Capitolo
IV
Seduzioni
Era
un mattino uggioso e grigie nubi coprivano il cielo. Erano giunte da
Nord, dai monti lontani, sospinte da un vento gelido. Da alcuni
giorni l’aria s’era fatta pungente e la brina
ricopriva ogni cosa
e si scioglieva soltanto verso mezzogiorno. Ma quel mattino sembrava
aver deciso di resistere anche al tenue calore delle ore meridiane e
di attendere che una nuova notte distendesse su di lei un secondo
strato di gelidi cristalli, per trasformarsi in una coltre sempre
più
spessa.
Harlock
era nella sua stanza: su ordine di sua madre, uno dei migliori sarti
della città era venuto fin lì per confezionare al
colonnello tutti
gli indumenti di cui avesse bisogno. Ed Eva stessa era stata presente
per una lunga ora, aveva consigliato le stoffe, le fogge delle
camicie e delle giacche, la lunghezza dei pizzi e dei merletti che
Harlock non avrebbe mai indossato. E quando il colonnello finalmente
s’era ritrovato da solo con il sarto era più
sfinito che dopo una
giornata intera di combattimenti. Abbandonato sulla poltrona ai piedi
del letto ascoltava il cicalio dell’uomo che andava
enumerando
chissà quali sconosciuti tipi di stoffe ed era quasi tentato
di
lasciargli fare tutto da solo.
Mentre
Harlock se ne stava così, la testa appoggiata al palmo della
mano e
gli occhi persi oltre la figura sfocata del sarto, nel cielo
lattiginoso attraversato da nubi vaporose, qualcuno bussò
delicatamente alla porta.
-
Avanti… - esclamò, nella voce
un’esasperazione crescente.
-
Accidenti, che tono da martire! – il conte di Ayveron apparve
sulla
soglia, il consueto sorriso canzonatore stampato sulle labbra.
-
Non mettetevici anche voi! – sbottò Harlock,
abbandonando la sua
posizione stravaccata per tornare ad appoggiarsi di nuovo allo
schienale della poltrona.
Da
diversi giorni non si scambiavano che poche parole, evitando di fare
una vera conversazione. Ma quel giorno Anthony aveva deciso di
divertirsi un poco assistendo allo spettacolo del colonnello
Lorckshire costretto a rifarsi il guardaroba prima di poter mettere
piede a corte.
-
Non avete ancora finito di scegliere la foggia dei vostri nuovi
vestiti? – chiese Anthony, fermandosi in piedi di fronte a
quell’insieme confuso di stoffe riversate sulle sedie, sulla
sponda
del letto e sul pavimento.
-
Vorrei non aver mai cominciato… - disse Harlock per tutta
risposta.
-
Se volete posso aiutarvi.
Il
colonnello non disse nulla, dubitando che l’offerta di
Anthony
fosse sincera e che non nascondesse piuttosto qualche secondo fine.
-
Dovrete essere in ordine quando vi recherete a palazzo e soprattutto
non dovrete far fare una brutta figura a vostra madre e infangare il
nome della vostra famiglia presentandovi conciato come un
pezzente…
come quel giorno in cui siete tornato, con quella divisa logora:
scommetto che non l’avete ancora gettata via.
-
Non sono affari che vi riguardano. E comunque… - riprese
dopo pochi
istanti – Indosserò per la maggior parte del tempo
l’uniforme,
perciò non è necessario che scelga
chissà quanti tipi diversi di
giacche, camicie e pantaloni… Anzi, facciamo una cosa.
– esclamò,
alzandosi. – Signor Leval, credo di non aver bisogno di
altro:
consegnatemi a palazzo, quando sarà pronto, ciò
che vi ho
commissionato. Ora andate.
-
Ma, signor conte, vostra madre…
-
Non importa quello che vi ha detto mia madre: sono io che devo farmi
fare dei vestiti da voi e ho deciso che questi sono più che
sufficienti. – così dicendo Harlock
uscì dalla stanza, sospirando
come se dal petto gli fosse stato levato un insopportabile peso.
-
Peccato, speravo di godermi più a lungo lo spettacolo.
