Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Sophie Hatter    13/07/2007    11 recensioni
La signora Weasley li chiamava “attacchi di broncio”.
Sirius sembrava sentirsi oltremodo infastidito da quella definizione, ma forse non avrebbe potuto essercene una più calzante: semplicemente, si alzava al mattino presto, quando già si percepivano i rumori di qualcuno che trafficava giù in cucina, si raccoglieva silenziosamente per qualche secondo - giusto il tempo di realizzare dove si trovava, che cosa ci faceva lì e quale preoccupazione l’avesse tormentato per tutta la notte togliendogli il sonno – e, una volta che gli era tutto chiaro, decideva che per il resto della giornata il suo umore non avrebbe potuto fare a meno di essere pessimo.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'The Nights Are Cold - Wolfstar'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte III – I suppose, life sometimes, it doesn’t go in the way it was meant

Parte III – I suppose, life sometimes, it doesn’t go in the way it was meant

 

 

Ognuno ha la pretesa di soffrire molto più degli altri.

(Honoré de Balzac)

 

 

La fine delle vacanze di Natale arrivò per Sirius con lo stesso greve incedere con cui la luna piena soleva giungere per me ogni mese. Sembrò davvero essere giunto al limite della sopportazione: una sera, mentre cercavo di sistemare i turni di guardia dell’Ordine di modo da non dover rimanere da solo con lui a Grimmauld Place una volta che Harry e i ragazzi se ne fossero andati – mossa meschina, ma che ritenevo necessaria per evitare lo scoppio di altri litigi fra me e lui – lo sentii gridare in tono aspro, dabbasso. Sulle prime, feci per precipitarmi di sotto, spinto da non so quale impulso di inutile altruismo, nato in quella parte di me che ci teneva a sincerarsi delle sue condizioni, ma poi decisi che non erano affari miei, se Sirius era riuscito a trovare qualcun altro con cui accapigliarsi. Personalmente, ritenevo di aver già dato abbastanza.

Nei giorni scorsi, tra noi si era verificata una spiacevole esplosione di contrasti; da allora, avevo preferito ritirarmi nel mio silenzio, chiuso in una stanza vuota, camminando avanti e indietro su un pavimento coperto da due dita di polvere, volgendo lo sguardo verso l’alto al vecchio ed imponente lampadario di cristallo, e desiderare di non aver mai compiuto un gesto che mi aveva lasciato completamente scoperto e che, come del resto avevo sempre sospettato, aveva condotto me e Sirius ad un alterco serio, come non ne avevamo avuti da anni.

Gliel’avevo ricordato io stesso, che durante i nostri anni a Hogwarts quel genere di occasioni non mancavano mai.

Bastava un qualsiasi pretesto; io che mi rifiutavo di fargli copiare un compito, lui che rientrava in dormitorio alle quattro di mattina dopo le sue scappatelle facendo un incredibile macello per svegliarci e metterci al corrente dei particolari, la sua nuova trovata per dar fastidio a qualcuno che mi rifiutavo di approvare, la sua pessima abitudine di scrivermi stupide frasi divertenti sui libri di scuola, o di trasformarsi in Padfoot e ricoprirmi di bava di cane da capo a piedi, e poi quei momenti in cui si spingeva troppo in là, il cui apice era stato lo scherzo a Piton al sesto anno.

Già. Quello stupido scherzo riusciva a pesarmi ancora, per quanto mi aveva fatto male.

L’avevo perdonato, mi sarebbe risultato impossibile non farlo. Ero troppo attaccato a Sirius per sbattergli per sempre una porta in faccia, e lui si umiliò e mi chiese scusa in ogni maniera possibile, cosa che mai gli avevo visto fare per nessuno al mondo, nemmeno per James. Era capitato che litigassero anche loro due, più di una volta, ma Sirius l’aveva sempre presa come un’offesa personale – come se nessuno potesse permettersi di avere da ridire sul suo conto senza il suo permesso – e in genere, anche se dopo qualche ora erano già tornati a parlarsi, la loro riconciliazione avveniva secondo determinati canoni che imponevano loro di fingere di trovarsi per caso insieme nella stessa stanza, di rivolgersi la parola con una scusa, di sfoggiare un paio di battute di repertorio e infine di sghignazzare insieme, rompendo il gelo del litigio e finendo per prendersi amichevolmente a pugni e ricominciare come se niente fosse successo.

Per noi due non era andata così.

