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Autore: Nausicaa Di Stelle    26/12/2012    4 recensioni
Una storia ambientata in un mondo immaginario in stile settecentesco, dove amore, morte, intrighi e segreti si intrecciano alle vite dei protagonisti, ognuno alla ricerca del proprio destino.
Avevo inserito questa storia in un'altra categoria, ma credo sia più gisto che stia in questa perché, anche se la vicenda e gli altri personaggi non hanno nulla a che fare con l'universo di Capitan Harlock (essendo completamente originali, eccetto Raflesia), il protagonista è il Capitano, pur con qualche piccolo cambiamento. Harlock è infatti un ufficiale dell'esercito regio, di ritorno dopo una sanguinosa guerra.
Genere: Erotico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Harlock, Raflesia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV

Seduzioni


Era un mattino uggioso e grigie nubi coprivano il cielo. Erano giunte da Nord, dai monti lontani, sospinte da un vento gelido. Da alcuni giorni l’aria s’era fatta pungente e la brina ricopriva ogni cosa e si scioglieva soltanto verso mezzogiorno. Ma quel mattino sembrava aver deciso di resistere anche al tenue calore delle ore meridiane e di attendere che una nuova notte distendesse su di lei un secondo strato di gelidi cristalli, per trasformarsi in una coltre sempre più spessa.
Harlock era nella sua stanza: su ordine di sua madre, uno dei migliori sarti della città era venuto fin lì per confezionare al colonnello tutti gli indumenti di cui avesse bisogno. Ed Eva stessa era stata presente per una lunga ora, aveva consigliato le stoffe, le fogge delle camicie e delle giacche, la lunghezza dei pizzi e dei merletti che Harlock non avrebbe mai indossato. E quando il colonnello finalmente s’era ritrovato da solo con il sarto era più sfinito che dopo una giornata intera di combattimenti. Abbandonato sulla poltrona ai piedi del letto ascoltava il cicalio dell’uomo che andava enumerando chissà quali sconosciuti tipi di stoffe ed era quasi tentato di lasciargli fare tutto da solo.
Mentre Harlock se ne stava così, la testa appoggiata al palmo della mano e gli occhi persi oltre la figura sfocata del sarto, nel cielo lattiginoso attraversato da nubi vaporose, qualcuno bussò delicatamente alla porta.
- Avanti… - esclamò, nella voce un’esasperazione crescente.
- Accidenti, che tono da martire! – il conte di Ayveron apparve sulla soglia, il consueto sorriso canzonatore stampato sulle labbra.
- Non mettetevici anche voi! – sbottò Harlock, abbandonando la sua posizione stravaccata per tornare ad appoggiarsi di nuovo allo schienale della poltrona.
Da diversi giorni non si scambiavano che poche parole, evitando di fare una vera conversazione. Ma quel giorno Anthony aveva deciso di divertirsi un poco assistendo allo spettacolo del colonnello Lorckshire costretto a rifarsi il guardaroba prima di poter mettere piede a corte.
- Non avete ancora finito di scegliere la foggia dei vostri nuovi vestiti? – chiese Anthony, fermandosi in piedi di fronte a quell’insieme confuso di stoffe riversate sulle sedie, sulla sponda del letto e sul pavimento.
- Vorrei non aver mai cominciato… - disse Harlock per tutta risposta.
- Se volete posso aiutarvi.
Il colonnello non disse nulla, dubitando che l’offerta di Anthony fosse sincera e che non nascondesse piuttosto qualche secondo fine.
- Dovrete essere in ordine quando vi recherete a palazzo e soprattutto non dovrete far fare una brutta figura a vostra madre e infangare il nome della vostra famiglia presentandovi conciato come un pezzente… come quel giorno in cui siete tornato, con quella divisa logora: scommetto che non l’avete ancora gettata via.
