Parte III – I suppose,
life sometimes, it doesn’t go in the way it was meant
Ognuno ha la pretesa
di soffrire molto più degli altri.
(Honoré de Balzac)
La fine delle vacanze di Natale arrivò per Sirius con lo
stesso greve incedere con cui la luna piena soleva giungere per me ogni mese.
Sembrò davvero essere giunto al limite della sopportazione: una sera, mentre
cercavo di sistemare i turni di guardia dell’Ordine di modo da non dover
rimanere da solo con lui a Grimmauld Place una volta che Harry e i ragazzi se
ne fossero andati – mossa meschina, ma che ritenevo necessaria per evitare lo
scoppio di altri litigi fra me e lui – lo sentii gridare in tono aspro,
dabbasso. Sulle prime, feci per precipitarmi di sotto, spinto da non so quale
impulso di inutile altruismo, nato in quella parte di me che ci teneva a
sincerarsi delle sue condizioni, ma poi decisi che non erano affari miei, se
Sirius era riuscito a trovare qualcun altro con cui accapigliarsi.
Personalmente, ritenevo di aver già dato abbastanza.
Nei giorni scorsi, tra noi si era verificata una spiacevole
esplosione di contrasti; da allora, avevo preferito ritirarmi nel mio silenzio,
chiuso in una stanza vuota, camminando avanti e indietro su un pavimento
coperto da due dita di polvere, volgendo lo sguardo verso l’alto al vecchio ed
imponente lampadario di cristallo, e desiderare di non aver mai compiuto un
gesto che mi aveva lasciato completamente scoperto e che, come del resto avevo
sempre sospettato, aveva condotto me e Sirius ad un alterco serio, come non ne
avevamo avuti da anni.
Gliel’avevo ricordato io stesso, che durante i nostri anni
a Hogwarts quel genere di occasioni non mancavano mai.
Bastava un qualsiasi pretesto; io che mi rifiutavo di
fargli copiare un compito, lui che rientrava in dormitorio alle quattro di
mattina dopo le sue scappatelle facendo un incredibile macello per svegliarci e
metterci al corrente dei particolari, la sua nuova trovata per dar fastidio a
qualcuno che mi rifiutavo di approvare, la sua pessima abitudine di scrivermi
stupide frasi divertenti sui libri di scuola, o di trasformarsi in Padfoot e
ricoprirmi di bava di cane da capo a piedi, e poi quei momenti in cui si
spingeva troppo in là, il cui apice era stato lo scherzo a Piton al sesto anno.
Già. Quello stupido scherzo riusciva a pesarmi ancora, per
quanto mi aveva fatto male.
L’avevo perdonato, mi sarebbe risultato impossibile non
farlo. Ero troppo attaccato a Sirius per sbattergli per sempre una porta in
faccia, e lui si umiliò e mi chiese scusa in ogni maniera possibile, cosa che
mai gli avevo visto fare per nessuno al mondo, nemmeno per James. Era capitato
che litigassero anche loro due, più di una volta, ma Sirius l’aveva sempre
presa come un’offesa personale – come se nessuno potesse permettersi di avere
da ridire sul suo conto senza il suo permesso – e in genere, anche se dopo
qualche ora erano già tornati a parlarsi, la loro riconciliazione avveniva
secondo determinati canoni che imponevano loro di fingere di trovarsi per caso
insieme nella stessa stanza, di rivolgersi la parola con una scusa, di
sfoggiare un paio di battute di repertorio e infine di sghignazzare insieme,
rompendo il gelo del litigio e finendo per prendersi amichevolmente a pugni e
ricominciare come se niente fosse successo.
Per noi due non era andata così.
Fu la prima – e pensavo sarebbe stata anche l’ultima –
volta in cui vidi Sirius sinceramente pentito per come si era comportato, senza
la benché minima traccia di astiosa superbia negli occhi. Mi implorò di
perdonarlo praticamente in ginocchio, non appena trovò il coraggio necessario
per rivolgermi la parola senza il timore di vedersi respinto in maniera
definitiva e inevitabile. Sirius sapeva bene che non trascuravo facilmente le
sue bravate, e sapeva anche che io, a differenza di James, ero perfettamente in
grado di tenergli il broncio per ben più di un paio d’ore. Credo che l’orgoglio
sia sempre stato il nostro principale, e forse unico, punto in comune, e che
quando Sirius si ritrovava a dover gestire il mio risentimento nei suoi
confronti ne aveva un certo timore, perché era così simile, nella sostanza, a
quello che lui riserbava agli altri quando era il suo turno di essere
arrabbiato. Sirius sapeva che se voleva vedersi perdonare un gesto del genere
avrebbe dovuto strisciare, e così aveva fatto; forse, se fossi stato più sadico
e maligno, la cosa avrebbe potuto farmi piacere, ma benché io non abbia
sfruttato l’occasione per trarne soddisfazione i risultati non furono quelli
sperati. Il mio rapporto con Sirius era sempre stato una specie di strana
simbiosi, all’interno della quale nessuno di noi due sentiva il bisogno di
mostrare apertamente che viveva, oltre che per se stesso, anche per l’altro, ma
che al di là delle apparenze piene di discussioni accese, di dialoghi
sarcastici e di velate frecciatine, c’era una base di affetto che nessuno si
sarebbe mai sognato di mettere in discussione. Quando qualcuno accennava anche
solo a desiderare di potermi torcere un capello, Sirius diventava una bestia.