Fu la prima – e pensavo sarebbe stata anche l’ultima – volta in cui vidi Sirius sinceramente pentito per come si era comportato, senza la benché minima traccia di astiosa superbia negli occhi. Mi implorò di perdonarlo praticamente in ginocchio, non appena trovò il coraggio necessario per rivolgermi la parola senza il timore di vedersi respinto in maniera definitiva e inevitabile. Sirius sapeva bene che non trascuravo facilmente le sue bravate, e sapeva anche che io, a differenza di James, ero perfettamente in grado di tenergli il broncio per ben più di un paio d’ore. Credo che l’orgoglio sia sempre stato il nostro principale, e forse unico, punto in comune, e che quando Sirius si ritrovava a dover gestire il mio risentimento nei suoi confronti ne aveva un certo timore, perché era così simile, nella sostanza, a quello che lui riserbava agli altri quando era il suo turno di essere arrabbiato. Sirius sapeva che se voleva vedersi perdonare un gesto del genere avrebbe dovuto strisciare, e così aveva fatto; forse, se fossi stato più sadico e maligno, la cosa avrebbe potuto farmi piacere, ma benché io non abbia sfruttato l’occasione per trarne soddisfazione i risultati non furono quelli sperati. Il mio rapporto con Sirius era sempre stato una specie di strana simbiosi, all’interno della quale nessuno di noi due sentiva il bisogno di mostrare apertamente che viveva, oltre che per se stesso, anche per l’altro, ma che al di là delle apparenze piene di discussioni accese, di dialoghi sarcastici e di velate frecciatine, c’era una base di affetto che nessuno si sarebbe mai sognato di mettere in discussione. Quando qualcuno accennava anche solo a desiderare di potermi torcere un capello, Sirius diventava una bestia. Non riusciva a passare oltre nessuna minaccia, anche se palesemente buttata lì soltanto per provocarlo. Diceva che era per principio. Era sempre stato molto protettivo, tant’è che James lo chiamava “mamma” per prenderlo in giro. Ma anche se mi risultava difficile spiegarmi razionalmente una simile tutela nei miei confronti, dato il nostro particolare tipo di rapporto – che prevedeva, tra l’altro, la sua decisa convinzione che io, anche se disgraziatamente Lupo Mannaro, non avessi diritto a particolari trattamenti da femminuccia indifesa –, sapevo benissimo che Sirius per me ci sarebbe sempre stato, anche se avessi avuto bisogno di lui cinque minuti dopo aver finito di litigare. Sarebbe arrivato con la furia negli occhi, sbraitando e sfogando i suoi impeti violenti su qualcuno che magari non lo meritava fino a quel punto, e poi avrebbe inveito nei miei confronti per mezzora in ogni maniera possibile per essermi cacciato un’altra volta nei guai, ma la sua difesa non mi sarebbe mai venuta meno. E lo stesso valeva per me nei suoi confronti, anche se poi avrei finito per sospirare e dirgli “te l’avevo detto”. In realtà, sotto sotto mi divertivo un mondo a farlo ammattire con i miei interminabili predicozzi; non solo perché lui era il mio oggetto di tortura preferito in quel campo, ma anche perché poi finivamo sempre per riderne.

Gran parte di tutto questo finì, dopo lo scherzo a Piton.

In quel periodo non capii cosa fu che mi impedì di darmi da fare veramente per dimenticare e ricominciare, e solo anni dopo ci arrivai, quando ormai ero solo e non mi rimaneva altro da fare che riflettere sulla mia squallida vita. Compresi che in quell’occasione il patto fra me e Sirius si era rotto, che lui si era dimostrato capace di tradire la mia fiducia; ragione per cui negli anni successivi, anche se mi sembrò incredibile dal primo all’ultimo istante, non feci fatica ad accettare la versione dei fatti che lo voleva colpevole del tradimento dei Potter.

Forse fu per tutto quel tempo e quell’amicizia gettata via in modo stupido che fui così contento di riaverlo a fianco, quando due anni prima me lo ritrovai davanti, evaso da Azkaban, più morto che vivo e animato dal solo desiderio di uccidere. E gli diedi manforte, ero pronto a finire Peter a sangue freddo insieme a lui, al suo fianco, più per quello che aveva fatto a lui che per gli amici che aveva portato via a me. Il vecchio patto era improvvisamente tornato a ristabilirsi fra noi, e la possibilità di essere rinchiuso ad Azkaban per essermi fatto giustizia da solo non destò in me la benché minima preoccupazione, convinto com’ero di voler assecondare la legittima pretesa di Sirius di vendicarsi per quei dodici anni passati a marcire in una cella con l’atroce consapevolezza di essere innocente.

Mentre lo sentivo gridare, poco fa, intuivo che, con un’altra persona al suo posto, non avrei mai avanzato una proposta del genere.

Rimisi mano alle carte che avevo trascurato per cercare di tendere l’orecchio, nel tentativo di tornare a concentrarmici sopra. Avevo parecchio lavoro da sbrigare per l’Ordine, ed ero ben consapevole di non potermi concedere troppe distrazioni; per questa ragione, quanto udii dei passi pesanti trascinarsi fino alla porta della stanza in cui mi ero rinchiuso, mi sentii leggermente innervosire. Senza contare il fatto che riconobbi immediatamente la camminata, e il pensiero di non sapere assolutamente che cosa dire mi gettò in temporanea apprensione.

“Arthur è tornato, se ti interessa saperlo” mi disse lui, levandomi da ogni impaccio, con quel tono cupo e quell’espressione che non dava adito alla benché minima manifestazione di allegria.

“Ti… ringrazio di avermi avvisato” risposi, osservandolo con circospezione, mentre lui sfuggiva visibilmente il mio sguardo. Il fatto che sembrasse non voler affrontare l’argomento scottante lasciato in sospeso qualche giorno prima mi dava un certo meschino sollievo, ad essere franchi, ma non poteva fare a meno di provocarmi una qualche preoccupazione, considerato che, a quanto mi era parso di sentire poco prima, aveva appena avuto un diverbio con qualcuno di cui ignoravo l’identità.

“Ti dispiace così tanto?” gli chiesi, mentre, dopo avermi gettato un’occhiata obliqua, Sirius stava per uscire richiudendosi la porta alle spalle.

