente!
Perdonatemi anche se ormai posto una volta ogni sei mesi, smetto anche di
promettere più velocità... i motivi sono sempre gli stessi e purtroppo non
cambieranno presto!
Detto questo, vi lascio alla lettura e aspetto i vostri commenti!
la Scrittrice
Saer Tûr
(Un Amara Vittoria)
“I do not love the bright sword for it's sharpness,
nor the arrow for it's swiftness, nor the warrior for his glory.
I love only that which they defend”
[The Lord of the Rings _ J.R.R. Tolkien]
La terra sotto i piedi stanchi di Dean era rossa e nera del sangue dei nemici di
Rohan. I corpi sfatti e maleodoranti degli orchi erano ammassati uno sull’altro,
fatti a brani dalla vetusta e verdeggiante furia distruttrice che dalle montagne
si era abbattuta su di loro, stringendoli in una morsa insieme ai Rohirrim, che
caricavano dalle mura violate del fosso. Ma non erano quei cadaveri grigi e
devastati a pesare sul cuore del Dùnadan, bensì i volti troppo giovani di
ragazzi strappati alle loro case e alle loro famiglie, per combattere la guerra
di un usurpatore che non aveva esitato a mandarli a morire per mano dei propri
stessi fratelli. Mentre la mano di Dean stringeva con forza l’elsa dorata della
spada, che ora penzolava inerte alla fine del suo braccio, il ramingo sentiva la
rabbia ribollirgli nelle vene, avvelenandogli l’anima con un cieco desiderio di
omicidio e vendetta. Troppa morte, troppo sangue, troppo dolore era già stato
sparso nel nome di un ideale oscuro e di pochi pezzi di acciaio ormai inutile.
Davanti ai suoi occhi si estendeva l’ampia valle del Fosso di Helm, un
interminabile distesa di morti e feriti, di soldati troppo stanchi per gioire
della vittoria e donne troppo spaventate per credere che questa fosse davvero la
fine delle loro sofferenza. Tutti davano una mano, e tutti gli occhi scrutavano
quella vallata che pareva interminabile alla ricerca di un viso amico, di uno
sguardo amato, sperando contro ogni speranza di vedere ancora il respiro
gonfiargli il petto e la vita scorrergli nelle vene. Anche i suoi stanchi occhi
verdi cercavano, e allo stesso tempo rifuggivano, quella vista orribile, così
come il suo cuore desiderava ed aborriva l’idea di sapere, di vedere finalmente
i volti che andava cercando.
Aveva spedito Jo da sua madre nel fitto della battaglia, ma nessuno l’aveva più
vista da allora. Sam era scomparso ancora prima che raggiungessero il fosso di
Helm. Bobby era partito e solo i Valar sapevano dove diavolo era andato. Uno
qualsiasi di quei volti amici sarebbe bastato a sollevargli il cuore o a
sprofondarlo definitivamente nell’abisso. Era il volto, quasi di bambina, di Jo
che cercavano ossessivamente i suoi occhi, perché non poteva sopportare l’idea
di avere mandato anche lei verso la morte, non sarebbe riuscito a reggere il
peso anche della sua vita spezzata, non insieme a quelle di tutte le armature
scintillanti che giacevano ai suoi piedi nel fango.
Fu in quel momento, mentre il suo sguardo passava senza guardare sopra
l’ennesimo volto di ragazzo, senza neppure sapere se si trattasse di un Rohirrim
o di un Gondoriano, che qualcuno gli afferrò la mano che ancora stringeva la
spada. Dean si voltò di scatto, i muscoli tesi dai nervi ancora scossi dalla
battaglia, solo per trovarsi davanti ad una donna curva sotto il peso degli anni
e del dolore, che portava una caraffa ed uno straccio già rosso di sangue. La
donna sembrava stanca almeno quanto lui, ma quando lo aveva visto gli aveva
afferrato la mano e l’aveva baciata piano, e ora i suoi occhi resi opachi dagli
anni lo fissavano in volto con un sorriso commosso, nascosto sotto tutto il
dolore, e un ringraziamento silenzioso che non riusciva a sciogliersi dal nodo
che aveva in gola. Una lacrima si staccò dalle rade ciglia candide della vecchia
donna, iniziando a scorrere il percorso accidentato del suo viso segnato dal
tempo, e le sue labbra secche si posarono di nuovo sulla sua mano, come a voler
sostituire le parole che non riusciva a pronunciare. In quel preciso momento,
Dean aprì le dita e lasciò che la spada scivolasse in terra, quindi voltò il
palmo della mano e la strinse intorno a quella della vecchia, rivolgendole un
sorriso triste ma grato.
“La gente di Rohan ti ama, Dean. Li hai salvati” disse una voce femminile alle
sue spalle, e il ragazzo si trovò nuovamente a ruotare veloce su se stesso, per
trovarsi di fronte il volto sporco ma vitale di Jo. Un braccio le pendeva inerte
lungo il corpo, ma a parte questo non sembrava ferita.