Non riusciva a passare oltre nessuna minaccia, anche se palesemente buttata lì
soltanto per provocarlo. Diceva che era per principio. Era sempre stato molto
protettivo, tant’è che James lo chiamava “mamma” per prenderlo in giro. Ma
anche se mi risultava difficile spiegarmi razionalmente una simile tutela nei
miei confronti, dato il nostro particolare tipo di rapporto – che prevedeva,
tra l’altro, la sua decisa convinzione che io, anche se disgraziatamente Lupo
Mannaro, non avessi diritto a particolari trattamenti da femminuccia indifesa
–, sapevo benissimo che Sirius per me ci sarebbe sempre stato, anche se avessi
avuto bisogno di lui cinque minuti dopo aver finito di litigare. Sarebbe
arrivato con la furia negli occhi, sbraitando e sfogando i suoi impeti violenti
su qualcuno che magari non lo meritava fino a quel punto, e poi avrebbe inveito
nei miei confronti per mezzora in ogni maniera possibile per essermi cacciato
un’altra volta nei guai, ma la sua difesa non mi sarebbe mai venuta meno. E lo stesso
valeva per me nei suoi confronti, anche se poi avrei finito per sospirare e
dirgli “te l’avevo detto”. In realtà, sotto sotto mi divertivo un mondo a farlo
ammattire con i miei interminabili predicozzi; non solo perché lui era il mio
oggetto di tortura preferito in quel campo, ma anche perché poi finivamo sempre
per riderne.
Gran parte di tutto questo finì, dopo lo scherzo a Piton.
In quel periodo non capii cosa fu che mi impedì di darmi da
fare veramente per dimenticare e ricominciare, e solo anni dopo ci arrivai,
quando ormai ero solo e non mi rimaneva altro da fare che riflettere sulla mia
squallida vita. Compresi che in quell’occasione il patto fra me e Sirius si era
rotto, che lui si era dimostrato capace di tradire la mia fiducia; ragione per
cui negli anni successivi, anche se mi sembrò incredibile dal primo all’ultimo
istante, non feci fatica ad accettare la versione dei fatti che lo voleva
colpevole del tradimento dei Potter.
Forse fu per tutto quel tempo e quell’amicizia gettata via
in modo stupido che fui così contento di riaverlo a fianco, quando due anni
prima me lo ritrovai davanti, evaso da Azkaban, più morto che vivo e animato
dal solo desiderio di uccidere. E gli diedi manforte, ero pronto a finire Peter
a sangue freddo insieme a lui, al suo fianco, più per quello che aveva fatto a
lui che per gli amici che aveva portato via a me. Il vecchio patto era
improvvisamente tornato a ristabilirsi fra noi, e la possibilità di essere
rinchiuso ad Azkaban per essermi fatto giustizia da solo non destò in me la
benché minima preoccupazione, convinto com’ero di voler assecondare la
legittima pretesa di Sirius di vendicarsi per quei dodici anni passati a
marcire in una cella con l’atroce consapevolezza di essere innocente.
Mentre lo sentivo gridare, poco fa, intuivo che, con
un’altra persona al suo posto, non avrei mai avanzato una proposta del genere.
Rimisi mano alle carte che avevo trascurato per cercare di
tendere l’orecchio, nel tentativo di tornare a concentrarmici sopra. Avevo
parecchio lavoro da sbrigare per l’Ordine, ed ero ben consapevole di non
potermi concedere troppe distrazioni; per questa ragione, quanto udii dei passi
pesanti trascinarsi fino alla porta della stanza in cui mi ero rinchiuso, mi
sentii leggermente innervosire. Senza contare il fatto che riconobbi
immediatamente la camminata, e il pensiero di non sapere assolutamente che cosa
dire mi gettò in temporanea apprensione.
“Arthur è tornato, se ti interessa saperlo” mi disse lui,
levandomi da ogni impaccio, con quel tono cupo e quell’espressione che non dava
adito alla benché minima manifestazione di allegria.
“Ti… ringrazio di avermi avvisato” risposi, osservandolo
con circospezione, mentre lui sfuggiva visibilmente il mio sguardo. Il fatto
che sembrasse non voler affrontare l’argomento scottante lasciato in sospeso
qualche giorno prima mi dava un certo meschino sollievo, ad essere franchi, ma
non poteva fare a meno di provocarmi una qualche preoccupazione, considerato
che, a quanto mi era parso di sentire poco prima, aveva appena avuto un
diverbio con qualcuno di cui ignoravo l’identità.
“Ti dispiace così tanto?” gli chiesi, mentre, dopo avermi
gettato un’occhiata obliqua, Sirius stava per uscire richiudendosi la porta
alle spalle.
La riaprì con un gesto secco nel momento in cui mosse un
passo indietro per tornare ad affacciarsi sulla soglia, e mi piantò in faccia
due occhi ardenti di collera, che mi fecero passare la voglia di condurre una
conversazione ironica.
“Non essere ridicolo” mi rispose, in tono brusco,
sferzandomi con ogni singola parola. “È che… prima è stato qui Piton, e, sai
com’è, ha ben pensato di cogliere l’occasione per insultarmi di nuovo. A quanto
pare, nell’ultimo periodo sembra essere un desiderio piuttosto diffuso, quello
di gettarmi fango addosso”.