- Non sono affari che vi riguardano. E comunque… - riprese dopo pochi istanti – Indosserò per la maggior parte del tempo l’uniforme, perciò non è necessario che scelga chissà quanti tipi diversi di giacche, camicie e pantaloni… Anzi, facciamo una cosa. – esclamò, alzandosi. – Signor Leval, credo di non aver bisogno di altro: consegnatemi a palazzo, quando sarà pronto, ciò che vi ho commissionato. Ora andate.
- Ma, signor conte, vostra madre…
- Non importa quello che vi ha detto mia madre: sono io che devo farmi fare dei vestiti da voi e ho deciso che questi sono più che sufficienti. – così dicendo Harlock uscì dalla stanza, sospirando come se dal petto gli fosse stato levato un insopportabile peso.
- Peccato, speravo di godermi più a lungo lo spettacolo. – Anthony sorrise tra sé, prendendo tra le mani uno scampolo di raso rosso, che lasciò scorrere distrattamente tra le dita affusolate. Quindi riprese, rivolto al sarto – Non temete, presto il colonnello avrà di nuovo bisogno di voi: quando sarà a corte si renderà finalmente conto che quel poco di vestiario che vi ha ordinato non è sufficiente.

Era una fredda mattina quando i Lorckshire giunsero al palazzo reale. L’aria profumava di pioggia e il cielo era grigio e nuvoloso. Gli splendidi giardini erano silenziosi e deserti, le fontane ammutolite ed ogni cosa pareva dormire, in attesa dell’inverno ormai alle porte. Ma all’interno, nei saloni e nei corridoi, nelle gallerie e nelle stanze private, la vita si agitava rumorosamente, inseguendo sogni, intessendo amori e complotti, rincorrendo vane brame di gloria o consumandosi nel dolore della delusione.
Nessuno di loro ebbe il tempo di far sistemare i bagagli nei rispettivi appartamenti che già il ritmo serrato della corte li avvinghiava nelle sue spire, immergendoli in quel brulicante fermento. La contessa di Lorckshire volle subito andare assieme ad Anthony a salutare alcune delle sue amiche, facendo loro sapere del suo arrivo, mentre Harlock, che durante la sua comparsa a corte qualche tempo prima era stato quasi monopolizzato dal gruppo di amici del duca di Larckstein, ebbe presto attorno uomini di stato e alti ufficiali, che vollero discutere con lui degli avvenimenti bellici e complimentarsi per l’esito di alcune importanti campagne.
Era quasi ora di andare a pranzo quando il conte di Ayveron, percorrendo da solo un corridoio secondario diretto ai propri appartamenti, lontano dal rumoroso via vai dell’aristocrazia, incrociò la contessa Ariel Urania di Lesath. Quando questa lo vide gli sorrise dolcemente, affrettando il passo per andargli incontro e come quel giorno a casa Lorckshire ad Anthony sembrò che il sole fosse apparso di nuovo in cielo, squarciando le nubi.
Appena le fu di fronte, Anthony la salutò con un inchino e le baciò la mano: era fredda come doveva essere in quel momento la mano della statua di Diana, umida di pioggia nel cortile di marmo .
- Questi corridoi non sono riscaldati, dovreste evitare di percorrerli o vi ammalerete. - le disse, trattenendole la mano fra le sue. Un dolce tepore si diffuse sulla pelle di Ariel, che non si sottrasse a quel contatto.
- Ci sono ben pochi corridoi riscaldati: nella maggior parte dei luoghi di passaggio del palazzo c’è sempre molto freddo. E per noi dame è un supplizio, costrette come siamo a portare questi abiti scollati. – così dicendo si sfiorò con la mano le spalle nude, nivee e luminose.
A quella vista, un lungo fremito percorse il corpo di Anthony, che avrebbe voluto afferrare di nuovo la mano che aveva appena lasciato andare. Ariel sembrò accorgersene e lo fissò, interrogativa. Bastò quello sguardo perché Anthony capisse di doversi dare un contegno e, fingendo indifferenza, le si mise al fianco, tendendole il braccio.
- Permettete che vi accompagni nei vostri appartamenti?
- Molto volentieri. – rispose Ariel Urania, passando il suo braccio attorno a quello del conte.