Dean scosse la testa di rimando alle sue parole “Si sono salvati da soli. Li ha
salvati la loro Regina. E li ha salvati… quello. Qualunque cosa sia” replicò il
giovane ramingo, voltando il capo per fissare il fitto boschetto che era
comparso all’improvviso, scivolando giù dalle pendici delle montagne, e aveva
praticamente ingoiato qualsiasi nemico avesse avuto l’ardire di infilarsi tra le
sue fronde, per sfuggire alla pioggia di frecce che aveva iniziato a cadere
dalle pendici scoscese della valle.
Jo gli lanciò un’occhiata di rimprovero, ma infine la curiosità vinse su
qualunque altra cosa “Già, quello. Sono amici tuoi?” gli domandò, inarcando un
sopracciglio nell’osservare il boschetto che ora sembrava starsene quieto, come
fosse sempre stato esattamente in quel punto.
“Non ne ho idea” rispose sinceramente Dean “Ma ho intenzione di scoprirlo”
aggiunse riprendendo la propria lenta avanzata attraverso il Fosso, non senza
aver prima lanciato un invito silenzioso alla ragazza, che prese semplicemente a
camminare ad un passo di distanza da lui.
Il bosco aveva invaso a tal punto la vallata, che ben presto Dean riuscì a
distinguere le fronde e le foglie dei diversi alberi che, come una strana
accozzaglia, sembravano essersi dati convegno lì, e ora iniziava a domandarsi
come avrebbe fatto a scoprire cos’era successo: si sarebbe sentito estremamente
stupido a parlare con un albero. Proprio quando cominciava a pensare che avrebbe
dovuto disquisire con qualche scoiattolo o qualche altra diavoleria del genere,
un robusto cavaliere coperto di grigio emerse dalla boscaglia togliendosi dalla
testa l’alto cappello a punta e smontando pesantemente di sella.
“Bobby!” esclamò Dean, felice e sorpreso al tempo stesso di vederlo lì. Dean
aveva una gran voglia di corrergli incontro, ma un po’ temeva i commenti che lo
stregone avrebbe fatto se gli avesse gettato le braccia al collo come una
bambino all’uscita dall’asilo, un po’ non aveva voglia di fare quella figura
infantile davanti a Jo; in ogni modo prese a camminare più veloce, ansioso di
sentire come diavolo aveva fatto a convincere un’intera foresta ad aiutarli in
una guerra.
Quando finalmente si ritrovò ritto di fronte allo stregone, però, non poté fare
a meno di stringerlo almeno in un virile abbraccio, per poi tornare
immediatamente a fissare i propri occhi verdi sulla foresta alle spalle di
Bobby, con un sopracciglio inarcato in una domanda silenziosa. Lo stregone
sbuffò e grugnì con il suo tipico atteggiamento burbero, quando finalmente si fu
sciolto dall’abbraccio del ragazzo, e si voltò solo una secondo a gettare
un’occhiata alla schiera degli alberi dietro di lui, quindi si strinse nelle
spalle bofonchiando:
“Eleanor… una vecchia amica mi doveva un favore” quindi tornò a concentrare
tutta la propria attenzione sui due ragazzi di fronte a lui “Non guardatemi con
quelle facce! I pastori di alberi sanno essere implacabili quando le loro
foreste sono minacciate, io ho solo detto le parole giuste alla persona giusta”
Bobby parlava come se smuovere un’intera foresta per portarla su un campo di
battaglia fosse la cosa più normale del mondo, e a Dean venne voglia di ridere.
Improvvisamente, nel momento in cui la voce borbottante dello stregone era
tornata a risuonargli nelle orecchie, il peso che aveva portato sul cuore per
tutta la notte si era sollevato, come se qualcun altro lo stesse ora portando
con lui. Nell’oscurità della notte, quando tutto era sembrato perduto ed ogni
morte era sembrata ricadere su di lui, si era sentito disperatamente solo,
niente più che una pedina manovrata da forze troppo grandi per poter perfino
pensare di contrastarle. Ora, nel sole del mattino, con i suoi amici al suo
fianco, la vittoria non sembrava più solo un miraggio crudele all’orizzonte. Se
solo…
“Dov’è Sam” la voce dello stregone interruppe il filo dei suoi pensieri,
riportandolo brutalmente alla realtà.
Dean scosse la testa guardandosi intorno “Mi chiedevo la stessa cosa… non lo
vedo da prima che varcassimo le mura del Fosso” replicò il ragazzo, la fronte
corrucciata e lo sguardo nuovamente cupo. Sapeva che Sam sapeva perfettamente
badare a se stesso, ma non poteva fare a meno di chiedersi cosa gli fosse
accaduto, cosa lo avesse allontanato dalla colonna di fuggiaschi che stavano
conducendo all’ultimo difesa.