Naturalmente. Quello era il suo modo di farmela pagare. Sfoggiare
tutta la cattiveria di cui un Black poteva essere capace, combinandola con un
sottile sarcasmo tutto tipico di Sirius: una miscela indubbiamente esplosiva,
che fin dai tempi di Hogwarts riusciva a far cedere i nervi della persona
bersagliata da tali attenzioni dopo un tempo decisamente breve.
Increspai le labbra, feci per ribattere a tono ma poi
desistetti, e decisi di passare oltre.
“Che voleva, stavolta?” domandai, fingendo di non aver
colto l’allusione. Sirius sembrava fin troppo arrabbiato per potersi permettere
di non sfogare tutta quell’ira accumulata.
“Dare lezioni di Occlumanzia a Harry, e ricordarmi quanto
sono pateticamente inutile” rispose, gesticolando rabbiosamente. Io mi lasciai
andare contro lo schienale della sedia, osservandolo con una certa
preoccupazione.
“Quando pensate di smetterla di comportarvi come se fossimo
ancora a scuola?” domandai, in tono piuttosto retorico, dato che già in un paio
di occasioni precedenti avevo avuto modo di constatare che ciò sembrava non
essere possibile.
“Stavolta io non ho fatto niente, è stato lui” si difese
Sirius, con veemenza. Io mi strinsi nelle spalle, rassegnato, distogliendo lo
sguardo dai suoi occhi infuocati. In un’altra occasione, probabilmente, avrei
esibito un’aria scherzosamente scettica e avrei finito per riserbargli qualche
frecciatina densa di ironia che lui, dopo un primo momento di animosità,
avrebbe finito per prendere sul ridere. Ma qualche giorno fa io avevo dato
fuori di matto e l’avevo volontariamente baciato, motivo per cui la situazione
non poteva più essere affrontata nello stesso modo in cui l’avrei fronteggiata
se quello che avevo fatto non fosse mai successo.
Cominciavo a davvero pentirmene, in effetti.
“Non hai niente da ridire? Strano” mi bersagliò lui,
mettendo consapevolmente il dito nella piaga.
“Dipende,” risposi, inarcando un sopracciglio e stringendo
le labbra, mentre fingevo di fissare con aria assorta le mie carte, “è stato
particolarmente più pesante del solito?”
“Ci puoi giurare!” esclamò lui, rosso in viso per la
rabbia. “Mi ha detto che casualmente Lucius Malfoy mi ha riconosciuto l’ultima
volta che sono andato in giro trasformato in cane, e che sembra proprio che in
questo modo io abbia trovato la scusa perfetta per rimanere qui come un
codardo… Mi ha dato del codardo, ti rendi conto? Io venderei l’anima al diavolo
per respirare una boccata all’aria aperta, e Piton osa darmi del codardo!”
Lo fissai camminare avanti e indietro con gigantesche
falcate, i muscoli che si tendevano in spasimi nervosi sotto le vesti. Sapevo
benissimo quanto gli bruciasse, essere sepolto a vita a Grimmauld Place; ne
avevo osservato ampiamente gli effetti durante quelle ultime vacanze ormai
quasi concluse. Se avessi potuto, l’avrei senz’altro consolato; ma ormai avevo
timore perfino ad avvicinarmi troppo, visto che cosa avevo avuto il coraggio di
fare l’ultima volta, dopo un periodo passato a sentirmi inspiegabilmente in
imbarazzo di fronte a un suo gesto o parola qualsiasi, come una stupida ragazzina
con una cotta adolescenziale per quello che era uno dei migliori amici che
avessi mai avuto.
“Credimi, ci guadagni molto di più se lasci perdere e vai
avanti per la tua strada. Sai benissimo che non è come dice lui, perciò
ignoralo ed evita di farti il sangue amaro…”
“Ignoralo? Certo, perché tu ne saresti capace, Remus… Tu
sei capace di ignorare qualsiasi spiacevolezza incomba sul tuo cammino! Sei
capace di ignorare perfino il fatto che, guarda un po’, qualche giorno fa hai
ben pensato di saltarmi addosso all’improvviso, e… Ah, al diavolo”.
Ero abituato a sentirmi ritorcere contro le sue disgrazie,
quando Sirius era di umore particolarmente nero, ma in quel momento mi bruciò
sentirmi dire certe cose, e fu solo sforzandomi di inghiottire il risentimento
che mi trattenei dal rispondergli per le rime.
Di sicuro non pensavo che si meritasse una simile
indulgenza da parte mia.
“Almeno io non sprizzo bile da tutti i pori” replicai
dunque, a bassa voce, in un tono che mi sforzai di rendere più scherzoso che
sarcastico. Ma Sirius non sembrò comunque prenderla bene.
“Bene, la prossima volta allora ci verrai tu a raccogliere
le ceneri di Piton dal pavimento, e mi raccomando, fai pure con calma. Sono
sicuro che la cosa non ti turberà, come tutto il resto”.
Sollevai uno sguardo preoccupato dalla mappa che stavo
studiando e fissai Sirius come se dovesse esplodere da un momento all’altro, e
io dovessi sforzarmi di trovare in fretta un modo per impedirlo.
“Non dirai mica sul serio. Vero?” domandai, storcendo la
bocca in una smorfia carica di disagio. Quello era il guaio, con Sirius; non
avevo mai compreso fino a che punto avrebbe avuto il coraggio di spingersi. O
forse, pensavo di averlo compreso, dopo tutti gli anni che gli avevo passato a
fianco, ma poi i fatti mi avevano necessariamente costretto a demolire questa
mia certezza, nel momento in cui, dal nulla più completo, senza nemmeno un
segnale d’avviso o un’atmosfera particolare, mi aveva confessato di avere una
cotta per me.