Fecero pochi passi nel più assoluto silenzio, un tempo sufficiente perché Anthony temesse che Ariel potesse udire il suo cuore che gli martellava in gola.
- Sono davvero contenta che siate finalmente arrivati: ci avete fatto aspettare a lungo, cominciavo a temere che aveste cambiato idea. - riprese la contessina di Lesath.
- Come sapete il colonnello non aveva molto da indossare per fare degna figura a corte, così abbiamo dovuto attendere un po’ perché si facesse fare dei vestiti nuovi. Naturalmente anche vostra zia ne ha approfittato per aggiungere qualche capo al suo guardaroba. – Anthony aveva parlato con voce ilare concludendo il suo discorso con un sorriso prima di voltarsi verso Ariel.
- Mio cugino non è mai stato molto amante della mondanità, né dei bei vestiti e delle feste… l’unica cosa che lo ha sempre appassionato è la polvere dei cannoni e il luccichio delle spade.
- Un tipo molto allegro… - bisbigliò il conte di Ayveron, parlando più a se stesso.
- Credo che l’amore per le armi sia una caratteristica che la famiglia dei Lorckshire trasmette agli eredi maschi attraverso le generazioni. – continuò la contessa di Lesath, che non aveva sentito.
- Allora ciò che viene lasciato in eredità alle fanciulle del vostro casato è senz’altro una mirabile bellezza. – replicò Anthony, guardandola intensamente.
- Siete molto lusinghiero, signor Anthony. – rispose Ariel Urania, fermandosi di fronte alla porta dei propri appartamenti. – Ma temo che questa preziosa eredità si sia consumata tutta con mia madre: la sua bellezza è davvero superiore a quella di qualsiasi altra donna che io conosca. Anche a quella di Eva. Forse perché mia madre ha, oltre alla bellezza del viso, un fascino sottile che ammalia perdutamente… un fascino fatale.
Concluse quasi in un soffio, socchiudendo gli occhi per meglio scrutare tra le vacillanti ombre dei ricordi e sul suo volto comparve un’espressione amara.
Per nulla impaurito da una simile rivelazione, ma piuttosto curioso di sperimentarne gli effetti, Anthony riprese dicendo:
- Possedete anche voi una simile fatale bellezza?
- Non posso essere io a giudicare. – Ariel tornò a sorridere, suadente, scacciando dalla mente i fantasmi dei ricordi e tese la mano ad Anthony perché la baciasse - Volete essere voi il primo a scoprirlo?
Le sue ultime parole furono solo un alito leggero, mescolato al rumore metallico dello scatto della serratura.
Non aspetto altro…
Fu l’unico pensiero di Anthony mentre Ariel scompariva, leggera e silenziosa, oltre la soglia.
Una volta all’interno, Ariel appoggiò la schiena contro la porta che aveva appena richiuso dietro di sé, mordendosi il labbro.
Che cosa sto facendo? Sono impazzita forse? Sto tentando il giovane fidanzato di mia zia...

Silenzioso e ombroso come sempre Harlock stava attraversando la Galleria della Notte, immerso nei propri pensieri. Era passato così poco da che era arrivato e già desiderava andare via.
Preferirei essere sui campi di battaglia piuttosto che in un luogo così pieno di nulla.
Si ripeteva mentre cercava qualche modo più costruttivo per impiegare il proprio tempo anche a corte, dato che non avrebbe potuto andarsene dopo una sola giornata, come aveva fatto quando era venuto a rendere omaggio al re.
- Sempre di ottimo umore. – una voce maschile giunse improvvisa agli orecchi del colonnello, una voce che stava già imparando a riconoscere.
Harlock si voltò e vide, appoggiato a una delle alte finestre della galleria, il duca di Larckstein che gli sorrideva con quella sua inconfondibile tristezza. Ricambiò istintivamente il sorriso e gli si avvicinò, fermandosi in piedi di fronte a lui.