– Anthony
sorrise tra sé, prendendo tra le mani uno scampolo di raso
rosso,
che lasciò scorrere distrattamente tra le dita affusolate.
Quindi
riprese, rivolto al sarto – Non temete, presto il colonnello
avrà
di nuovo bisogno di voi: quando sarà a corte si
renderà finalmente
conto che quel poco di vestiario che vi ha ordinato non è
sufficiente.
Era
una fredda mattina quando i Lorckshire giunsero al palazzo reale.
L’aria profumava di pioggia e il cielo era grigio e nuvoloso.
Gli
splendidi giardini erano silenziosi e deserti, le fontane ammutolite
ed ogni cosa pareva dormire, in attesa dell’inverno ormai
alle
porte. Ma all’interno, nei saloni e nei corridoi, nelle
gallerie e
nelle stanze private, la vita si agitava rumorosamente, inseguendo
sogni, intessendo amori e complotti, rincorrendo vane brame di gloria
o consumandosi nel dolore della delusione.
Nessuno
di loro ebbe il tempo di far sistemare i bagagli nei rispettivi
appartamenti che già il ritmo serrato della corte li
avvinghiava
nelle sue spire, immergendoli in quel brulicante fermento. La
contessa di Lorckshire volle subito andare assieme ad Anthony a
salutare alcune delle sue amiche, facendo loro sapere del suo arrivo,
mentre Harlock, che durante la sua comparsa a corte qualche tempo
prima era stato quasi monopolizzato dal gruppo di amici del duca di
Larckstein, ebbe presto attorno uomini di stato e alti ufficiali, che
vollero discutere con lui degli avvenimenti bellici e complimentarsi
per l’esito di alcune importanti campagne.
Era
quasi ora di andare a pranzo quando il conte di Ayveron, percorrendo
da solo un corridoio secondario diretto ai propri appartamenti,
lontano dal rumoroso via vai dell’aristocrazia,
incrociò la
contessa Ariel Urania di Lesath. Quando questa lo vide gli sorrise
dolcemente, affrettando il passo per andargli incontro e come quel
giorno a casa Lorckshire ad Anthony sembrò che il sole fosse
apparso
di nuovo in cielo, squarciando le nubi.
Appena
le fu di fronte, Anthony la salutò con un inchino e le
baciò la
mano: era fredda come doveva essere in quel momento la mano della
statua di Diana, umida di pioggia nel cortile di marmo .
-
Questi corridoi non sono riscaldati, dovreste evitare di percorrerli
o vi ammalerete. - le disse, trattenendole la mano fra le sue. Un
dolce tepore si diffuse sulla pelle di Ariel, che non si sottrasse a
quel contatto.
-
Ci sono ben pochi corridoi riscaldati: nella maggior parte dei luoghi
di passaggio del palazzo c’è sempre molto freddo.
E per noi dame è
un supplizio, costrette come siamo a portare questi abiti scollati.
–
così dicendo si sfiorò con la mano le spalle
nude, nivee e
luminose.
A
quella vista, un lungo fremito percorse il corpo di Anthony, che
avrebbe voluto afferrare di nuovo la mano che aveva appena lasciato
andare. Ariel sembrò accorgersene e lo fissò,
interrogativa. Bastò
quello sguardo perché Anthony capisse di doversi dare un
contegno e,
fingendo indifferenza, le si mise al fianco, tendendole il braccio.
-
Permettete che vi accompagni nei vostri appartamenti?
-
Molto volentieri. – rispose Ariel Urania, passando il suo
braccio
attorno a quello del conte.
Fecero
pochi passi nel più assoluto silenzio, un tempo sufficiente
perché
Anthony temesse che Ariel potesse udire il suo cuore che gli
martellava in gola.
-
Sono davvero contenta che siate finalmente arrivati: ci avete fatto
aspettare a lungo, cominciavo a temere che aveste cambiato idea. -
riprese la contessina di Lesath.
-
Come sapete il colonnello non aveva molto da indossare per fare degna
figura a corte, così abbiamo dovuto attendere un
po’ perché si
facesse fare dei vestiti nuovi. Naturalmente anche vostra zia ne ha
approfittato per aggiungere qualche capo al suo guardaroba. –
Anthony aveva parlato con voce ilare concludendo il suo discorso con
un sorriso prima di voltarsi verso Ariel.
