Capitolo 5
Verità
«Bene,
allora credo di aver bisogno del tuo non-aiuto.» concluse
serio.
Erano già passati cinque minuti, ma David non aveva
accennato a
parlare. Si era seduto sul mio letto e, sempre chiuso nel suo mutismo
esasperante, si era preso la testa tra le mani. Guardai la lancetta
dell'orologio compiere il suo sesto giro, poi mi decisi a rompere quel
silenzio.
«David, va tutto
bene?» chiesi incerta.
Non mi rispose, così feci un passo avanti. Contai fino a
dieci,
poi mi decisi ad avvicinarmi ancora a lui. Stavo per sedermi in
fondo al letto di Mandy, quando parlò, facendomi sobbalzare.
«Perché dovrei fidarmi? Spiegamelo Greta, per
quale fottutissimo motivo dovrei fidarmi di te, eh?»
Il suo tono era colmo di rabbia, amarezza e delusione. Non risposi, fu
lui a continuare.
«La fiducia
è una bastarda, comunque vada ti lascia sempre a terra, lo
sai?
Non c'è ragione per cui io dovrei riuscire ad aprirmi con
te,
sarebbe soltanto l'ennesima condanna. Eppure, cazzo..!»
Lo stavo ascoltando in silenzio. Se avessi proferito parola,
probabilmente, avrei prodotto un suono sconosciuto.
Sapevo quale fosse il suo stato d'animo in quel momento: frustrazione e
debolezza insieme, un mix che, il più delle volte,
è
letale per l'anima. Continuai ad aspettare, non c'era cosa migliore da
fare, nonostante quell'eppure
mi stesse logorando dentro. Poco dopo parlò ancora.
«Io sento
il bisogno di fidarmi di te, non come una necessità, ma come
unica
via possibile. Comprendi? Non so spiegarlo, ma io devo parlarti, non
solo
perché mi capisci, ma perché quando parli vai
dritta al
punto, mi colpisci dietro le barriere. È come se tu sapessi
quello che penso! Fa paura, ma non saprei dirlo diversamente.»
Era, senza dubbio, il discorso più lungo che gli avessi mai
sentito
pronunciare e, nonostante tutto, anche il più sofferto.
Vedevo
la fatica sul suo volto: aveva tirato fuori quelle parole contro la sua
volontà, aveva ammesso di aver bisogno di aiuto e adesso,
raggiunta la consapevolezza, era a pezzi. Mi decisi a muovermi. Mi
alzai lentamente e andai a sedermi al suo fianco.
«David..»
sussurrai il suo nome. Alzò la testa e puntò i
suoi occhi
dritti nei miei. Erano belli, grandi e sofferenti.
«Non posso
farti promesse, non sarei in grado di rispettarle, non lo sono mai
stata; posso, però, assicurarti che non ti farei mai del
male.
So quello che si prova, te lo assicuro.»
Erano parole banali, stupide, le più inadatte che avessi mai
pronunciato, ma lui non disse niente, continuò a fissarmi e
poi
annuì, come per confermarmi che mi credeva.
Ci ritrovammo nuovamente avvolti in un silenzio pressante, uno di
quelli durante il quale riesci persino a sentire il rumore dei pensieri
della persona che ti sta accanto. Non parlavamo, ma sapevamo che ci
sarebbero state parecchie cose da dire.
Presi coraggio e appoggiai una mano sulla spalla. Stavo cercando un
contatto di qualche tipo con lui, qualcosa che gli impedisse di
richiudersi nuovamente su se stesso, una conferma al fatto che lui era
lì e voleva davvero il mio aiuto.
«David..»
pronunciai il suo nome per la terza volta in quella mattina. «Posso farti una
domanda?» gli chiesi titubante.
«Sì.»
rispose lui flebilmente.
«Quando hai
deciso di fidarti? Voglio dire, cosa ti ha convinto?». Mi
sentivo
ipocrita nel rivolgergli una domanda del genere in quel momento, come
se volessi sentirmi adulata, ma volevo sapere cosa poteva averlo spinto
a venire da me, ci doveva pur essere una ragione valida.
«Non ti piacerebbe
saperlo.» mi disse, storgendo la bocca in una strana smorfia.
«Te l'ho
chiesto, voglio saperlo; non sempre le domande che facciamo hanno
risposte che ci piacciono, ma non per questo non dobbiamo ascoltarle,
no?» chiesi retorica.
Sorrise debolmente. «Saggia.»
«Allora?»
insistetti.
Sbuffò, quasi scocciato.
«Ehi, cosa ti
aspettavi?» gli dissi scherzando.