Ormai ero sicuro che l’avesse detto senza pensarlo, ma la
cosa mi aveva comunque lasciato spiazzato.
Non avevo ancora analizzato a posteriori la faccenda nel
migliore dei modi, considerato che c’erano ancora un paio di punti che mi
rimanevano oscuri: il più importante di tutti, sicuramente, riguardava me e il
modo in cui ero riuscito, senza averlo pianificato né averci pensato sopra, a
confessargli che in realtà ero io quello che provava qualcosa per lui.
Continuavo a comportarmi come se niente fosse, per il
momento, perché per entrambi era sicuramente meglio così. Sirius, tra noi due,
era quello con le idee confuse; io dovevo continuare a sostenere il mio ruolo
di persona consapevole di se stessa, altrimenti tutto quel complicato e
precario castello di carte sarebbe crollato in un soffio.
“Per il momento, siamo arrivati ad estrarre le bacchette.
Lascio giudicare a te, se dico sul serio o no” mi rispose lui, risvegliandomi
dai miei pensieri. I miei occhi si spalancarono di colpo.
“Avete… Sirius, sei impazzito?!”
“Non so se tu stia diventando sordo o se molto
semplicemente non mi stavi ascoltando, ma ti ho detto che mi ha insultato
pesantemente!”
“Questo non significa proprio un bel niente!”
“Perché non la vuoi piantare, di dare sempre la colpa a me?
Ti ho già detto che è stato lui a cominciare, e io sono chiuso qui dentro da
mesi, non ho nemmeno visto la neve, Godric, e anche per quanto è successo
qualche giorno fa, sei stato tu a cominciare… Ammettilo, una buona volta”.
“Se ritieni che le parole che hai pronunciato poco prima
che ti baciassi fossero totalmente innocenti ed innocue, allora sì, direi che
hai ragione tu” risposi, stizzito, voltandomi verso il muro. Non erano certo
rare le occasioni in cui mi capitava di pensare che Sirius non sarebbe mai
cresciuto, nemmeno se l’avessero innaffiato di Pozione della Crescita, ma in
quel momento il pensiero fu formulato con rabbia, e non riuscii ad evitare che
mi invadesse la mente.
“Già, certo. Non eri tu a sostenere che ciò che conta sono
i fatti, non le parole” mi disse lui, beffardamente, e io mi voltai a guardarlo,
stringendo le mani con forza sul bordo del tavolo, fino a farmi sbiancare le
nocche.
Ciò che conta sono i fatti, non le parole.
Erano le esatte parole con cui mi ero rifiutato di
accettare le sue scuse il primo giorno dopo l’incidente con Piton, precisamente
vent’anni fa.
Aveva sempre avuto un’ottima memoria, e lo sapevo. Lo avevo
intuito fin da subito, per il modo in cui riusciva sempre a strappare dei voti
brillanti in ogni disciplina pur avendo sfogliato il libro soltanto per una
ventina di minuti la mattina stessa, mentre faceva colazione. Mi ero sempre
domandato come diavolo ci riuscisse, dicendomi che avrei dovuto studiarlo,
aprirgli il cervello alla maniera Babbana e carpire i segreti del suo
funzionamento per poter smettere di spendere ore a star chino sul testo di
Pozioni.
Ma anch’io ricordavo bene quel giorno, e il suo bellissimo
volto in lacrime aveva tormentato il mio sonno non di rado, negli ultimi anni.
Uno strano misto di senso di colpa e di desiderio di prenderlo a calci per ciò
che si era dimostrato capace di fare si univa a quelle rievocazioni oniriche
così amare che mi avevano fatto stare male per tutto il giorno successivo,
senza che fossi riuscito ad andare avanti e a considerare Sirius come un
capitolo chiuso della mia vita. Uno di quegli incubi era stato particolarmente
orribile, era quello in cui i suoi occhi grigi invasi dal pianto mi fissavano
da dietro le sbarre di Azkaban, in mezzo ad urla atroci e rumori di catene.
Non ero riuscito a perdonarmi di sognarlo in quello stato
di supplica quando ero più che convinto che fosse colpevole, e ora non riuscivo
a perdonarmi di non essere mai andato a trovarlo, anche solo per insultarlo e
dirgli che mi faceva schifo, dato che pensavo che avesse ucciso Lily e James.
Almeno, magari, lui avrebbe potuto fermarmi, dire che le cose non stavano come
credevo, e forse, spinto dal sospetto, sarei ritornato a trovarlo, e avrei
scoperto che era Peter, e non lui, a doversi meritare il mio odio, e forse
Sirius non avrebbe trascorso dodici anni in prigione, privato della possibilità
di vivere, costretto ad ascoltare le grida di colpevolezza a cui lui non poteva
mischiarsi, senza nessuno che gli credesse.
Dodici anni in una cella, e ancora io non ero riuscito a
capire quanto gli costasse veramente rimanere segregato a Grimmauld Place da
sei mesi, dopo aver appena riacquistato la libertà.
Mi sentii improvvisamente schiacciato da quel senso di
colpa, e quella sensazione terribile tornò.