La riaprì con un gesto secco nel momento in cui mosse un passo indietro per tornare ad affacciarsi sulla soglia, e mi piantò in faccia due occhi ardenti di collera, che mi fecero passare la voglia di condurre una conversazione ironica.

“Non essere ridicolo” mi rispose, in tono brusco, sferzandomi con ogni singola parola. “È che… prima è stato qui Piton, e, sai com’è, ha ben pensato di cogliere l’occasione per insultarmi di nuovo. A quanto pare, nell’ultimo periodo sembra essere un desiderio piuttosto diffuso, quello di gettarmi fango addosso”.

Naturalmente. Quello era il suo modo di farmela pagare. Sfoggiare tutta la cattiveria di cui un Black poteva essere capace, combinandola con un sottile sarcasmo tutto tipico di Sirius: una miscela indubbiamente esplosiva, che fin dai tempi di Hogwarts riusciva a far cedere i nervi della persona bersagliata da tali attenzioni dopo un tempo decisamente breve.

Increspai le labbra, feci per ribattere a tono ma poi desistetti, e decisi di passare oltre.

“Che voleva, stavolta?” domandai, fingendo di non aver colto l’allusione. Sirius sembrava fin troppo arrabbiato per potersi permettere di non sfogare tutta quell’ira accumulata.

“Dare lezioni di Occlumanzia a Harry, e ricordarmi quanto sono pateticamente inutile” rispose, gesticolando rabbiosamente. Io mi lasciai andare contro lo schienale della sedia, osservandolo con una certa preoccupazione.

“Quando pensate di smetterla di comportarvi come se fossimo ancora a scuola?” domandai, in tono piuttosto retorico, dato che già in un paio di occasioni precedenti avevo avuto modo di constatare che ciò sembrava non essere possibile.

“Stavolta io non ho fatto niente, è stato lui” si difese Sirius, con veemenza. Io mi strinsi nelle spalle, rassegnato, distogliendo lo sguardo dai suoi occhi infuocati. In un’altra occasione, probabilmente, avrei esibito un’aria scherzosamente scettica e avrei finito per riserbargli qualche frecciatina densa di ironia che lui, dopo un primo momento di animosità, avrebbe finito per prendere sul ridere. Ma qualche giorno fa io avevo dato fuori di matto e l’avevo volontariamente baciato, motivo per cui la situazione non poteva più essere affrontata nello stesso modo in cui l’avrei fronteggiata se quello che avevo fatto non fosse mai successo.

Cominciavo a davvero pentirmene, in effetti.

“Non hai niente da ridire? Strano” mi bersagliò lui, mettendo consapevolmente il dito nella piaga.

“Dipende,” risposi, inarcando un sopracciglio e stringendo le labbra, mentre fingevo di fissare con aria assorta le mie carte, “è stato particolarmente più pesante del solito?”

“Ci puoi giurare!” esclamò lui, rosso in viso per la rabbia. “Mi ha detto che casualmente Lucius Malfoy mi ha riconosciuto l’ultima volta che sono andato in giro trasformato in cane, e che sembra proprio che in questo modo io abbia trovato la scusa perfetta per rimanere qui come un codardo… Mi ha dato del codardo, ti rendi conto? Io venderei l’anima al diavolo per respirare una boccata all’aria aperta, e Piton osa darmi del codardo!”

Lo fissai camminare avanti e indietro con gigantesche falcate, i muscoli che si tendevano in spasimi nervosi sotto le vesti. Sapevo benissimo quanto gli bruciasse, essere sepolto a vita a Grimmauld Place; ne avevo osservato ampiamente gli effetti durante quelle ultime vacanze ormai quasi concluse. Se avessi potuto, l’avrei senz’altro consolato; ma ormai avevo timore perfino ad avvicinarmi troppo, visto che cosa avevo avuto il coraggio di fare l’ultima volta, dopo un periodo passato a sentirmi inspiegabilmente in imbarazzo di fronte a un suo gesto o parola qualsiasi, come una stupida ragazzina con una cotta adolescenziale per quello che era uno dei migliori amici che avessi mai avuto.

“Credimi, ci guadagni molto di più se lasci perdere e vai avanti per la tua strada. Sai benissimo che non è come dice lui, perciò ignoralo ed evita di farti il sangue amaro…”

“Ignoralo? Certo, perché tu ne saresti capace, Remus… Tu sei capace di ignorare qualsiasi spiacevolezza incomba sul tuo cammino! Sei capace di ignorare perfino il fatto che, guarda un po’, qualche giorno fa hai ben pensato di saltarmi addosso all’improvviso, e… Ah, al diavolo”.

Ero abituato a sentirmi ritorcere contro le sue disgrazie, quando Sirius era di umore particolarmente nero, ma in quel momento mi bruciò sentirmi dire certe cose, e fu solo sforzandomi di inghiottire il risentimento che mi trattenei dal rispondergli per le rime.

Di sicuro non pensavo che si meritasse una simile indulgenza da parte mia.

“Almeno io non sprizzo bile da tutti i pori” replicai dunque, a bassa voce, in un tono che mi sforzai di rendere più scherzoso che sarcastico. Ma Sirius non sembrò comunque prenderla bene.

“Bene, la prossima volta allora ci verrai tu a raccogliere le ceneri di Piton dal pavimento, e mi raccomando, fai pure con calma. Sono sicuro che la cosa non ti turberà, come tutto il resto”.