- E’ passato molto tempo dall’ultima volta che siete venuto a corte: siete fuggito per causa mia? - chiese Lemort, senza smettere di sorridere in quel modo triste.
- A parte il fatto che non è mia abitudine fuggire, per quale ragione avrei dovuto farlo per causa vostra?
- Da quando siete stato nel mio palchetto non vi siete più fatto vedere: credevo foste rimasto sconvolto.
Harlock rise lievemente, con la sua risata calda e sonora e Lemort l’ascoltò con doloroso piacere.
- Ci vuole ben altro per sconvolgermi! – esclamò il colonnello, sorridendo beffardo.
- Ne sono felice. – rispose Lemort, e tacque.
- Se temevate di sconvolgermi – riprese il colonnello – avreste dovuto evitare d’invitarmi.
- E perdere così l’opportunità di conoscerci meglio? Piuttosto preferisco correre il rischio. Dopotutto, con un uomo d’arme, correre dei rischi è la cosa più naturale.
- Avreste dovuto dire “Correre rischi è la cosa meno rischiosa”.
- Già... - Lemort annuì.
Calò di nuovo il silenzio. Lemort teneva gli occhi fissi sul volto di Harlock, beandosi della sua contemplazione come di fronte ad un’opera d’arte. Un profondo imbarazzo colse il colonnello che si voltò, dando le spalle al duca, ma la sua voce suonò calma e decisa come sempre quando gli chiese se aveva voglia di fare quattro passi con lui.
- Passeggiare e conversare è un doppio piacere. - spiegò.
Per tutta risposta, Lemort si allontanò dalla finestra, muovendo alcuni passi e superando in tal modo il colonnello. Quindi si girò verso di lui, invitandolo a seguirlo, un furbo sorriso nei suoi occhi di lupo. Camminarono per un po’ senza dire nulla, entrambi assorti, e fu di nuovo il duca a parlare per primo.
- Siete venuto per restare un po’ di tempo o avete intenzione di ripartire subito anche questa volta, colonnello? - gli domandò.
- No, questa volta resterò più a lungo… purtroppo. Sono venuto a corte su invito di mia cugina e anche per accontentare mia madre. – la voce di Harlock divenne più squillante quando aggiunse. – Mi sono messo in trappola da solo: non bisognerebbe mai dar soddisfazione alle donne!
Lemort rise.
- Non temete: ci penserò io a trovare qualche divertimento per voi, nel tempo in cui starete qui. – promise.
- Devo preoccuparmi?
- Solo se siete un misantropo che preferisce le più oscure caverne alla compagnia dei suoi simili.
- Oh no, non avrete in mente anche voi di creare qualche “imperdibile” occasione mondana apposta per me! - Harlock storse le labbra ed il suo sguardo ironicamente supplice strappò di nuovo una risata al duca di Larckstein.
- Non del genere che intendete voi... - rispose, soffocando il riso dietro la mano, portata alle labbra con la stessa eleganza di una donna. Harlock seguì quel gesto senza dire nulla, prima di distogliere lo sguardo e tornare a fissare la folla davanti a sé. Avevano ormai lasciato la Galleria della Notte ma i saloni che stavano attraversando erano ancora pieni di gente che andava e veniva, discorrendo delle cose più futili, proprio come loro in quel momento.
- Stavo pensando di organizzare delle serate di gioco alla roulette nei miei appartamenti e mi piacerebbe che partecipaste anche voi.
- Roulette? Credete che il re vi darà il permesso di fare del gioco d’azzardo qui a corte? La gestione di questo genere di passatempi è riservato alla famiglia reale. – commentò Harlock.
- Non è la prima volta che organizzo questo tipo di serate, sempre con il consenso del re. Anzi, talvolta vi ha partecipato anche il duca di Calsberry, per vincere la noia delle solite serate dedicate alla musica da camera e all’esibizione di qualche dama di dubbio talento.
- Il fratello del re? - chiese Harlock.
Lemort annuì.
- La famiglia reale si dà al gioco d’azzardo. - c’era un tono di biasimo nella voce del colonnello che non sfuggì al duca di Larckstein.