-
Mio cugino non è mai stato molto amante della
mondanità, né dei
bei vestiti e delle feste… l’unica cosa che lo ha
sempre
appassionato è la polvere dei cannoni e il luccichio delle
spade.
-
Un tipo molto allegro… - bisbigliò il conte di
Ayveron, parlando
più a se stesso.
-
Credo che l’amore per le armi sia una caratteristica che la
famiglia dei Lorckshire trasmette agli eredi maschi attraverso le
generazioni. – continuò la contessa di Lesath, che
non aveva
sentito.
-
Allora ciò che viene lasciato in eredità alle
fanciulle del vostro
casato è senz’altro una mirabile bellezza.
– replicò Anthony,
guardandola intensamente.
-
Siete molto lusinghiero, signor Anthony. – rispose Ariel
Urania,
fermandosi di fronte alla porta dei propri appartamenti. – Ma
temo
che questa preziosa eredità si sia consumata tutta con mia
madre: la
sua bellezza è davvero superiore a quella di qualsiasi altra
donna
che io conosca. Anche a quella di Eva. Forse perché mia
madre ha,
oltre alla bellezza del viso, un fascino sottile che ammalia
perdutamente… un fascino fatale.
Concluse
quasi in un soffio, socchiudendo gli occhi per meglio scrutare tra le
vacillanti ombre dei ricordi e sul suo volto comparve
un’espressione
amara.
Per
nulla impaurito da una simile rivelazione, ma piuttosto curioso di
sperimentarne gli effetti, Anthony riprese dicendo:
-
Possedete anche voi una simile fatale bellezza?
-
Non posso essere io a giudicare. – Ariel tornò a
sorridere,
suadente, scacciando dalla mente i fantasmi dei ricordi e tese la
mano ad Anthony perché la baciasse - Volete essere voi il
primo a
scoprirlo?
Le
sue ultime parole furono solo un alito leggero, mescolato al rumore
metallico dello scatto della serratura.
Non
aspetto altro…
Fu
l’unico pensiero di Anthony mentre Ariel scompariva, leggera
e
silenziosa, oltre la soglia.
Una
volta all’interno, Ariel appoggiò la schiena
contro la porta che
aveva appena richiuso dietro di sé, mordendosi il labbro.
Che
cosa sto facendo? Sono impazzita forse? Sto
tentando il
giovane fidanzato di mia zia...
Silenzioso
e ombroso come sempre Harlock stava attraversando la Galleria della
Notte, immerso nei propri pensieri. Era passato così poco da
che era
arrivato e già desiderava andare via.
Preferirei
essere sui campi di battaglia piuttosto che in un luogo così
pieno
di nulla.
Si
ripeteva mentre cercava qualche modo più costruttivo per
impiegare
il proprio tempo anche a corte, dato che non avrebbe potuto andarsene
dopo una sola giornata, come aveva fatto quando era venuto a rendere
omaggio al re.
-
Sempre di ottimo umore. – una voce maschile giunse improvvisa
agli
orecchi del colonnello, una voce che stava già imparando a
riconoscere.
Harlock
si voltò e vide, appoggiato a una delle alte finestre della
galleria, il duca di Larckstein che gli sorrideva con quella sua
inconfondibile tristezza. Ricambiò istintivamente il sorriso
e gli
si avvicinò, fermandosi in piedi di fronte a lui.
-
E’ passato molto tempo dall’ultima volta che siete
venuto a
corte: siete fuggito per causa mia? - chiese Lemort, senza smettere
di sorridere in quel modo triste.
-
A parte il fatto che non è mia abitudine fuggire, per quale
ragione
avrei dovuto farlo per causa vostra?
-
Da quando siete stato nel mio palchetto non vi siete più
fatto
vedere: credevo foste rimasto sconvolto.
Harlock
rise lievemente, con la sua risata calda e sonora e Lemort
l’ascoltò
con doloroso piacere.