Sollevai uno sguardo preoccupato dalla mappa che stavo studiando e fissai Sirius come se dovesse esplodere da un momento all’altro, e io dovessi sforzarmi di trovare in fretta un modo per impedirlo.

“Non dirai mica sul serio. Vero?” domandai, storcendo la bocca in una smorfia carica di disagio. Quello era il guaio, con Sirius; non avevo mai compreso fino a che punto avrebbe avuto il coraggio di spingersi. O forse, pensavo di averlo compreso, dopo tutti gli anni che gli avevo passato a fianco, ma poi i fatti mi avevano necessariamente costretto a demolire questa mia certezza, nel momento in cui, dal nulla più completo, senza nemmeno un segnale d’avviso o un’atmosfera particolare, mi aveva confessato di avere una cotta per me.

Ormai ero sicuro che l’avesse detto senza pensarlo, ma la cosa mi aveva comunque lasciato spiazzato.

Non avevo ancora analizzato a posteriori la faccenda nel migliore dei modi, considerato che c’erano ancora un paio di punti che mi rimanevano oscuri: il più importante di tutti, sicuramente, riguardava me e il modo in cui ero riuscito, senza averlo pianificato né averci pensato sopra, a confessargli che in realtà ero io quello che provava qualcosa per lui.

Continuavo a comportarmi come se niente fosse, per il momento, perché per entrambi era sicuramente meglio così. Sirius, tra noi due, era quello con le idee confuse; io dovevo continuare a sostenere il mio ruolo di persona consapevole di se stessa, altrimenti tutto quel complicato e precario castello di carte sarebbe crollato in un soffio.

“Per il momento, siamo arrivati ad estrarre le bacchette. Lascio giudicare a te, se dico sul serio o no” mi rispose lui, risvegliandomi dai miei pensieri. I miei occhi si spalancarono di colpo.

“Avete… Sirius, sei impazzito?!”

“Non so se tu stia diventando sordo o se molto semplicemente non mi stavi ascoltando, ma ti ho detto che mi ha insultato pesantemente!”

“Questo non significa proprio un bel niente!”

“Perché non la vuoi piantare, di dare sempre la colpa a me? Ti ho già detto che è stato lui a cominciare, e io sono chiuso qui dentro da mesi, non ho nemmeno visto la neve, Godric, e anche per quanto è successo qualche giorno fa, sei stato tu a cominciare… Ammettilo, una buona volta”.

“Se ritieni che le parole che hai pronunciato poco prima che ti baciassi fossero totalmente innocenti ed innocue, allora sì, direi che hai ragione tu” risposi, stizzito, voltandomi verso il muro. Non erano certo rare le occasioni in cui mi capitava di pensare che Sirius non sarebbe mai cresciuto, nemmeno se l’avessero innaffiato di Pozione della Crescita, ma in quel momento il pensiero fu formulato con rabbia, e non riuscii ad evitare che mi invadesse la mente.

“Già, certo. Non eri tu a sostenere che ciò che conta sono i fatti, non le parole” mi disse lui, beffardamente, e io mi voltai a guardarlo, stringendo le mani con forza sul bordo del tavolo, fino a farmi sbiancare le nocche.

Ciò che conta sono i fatti, non le parole.

Erano le esatte parole con cui mi ero rifiutato di accettare le sue scuse il primo giorno dopo l’incidente con Piton, precisamente vent’anni fa.

Aveva sempre avuto un’ottima memoria, e lo sapevo. Lo avevo intuito fin da subito, per il modo in cui riusciva sempre a strappare dei voti brillanti in ogni disciplina pur avendo sfogliato il libro soltanto per una ventina di minuti la mattina stessa, mentre faceva colazione. Mi ero sempre domandato come diavolo ci riuscisse, dicendomi che avrei dovuto studiarlo, aprirgli il cervello alla maniera Babbana e carpire i segreti del suo funzionamento per poter smettere di spendere ore a star chino sul testo di Pozioni.

Ma anch’io ricordavo bene quel giorno, e il suo bellissimo volto in lacrime aveva tormentato il mio sonno non di rado, negli ultimi anni. Uno strano misto di senso di colpa e di desiderio di prenderlo a calci per ciò che si era dimostrato capace di fare si univa a quelle rievocazioni oniriche così amare che mi avevano fatto stare male per tutto il giorno successivo, senza che fossi riuscito ad andare avanti e a considerare Sirius come un capitolo chiuso della mia vita. Uno di quegli incubi era stato particolarmente orribile, era quello in cui i suoi occhi grigi invasi dal pianto mi fissavano da dietro le sbarre di Azkaban, in mezzo ad urla atroci e rumori di catene.

Non ero riuscito a perdonarmi di sognarlo in quello stato di supplica quando ero più che convinto che fosse colpevole, e ora non riuscivo a perdonarmi di non essere mai andato a trovarlo, anche solo per insultarlo e dirgli che mi faceva schifo, dato che pensavo che avesse ucciso Lily e James. Almeno, magari, lui avrebbe potuto fermarmi, dire che le cose non stavano come credevo, e forse, spinto dal sospetto, sarei ritornato a trovarlo, e avrei scoperto che era Peter, e non lui, a doversi meritare il mio odio, e forse Sirius non avrebbe trascorso dodici anni in prigione, privato della possibilità di vivere, costretto ad ascoltare le grida di colpevolezza a cui lui non poteva mischiarsi, senza nessuno che gli credesse.