- Non vi facevo così moralista.
- Non è morale, ma certo non mi dà grande soddisfazione constatare in che modo poco oculato la famiglia reale utilizza il denaro.
- Vi preoccupate che le casse dello stato restino piene?
- Forse mi preoccupo della giustizia. - rispose Harlock, fissando Lemort dritto negli occhi. - Ma la giustizia, si sa, non è di questo mondo.
- La giustizia resterà in questo mondo finché gli uomini giusti continueranno a preoccuparsene. - ribatté Lemort, accarezzando con lo sguardo quel volto che avrebbe tanto voluto sfiorare di nuovo con la punta delle dita.
- Non credo di essere un uomo “giusto”: c’è qualcosa di troppo altisonante e anche di troppo religioso in questo termine. - Harlock sorrise e il suo volto tornò a rilassarsi – Forse sono semplicemente un uomo d’altri tempi.
Fossero tutti come voi gli uomini d’altri tempi.
Lemort lasciò indugiare ancora un po’ i suoi occhi sul viso del colonnello, prima di tornare al primitivo argomento della loro conversazione.
- Manderò anche a voi l’invito per il gioco alla roulette. Spero che vorrete accettare, nonostante i vostri scrupoli.
Harlock rifletté alcuni momenti prima di rispondere.
- Penso sappiate già che non mi state invitando ad uno dei miei passatempi preferiti.
- Lo so... - nello sguardo di Lemort si distese un velo di tristezza. - Ma non credo vi farà male per una sera un po’ di chiasso e confusione.
- No, non mi farà male. - Harlock sorrise di nuovo – Chissà che idea la gente si è ormai fatta di me? Forse la maggior parte pensa davvero che io sia... come avete detto? “Un misantropo che predilige le oscure caverne ai suoi simili”!
- Forse... Di certo avete dato loro modo di pensarlo, con la vostra vita ritirata.
- Allora forse è arrivato il momento di sfatare questo mito: vedranno il colonnello in mezzo alla confusione e al chiacchiericcio di damine incipriate. - Harlock fece un gesto con la mano ad imitare gli atteggiamenti vezzosi di qualche nobile signorina - Ma non sperate di vederlo giocare!
Lemort, che stava soffocando un riso a quel motteggio inaspettato, non riuscì a trattenere il suo disappunto.
- Ma come? Non potete venire e non giocare nemmeno: basta che lo facciate ogni tanto, non è necessario che partecipiate a tutte le puntate. Altrimenti alla fine vi annoierete.
- Non mi annoierò se ci sarà qualcuno di interessante con cui conversare.
- Ditemi allora chi desiderate che inviti per farvi piacere. - insistette Lemort.
- Frederick sarebbe una buona scelta. - il colonnello non ebbe bisogno di rifletterci su prima di rispondere: Frederick era un buon amico e un compagno divertente quando ce n’era di bisogno, ma con lui si poteva parlare anche di argomenti seri o fare delle confidenze senza temere che non sapesse mantenere il riserbo.
Immerso com’era nella conversazione con il duca di Larckstein, Harlock non si era reso conto che avevano ormai lasciato le stanze più frequentate per addentrarsi nell’ala del palazzo dove meno spesso si spingevano i nobili.
- Dove mi state portando? - chiese d’un tratto, aggrottando le sopracciglia.
- Non indovinate? Dovreste conoscere questa zona: siamo quasi nell’ala est.
- L’ala est... volete dire...
- Sì... - un’espressione furbescamente maliziosa aleggiava sul viso di Lemort, che proseguì a bassa voce, quasi parlando tra sé – Ciò che vi voglio mostrare si trova lì da quasi tre anni: è stata portata nella Galleria delle Statue direttamente dall’Italia, ma è soltanto una copia, eseguita da un abile scultore di cui non conosco il nome.