-
Ci vuole ben altro per sconvolgermi! – esclamò il
colonnello,
sorridendo beffardo.
-
Ne sono felice. – rispose Lemort, e tacque.
-
Se temevate di sconvolgermi – riprese il colonnello
– avreste
dovuto evitare d’invitarmi.
-
E perdere così l’opportunità di
conoscerci meglio? Piuttosto
preferisco correre il rischio. Dopotutto, con un uomo d’arme,
correre dei rischi è la cosa più naturale.
-
Avreste dovuto dire “Correre rischi è la cosa meno
rischiosa”.
-
Già... - Lemort annuì.
Calò
di nuovo il silenzio. Lemort teneva gli occhi fissi sul volto di
Harlock, beandosi della sua contemplazione come di fronte ad
un’opera
d’arte. Un profondo imbarazzo colse il colonnello che si
voltò,
dando le spalle al duca, ma la sua voce suonò calma e decisa
come
sempre quando gli chiese se aveva voglia di fare quattro passi con
lui.
-
Passeggiare e conversare è un doppio piacere. -
spiegò.
Per
tutta risposta, Lemort si allontanò dalla finestra, muovendo
alcuni
passi e superando in tal modo il colonnello. Quindi si girò
verso di
lui, invitandolo a seguirlo, un furbo sorriso nei suoi occhi di lupo.
Camminarono per un po’ senza dire nulla, entrambi assorti, e
fu di
nuovo il duca a parlare per primo.
-
Siete venuto per restare un po’ di tempo o avete intenzione
di
ripartire subito anche questa volta, colonnello? - gli
domandò.
-
No, questa volta resterò più a lungo…
purtroppo. Sono venuto a
corte su invito di mia cugina e anche per accontentare mia madre.
–
la voce di Harlock divenne più squillante quando aggiunse.
– Mi
sono messo in trappola da solo: non bisognerebbe mai dar
soddisfazione alle donne!
Lemort
rise.
-
Non temete: ci penserò io a trovare qualche divertimento per
voi,
nel tempo in cui starete qui. – promise.
-
Devo preoccuparmi?
-
Solo se siete un misantropo che preferisce le più oscure
caverne
alla compagnia dei suoi simili.
-
Oh no, non avrete in mente anche voi di creare qualche
“imperdibile”
occasione mondana apposta per me! - Harlock storse le labbra ed il
suo sguardo ironicamente supplice strappò di nuovo una
risata al
duca di Larckstein.
-
Non del genere che intendete voi... - rispose, soffocando il riso
dietro la mano, portata alle labbra con la stessa eleganza di una
donna. Harlock seguì quel gesto senza dire nulla, prima di
distogliere lo sguardo e tornare a fissare la folla davanti a
sé.
Avevano ormai lasciato la Galleria della Notte ma i saloni che
stavano attraversando erano ancora pieni di gente che andava e
veniva, discorrendo delle cose più futili, proprio come loro
in quel
momento.
-
Stavo pensando di organizzare delle serate di gioco alla roulette nei
miei appartamenti e mi piacerebbe che partecipaste anche voi.
-
Roulette? Credete che il re vi darà il permesso di fare del
gioco
d’azzardo qui a corte? La gestione di questo genere di
passatempi è
riservato alla famiglia reale. – commentò Harlock.
-
Non è la prima volta che organizzo questo tipo di serate,
sempre con
il consenso del re. Anzi, talvolta vi ha partecipato anche il duca di
Calsberry, per vincere la noia delle solite serate dedicate alla
musica da camera e all’esibizione di qualche dama di dubbio
talento.
-
Il fratello del re? - chiese Harlock.
Lemort
annuì.
-
La famiglia reale si dà al gioco d’azzardo. -
c’era un tono di
biasimo nella voce del colonnello che non sfuggì al duca di
Larckstein.
-
Non vi facevo così moralista.
-
Non è morale, ma certo non mi dà grande
soddisfazione constatare in
che modo poco oculato la famiglia reale utilizza il denaro.
-
Vi preoccupate che le casse dello stato restino piene?
-
Forse mi preoccupo della giustizia. - rispose Harlock, fissando
Lemort dritto negli occhi. - Ma la giustizia, si sa, non è
di questo
mondo.