Dodici anni in una cella, e ancora io non ero riuscito a capire quanto gli costasse veramente rimanere segregato a Grimmauld Place da sei mesi, dopo aver appena riacquistato la libertà.

Mi sentii improvvisamente schiacciato da quel senso di colpa, e quella sensazione terribile tornò.

La sensazione di essermi comportato da perfetto idiota, di aver gettato via tutto il mio rapporto con lui per un suo errore che non riuscivo a dimenticare nel terrore che potesse commetterlo di nuovo, la sensazione di aver sbagliato tutto, la sensazione di essere condannato e insieme di aver scelto di provare le sue stesse sofferenze, perché quello a cui aspiravo era soltanto a un nostalgico, agognato ricongiungimento.

Corsi il rischio di spaventarmi per ciò che avevo appena pensato, ma riuscii a ricacciarlo indietro, e presi la decisione che in quel momento mi sembrava la migliore, sia per me che per lui.

“Va bene. Vuoi vedere la neve?” gli domandai, bruscamente, alzandomi di scatto e facendo un paio di passi verso di lui, mentre recuperavo la bacchetta dalle pieghe della veste.

Sirius mi fissava con aria perplessa, ovviamente ignaro di tutto ciò che mi era passato per la testa in quel momento.

“Che vuoi fare, rimpicciolirmi e rinchiudermi in una di quelle campane di vetro natalizie per Babbani?” mi domandò, inarcando un sopracciglio con aria scettica. Io scossi la testa, alzando gli occhi al cielo, lo raggiunsi e lo afferrai per un braccio, senza badare alla sua espressione spiazzata.

Stavo per pronunciare l’incantesimo quando mi venne in mente una cosa importante, e mi staccai un attimo da lui per andare verso l’attaccapanni e afferrare un paio di mantelli, anche se erano piuttosto logori e poco protettivi. Dopodiché, tornai a stringere con forza il braccio di Sirius, e dopo qualche secondo lo strappo allo stomaco mi colse e mi risucchiò via, mentre mi sforzavo di tenerlo ancorato a me con tutta la disperazione di cui ero capace, e di nuovo mi accorgevo di quanto fosse dimagrito e di quanto sembrasse più fragile adesso che pure avrebbe dovuto essere un uomo fatto, ancora imponente nella sua nobile altezza ma spento come se avesse già finito di vivere ciò per cui veramente valeva la pena, e probabilmente era davvero così.

Terminato quel breve vortice di coscienza, ci ritrovammo improvvisamente immersi in una soffice nevicata, in un mondo che sembrava essere completamente bianco, in cui l’occhio si perdeva fino a smarrirsi dietro l’orizzonte, sbarrato da catene di montagne ricoperte di ghiaccio.

Sirius era completamente pietrificato.

Non dava segni di vita, né accennava ad aprire bocca. Fissava solamente il bianco che si depositava incessantemente ai nostri piedi con la bocca aperta per lo stupore, il suo braccio ancora saldamente ancorato al mio.

Mi misi a contemplarlo con aria beata e sorrisi, fiero di me, una volta tanto, per essere stato io a sorprenderlo, contrariamente alla norma.

“Tu… tu mi hai…”

“Sì” risposi, troncando il suo stentoreo balbettio. L’avevo Materializzato insieme a me sulla cima di una montagna, per fargli vedere la neve.

“Ma… dico, Remus… sei impazzito, per caso?”

Gli sistemai uno dei mantelli sulle spalle con un gesto professionale, soffermandomi solo per una frazione di secondo sul contorno delle sue spalle.

“Conosco il posto, e so perfettamente che è poco frequentato, perciò non hai da temere che da un momento all’altro ti compaia di fronte Lucius Malfoy o chi altri”.

“Ma…”

“Inoltre,” ripresi, sovrastando il suo debole tentativo di protesta con un sorriso divertito, “come ti sei gentilmente premurato di informarmi, Arthur è appena tornato dal San Mungo, perciò, con tutti i calorosi benvenuti che dovrà giustamente ricevere, è molto improbabile che qualcuno si accorga della nostra momentanea assenza. E da ultimo, dato che in questi giorni eri diventato davvero insopportabile, non ringraziarmi troppo. Consideralo come un gesto compiuto per farti passare il malumore, e permettere così a tutti di tornare a vivere serenamente, una volta privati della tua influenza negativa”.

Ero bravo a parlare, e lo sapevo bene. Era il miglior modo di detenere il controllo della situazione. Ma Sirius non sembrava disposto a competere su quel piano, e dopo avermi lanciato uno sguardo raggiante si gettò in una folle corsa lungo il pendio, gridando di felicità come un bambino un po’ troppo esuberante. Rimasi ad osservarlo mentre si faceva cadere a terra e si rotolava in maniera degna del suo alter ego animalesco, seppellendo la faccia in mezzo alla neve e riemergendone con le guance rosse, gli occhi accesi, bianco ovunque. E intanto i fiocchi continuavano a cadere dal cielo, e si depositavano con grazia sul suo mantello scuro e sui suoi capelli, ancora così neri come un tempo.

“Non restare lì impalato come una mummia, Remus!” mi gridò, ridendo come non lo vedevo fare da secoli, non sapevo nemmeno io da quanto. Sorrisi in risposta e mi avvicinai stringendomi nel mantello, le mani in tasca, avanzando a fatica in mezzo alla neve che mi arrivava al ginocchio.