In quel momento, la presa salda della mano di Jo sul suo braccio richiamò la sua
attenzione verso est, da dove, aggirando la fitta muraglia di alberi che ora
riempiva la conca, si stavano avvicinando numerosi cavalieri vestiti di chiaro,
con lunghi archi fissati alla sella, e soffici mantelli scuri sulle spalle.
Dean aveva saputo per istinto che gli arcieri che qualche ora prima avevano
iniziato a decimare l’esercito nemico dall’alto delle pendici del Fosso potevano
essere solamente Elfi. Nessun altro avrebbe potuto colpire con tanta precisione
da tanto lontano, e soprattutto, nessun altro aveva archi tanto potenti e frecce
di quel tipo. Il Dùnedan ne aveva viste a decine, conficcate nei corpi inerti
dei suoi nemici, ma era comunque perplesso dal fatto che un contingente di
arcieri Elfi fosse arrivato al Fosso di Helm a dare manforte ai Rohirrim. Era
impossibile che Bobby fosse riuscito a giungere fino a Lorièn, nel suo viaggio
alla ricerca di aiuto, e allora come avevano fatto questi Elfi a conoscere il
loro bisogno e a giungere in loro soccorso? Tutto ciò era un mistero, ma non lo
sarebbe stato ancora per molto: Dean poteva già distinguere molti degli Elfi che
si avvicinavano con passo veloce, guidati da un cavaliere coperto da una
scintillante armatura e da un altro avvolto da un lungo mantello grigio. Gli
sembrava perfino di riconoscere il cavaliere in grigio, ma non voleva cedere
alla speranza prima di aver constatato con i suoi occhi.
Sam spronò la sua cavalcatura non appena riuscì a distinguere il volto sporco e
stanco del suo fratello adottivo, e cavalcò veloce verso di lui finché non fu
che a pochi passi di distanza, quindi smontò rapidamente di sella e sorrise al
ramingo che gli era improvvisamente corso incontro. Dean lo strinse tanto da
fargli male, quindi si separò da lui e colpì in pieno viso con un destro
poderoso che gli rivoltò la faccia e gli dipinse in volto un’espressione di
sgomento.
“Cosa ti salta in mente, Dean? Per i Valar!” esclamò massaggiandosi la mascella.
“E a te cosa è venuto in mente?” ringhiò di rimando il ragazzo “Il fatto di
essere arrivato a salvarci il culo con i tuoi amichetti non cambia il fatto che
mi hai piantato in asso senza nemmeno dirmi che te ne stavi andando,
dannazione!” per un attimo sembrò sul punto di tirargli un altro cazzotto, ma in
quel momento sopraggiunse l’altro cavaliere, che era rimasto indietro a guidare
il proprio contingente, e riconoscendo il suo volto all’istante, alzò gli occhi
al cielo come a chiedere: perché?
“Non dovresti trattare così un principe degli Elfi, Dean di Nùmenòr, soprattutto
dal momento che ha appena salvato la pelle a te e a tutti quelli che stavi
maldestramente cercando di proteggere” lo raggiunse il tono sarcastico della
voce di Balthazar.
“Come ben sai l’etichetta non è mai stata il mio forte, Balthy” lo apostrofò
Dean, sottolineando il nomignolo con la voce, per poi voltarsi di nuovo verso il
Mezzelfo “Per i Valar, e lui dove l’hai trovato, Sammy?”
“Veramente, è lui che ha trovato me” replicò Sam, portando i propri occhi verdi
ad incrociare quelli simili sebbene molto più giovani del fratello, e Dean
avrebbe potuto giurare che ci fosse imbarazzo nella sua voce.
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Mentre già si infilava tra i contorti ma enormi tronchi scuri degli alberi di
Fangorn, Ruby fu costretta a voltarsi, quando si rese conto che Sam non aveva
intenzione di seguirla ma si ostinava a starsene lì all’aperto, arco alla mano,
pronto a morire da stupido eroe. Solo che lei non poteva permetterglielo, non
poteva permettergli di morire da eroe, o peggio ancora, di accorgersi che quelli
che si stavano avvicinando, con tutta probabilità, non erano affatto nemici,
perché a lei serviva vivo, ma soprattutto succube della sua volontà. Una volta
che lo avesse convinto a proseguire il loro viaggio verso nord, non sarebbe
stato troppo difficile persuaderlo a deviare verso est, fino a portarlo
finalmente sotto l’ombra di Mordor.
L’Elfo che già era nelle loro mani non sembrava volere cedere, il suo cuore e il
suo spirito si erano rivelati molto più forti e fedeli a quel ridicolo umano di
quanto avessero previsto, ma loro non potevano permettersi di fallire, non ora
che la vittoria era così vicina, e lei era certa che il sangue misto di Sam lo
avrebbe reso molto più facilmente corruttibile.
Finora aveva avuto ragione, e non avrebbe lasciato che questo stupido
contrattempo le mettesse i bastoni fra le ruote.
Abbandonò la sua sacca nascosta dietro il tronco di un albero, e legò le
cavalcature ad un ramo lì vicino, quindi tornò velocemente al fianco di Sam.