La sensazione di essermi comportato da perfetto idiota, di
aver gettato via tutto il mio rapporto con lui per un suo errore che non
riuscivo a dimenticare nel terrore che potesse commetterlo di nuovo, la
sensazione di aver sbagliato tutto, la sensazione di essere condannato e
insieme di aver scelto di provare le sue stesse sofferenze, perché quello a cui
aspiravo era soltanto a un nostalgico, agognato ricongiungimento.
Corsi il rischio di spaventarmi per ciò che avevo appena
pensato, ma riuscii a ricacciarlo indietro, e presi la decisione che in quel
momento mi sembrava la migliore, sia per me che per lui.
“Va bene. Vuoi vedere la neve?” gli domandai, bruscamente,
alzandomi di scatto e facendo un paio di passi verso di lui, mentre recuperavo
la bacchetta dalle pieghe della veste.
Sirius mi fissava con aria perplessa, ovviamente ignaro di
tutto ciò che mi era passato per la testa in quel momento.
“Che vuoi fare, rimpicciolirmi e rinchiudermi in una di
quelle campane di vetro natalizie per Babbani?” mi domandò, inarcando un
sopracciglio con aria scettica. Io scossi la testa, alzando gli occhi al cielo,
lo raggiunsi e lo afferrai per un braccio, senza badare alla sua espressione
spiazzata.
Stavo per pronunciare l’incantesimo quando mi venne in
mente una cosa importante, e mi staccai un attimo da lui per andare verso
l’attaccapanni e afferrare un paio di mantelli, anche se erano piuttosto logori
e poco protettivi. Dopodiché, tornai a stringere con forza il braccio di
Sirius, e dopo qualche secondo lo strappo allo stomaco mi colse e mi risucchiò
via, mentre mi sforzavo di tenerlo ancorato a me con tutta la disperazione di
cui ero capace, e di nuovo mi accorgevo di quanto fosse dimagrito e di quanto
sembrasse più fragile adesso che pure avrebbe dovuto essere un uomo fatto,
ancora imponente nella sua nobile altezza ma spento come se avesse già finito
di vivere ciò per cui veramente valeva la pena, e probabilmente era davvero
così.
Terminato quel breve vortice di coscienza, ci ritrovammo
improvvisamente immersi in una soffice nevicata, in un mondo che sembrava
essere completamente bianco, in cui l’occhio si perdeva fino a smarrirsi dietro
l’orizzonte, sbarrato da catene di montagne ricoperte di ghiaccio.
Sirius era completamente pietrificato.
Non dava segni di vita, né accennava ad aprire bocca. Fissava
solamente il bianco che si depositava incessantemente ai nostri piedi con la
bocca aperta per lo stupore, il suo braccio ancora saldamente ancorato al mio.
Mi misi a contemplarlo con aria beata e sorrisi, fiero di
me, una volta tanto, per essere stato io a sorprenderlo, contrariamente alla norma.
“Tu… tu mi hai…”
“Sì” risposi, troncando il suo stentoreo balbettio. L’avevo
Materializzato insieme a me sulla cima di una montagna, per fargli vedere la
neve.
“Ma… dico, Remus… sei impazzito, per caso?”
Gli sistemai uno dei mantelli sulle spalle con un gesto
professionale, soffermandomi solo per una frazione di secondo sul contorno
delle sue spalle.
“Conosco il posto, e so perfettamente che è poco
frequentato, perciò non hai da temere che da un momento all’altro ti compaia di
fronte Lucius Malfoy o chi altri”.
“Ma…”
“Inoltre,” ripresi, sovrastando il suo debole tentativo di
protesta con un sorriso divertito, “come ti sei gentilmente premurato di
informarmi, Arthur è appena tornato dal San Mungo, perciò, con tutti i calorosi
benvenuti che dovrà giustamente ricevere, è molto improbabile che qualcuno si
accorga della nostra momentanea assenza. E da ultimo, dato che in questi giorni
eri diventato davvero insopportabile, non ringraziarmi troppo. Consideralo come
un gesto compiuto per farti passare il malumore, e permettere così a tutti di
tornare a vivere serenamente, una volta privati della tua influenza negativa”.
Ero bravo a parlare, e lo sapevo bene. Era il miglior modo
di detenere il controllo della situazione. Ma Sirius non sembrava disposto a
competere su quel piano, e dopo avermi lanciato uno sguardo raggiante si gettò
in una folle corsa lungo il pendio, gridando di felicità come un bambino un po’
troppo esuberante. Rimasi ad osservarlo mentre si faceva cadere a terra e si
rotolava in maniera degna del suo alter ego animalesco, seppellendo la faccia
in mezzo alla neve e riemergendone con le guance rosse, gli occhi accesi,
bianco ovunque. E intanto i fiocchi continuavano a cadere dal cielo, e si
depositavano con grazia sul suo mantello scuro e sui suoi capelli, ancora così
neri come un tempo.
“Non restare lì impalato come una mummia, Remus!” mi gridò,
ridendo come non lo vedevo fare da secoli, non sapevo nemmeno io da quanto.
Sorrisi in risposta e mi avvicinai stringendomi nel mantello, le mani in tasca,
avanzando a fatica in mezzo alla neve che mi arrivava al ginocchio.