“Ti serve aiuto per costruire un pupazzo di neve?” gli domando, in tono ironico, mentre lo osservo abbracciare un cumulo bianco. Le nostre impronte si perdono in quel sentiero precario, e io mi guardo intorno per cercare la grotta dove venivo a nascondermi qualche anno fa durante le notti di luna piena, quando ancora non avevo nemmeno sentito parlare della Pozione Antilupo, e ritenevo più opportuno isolarmi in un luogo così meravigliosamente desertico piuttosto che correre il rischio di attaccare qualcuno, ormai privato della possibilità di trascorrere una divertente nottata insieme ai miei vecchi compagni di avventure.

Imparare a reagire alla loro assenza in quei momenti era stato tremendamente difficile, tanto mi ero abituato ad averli a fianco e, di conseguenza, a non avvertire la pressante necessità di stare attento a tutto ciò che facevo. Avevo ricominciato a perdere il controllo, durante le trasformazioni, e spesso mi ero domandato se non avessi dovuto essere contento di poter diventare una bestia, almeno per una notte al mese, garantendomi così la possibilità di sfogare tutto il mio carico di frustrazioni emozionali in modo violento e animalesco.

Forse quella voce maligna che insinuava in me simili sospetti non aveva poi tutti i torti.

Ma persi troppo tempo a rimuginarci sopra, perché l’attimo dopo qualcosa mi colpì diritto in faccia.

“Ahuff… SIRIUS!” gridai, rosso in viso, squadrandolo con aria truce mentre rideva.

Avrei voluto adirarmi sul serio, ma non ci riuscii, perché mi si strinse il cuore.

Quella risata canina, così forte, fragorosa, contagiosa, enfatica, da quanto non mi risuonava nelle orecchie.

L’immagine di lui, più giovane di una ventina d’anni, mi si sovrappose davanti agli occhi, e mi ricordai improvvisamente di quelle vacanze di Natale trascorse a Hogwarts soltanto per rimanere insieme a loro, perché c’era la neve, e Sirius adorava la neve. Due settimane intere trascorse nel cortile di Hogwarts a congelare ridendo e mirando alle nostre teste, e che disgrazia se era proprio un colpo di Sirius a beccarti, perché tirava delle cannonate micidiali. Poi ti guardava e rideva, rideva…

Come adesso.

“Che ti prende? Mi ci hai portato tu, in questo posto, non mi dire che ti mette la depressione!”

Tentai un mezzo sorriso, chinando lo sguardo verso terra.

“Non dire assurdità” gli risposi, scompigliandogli i capelli. Rise di nuovo, e io mi sentii morire.

Mi sembrava incredibile, essergli davvero così visceralmente attaccato come temevo.

Addirittura più di quanto temevo.

Capii improvvisamente che non avevo affatto esagerato quando gli avevo confessato di provare qualcosa per lui, perché era così terribilmente vero. Per quanto una simile definizione potesse sembrare riduttiva, non era possibile definire semplice amicizia quella morsa che mi stringeva le viscere. Mi sembrava che nulla avrebbe potuto rendermi più felice, in quel momento, della possibilità di restare per sempre sulla cima di quella montagna con lui, soli, lontani da tutto ciò che in passato ci aveva divisi e costretti ad un distacco che non desideravamo veramente.

Eppure, mi dicevo, era anche in virtù di una separazione durata dodici anni che, alla fine, mi ero reso conto di quanto dannatamente mi mancasse.

Forse, se non fossi stato così cieco, l’avrei potuto capire anni prima.

Il germe di quella morsa era sempre stato presente in me, me ne rendevo conto mentre tutti gli avvenimenti passati mi scorrevano davanti agli occhi come in un’improvvisa rievocazione epifanica. Tuttavia, non era facile, non era neanche normale, secondo una certa ottica, e non avevo la più pallida idea di dove sarei andato a finire.

“Dobbiamo tornare indietro” gli dissi, con un filo di voce, sollevando appena lo sguardo da terra.

“Cosa? Ma dai, siamo qui da pochissimo… Chi ti ha detto che io non voglia fare davvero un pupazzo di neve?” mi disse, ironico.

“Se ne accorgeranno presto, che siamo spariti, e allora per te saranno guai seri, credimi”.

“Sì, per me” rispose, in tono beffardo. “Il tuo problema è difendere la tua reputazione di uomo ineccepibile”.

Non avevo per nulla voglia di litigare, perciò mi limitai a lanciargli un’occhiata torva.

“Se mi fossi preoccupato così tanto di difendere la mia ineccepibilità, puoi star certo che non ti avrei mai portato fin qui”.

Non capivo più se era colpa mia o sua il fatto che continuassimo a trovare un pretesto per scannarci anche in una situazione che, forse, avrebbe potuto far sì che tutto andasse a posto da sé.

O forse mi ero semplicemente lasciato trasportare da un’altra delle mie gigantesche chimere.

“Non te l’ho chiesto io, ad ogni modo. Se l’hai fatto soltanto per placare i tuoi ridicoli sensi di colpa…”

“L’ho fatto per te, razza di imbecille!”

Ci fronteggiammo con la rabbia negli occhi per una manciata di secondi carichi di tensione, mentre la neve continuava a caderci addosso, e la notte si lasciava presagire da un cielo sempre più tinto di scuro.