Mentre Lemort proseguiva con la spiegazione, iniziarono a salire un ampio scalone che conduceva alla Galleria delle Statue. Era un ambiente molto ampio e ben illuminato, dalle pareti bianche con modanature oro e un ricco soffitto affrescato.
- Qui a corte ha riscosso un grande successo, specie tra le dame, che la guardano di sfuggita e sempre arrossendo… ma anche alla gioventù maschile non credo affatto dispiaccia, pur scatenando a volte penosi confronti. Vedremo se sarà anche di vostro gradimento.
Senza capirne il perché Harlock sorrise, beffardo, quindi rispose con un impercettibile “vedremo”.
Nella Galleria delle Statue erano state raccolte, per mezzo di originali o copie di notevole fattura, le opere più considerevoli dall’antichità classica all’età moderna. C’erano sculture di ogni genere e scuola, disposte con un certo gusto artistico e secondo un ordine cronologico, che faceva della Galleria, soprattutto per gli amanti dell’arte, un luogo molto piacevole dove passeggiare, specialmente durante l’inverno. Oltre alle opere statuarie c’erano anche vasi e anfore di marmo e pietra, stele e lastre scolpite a bassorilievo e naturalmente alcuni canapè sui quali riposarsi dopo la lunga passeggiata.
Proprio al centro della galleria c’era l’opera che Lemort voleva mostrare al colonnello: stava quasi sola, leggermente discosta dalle altre per non offuscarne la bellezza con la sua presenza.
- Eccola: l’Antinoo, scolpito a figura intera e completamente nudo. Il suo realismo è pari solo alla sua bellezza. - esclamò Lemort quando furono lì davanti ed Harlock notò che le sue guance avevano assunto un colorito più rosato.
- E’ molto bella davvero. - commentò Harlock - Molto ben fatta e ha un’espressione particolarmente assorta…
- Vi assicuro che non è all’espressione che molti guardano quando vi passano davanti. - rise Lemort. Harlock lo squadrò, perplesso e quasi infastidito che il suo commento non fosse stato preso sul serio.
- Davvero non capite? Guardate bene, proprio al centro del suo corpo… - Lemort lo invitò con voce suadente, come di strega che cerca d’indurre la preda a stipulare un patto mortale.
Il colonnello guardò dove gli era stato indicato e sul suo viso apparve un’espressione d’imbarazzato stupore.

- Come siete sciocco! So benissimo che la statua è nuda, ma chi la guarda con interesse d’artista non si ferma ad... analizzare certi particolari anatomici. Siete malizioso! - protestò, voltandosi di nuovo verso il duca.
- Perché? Non è così! Quanto dico corrisponde a verità poiché conosco bene il genere di sguardi che la gente posa sul suo corpo giovanilmente virile, plasmato dall’attività fisica e dall’amore. - c’era, nella voce di Lemort, un accento colmo di desiderio trattenuto e quando sollevò una mano in direzione della statua Harlock credette che volesse davvero accarezzarla. - Restate seduto un po’ con me su quel divano e insieme verificheremo se quello che vi ho detto è una menzogna oppure no.
- Non ci tengo a spiare i comportamenti della gente.
- Invece c’è molto da imparare da questo genere d’indagini... dovreste provare. - Lemort accostò il suo viso a quello dell’ufficiale, parlandogli in un sussurro.
Harlock non si scostò da lui, incapace di sottrarre lo sguardo dal viso del duca.
Le vostre labbra sono sempre così scarlatte sul viso tanto pallido: due strisce di sangue su una statua di marmo. E dietro la spavalda allegria dei vostri atteggiamenti si nasconde spesso un’ombra di tristezza. Che cos’è quest’aura notturna che vi circonda, simile al profumo di un fiore sbocciato di notte?
Ma Lemort non poteva immaginare quali fossero i pensieri di Harlock in quel momento: con lo stesso sorriso malizioso di poco prima, lo prese per un braccio, conducendolo dolcemente verso il divano senza che il colonnello opponesse resistenza.
- Venite, non abbiate paura. - gli disse con l’identica voce suadente di poco prima - O forse temete che la gente abbia di che mormorare vedendovi qui con me, di fronte alla statua di Antinoo?