“Sam, ascoltami” gli sibilò, afferrandogli un braccio per cercare di
costringerlo ad abbassare l’arco che teneva pronto tra le mani “la Terra di
Mezzo ha bisogno di te, non puoi permetterti di morire qui, cercando inutilmente
di contrastare più nemici di quanti tu possa abbatterne da solo. A volte bisogna
avere il coraggio di ritirarsi, per fare la cosa giusta” cercava di mantenere il
tono della propria voce calmo e ragionevole, ma l’ansia continuava a trasparire
dalle sue parole. Sapeva che era solo questione di pochi secondi perché il
gruppo che si stava avvicinando spuntasse da dietro gli alberi, e allora sarebbe
stato troppo tardi. Sam avrebbe riconosciuto immediatamente che non si trattava
di nemici, e a quel punto l’unica speranza di Ruby sarebbe stata di metterlo
fuori gioco e trascinarlo via, ma si trattava di una mossa disperata, che non
avrebbe mai avuto successo. No, doveva convincerlo a seguirla immediatamente.
“Come puoi sapere che non ci staneranno immediatamente, uccidendoci come conigli
nelle loro tane? Il bivacco è fresco, chiunque capirebbe che ci siamo rifugiati
nella foresta” protestò Sam, ma nello stesso tempo abbassò l’arco, voltandosi
per guardare in viso Ruby.
La ragazza nascose un sorriso vedendo fino a che punto il mezzelfo aveva già
riposto in lei e nei suoi consigli la propria fiducia.
“Ma non chiunque affronterebbe la foresta di Fangorn per trovarci, soprattutto
considerando che non potranno sapere quanto sia fondamentale il viaggiatore che
ha lasciato quel bivacco” spiegò lei, mettendo tutte le sue notevoli doti di
ammaliatrice nelle proprie parole “Ci basterà inoltrarci un poco nel folto della
foresta, per trovarci al riparo. Quando saremo sicuri che ne saranno andati,
usciremo dagli alberi e riprenderemo il viaggio verso nord” nonostante ce la
stesse mettendo tutta, Ruby poteva vedere l’indecisione negli occhi del suo
cocciuto interlocutore. Reprimendo un moto di stizza, si avvicinò di più a lui,
fissando intensamente lo sguardo nel suo “Lo devi al tuo popolo, Sam. E lo devi
anche a Dean. Senza di te non ce la farà, nessuno ce la farà” il melodrammatico
era sempre stato il suo cavallo di battaglia, e anche in quel caso si rivelò
vincente: Sam abbassò del tutto l’arco, raccolse la propria borsa e la seguì
velocemente tra gli alberi, giusto un secondo prima che i cavalieri facessero
capolino oltre l’ombra della foresta.
“Andiamo!” lo esortò la ragazza, slegando le redini dei cavalli, pronta a
dirigersi nel folto. Non ce l’aveva ancora fatta, finché non avesse messo la
strada fuori dalla portata dei suoi occhi, il suo piano poteva ancora fallire.
“Aspetta” sussurrò Sam, nascosto dietro un grosso tronco di albero, mentre
poggiava a terra una punta dell’arco, per scaricarlo.
“Sam!” lo richiamò lei con urgenza, mentre perfino i suoi occhi iniziavano a
scorgere nell’oscurità le sagome dei cavalieri che rallentavano la loro avanzata
per andare a controllare quel bivacco ancora fumante.
Il mezzelfo arrotolò la corda dell’arco intorno al legno disteso e si staccò dal
tronco, pronto a seguirla, ma ancora una volta si irrigidì, fermandosi.
“Questi sono rumori di zoccoli” bisbigliò alla notte, parlando più a se stesso
che alla sua compagna di viaggio “Forse non è necessario nasconderci” disse a
voce un poco più alta, rivolgendosi alla ragazza, che stava scuotendo
freneticamente la testa, “Gli orchi non cavalcano” aggiunse, come per avvalorare
la propria affermazione.
“Queste terre sono piene di uomini al servizio di Lilith, non possiamo
rischiare!” lo redarguì Ruby, tornando nuovamente sui propri passi, per condurlo
di peso, se necessario, tra gli alberi.
Questa volta fu Sam a scuotere la testa, mentre i suoi occhi fissi nel vuoto le
dicevano che era ancora in ascolto, più attentamente. Presto avrebbe capito, lei
stessa era sorpresa che ancora non li avesse riconosciuti. Proprio mentre stava
per raggiungerlo, tornando ad afferrargli il braccio per ottenere la sua
attenzione, il mezzelfo si voltò, deciso ad osservare i nuovi arrivati, sebbene
ancora perfettamente celato dalle ombre di Fangorn.