“Quindi non sei pentito per quello che mi hai detto?”

Boccheggiai, fissandolo con aria completamente confusa. La sua espressione dura e tagliente non dava adito ad esitazioni, tuttavia ci misi un po’ prima di comprendere a che cosa si riferisse.

“Io non… Sirius, andiamo, cerca di capire…”

“Perfetto, allora per quanto mi riguarda non abbiamo più nulla da dirci”.

Mi sentii improvvisamente pesante come un macigno. Dire che non riuscivo ad intendere perché ne avesse fatta una questione di stato era poco. Avevo ancora bisogno di fare chiarezza, fino a poco tempo prima, ma ora che avevo compreso che il mio gesto non era stato insensato, o semplicemente impulsivo o provocatorio, mi rendevo conto che non avrei nemmeno saputo come dirglielo; e adesso, come se non bastasse, insisteva ancora con quella storia delle mie accuse nei suoi confronti, come se non fosse stato evidente che il nostro straordinario riavvicinamento in quei giorni non fosse stato causato dalla situazione del suo rapporto con Harry. Avevo a malapena avuto il tempo di riflettere riguardo a me stesso, come potevo pretendere di riuscire a giungere altrettanto in fretta ad avere un’opinione chiara e precisa riguardo a lui?

Faticavo ancora a fidarmi, questo purtroppo era un dato di fatto indelebilmente evidente.

Non sarebbe dovuto succedere. Niente di quanto era accaduto a Lily e James, a lui e a me. Non sarebbe dovuto succedere per nulla al mondo. Perché se avessi avuto la possibilità di rimanergli vicino, per tutti quegli anni, lentamente quella fiducia di cui avevo bisogno per credergli sulla parola l’avrei riacquistata. Ne ero automaticamente certo. Il nostro rapporto avrebbe continuato ad essere solido e costante, e con il passare del tempo le ferite si sarebbero sanate.

E invece, era andata in un modo diverso, un modo in cui non avrebbe dovuto andare, e mi resi conto che non sapevo nemmeno a chi dare la colpa, se alla sfortuna, al destino, a Voldemort, a Peter, a me che avevo sospettato ingiustamente di Sirius, a Sirius che aveva sospettato ingiustamente di me, e non mi aveva detto che lui e Peter si erano scambiati, e tutto era irrimediabilmente precipitato in un baratro da cui non riuscivo ancora a risollevarmi.

“Va bene” capitolai, mesto, senza sapere che altro dire. Forse avrei potuto tentare di spiegargli, ma con Sirius era praticamente impossibile riuscire a ragionare. E se avesse avuto ragione lui, avrei finito soltanto per accusarlo ingiustamente, un’altra volta.

Anche se ormai c’era in ballo qualcosa di profondamente differente.

Qualcosa che era soltanto fra me e lui. Come non succedeva da anni.

Ritornammo indietro senza dire una parola, e mi lasciai indietro le montagne con gli occhi appannati per il vento sferzante.

Quando ci trovammo di nuovo nella stanza in cui lui aveva fatto irruzione poco prima, lasciai il suo braccio reprimendo un sussulto angoscioso.

Probabilmente stavo sbagliando, per l’ennesima volta.

Ma il tempo a nostra disposizione era scaduto, e per il momento non c’erano possibilità di prendere in considerazione l’idea di chiarire tutto con calma.

“Scusami, ora devo proprio andare” gli dissi, osservando l’ora, senza guardarlo negli occhi. Raccolsi le mie carte e uscii di corsa salutando a malapena gli ospiti di Grimmauld Place, voltandomi solamente una volta indietro ad osservare quelle scale scricchiolanti che avevo ormai salito e sceso innumerevoli volte, la maggior parte soltanto per andare a fargli compagnia.

 

 

Yes, and I feel too young to hold on,
I'm much too old to break free and run.
Too deaf, dumb, and blind
To
see the damage I've done.

(Jeff Buckley, “Lover You Should’ve Come Over”)

 

Nota: il titolo è un verso della canzone “Don’t Say A Word” dei Sonata Arctica (come se non si fosse capito che mi piacciono XD). Con questo capitolo ho voluto provare a fornire le prime spiegazioni per quanto è accaduto nel precedente; la fanfic sarà breve, ma erano necessari dei chiarimenti. Senza contare che io ormai ci ho preso la mano e mi sto davvero esaltando, a scrivere di queste due teste di rapa. Un paio di piccole precisazioni tecniche: 1) i fatti qui ambientati li immagino, come intuibile da riferimenti vari, un completamento al capitolo 24 dell’Ordine della Fenice, il che mi calzava a pennello anche per la risoluzione finale, perché Remus, tra i partecipanti alla cena di quella sera, non c’è; ricomparirà solo la mattina dopo, in compagnia di Tonks, per riportare Harry e gli altri a Hogwarts; 2) non sono proprio sicura riguardo alla possibilità di Materializzarsi e Smaterializzarsi all’interno di un luogo protetto da Incanto Fidelius per due persone che pure ne conoscono l’ubicazione, però non essendoci modo di verificarlo ho deciso ugualmente di far andare le cose in questo modo.