“Ti serve aiuto per costruire un pupazzo di neve?” gli
domando, in tono ironico, mentre lo osservo abbracciare un cumulo bianco. Le
nostre impronte si perdono in quel sentiero precario, e io mi guardo intorno
per cercare la grotta dove venivo a nascondermi qualche anno fa durante le
notti di luna piena, quando ancora non avevo nemmeno sentito parlare della
Pozione Antilupo, e ritenevo più opportuno isolarmi in un luogo così
meravigliosamente desertico piuttosto che correre il rischio di attaccare
qualcuno, ormai privato della possibilità di trascorrere una divertente nottata
insieme ai miei vecchi compagni di avventure.
Imparare a reagire alla loro assenza in quei momenti era
stato tremendamente difficile, tanto mi ero abituato ad averli a fianco e, di
conseguenza, a non avvertire la pressante necessità di stare attento a tutto
ciò che facevo. Avevo ricominciato a perdere il controllo, durante le
trasformazioni, e spesso mi ero domandato se non avessi dovuto essere contento
di poter diventare una bestia, almeno per una notte al mese, garantendomi così
la possibilità di sfogare tutto il mio carico di frustrazioni emozionali in
modo violento e animalesco.
Forse quella voce maligna che insinuava in me simili
sospetti non aveva poi tutti i torti.
Ma persi troppo tempo a rimuginarci sopra, perché l’attimo
dopo qualcosa mi colpì diritto in faccia.
“Ahuff… SIRIUS!” gridai, rosso in viso, squadrandolo con
aria truce mentre rideva.
Avrei voluto adirarmi sul serio, ma non ci riuscii, perché
mi si strinse il cuore.
Quella risata canina, così forte, fragorosa, contagiosa,
enfatica, da quanto non mi risuonava nelle orecchie.
L’immagine di lui, più giovane di una ventina d’anni, mi si
sovrappose davanti agli occhi, e mi ricordai improvvisamente di quelle vacanze
di Natale trascorse a Hogwarts soltanto per rimanere insieme a loro, perché
c’era la neve, e Sirius adorava la neve. Due settimane intere trascorse nel
cortile di Hogwarts a congelare ridendo e mirando alle nostre teste, e che
disgrazia se era proprio un colpo di Sirius a beccarti, perché tirava delle
cannonate micidiali. Poi ti guardava e rideva, rideva…
Come adesso.
“Che ti prende? Mi ci hai portato tu, in questo posto, non
mi dire che ti mette la depressione!”
Tentai un mezzo sorriso, chinando lo sguardo verso terra.
“Non dire assurdità” gli risposi, scompigliandogli i
capelli. Rise di nuovo, e io mi sentii morire.
Mi sembrava incredibile, essergli davvero così
visceralmente attaccato come temevo.
Addirittura più di quanto temevo.
Capii improvvisamente che non avevo affatto esagerato
quando gli avevo confessato di provare qualcosa per lui, perché era così
terribilmente vero. Per quanto una simile definizione potesse sembrare
riduttiva, non era possibile definire semplice amicizia quella morsa che mi
stringeva le viscere. Mi sembrava che nulla avrebbe potuto rendermi più felice,
in quel momento, della possibilità di restare per sempre sulla cima di quella
montagna con lui, soli, lontani da tutto ciò che in passato ci aveva divisi e
costretti ad un distacco che non desideravamo veramente.
Eppure, mi dicevo, era anche in virtù di una separazione
durata dodici anni che, alla fine, mi ero reso conto di quanto dannatamente mi
mancasse.
Forse, se non fossi stato così cieco, l’avrei potuto capire
anni prima.
Il germe di quella morsa era sempre stato presente in me,
me ne rendevo conto mentre tutti gli avvenimenti passati mi scorrevano davanti
agli occhi come in un’improvvisa rievocazione epifanica. Tuttavia, non era
facile, non era neanche normale, secondo una certa ottica, e non avevo
la più pallida idea di dove sarei andato a finire.
“Dobbiamo tornare indietro” gli dissi, con un filo di voce,
sollevando appena lo sguardo da terra.
“Cosa? Ma dai, siamo qui da pochissimo… Chi ti ha detto che
io non voglia fare davvero un pupazzo di neve?” mi disse, ironico.
“Se ne accorgeranno presto, che siamo spariti, e allora per
te saranno guai seri, credimi”.
“Sì, per me” rispose, in tono beffardo. “Il tuo problema è
difendere la tua reputazione di uomo ineccepibile”.
Non avevo per nulla voglia di litigare, perciò mi limitai a
lanciargli un’occhiata torva.
“Se mi fossi preoccupato così tanto di difendere la mia
ineccepibilità, puoi star certo che non ti avrei mai portato fin qui”.
Non capivo più se era colpa mia o sua il fatto che
continuassimo a trovare un pretesto per scannarci anche in una situazione che,
forse, avrebbe potuto far sì che tutto andasse a posto da sé.
O forse mi ero semplicemente lasciato trasportare da un’altra
delle mie gigantesche chimere.
“Non te l’ho chiesto io, ad ogni modo. Se l’hai fatto
soltanto per placare i tuoi ridicoli sensi di colpa…”
“L’ho fatto per te, razza di imbecille!”
Ci fronteggiammo con la rabbia negli occhi per una manciata
di secondi carichi di tensione, mentre la neve continuava a caderci addosso, e
la notte si lasciava presagire da un cielo sempre più tinto di scuro.
“Quindi non sei pentito per quello che mi hai detto?”
Boccheggiai, fissandolo con aria completamente confusa. La
sua espressione dura e tagliente non dava adito ad esitazioni, tuttavia ci misi
un po’ prima di comprendere a che cosa si riferisse.