«Hai
ragione.» Rispose sorridendo, questa volta sul serio. «Ricordi
la prima volta che ci siamo scontrati nel corridoio? Io sono stato
sgarbato nei tuoi confronti, e anche le volte dopo.»
Ovvio che me lo ricordassi. Erano passati pochi giorni, ma non si
dimentica facilmente uno scorbutico che si infiamma per niente in mezzo
a un corridoio vuoto. Ma non dissi nulla, lasciandolo proseguire.
«Poi tu mi hai detto
quelle cose sul muro, sul fatto di capirmi, sulla..terapia
e ho pensato che non importava se quello che dicevi era vero, tu mi
stavi sulle palle. Non riuscivo a sopportarti, eri sempre nel
mezzo. Poi, però, ho pensato che se mi davi così
noia,
forse, non eri tanto sbagliata. Solitamente le persone ti
colpiscono in due modi: o ti innamori di loro, o le odi. Altrimenti non
contano niente, capisci?»
Annuii.
Non si agisce mai
perché qualcuno ci è indifferente, mi
avevano detto, si agisce
perché ci si sente toccati, smossi, persino attaccati. Ci si
protegge, o ci si apre completamente.
Me l'avevano insegnato quando ancora non sapevo chi fossi, quando
ancora mi guardavo allo specchio e vedevo il vuoto di fronte a me. La
maggior parte delle volte le persone cambiano perché
qualcosa le
ha spinte una direzione nuova, diversa, sia che questo qualcosa
rappresenti l'amore, il bene, la positività, sia che
rappresenti
la paura, l'odio, il conflitto. Se non ci fossero le persone che
amiamo, non svilupperemmo mai quel senso di protezione nei loro
confronti, quello che ci fa tentare di tutto pur di non vedere la
sofferenza sui loro volti. Se non ci fossero i conflitti, non saremmo
mai spinti a difenderci, a guardarci dentro per costruire nuovi sistemi
di fortificazione e, nel peggiore dei casi, di rinascita.
Le cose più sublimi e quelle più infime
coesistono e sono essenziali nel cammino di ogni individuo.
Io avevo rappresentato il conflitto, il tentativo di difesa, la voglia
di lottare di David.
E, probabilmente, lo rappresentavo anche in quel momento.
«E
adesso?» gli chiesi.
«Adesso
cosa?»
«Mi odi?»
«No.»
Sentii una fitta all'altezza dello stomaco, ma non riuscii a
classificarla.
Sarà fame, pensai.
Non feci più domande.
Avrei dovuto capire che la fame non si percepisce con l'anima.
Quando uscii di camera per andare a mangiare qualcosa, David se ne era
andato da poco. Ero ancora confusa dalla conversazione appena avuta, ma
che ancora non era stata conclusa: certo, David si era
aperto,
aveva deciso di venire a parlare con me, aveva tentato di abbattere gli
ostacoli che gli permettevano di fidarsi, eppure non mi aveva detto niente. Eravamo pur
sempre al punto di partenza, si teneva ancora tutto dentro.
Sbuffai. Era frustrante quella situazione, avrei voluto fare di
più, saperne di più.
Ancora immersa nei pensieri, non mi accorsi della figura che camminava
a passo svelto nella mia direzione, fino a quando non si
fermò davanti a me.
«Greta.»
«Santana.»
Non era un buon segno il fatto che avesse pronunciato solo il mio nome:
era arrabbiata, lo avevo capito ancora prima di guardarla negli occhi.
«Ti avevo detto di
stare lontana da Josh. Perché hai fatto di testa
tua?» Il suo tono era calmo, sembrava quasi un leggero
rimprovero di una mamma alla figlia.
«Perché
non credo che spettasse a te la decisione, né spettava a te
impormi di rifiutare. Santana, parliamo chiaro: tu hai lasciato Josh.
Josh adesso non vuole stare con te. Nessuno di questi due è
un mio problema.» Era inutile girarci intorno: essere
diretta, andare dritta al punto, quella era la soluzione.
«Sì, ma
lo diventeranno se ti ostini ad uscire con lui. Mi pare di avertelo
già detto, io rivoglio Josh indietro e nessuno
potrà fermarmi. Perciò ti consiglio di farti da
parte.»
L'occhiata che mi lanciò fu tutt'altro che rassicurante, ma
la mia voglia di discutere era pari a zero. Perché dovevo
finire sempre al centro di situazioni assurde e degne dei migliori
telefilm? Quello era il mistero buffo
della mia vita: facevo parte di una tragi-commedia, eppure la parte
comica non faceva ridere come narravano i libri.