 

Rispondo alle recensioni che mi avete gentilmente lasciato:

x suni: non ti preoccupare per il caos con le recensioni, mi sa che c’è qualche problema ma non ha importanza ^^ dunque, mi pare di capire che quindi hai letto solo il prologo. Beh, se ti ha fatto un’impressione così favorevole non posso che esserne davvero lieta: certo, ci tengo assai ad un tuo commento anche al resto, perché come sai ormai amo JUST A BLACK e amo il modo in cui scrivi, perciò ti ritengo assolutamente degna di stima, ma non ho intenzione di far pressioni di nessun genere su nessuno. Resta il fatto che sentirmi dire da te che riesco a rendere bene i personaggi, per me è motivo di grande euforia, dato appunto come amo il modo in cui scrivi di Sirius e Remus. Ho corretto gli “a capo” dove ci andavano, grazie per la segnalazione, mi erano proprio sfuggiti. Ti ringrazio tanto per questo commento, che mi ha fatto immensamente piacere.

x Faith Lupin: wow, sono lusingata dal tuo commento. Poi hai già la mia stima per il fatto che ami “Shy”, dato che la reputo una canzone meravigliosa. Anche a me, quando leggo una bella Sirius/Remus, viene voglia di picchiarli XD penso sia parte integrante del loro modo di relazionarsi nel momento in cui tra loro si fa accadere qualcosa che vada al di là dell’amicizia, per il modo in cui sono fatti è inevitabile che cozzino l’uno contro l’altro. Mi dispiace per l’aggiornamento un po’ tardivo, purtroppo sono in periodo di maturità – anche se ho quasi finito, grazie a Dio – ma comunque spero ti sia piaciuto anche questo capitolo.

x sanzina89: dici che il termine “cotta” ti pare più appropriato per Sirius, e ti do ragione, anche se nel prossimo capitolo si capirà qualcosa di più a riguardo, dato che sarà lui a parlare. Per il momento, di Remus si vede – spero – una sorta di amore/devozione viscerale, qualcosa che è tutt’uno con l’amicizia eppure la trascende. Fingere che niente sia accaduto non è facile per nessuno dei due e Sirius non è nemmeno tanto d’accordo, ma solo perché Remus si comporta come se non gliene importasse nulla, dopotutto; però, date le circostanze, non era possibile per nessuno dei due dire “Va bene, adesso ci mettiamo seduti e ne parliamo con calma”. Non sono due persone che esternano con chiarezza e facilità ciò che pensano e provano, e queste sono le conseguenze. Grazie mille per i complimenti ai personaggi, comunque: ci tengo un sacco che risultino IC, perché ci tengo a loro proprio per come sono stati creati, anche se ovviamente poi ci ricamo sopra di mio. Non credo proprio che toccherò l’argomento della morte di Sirius, almeno, finora non è nei miei programmi, dato che preferisco concentrarmi sul tema degli “attacchi di broncio”: tuttavia, la fanfic non è un’AU, perciò poi, dopo la sua conclusione, resterà comunque implicito che Sirius morirà. Aspetto il tuo prossimo commento ^^

x ivy_: contentissima che la storia ti piaccia, davvero. Mi dispiace di non aver potuto aggiornare molto presto, dato che ho avuto gli esami di maturità in questo periodo, ma scrivere per me è indispensabile, in qualsiasi momento, anche se lo faccio meno di quanto vorrei per cause di forza maggiore. Grazie ancora.

x nischino11: a dire la verità, il mio intento era proprio quello di giocare sul tema degli “attacchi di broncio”, e, con questa “scusa”, portare prima a far accadere qualcosa tra i due, e poi a cercare di darne una spiegazione tramite gli eventi successivi; perché in effetti a prima vista può sembrare che da un momento all’altro si siano svegliati e abbiano deciso di essere innamorati l’uno dell’altro, però leggendo oltre, per il momento riguardo a Remus, si capisce – spero – che non è successo tutto così, dal nulla. Remus dice chiaramente di essere rimasto estremamente scosso – anche se inteso in senso positivo – dal ritorno inaspettato di Sirius, una persona che pensava di aver perso, per cui già nutriva un attaccamento molto forte anche se la storia dello scherzo a Piton li aveva fatti allontanare, e una volta che l’ha riavuto, questo ha scatenato qualcosa, cioè un attaccamento ancora più forte, che però ormai valica i confini dell’amicizia, anche se la comprende in sé e ne è parte inscindibile. Spero che così la situazione ti risulti più chiara, anche se manca ancora la versione di Sirius. A presto e grazie ^^

x sibil: grazie per il consiglio, ma io guardo già Lost, come una droga! XD ho capito che ti riferisci a Charlie, ma io non lo reggo molto, questo personaggio, se devo essere sincera – preferisco Sawyer, anzi, diciamo che lo adoro incondizionatamente. Il mio amore per gli Oasis nacque l’estate scorsa, anche se già prima mi piaciucchiavano, e da allora – dato che ho un gruppo di amici che mi ha trasmesso la passione – ogni occasione è buona per cantare “Wonderwall” a squarciagola in macchina tutti insieme XD a parte questo, ti ringrazio molto per i bei complimenti: adoro Sirius, e riuscire a renderlo bene mi fa davvero felice. In questi capitoli, come hai potuto notare, sono presenti diverse rievocazioni del passato, anche se non si tratta direttamente di flashback, perché la storia dello scherzo a Piton ha giocato – e Remus se ne sta rendendo conto – un ruolo cruciale per quanto riguarda il suo rapporto con Sirius prima della morte dei Potter. Ti saluto, alla prossima!

 

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Sophie Hatter