- Non ho paura dei giudizi della gente, Lemort. - rispose il colonnello.
Quella semplice parola riecheggiò nella mente del duca, trasportata dalla voce calda e sensuale che l’aveva pronunciata come da un vento del sud che giunge a sciogliere la neve.
Lemort… E’ la prima volta che mi chiamate per nome. L’avete pronunciato con così tanta dolcezza… perché?
Si sedettero assieme sul canapè appoggiato alla parete dirimpetto alla statua. Il conte di Lorckshire pareva profondamente assorto nella sua indagine artistica del capolavoro scultoreo che aveva di fronte, ma in realtà non erano solo di quel genere i pensieri che occupavano la sua mente. Continuava a riandare alla conversazione avuta qualche settimana addietro con Anthony: la femminilità di Lemort, l’ambiguità dei suoi comportamenti, la sua palese inclinazione per l’universo maschile erano ora così palesi che si chiedeva come avesse potuto ingannarsi sul suo conto. Eppure, nonostante questo, non provava il desiderio di fuggire.
Dal canto suo, il duca di Larckstein approfittò di quei minuti in cui potevano stare di nuovo vicini e praticamente da soli per ammirare indisturbato i lineamenti di quel volto maschile che tanto lo affascinava.
La linea elegante e decisa del tuo naso è quasi greca e la fronte deve essere ampia e spaziosa sotto le morbide ciocche castane che sempre la ricoprono e che velano in parte anche l’occhio destro. E’ forse per timore di penetrare troppo a fondo nell’animo umano con i tuoi fieri occhi d’aquila che cerchi di adombrarne il potere? Brillano quali stelle nella notte, sono freddi ed impenetrabili come specchi stregati, inquietano più che infondere pace. Eppure, se tu distogliessi da me il tuo sguardo, se non volessi più che i tuoi occhi incrociassero i miei, ciò mi ferirebbe molto più di quanto essi facciano quando mi guardano con rimprovero o sdegno.
Lemort, sentendo che le lacrime gli salivano agli occhi, si girò di nuovo verso la scultura di Antinoo, guardandola senza vederla dietro quel velo che gli aveva offuscato lo sguardo.
Oggi - si disse, lasciandosi condurre liberamente dal corso dei suoi pensieri - il colorito della tua pelle è vivido ed intenso. Hai ancora addosso il velo dorato che il sole dell’estate, trascorsa sui campi di battaglia, ha disteso sul tuo corpo. Ma quella notte, quando sei svenuto nel mio palco, il tuo volto è diventato bianco come la morte, quasi che in te non scorresse più neppure una goccia di sangue: sembrava che ti avessero colpito a morte.
Improvviso, un pensiero, un dubbio balenò nella mente di Lemort, che si voltò a guardare il colonnello, ancora perso nei suoi pensieri, cercando di cogliere una scintilla di verità, la risposta ad una domanda non ancora formulata. Lo trovò impassibile e tranquillo come lo aveva lasciato poco prima e il suo viso così luminoso, ancora abbronzato, contrastò con violenza con il ricordo che era riemerso nella mente del duca.
Stai bene… è stato solo un malore, probabilmente. Non ho motivo d’inquietarmi così.
Il colonnello, sentendo il peso di quello sguardo fisso su di lui, si voltò verso Lemort, facendolo arrossire improvvisamente: il duca temeva infatti che Harlock avesse in qualche modo colto quello che passava nella sua mente.
- Andiamo? - gli chiese invece il colonnello - Siamo rimasti qui abbastanza.
- Sì, forse è vero… ma questa statua è così bella che non mi stancherei mai di guardarla. - Lemort si voltò in fretta verso l’Antinoo per nascondere i suoi turbamenti a quei profondi occhi indagatori che adesso lo fissavano con insistenza.
Non è vero… sto mentendo. L’unica opera d’arte che non mi stancherei mai di guardare sei tu, Harlock...