-
La giustizia resterà in questo mondo finché gli
uomini giusti
continueranno a preoccuparsene. - ribatté Lemort,
accarezzando con
lo sguardo quel volto che avrebbe tanto voluto sfiorare di nuovo con
la punta delle dita.
-
Non credo di essere un uomo “giusto”:
c’è qualcosa di troppo
altisonante e anche di troppo religioso in questo termine. - Harlock
sorrise e il suo volto tornò a rilassarsi – Forse
sono
semplicemente un uomo d’altri tempi.
Fossero
tutti come voi gli uomini d’altri tempi.
Lemort
lasciò indugiare ancora un po’ i suoi occhi sul
viso del
colonnello, prima di tornare al primitivo argomento della loro
conversazione.
-
Manderò anche a voi l’invito per il gioco alla
roulette. Spero che
vorrete accettare, nonostante i vostri scrupoli.
Harlock
rifletté alcuni momenti prima di rispondere.
-
Penso sappiate già che non mi state invitando ad uno dei
miei
passatempi preferiti.
-
Lo so... - nello sguardo di Lemort si distese un velo di tristezza. -
Ma non credo vi farà male per una sera un po’ di
chiasso e
confusione.
-
No, non mi farà male. - Harlock sorrise di nuovo –
Chissà che
idea la gente si è ormai fatta di me? Forse la maggior parte
pensa
davvero che io sia... come avete detto? “Un misantropo che
predilige le oscure caverne ai suoi simili”!
-
Forse... Di certo avete dato loro modo di pensarlo, con la vostra
vita ritirata.
-
Allora forse è arrivato il momento di sfatare questo mito:
vedranno
il colonnello in mezzo alla confusione e al chiacchiericcio di damine
incipriate. - Harlock fece un gesto con la mano ad imitare gli
atteggiamenti vezzosi di qualche nobile signorina - Ma non sperate di
vederlo giocare!
Lemort,
che stava soffocando un riso a quel motteggio inaspettato, non
riuscì
a trattenere il suo disappunto.
-
Ma come? Non potete venire e non giocare nemmeno: basta che lo
facciate ogni tanto, non è necessario che partecipiate a
tutte le
puntate. Altrimenti alla fine vi annoierete.
-
Non mi annoierò se ci sarà qualcuno di
interessante con cui
conversare.
-
Ditemi allora chi desiderate che inviti per farvi piacere. -
insistette Lemort.
-
Frederick sarebbe una buona scelta. - il colonnello non ebbe bisogno
di rifletterci su prima di rispondere: Frederick era un buon amico e
un compagno divertente quando ce n’era di bisogno, ma con lui
si
poteva parlare anche di argomenti seri o fare delle confidenze senza
temere che non sapesse mantenere il riserbo.
Immerso
com’era nella conversazione con il duca di Larckstein,
Harlock non
si era reso conto che avevano ormai lasciato le stanze più
frequentate per addentrarsi nell’ala del palazzo dove meno
spesso
si spingevano i nobili.
-
Dove mi state portando? - chiese d’un tratto, aggrottando le
sopracciglia.
-
Non indovinate? Dovreste conoscere questa zona: siamo quasi
nell’ala
est.
-
L’ala est... volete dire...
-
Sì... - un’espressione furbescamente maliziosa
aleggiava sul viso
di Lemort, che proseguì a bassa voce, quasi parlando tra
sé – Ciò
che vi voglio mostrare si trova lì da quasi tre anni:
è stata
portata nella Galleria delle Statue direttamente dall’Italia,
ma è
soltanto una copia, eseguita da un abile scultore di cui non conosco
il nome.
Mentre
Lemort proseguiva con la spiegazione, iniziarono a salire un ampio
scalone che conduceva alla Galleria delle Statue. Era un ambiente
molto ampio e ben illuminato, dalle pareti bianche con modanature oro
e un ricco soffitto affrescato.
-
Qui a corte ha riscosso un grande successo, specie tra le dame, che
la guardano di sfuggita e sempre arrossendo… ma anche alla
gioventù
maschile non credo affatto dispiaccia, pur scatenando a volte penosi
confronti. Vedremo se sarà anche di vostro gradimento.