Ruby si bloccò, improvvisamente indecisa sul da farsi. Era improbabile che
sarebbe riuscita a distrarre Sam a questo punto, e a distoglierlo dal suo
proposito di controllare di persona chi fossero i viaggiatori che li avevano
sorpresi nel loro accampamento, ma allora restava una sola cosa da fare. Sebbene
qui la sua magia fosse debole, era possibile che funzionasse, almeno abbastanza
a lungo da condurlo lontano da loro, poi avrebbe pensato alla mossa successiva.
Silenziosa come un’ombra, Ruby coprì l’ultimo metro che la divideva da lui, e
nello stesso momento sfilò da una profonda piega del suo abito un lungo pugnale
nero dalla lama ondulata. Per un secondo, si limitò a fissare il centro
dell’ampia schiena del mezzelfo, poi levò la lama, pronta a sferrare il colpo.
Non riuscì mai a seppellire il suo oscuro pugnale nella carne di Sam, perché
nell’istante in cui la sua lama avrebbe dovuto squarciare il telo grigio del suo
mantello, un colpo come una frustata la raggiunse al braccio, inducendola a
lasciare cadere la lama, e subito di seguito alla nuca, stordendola abbastanza
da farle emettere un suono inarticolato ma perfettamente udibile. Sam si voltò
di scatto, pronto a combattere, ma vide solo il volto sofferente della ragazza.
Un secondo più tardi, le scintillanti punte di quattro frecce elfiche erano
puntate contro di lui.
Il messaggero prescelto non ci mise molto a ritornare da loro insieme al loro
condottiero, nientemeno che Balthazar di Bosco Atro non più di quanto ci misero
i suoi compagni ad immobilizzare e legare Ruby, malgrado le sentite proteste di
Sam.
“Samuel en Imladris. Elen sila lumen omentielvo (Samuel di Imladris. Una
stella brilla sull’ora del nostro incontro)” salutò Balthazar con un rapido
cenno del capo, spostando quindi la propria attenzione su Ruby “Chi è la tua
compagna?”
“Suilannen, Balthazar en Taur-nu-Fuin (Benvenuto, Balthazar di Bosco
Atro)” rispose cortesemente Samuel, senza dimenticare l’etichetta che il rango
gli imponeva “Ruby di Rohan è la mia compagna, mi è stata di aiuto e consiglio…”
iniziò a spiegare Sam con vigore, ma Balthazar lo interruppe prima che potesse
finire.
“Dov’è Dean? Non dovresti essere con lui, a consigliarlo e sostenerlo?” quella
domanda suonò alle orecchie del mezzelfo più come un’accusa “Invece di aggirarti
con questa creatura che ha appena cercato di pugnalarti nel buio?” aggiunse
Balthazar con un’espressione molto vicina al disprezzo sul volto, mentre
abbassava lo sguardo sul pugnale ancora abbandonato tra l’erba.
“Cosa…?” ribatté Sam, sentendo il desiderio di protestare la propria innocenza e
quella di Ruby, ma senza in realtà trovare le parole. Era stato davvero convinto
della strada che aveva scelto? Oppure era stato il veleno colato nelle sue
orecchie dalla malalingua di quella ragazza a persuaderlo? Prima che potesse
anche solo iniziare a trovare le risposte a quei dubbi, Balthazar sollevò il
pugnale da terra, tenendolo per l’impugnatura con solo due dita, come fosse
bollente, o terribilmente pericoloso.
“Un pugnale Morgul” sentenziò la voce dell’Elfo con spregio “Dovresti scegliere
meglio i tuoi compagni e consiglieri, Samuel. Un giorno potresti non essere
abbastanza fortunato da trovare qualcuno che ti salvi dalla tua stoltezza”
aggiunse Balthazar, avvolgendo il pugnale in un spesso vello di lana, prima di
consegnarlo nelle mani di uno degli elfi che erano con lui “Cavalca con noi,
Samuel, torna al posto che hai giurato di occupare, al fianco di tuo fratello
Dean, e spera che non sia troppo tardi” concluse l’elfo, lanciando un’occhiata
che era più una sentenza di morte alla ragazza, prima di voltarsi per tornare
dai propri compagni.
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Il leggero suono metallico dell’acciaio che si adagiava sulla roccia indugiò
solo un attimo nella tranquilla quiete della notte, per poi cedere nuovamente il
passo al lontano sciabordio del fiume Fossato, che continuava la sua incessante
marcia, ignorando le acque arrossate dal sangue. Dean osservò i resti contorti
dell’albero bianco, inciso sul pezzo di armatura che aveva appena abbandonato
sulla massiccia merlatura delle Mura Fossato. Restò a fissarlo per alcuni lunghi
secondi, senza realmente vederlo, poi poggiò accanto ad esso un altro tipo di
acciaio, tanto antico da essere divenuto leggenda, e lasciò che i suoi occhi
verdi vagassero tra le ombre della vallata. Troppi corpi giacevano ancora
insepolti tra le rocce ed il sangue, ma oltre tutta quella desolata morte si
stendevano le montagne e un mondo che continuava la propria vita malgrado
l’ombra che si allungava per soffocarlo.