Il colonnello si alzò senza aggiungere altro, allontanandosi di alcuni passi dal duca di Larckstein e fermandosi in piedi al centro della Galleria, immobile come solo lui sapeva stare, anche per lunghe ore, quand’era immerso in strategie di guerra. Lemort si alzò e gli andò incontro, fermandosi un ultimo istante davanti alla superba scultura romana.
- Però avete certamente una cosa in comune con il giovane Antinoo… - esclamò Lemort, sorridendo con gli occhi ancora lucidi di lacrime.
- Che cosa? - Harlock si aspettava già qualche sproposito, probabilmente lascivo.
- Le vostre labbra sono sinuose e carnose come le sue, così morbide e calde…
Harlock sgranò gli occhi, senza trovare nulla di conveniente da replicare: era difficile allibirlo, ma Lemort c’era riuscito in pieno.
- Morbide… e calde? - replicò - Che ne sapete?
- Sono certo che è così. - rispose il duca, allungando la destra in direzione del volto dell’ufficiale e sfiorando con l’indice la sua bocca.
Harlock gli bloccò il polso, una luce di biasimo nelle scure pupille, le sopracciglia aggrottate.
- Siete molto bello quando restate spiazzato, ma ancor più quando vi arrabbiate. - Lemort sottrasse la mano senza sforzo da quella stretta, che si sciolse dolcemente. L’espressione dura di Harlock rimase immutata - Ma, che voi lo vogliate o no, è la verità: le vostre labbra sono carnose quasi come quelle di Antinoo. Anche se molto più virili.
- Non ci assomigliamo minimamente. - protestò Harlock – Come potete vedere qualcosa in comune tra me e quel giovane efebo dal volto arrotondato e ancora infantile?
- E’ vero, Antinoo è solo un ragazzo, voi siete molto più maturo... Possedete lo lo stesso sguardo di Adriano. - accondiscese Lemort, indicando il busto dell’imperatore collocato accanto alla statua del suo amato. - Avete la stessa espressione corrucciata e volitiva: l’espressione del dominatore.
- Vi sbagliate, duca: io non sono un dominatore. - lo contraddisse Harlock. - Sono un uomo d’armi, so comandare e condurre un esercito, ma non ho mai avuto la pretesa di dominare nessuno.
- Nemmeno in amore? - chiese Lemort, ma poi, abbassando lo sguardo, si corresse - Scusate… non sono affari che mi riguardano.
- Già. - fu la secca risposta.
Il colonnello si allontanò senza aggiungere altro. Il suono dei suoi passi che si facevano sempre più distanti colpì Lemort come un pugno dritto al cuore. Rialzò il volto e fissò quella figura alta e magra che se ne andava.
Aspettami…
Non riuscì a raggiungere subito il colonnello, che non pareva avere la minima intenzione di aspettarlo.
Con l’animo greve, gli fu di nuovo accanto solo quando il conte di Lorckshire aveva già raggiunto l’ultimo gradino in fondo alle scale. Soltanto allora Harlock si voltò, fissandolo con volto impassibile e distante.
- Fatemi sapere per quella serata nei vostri appartamenti. - disse, senza mutare espressione.
Lemort annuì, poi aggiunse:
- Sarete il primo a saperlo.
Il colonnello gli rispose solo con un cenno del capo, si voltò e proseguì da solo lungo il salone. Era chiaro che non voleva essere seguito.
Il duca di Larckstein restò immobile in fondo alle scale, il cuore che gli martellava forte nel petto.
Perché siete sempre così freddo? Eppure sento che dentro di voi brucia un fuoco veemente, fatto di passione, di desiderio, d’ira… E invece serrate le porte della vostra anima, vi rinchiudete in voi stesso e diventate insensibile, proprio come una statua. Una statua che ha un cuore. Quando accetterete di mostrarlo?




Note: La statua dell'Antinoo citata nel capitolo è quella conservata al Museo Archeologico di Napoli.
Il busto di Adriano è quello dei Musei Capitolini di Roma.
   
 
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