“Io non… Sirius, andiamo, cerca di capire…”
“Perfetto, allora per quanto mi riguarda non abbiamo più
nulla da dirci”.
Mi sentii improvvisamente pesante come un macigno. Dire che
non riuscivo ad intendere perché ne avesse fatta una questione di stato era
poco. Avevo ancora bisogno di fare chiarezza, fino a poco tempo prima, ma ora
che avevo compreso che il mio gesto non era stato insensato, o semplicemente
impulsivo o provocatorio, mi rendevo conto che non avrei nemmeno saputo come
dirglielo; e adesso, come se non bastasse, insisteva ancora con quella storia
delle mie accuse nei suoi confronti, come se non fosse stato evidente che il nostro
straordinario riavvicinamento in quei giorni non fosse stato causato dalla
situazione del suo rapporto con Harry. Avevo a malapena avuto il tempo di
riflettere riguardo a me stesso, come potevo pretendere di riuscire a giungere
altrettanto in fretta ad avere un’opinione chiara e precisa riguardo a lui?
Faticavo ancora a fidarmi, questo purtroppo era un dato di
fatto indelebilmente evidente.
Non sarebbe dovuto succedere. Niente di quanto era accaduto
a Lily e James, a lui e a me. Non sarebbe dovuto succedere per nulla al mondo.
Perché se avessi avuto la possibilità di rimanergli vicino, per tutti quegli
anni, lentamente quella fiducia di cui avevo bisogno per credergli sulla parola
l’avrei riacquistata. Ne ero automaticamente certo. Il nostro rapporto avrebbe
continuato ad essere solido e costante, e con il passare del tempo le ferite si
sarebbero sanate.
E invece, era andata in un modo diverso, un modo in cui non
avrebbe dovuto andare, e mi resi conto che non sapevo nemmeno a chi dare la
colpa, se alla sfortuna, al destino, a Voldemort, a Peter, a me che avevo
sospettato ingiustamente di Sirius, a Sirius che aveva sospettato ingiustamente
di me, e non mi aveva detto che lui e Peter si erano scambiati, e tutto era
irrimediabilmente precipitato in un baratro da cui non riuscivo ancora a
risollevarmi.
“Va bene” capitolai, mesto, senza sapere che altro dire.
Forse avrei potuto tentare di spiegargli, ma con Sirius era praticamente
impossibile riuscire a ragionare. E se avesse avuto ragione lui, avrei finito
soltanto per accusarlo ingiustamente, un’altra volta.
Anche se ormai c’era in ballo qualcosa di profondamente
differente.
Qualcosa che era soltanto fra me e lui. Come non succedeva
da anni.
Ritornammo indietro senza dire una parola, e mi lasciai
indietro le montagne con gli occhi appannati per il vento sferzante.
Quando ci trovammo di nuovo nella stanza in cui lui aveva
fatto irruzione poco prima, lasciai il suo braccio reprimendo un sussulto
angoscioso.
Probabilmente stavo sbagliando, per l’ennesima volta.
Ma il tempo a nostra disposizione era scaduto, e per il
momento non c’erano possibilità di prendere in considerazione l’idea di
chiarire tutto con calma.
“Scusami, ora devo proprio andare” gli dissi, osservando
l’ora, senza guardarlo negli occhi. Raccolsi le mie carte e uscii di corsa
salutando a malapena gli ospiti di Grimmauld Place, voltandomi solamente una
volta indietro ad osservare quelle scale scricchiolanti che avevo ormai salito
e sceso innumerevoli volte, la maggior parte soltanto per andare a fargli
compagnia.
Yes, and I feel too young to hold on,
I'm much too old to break free and run.
Too deaf, dumb, and blind
To see the damage I've done.
(Jeff Buckley, “Lover You Should’ve Come Over”)
Nota: il titolo è un verso della canzone
“Don’t Say A Word” dei Sonata Arctica (come se non si fosse capito che mi
piacciono XD). Con questo capitolo ho voluto provare a fornire le prime
spiegazioni per quanto è accaduto nel precedente; la fanfic sarà breve, ma
erano necessari dei chiarimenti. Senza contare che io ormai ci ho preso la mano
e mi sto davvero esaltando, a scrivere di queste due teste di rapa. Un paio di
piccole precisazioni tecniche: 1) i fatti qui ambientati li immagino, come
intuibile da riferimenti vari, un completamento al capitolo 24 dell’Ordine
della Fenice, il che mi calzava a pennello anche per la risoluzione finale,
perché Remus, tra i partecipanti alla cena di quella sera, non c’è; ricomparirà
solo la mattina dopo, in compagnia di Tonks, per riportare Harry e gli altri a
Hogwarts; 2) non sono proprio sicura riguardo alla possibilità di
Materializzarsi e Smaterializzarsi all’interno di un luogo protetto da Incanto
Fidelius per due persone che pure ne conoscono l’ubicazione, però non essendoci
modo di verificarlo ho deciso ugualmente di far andare le cose in questo modo.