Non c’era più luce nell’antico acciaio degli Elfi che Colt aveva brandito contro
quella stessa oscurità innumerevoli ere prima, così come non c’era più luce
nello sguardo color dei prati che avrebbe dovuto impugnarlo stavolta per salvare
ancora i popoli liberi dalla distruzione. Dean sospirò e poggiò le mani sulla
roccia, tentando di non sentirsi di nuovo così disperatamente solo di fronte ad
un’impresa più grande di lui. Cercando di non pensare che perfino quello che
considerava suo fratello, colui sulla cui fiducia aveva pensato di poter sempre
contare, lo aveva abbandonato così facilmente e lo aveva abbandonato perché non
lo aveva creduto capace di fare ciò che gli era stato chiesto. Continuando a
sapere, in fondo al cuore, che sarebbe sempre stato solo, perché non ci sarebbe
più stata la giusta mano a calare sulla sua spalla per rincuorarlo, i giusti
occhi colore del cielo a fissarlo nel profondo per farlo ancora una volta
sentire forte, invincibile.
Nel momento stesso in qui quel pensiero sfiorò la mente dell’uomo, e una lacrima
iniziò a formarsi sulle sue ciglia chiare, una mano si posò veramente sulla sua
spalla, facendo fare al suo cuore un tuffo nel vuoto. Sperò solamente che la
delusione non fosse stata troppo palese sul suo volto, e che perlomeno la
pietosa ombra della notte fosse riuscita a nasconderla, quando si voltò per
trovarsi davanti il giovane viso sorridente di Jo.
“Cosa fai qui fuori da solo? Dovresti essere dentro con gli altri, a
festeggiare” lo ammonì la ragazza, tendendogli un boccale ricolmo di birra; Dean
lo prese senza commentare, e sforzò un sorriso cortese sul proprio viso, prima
di prendere un sorso “O almeno dovresti essere con Bobby, Sam e quel principe
degli Elfi a confabulare in un angolo della sala”
“Ho confabulato a sufficienza per questa sera” replicò semplicemente il ramingo,
voltandosi per poggiare il boccale alla roccia della merlatura e tornare a
nascondere i frammenti d’acciaio sparsi su di essa nel loro sacchetto di cuoio.
“E’ quello che penso…?” domandò la ragazza, senza osare concludere la frase.
“E’ solo un mucchio di metallo inutile” puntualizzò Dean, facendolo sparire
velocemente alla vista.
“E’ per questo che gli Elfi sono venuti? Per riforgiare la spada di Colt?”
chiese ancora Jo, senza riuscire a celare l’eccitazione nella sua voce.
“No, sono venuti a seguire un condottiero che non c’è!” rispose allora,
bruscamente, il ramingo, scostandosi dal muro come fosse deciso ad andare da
qualche parte ma fermandosi dopo pochi passi, esitando, rendendosi conto che non
aveva nessun luogo dove andare, nessun posto dove nascondersi, nessun abbraccio
in cui riposare.
“Dean…” lo richiamò la ragazza con una dolce tristezza nella voce “Tu
sottovaluti il tuo valore” proseguì con più vigore, tornando a mostrare la
ragazza indomita che aveva affrontato la battaglia senza battere ciglio “Non hai
visto cosa sei riuscito a fare qui? Hai ridato speranza agli uomini!” esclamò
infine, afferrando l’uomo per un braccio, strattonandolo finché non l’ebbe
convinto a tornare a fronteggiarla.
“Già… ma non ne ho per me!”1
ribatté Dean, scostando il braccio dalla sua presa con un gesto repentino, per
pentirsi un secondo dopo di quello che aveva appena fatto. Questa ragazza stava
cercando di aiutarlo, di essergli amica, forse perfino di volergli bene, e lui
non faceva che respingerla malamente “Balthazar, il principe degli Elfi, ha
portato notizie, oltre ai suoi arcieri. Nel Reame Boscoso vivono ancora Elfi
abbastanza antichi da ricordare la forgiatura della spada, e la magia di cui era
impregnata. Ora che i frammenti sono tutti riuniti, ed essa è tornata nelle mani
del suo legittimo proprietario, avrebbe già dovuto tornare integra” spiegò
allora, la voce piatta e priva di intonazione “La magia legata alla lama
dovrebbe reagire al contatto con la pelle del suo legittimo proprietario”
ripeté, come lo stesse spiegando a se stesso “Questo cosa ti suggerisce?”
aggiunse con l’ironia nella voce e un sorriso amaro sulle labbra.
Jo esitò un istante, abbastanza per far sprofondare il cuore del ramingo un poco
più a fondo, poi strinse i pugni e replicò ostinatamente “Che la magia deve
essersi consumata! Insomma, possibile che gli Elfi non sappiano riforgiarla? O
forgiarne una nuova?” aggiunse, sbuffando come se fosse pronta a prendere a
pugni un Elfo per convincerlo a fare il suo dovere.