Senza
capirne il perché Harlock sorrise, beffardo, quindi rispose
con un
impercettibile “vedremo”.
Nella
Galleria delle Statue erano state raccolte, per mezzo di originali o
copie di notevole fattura, le opere più considerevoli
dall’antichità
classica all’età moderna. C’erano
sculture di ogni genere e
scuola, disposte con un certo gusto artistico e secondo un ordine
cronologico, che faceva della Galleria, soprattutto per gli amanti
dell’arte, un luogo molto piacevole dove passeggiare,
specialmente
durante l’inverno. Oltre alle opere statuarie
c’erano anche vasi
e anfore di marmo e pietra, stele e lastre scolpite a bassorilievo e
naturalmente alcuni canapè sui quali riposarsi dopo la lunga
passeggiata.
Proprio
al centro della galleria c’era l’opera che Lemort
voleva mostrare
al colonnello: stava quasi sola, leggermente discosta dalle altre per
non offuscarne la bellezza con la sua presenza.
-
Eccola: l’Antinoo, scolpito a figura intera e completamente
nudo.
Il suo realismo è pari solo alla sua bellezza. -
esclamò Lemort
quando furono lì davanti ed Harlock notò che le
sue guance avevano
assunto un colorito più rosato.
-
E’ molto bella davvero. - commentò Harlock - Molto
ben fatta e ha
un’espressione particolarmente assorta…
-
Vi assicuro che non è all’espressione che molti
guardano quando vi
passano davanti. - rise Lemort. Harlock lo squadrò,
perplesso e
quasi infastidito che il suo commento non fosse stato preso sul
serio.
-
Davvero non capite? Guardate bene, proprio al centro del suo
corpo…
- Lemort lo invitò con voce suadente, come di strega che
cerca
d’indurre la preda a stipulare un patto mortale.
Il
colonnello guardò dove gli era stato indicato e sul suo viso
apparve un’espressione d’imbarazzato stupore.
-
Come siete sciocco! So benissimo che la statua è nuda, ma
chi la
guarda con interesse
d’artista non si
ferma ad... analizzare certi particolari anatomici. Siete malizioso!
- protestò, voltandosi di nuovo verso il duca.
-
Perché? Non è così! Quanto dico
corrisponde a verità poiché
conosco bene il genere di sguardi che la gente posa sul suo corpo
giovanilmente virile, plasmato dall’attività
fisica e dall’amore.
- c’era, nella voce di Lemort, un accento colmo di desiderio
trattenuto e quando sollevò una mano in direzione della
statua Harlock credette che volesse davvero accarezzarla. - Restate
seduto
un po’ con me su quel divano e insieme verificheremo se
quello che
vi ho detto è una menzogna oppure no.
-
Non ci tengo a spiare i comportamenti della gente.
-
Invece c’è molto da imparare da questo genere
d’indagini...
dovreste provare. - Lemort accostò il suo viso a quello
dell’ufficiale, parlandogli in un sussurro.
Harlock
non si scostò da lui, incapace di sottrarre lo sguardo dal
viso del
duca.
Le
vostre labbra sono sempre così scarlatte sul viso tanto
pallido: due
strisce di sangue su una statua di marmo. E dietro la spavalda
allegria dei vostri atteggiamenti si nasconde spesso un’ombra
di
tristezza. Che cos’è quest’aura notturna
che vi circonda, simile
al profumo di un fiore sbocciato di notte?
Ma
Lemort non poteva immaginare quali fossero i pensieri di Harlock in
quel momento: con lo stesso sorriso malizioso di poco prima, lo prese
per un braccio, conducendolo dolcemente verso il divano senza che il
colonnello opponesse resistenza.
-
Venite, non abbiate paura. - gli disse con l’identica voce
suadente
di poco prima - O forse temete che la gente abbia di che mormorare
vedendovi qui con me, di fronte alla statua di Antinoo?
-
Non ho paura dei giudizi della gente, Lemort. - rispose il
colonnello.