Rispondo
alle recensioni che mi avete gentilmente lasciato:
x suni: non ti preoccupare per il caos con
le recensioni, mi sa che c’è qualche problema ma non ha importanza ^^ dunque,
mi pare di capire che quindi hai letto solo il prologo. Beh, se ti ha fatto
un’impressione così favorevole non posso che esserne davvero lieta: certo, ci
tengo assai ad un tuo commento anche al resto, perché come sai ormai amo JUST A
BLACK e amo il modo in cui scrivi, perciò ti ritengo assolutamente degna di
stima, ma non ho intenzione di far pressioni di nessun genere su nessuno. Resta
il fatto che sentirmi dire da te che riesco a rendere bene i personaggi, per me
è motivo di grande euforia, dato appunto come amo il modo in cui scrivi di
Sirius e Remus. Ho corretto gli “a capo” dove ci andavano, grazie per la
segnalazione, mi erano proprio sfuggiti. Ti ringrazio tanto per questo
commento, che mi ha fatto immensamente piacere.
x Faith
Lupin: wow, sono
lusingata dal tuo commento. Poi hai già la mia stima per il fatto che ami
“Shy”, dato che la reputo una canzone meravigliosa. Anche a me, quando leggo
una bella Sirius/Remus, viene voglia di picchiarli XD penso sia parte
integrante del loro modo di relazionarsi nel momento in cui tra loro si fa
accadere qualcosa che vada al di là dell’amicizia, per il modo in cui sono
fatti è inevitabile che cozzino l’uno contro l’altro. Mi dispiace per
l’aggiornamento un po’ tardivo, purtroppo sono in periodo di maturità – anche
se ho quasi finito, grazie a Dio – ma comunque spero ti sia piaciuto anche
questo capitolo.
x
sanzina89: dici
che il termine “cotta” ti pare più appropriato per Sirius, e ti do ragione,
anche se nel prossimo capitolo si capirà qualcosa di più a riguardo, dato che
sarà lui a parlare. Per il momento, di Remus si vede – spero – una sorta di
amore/devozione viscerale, qualcosa che è tutt’uno con l’amicizia eppure la
trascende. Fingere che niente sia accaduto non è facile per nessuno dei due e
Sirius non è nemmeno tanto d’accordo, ma solo perché Remus si comporta come se
non gliene importasse nulla, dopotutto; però, date le circostanze, non era
possibile per nessuno dei due dire “Va bene, adesso ci mettiamo seduti e ne
parliamo con calma”. Non sono due persone che esternano con chiarezza e
facilità ciò che pensano e provano, e queste sono le conseguenze. Grazie mille
per i complimenti ai personaggi, comunque: ci tengo un sacco che risultino IC,
perché ci tengo a loro proprio per come sono stati creati, anche se ovviamente
poi ci ricamo sopra di mio. Non credo proprio che toccherò l’argomento della
morte di Sirius, almeno, finora non è nei miei programmi, dato che preferisco
concentrarmi sul tema degli “attacchi di broncio”: tuttavia, la fanfic non è
un’AU, perciò poi, dopo la sua conclusione, resterà comunque implicito che
Sirius morirà. Aspetto il tuo prossimo commento ^^
x ivy_: contentissima che la storia ti
piaccia, davvero. Mi dispiace di non aver potuto aggiornare molto presto, dato
che ho avuto gli esami di maturità in questo periodo, ma scrivere per me è
indispensabile, in qualsiasi momento, anche se lo faccio meno di quanto vorrei
per cause di forza maggiore. Grazie ancora.
x
nischino11: a dire
la verità, il mio intento era proprio quello di giocare sul tema degli
“attacchi di broncio”, e, con questa “scusa”, portare prima a far accadere
qualcosa tra i due, e poi a cercare di darne una spiegazione tramite gli eventi
successivi; perché in effetti a prima vista può sembrare che da un momento
all’altro si siano svegliati e abbiano deciso di essere innamorati l’uno
dell’altro, però leggendo oltre, per il momento riguardo a Remus, si capisce –
spero – che non è successo tutto così, dal nulla. Remus dice chiaramente di
essere rimasto estremamente scosso – anche se inteso in senso positivo – dal
ritorno inaspettato di Sirius, una persona che pensava di aver perso, per cui
già nutriva un attaccamento molto forte anche se la storia dello scherzo a
Piton li aveva fatti allontanare, e una volta che l’ha riavuto, questo ha
scatenato qualcosa, cioè un attaccamento ancora più forte, che però ormai
valica i confini dell’amicizia, anche se la comprende in sé e ne è parte
inscindibile. Spero che così la situazione ti risulti più chiara, anche se
manca ancora la versione di Sirius. A presto e grazie ^^
x
sibil: grazie per il
consiglio, ma io guardo già Lost, come una droga! XD ho capito che ti riferisci
a Charlie, ma io non lo reggo molto, questo personaggio, se devo essere sincera
– preferisco Sawyer, anzi, diciamo che lo adoro incondizionatamente. Il mio
amore per gli Oasis nacque l’estate scorsa, anche se già prima mi
piaciucchiavano, e da allora – dato che ho un gruppo di amici che mi ha
trasmesso la passione – ogni occasione è buona per cantare “Wonderwall” a
squarciagola in macchina tutti insieme XD a parte questo, ti ringrazio molto
per i bei complimenti: adoro Sirius, e riuscire a renderlo bene mi fa davvero
felice. In questi capitoli, come hai potuto notare, sono presenti diverse
rievocazioni del passato, anche se non si tratta direttamente di flashback,
perché la storia dello scherzo a Piton ha giocato – e Remus se ne sta rendendo
conto – un ruolo cruciale per quanto riguarda il suo rapporto con Sirius prima
della morte dei Potter. Ti saluto, alla prossima!