Dean non poté fare a meno di ridere, e ringraziare qualunque Vala gli avesse
mandato questa ragazza “I Mastri fabbri che forgiarono quella spada sono andati
all’ovest da lungo tempo ormai” spiegò infine, con un sorriso che ancora gli
indugiava sul volto, ma una rabbia rassegnata nella voce.
“Sai cosa ti dico? Non mi importa che spada impugnerai, tu hai guidato la mia
gente senza alcuna spada magica, e hai vinto! Abbiamo vinto! Non puoi arrenderti
adesso Dean!” sbottò Jo, facendo un gesto come di disprezzo verso l’involto di
cuoio che ancora conteneva i frammenti della lama di Colt, e per un attimo Dean
pensò che avesse in mente di pestare per bene lui, stavolta, se non avesse fatto
come diceva.
“Finalmente delle parole con un po’ di senno, in questa compagnia sgangherata”
borbottò una voce alle spalle del ramingo, mentre uno stanco Bobby si avvicinava
poggiandosi al proprio lungo bastone contorto “Doveva arrivare una fanciulla a
ridare un po’ di forza a questo ramingo? Pensavo che le Terre Selvagge avrebbero
temprato meglio il tuo spirito” continuò, staccando il bastone da terra per dare
un amichevole colpo in testa a Dean.
L’uomo si voltò a fissare gli occhi chiari dello stregone, con un misto di
rabbia e stupore sul viso, ma quando incrociò il suo sguardo sorridente e
paterno, tutta la voglia di ribattere svanì in un colpo. Bobby era probabilmente
l’unico, in tutta quella sgangherata compagnia, che conosceva e capiva la mole
del peso che stava portando sul cuore. Eppure Jo aveva ragione, non poteva
arrendersi, perché il destino, in qualche modo, aveva scelto lui e lui non
poteva fuggire e condannare la Terra di Mezzo, checché ne pensassero tutti i
principi Elfici di questa terra.
“Allora, cosa ha deciso il vostro piccolo consiglio clandestino?” domandò quindi
Dean, con un smorfia poco contenta sul volto, massaggiandosi la nuca, dove un
piccolo bernoccolo stava già crescendo.
Bobby scosse la testa in un gesto dubbioso “L’esercito di Bosco Atro è in
marcia, sta venendo al sud per combattere ancora al fianco degli uomini, ma il
nemico è molto forte, forse troppo” iniziò a spiegare lo stregone, poi i suoi
occhi caddero sul pezzo di armatura che giaceva ancora, dimenticato, sul muro
“Abbiamo appena avuto la prova che Minas Tirith è saldamente nelle mani del
Nemico. Egli ha sicuramente ancora innumerevoli truppe fresche, oltre i cancelli
di Mordor, e altri ragazzi di Gondor sono pronti per morire, ad un cenno del
loro sovrintendente. Gli Elfi sono una grande potenza, e combatteranno fino
all’ultimo di loro, ma non possiamo contare che su un pugno di soldati già
stanchi, qui nel reame di Rohan” continuò Bobby, gettando un’occhiata
terribilmente seria a Jo “Balthazar insiste per andare comunque ad assediare i
cancelli di Mordor ma il solo pensiero mi inquieta. Non abbiamo le forze per
contrastare il nemico… e neppure le armi!” concluse battendo il bastone a terra
in un gesto di rabbia mal repressa, gettando uno sguardo per traverso al
sacchetto di cuoio legato alla cintura del ramingo.
“Ma ci dev’essere un modo!” ribatté Jo, esprimendo il medesimo pensiero del
ramingo, un momento prima che potesse aprir bocca.
Bobby non disse nulla, ma per un lungo secondo si limitò a fissare il volto
frustrato di Dean “Forse…” iniziò a bofonchiare, e malgrado il ramingo fremesse
dal desiderio di incalzarlo, rimase zitto, lasciandolo riflettere “Un modo ci
sarebbe”
Un secondo più tardi, Jo e Dean si ritrovarono a trottare alle spalle di uno
stregone dalle forze improvvisamente rinnovate che camminava a grandi falcate
per il cammino di ronda, evidentemente intenzionato a tornare nella grande sala
dove la maggior parte della gente ancora rideva e beveva in onore della
vittoria.
“Bobby! Smettila di correre e dimmi che cosa hai in mente” intimò Dean ad un
certo punto, prima che lo stregone potesse effettivamente raggiungere la porta
che dava sul salone “Se sono io che devo fare questa cosa, sarà bene che la
smetti di architettare cose alle mie spalle”
Bobby sbuffò bofonchiando qualche parole poco carina in una lingua a lungo
dimenticata, quindi si voltò a fronteggiare i due ragazzi “Non potremo mai
assediare i cancelli di Mordor e sfidare il nemico finchè non saremo sicuri di
avere le spalle copert ma Minas Tirith è una fortezza inespugnabile” spiegò
velocemente lo stregone, brusco ma efficace “È costruita nella montagna e ha
sette cinta murarie a proteggere la cittadella. Eppure, c’è qualcuno… non tutti
a Gondor sono asserviti al potere del Sovrintendente. C’è un gruppo, una fitta
rete di persone che lavorano dall’interno e dall’esterno per rovesciare il suo
potere e riprendersi Minas Tirith, per riconsegnarla nelle giuste mani. Dobbiamo
contattare questo gruppo di ribelli e convincerlo ad unirsi a noi: se qualcuno
ci aprisse i sette cancelli di Minas Tirith, la città potrebbe essere nostra”
detto ciò, si appoggiò al proprio bastone e rimase in attesa, tenendo gli occhi
azzurri fissi dritti dritti in quelli del ramingo.