Quella
semplice parola riecheggiò nella mente del duca, trasportata
dalla
voce calda e sensuale che l’aveva pronunciata come da un
vento del
sud che giunge a sciogliere la neve.
Lemort…
E’ la prima volta che mi chiamate per nome. L’avete
pronunciato
con così tanta dolcezza… perché?
Si
sedettero assieme sul canapè appoggiato alla parete
dirimpetto alla
statua. Il conte di Lorckshire pareva profondamente assorto nella sua
indagine artistica del capolavoro scultoreo che aveva di fronte, ma
in realtà non erano solo di quel genere i pensieri che
occupavano la
sua mente. Continuava a riandare alla conversazione avuta qualche
settimana addietro con Anthony: la femminilità di Lemort,
l’ambiguità dei suoi comportamenti, la sua palese
inclinazione per
l’universo maschile erano ora così palesi che si
chiedeva come
avesse potuto ingannarsi sul suo conto. Eppure, nonostante questo,
non provava il desiderio di fuggire.
Dal
canto suo, il duca di Larckstein approfittò di quei minuti
in cui
potevano stare di nuovo vicini e praticamente da soli per ammirare
indisturbato i lineamenti di quel volto maschile che tanto lo
affascinava.
La
linea elegante e decisa del tuo naso è quasi greca e la
fronte deve
essere ampia e spaziosa sotto le morbide ciocche castane che sempre
la ricoprono e che velano in parte anche l’occhio destro.
E’
forse per timore di penetrare troppo a fondo nell’animo umano
con i
tuoi fieri occhi d’aquila che cerchi di adombrarne il potere?
Brillano quali stelle nella notte, sono freddi ed impenetrabili come
specchi stregati, inquietano più che infondere pace. Eppure,
se tu
distogliessi da me il tuo sguardo, se non volessi più che i
tuoi
occhi incrociassero i miei, ciò mi ferirebbe molto
più di quanto
essi facciano quando mi guardano con rimprovero o sdegno.
Lemort,
sentendo che le lacrime gli salivano agli occhi, si girò di
nuovo
verso la scultura di Antinoo, guardandola senza vederla dietro quel
velo che gli aveva offuscato lo sguardo.
Oggi
- si disse, lasciandosi condurre liberamente dal corso dei suoi
pensieri - il colorito della tua pelle è vivido ed
intenso. Hai
ancora addosso il velo dorato che il sole dell’estate,
trascorsa
sui campi di battaglia, ha disteso sul tuo corpo. Ma quella notte,
quando sei svenuto nel mio palco, il tuo volto è diventato
bianco
come la morte, quasi che in te non scorresse più neppure una
goccia
di sangue: sembrava che ti avessero colpito a morte.
Improvviso,
un pensiero, un dubbio balenò nella mente di Lemort, che si
voltò a
guardare il colonnello, ancora perso nei suoi pensieri, cercando di
cogliere una scintilla di verità, la risposta ad una domanda
non
ancora formulata. Lo trovò impassibile e tranquillo come lo
aveva
lasciato poco prima e il suo viso così luminoso, ancora
abbronzato,
contrastò con violenza con il ricordo che era riemerso nella
mente
del duca.
Stai
bene… è stato solo un malore, probabilmente. Non
ho motivo
d’inquietarmi così.
Il
colonnello, sentendo il peso di quello sguardo fisso su di lui, si
voltò verso Lemort, facendolo arrossire improvvisamente: il
duca
temeva infatti che Harlock avesse in qualche modo colto quello che
passava nella sua mente.
-
Andiamo? - gli chiese invece il colonnello - Siamo rimasti qui
abbastanza.
-
Sì, forse è vero… ma questa statua
è così bella che non mi
stancherei mai di guardarla. - Lemort si voltò in fretta
verso
l’Antinoo per nascondere i suoi turbamenti a quei profondi
occhi
indagatori che adesso lo fissavano con insistenza.
Non
è vero… sto mentendo. L’unica opera
d’arte che non mi
stancherei mai di guardare sei tu, Harlock...