Dean soppesò le parole dello stregone e improvvisamente, in un angolo della sua
coscienza un barlume di speranza si accese. Non avevano i mezzi per espugnare
una fortezza, ma se quella fortezza avesse avuto le porte aperte per loro, la
forza di un esercito di Elfi avrebbe facilmente preso possesso di una città. Si
poteva fare, ed era anche l’unica via percorribile.
Nel momento in cui stava per esprimere il proprio verdetto, Jo gli rubò
nuovamente la parola. “Rohan sarà con te, Dean. Parlerò con mia madre, sono
sicura che manderà i suoi cavalieri migliori ad aiutarti. Ed io sarò al tuo
fianco” annunciò la ragazza, poggiando una mano sull’elsa del pugnale che
portava legato al fianco.
Dean non si era nemmeno reso conto, fino ad allora, che Jo era ancora vestita
come un uomo, con pantaloni stivali e un logora giubba di pelle allacciata sopra
ad una maglia di lino grezzo. Era normale per lui vederla a quel modo: un
soldato, un combattente. Ma mentre la guardava finalmente bene in viso si rese
conto di quanto erano gentili e belli i suoi lineamenti, di quanto giovani
fossero i suoi occhi, di come fossero lunghi e biondi e morbidi i suoi capelli.
Combatteva come un uomo ma era una fanciulla, e una principessa.
“No” replicò alle parole della ragazza, fissandola dritto negli occhi, e questa
fu sul suo viso che si dipinsero stupore e delusione “Il tuo posto è qui, Jo,
con tua madre, a guidare e proteggere il tuo popolo”
“Il mio posto è dove c’è bisogno di me, e sui campi di fronte a Minas Tirith si
decideranno le sorti della Terra di Mezzo, non riesco a pensare a un luogo dove
potrebbe esserci maggior bisogno di me. Inoltre, tu hai bisogno di ogni uomo
disponibile” ribatté Jo, pragmatica, guardandolo come se lo stesse sfidando a
contraddirla.
“Esatto, di ogni uomo. Tu non sei un uomo Jo, il tuo posto non è a morire sul
campo di battaglia! Cosa farebbe tua madre se ti accadesse qualcosa?” Dean vide
che la ragazza stava per controbattere di nuovo, dando libero sfogo all’ira che
stava chiaramente affiorando nei suoi occhi, ma la fermò prima che potesse
iniziare “No, Jo! Non ti permetterò di andare ancora a sfidare la morte come
un’incosciente. Il tuo popolo ha bisogno di te e io… non potrei sopportare anche
la tua morte sulle mie spalle” concluse, cedendo infine a quello che più di
tutto il resto gli gravava sul cuore.
Il ramingo vide l’ira svanire, rapida com’era venuta, dal viso della ragazza,
che solleva la mano per poggiarla sulla sua guancia sporca e irta di barba
ispida “Anche tu hai bisogno di me, e la mia morte non sarebbe certo una tua
colpa. È una mia scelta Dean, e io scelgo di restare al tuo fianco” disse
dolcemente, ma con una fermezza che non ammetteva repliche, e Dean si ritrovò a
chiedersi cosa ci fosse in lui che attirava a sé una devozione che andava oltre
alla morte, e che ogni volta gli devastava l’anima.
Eppure Dean sapeva che nulla di quello che avrebbe detto sarebbe servito a
dissuaderla, quindi si voltò a fronteggiare Bobby, e strinse a pugno la mano
sull’elsa della propria spada.
“Si va a sud, dunque. Non vedo l’ora di calciare il culo2
di Crowley via da quel trono e di staccargli la testa dal collo” annunciò Dean,
con la voce roca d’irata combattività, assaporando il momento in cui avrebbe
vendicato la porte dei suoi genitori.
“Molto bene… era ora che conoscessi tuo fratello. Il tuo vero fratello” concluse
Bobby soddisfatto, prendendo la porta e scomparendo all’interno prima che Dean
potesse chiedere alcunché. [5587]
1Sì,
l’ho rubata ad Aragorn! Quanto mi piace rubargli le battute! XD
2Piccolo
strappo al tono sempre molto politically correct dell fic (omaggio al fatto che
è una fic Tolkieniana) ma qui si tratta di Dean e… non sono riuscita a
trattenermi!
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