Il
colonnello si alzò senza aggiungere altro, allontanandosi di
alcuni
passi dal duca di Larckstein e fermandosi in piedi al centro della
Galleria, immobile come solo lui sapeva stare, anche per lunghe ore,
quand’era immerso in strategie di guerra. Lemort si
alzò e gli
andò incontro, fermandosi un ultimo istante davanti alla
superba
scultura romana.
-
Però avete certamente una cosa in comune con il giovane
Antinoo… -
esclamò Lemort, sorridendo con gli occhi ancora lucidi di
lacrime.
-
Che cosa? - Harlock si aspettava già qualche sproposito,
probabilmente lascivo.
-
Le vostre labbra sono sinuose e carnose come le sue, così
morbide e
calde…
Harlock
sgranò gli occhi, senza trovare nulla di conveniente da
replicare:
era difficile allibirlo, ma Lemort c’era riuscito in pieno.
-
Morbide… e calde? - replicò - Che ne sapete?
-
Sono certo che è così. - rispose il duca,
allungando la destra in
direzione del volto dell’ufficiale e sfiorando con
l’indice la
sua bocca.
Harlock
gli bloccò il polso, una luce di biasimo nelle scure
pupille, le
sopracciglia aggrottate.
-
Siete molto bello quando restate spiazzato, ma ancor più
quando vi
arrabbiate. - Lemort sottrasse la mano senza sforzo da quella
stretta, che si sciolse dolcemente. L’espressione dura di
Harlock
rimase immutata - Ma, che voi lo vogliate o no, è la
verità: le
vostre labbra sono carnose quasi come quelle di Antinoo. Anche se
molto più virili.
-
Non ci assomigliamo minimamente. - protestò Harlock
– Come potete
vedere qualcosa in comune tra me e quel giovane efebo dal volto
arrotondato e ancora infantile?
-
E’ vero, Antinoo è solo un ragazzo, voi siete
molto più maturo...
Possedete lo lo stesso sguardo di Adriano. - accondiscese Lemort,
indicando il busto dell’imperatore collocato accanto alla
statua
del suo amato. - Avete la stessa espressione corrucciata e volitiva:
l’espressione del dominatore.
-
Vi sbagliate, duca: io non sono un dominatore. - lo contraddisse
Harlock. - Sono un uomo d’armi, so comandare e condurre un
esercito, ma non ho mai avuto la pretesa di dominare nessuno.
-
Nemmeno in amore? - chiese Lemort, ma poi, abbassando lo sguardo, si
corresse - Scusate… non sono affari che mi riguardano.
-
Già. - fu la secca risposta.
Il
colonnello si allontanò senza aggiungere altro. Il suono dei
suoi
passi che si facevano sempre più distanti colpì
Lemort come un
pugno dritto al cuore. Rialzò il volto e fissò
quella figura alta
e magra che se ne andava.
Aspettami…
Non
riuscì a raggiungere subito il colonnello, che non pareva
avere la
minima intenzione di aspettarlo.
Con
l’animo greve, gli fu di nuovo accanto solo quando il conte
di
Lorckshire aveva già raggiunto l’ultimo gradino in
fondo alle
scale. Soltanto allora Harlock si voltò, fissandolo con
volto
impassibile e distante.
-
Fatemi sapere per quella serata nei vostri appartamenti. - disse,
senza mutare espressione.
Lemort
annuì, poi aggiunse:
-
Sarete il primo a saperlo.
Il
colonnello gli rispose solo con un cenno del capo, si voltò
e
proseguì da solo lungo il salone. Era chiaro che non voleva
essere
seguito.
Il
duca di Larckstein restò immobile in fondo alle scale, il
cuore che
gli martellava forte nel petto.
Perché
siete sempre così freddo? Eppure sento che dentro di voi
brucia un
fuoco veemente, fatto di passione, di desiderio,
d’ira… E invece
serrate le porte della vostra anima, vi rinchiudete in voi stesso e
diventate insensibile, proprio come una statua. Una statua che ha un
cuore. Quando accetterete di mostrarlo?
Note: La statua dell'Antinoo citata nel capitolo è quella
conservata al Museo Archeologico di Napoli.
Il busto di Adriano è quello dei Musei Capitolini di Roma.
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