La guardai in faccia e le risposi: «Santana, lascia che
te lo dia io un consiglio: la vita fa già abbastanza schifo,
non peggiorarla!». Poi la superai e mi diressi verso il bar,
avevo assolutamente bisogno di cibo.
Continuavo a chiedermi perché una ragazza come Santana,
bella ed intelligente, dovesse abbassarsi a certi
livelli per un ragazzo. Non dubitavo del fatto che a lei piacesse Josh,
ma sembrava che per lei fosse importante averlo. Se si fosse
trattato solo di trovare un ragazzo con cui divertirsi, non avrebbe
avuto nessun problema a sceglierne un altro, eppure lei voleva Josh.
Perché? Cosa spinge una persona a decidere di volerne
un'altra? Quale meccanismo si aziona nel cervello per permettere ad un
essere umano di compiere una scelta così radicale? Ci doveva
essere una risposta logica e razionale a quel quesito. Non riuscivo a
trovare una ragione valida da giustificare la decisione di Santana, un
perché che giustificasse la sua irrazionalità, la
sua posizione, il suo volere.
Eppure non capivo. Non ancora.
Erano le dieci di sera quando sentii bussare alla porta della mia
stanza. Ero sdraiata sul letto a leggere un libro, Mandy era ancora
fuori dalla mattina, così non mi restava che alzarmi per
andare ad aprire.
«Josh!»
esclamai.
«Greta, senti devo
parlarti.» mi disse sfregandosi le mani insieme e tenendo lo
sguardo basso.
«Dimmi
tutto.»
«Posso
entrare?» mi chiese gentilmente, ma senza alzare il viso.
«No Josh, forse
è meglio se mi dici qui quello che mi devi dire.»
gli risposi cercando di non essere sgarbata.
«Sì, hai
ragione, scusa. Greta, io non so come spiegartelo, ma tu mi piaci! Ma
non solo per il fatto che sei bella e che io mi sento attratto da
te..»
Lo interruppi subito. «Frena, Josh,
fermati un secondo!»
«No! Se non ti dico
tutte queste cose adesso, non lo farò più. Mi
piaci, Greta! Non riesco a fare altro che pensarti e poi quando ti
parlo mi sento uno scemo, non riesco a trovare le parole, la lingua non
si vuole muovere, capisci? Mi sento come uno di quei ragazzini nei film
dal primo momento che ti ho vista!»
«Adesso basta,
Josh!»
«Ho quasi finito.
Voglio solo dirti che so di aver sbagliato ieri sera, sono stato troppo
avventato, ma ti prego, dammi un'altra possibilità!
Seguirò i tuoi tempi, le tue modalità,
farò tutto quello che vuoi, ma non dirmi di no.»
concluse.
Restai immobile, pietrificata. Non sapevo cosa dire.
Gli piacevo e fino a lì potevo arrivarci. Si sentiva
attratto da me, poteva essere. Non faceva altro che pensarmi e non
riusciva a trovare le parole giuste quando parlava con me. No, quello
no, non avrei potuto accettarlo! Non avevo mai sopportato le
dichiarazioni d'amore dei film, sembravano false e smielate e, la
maggior parte delle volte, il protagonista maschile diceva quelle cose
solo per portarsi a letto la ragazza. Non stavo accusando Josh di
volermi portare a letto (o forse anche quello), ma non potevo credere
che lui provasse davvero certe cose nei miei confronti dopo
così poco tempo, era impossibile! I fatti della sera
precedente, inoltre, non facevano altro che alimentare la mia teoria:
lui ci provava con me per fare numero, come se fossi una delle tante.
Mi dispiaceva pensare quelle cose, in fondo non lo reputavo un cretino,
ma non volevo uscire con lui un'altra volta.
«Josh, potrei dirti
che mi dispiace, ma non avrebbe senso, alimenterei solo le tue
speranze. Non uscirò più con te, non voglio. E
non dare la colpa a quello che è successo ieri sera, non
è solo quello: non provo quello che tu provi per me e, per
quanto tu possa essere un bel ragazzo, non sono attratta da te in quel
senso. In altre parole, potrei dirti che non sei il mio tipo, che tra
noi non potrebbe mai funzionare, ma sarebbe banale: non voglio uscire
con te.»
Ero stata cattiva, non ne dubitavo, ma ero sicura che la
sincerità sarebbe stata il miglior mezzo per chiudere la
cosa: addolcire il concetto, far sembrare che a me dispiacesse non
uscire con lui, utilizzare frasi del tipo "il problema sono io, non sei
tu" non avrebbe fatto altro che peggiorare la cosa. Via il dente, via il dolore.
Me lo avevano sempre ripetuto quando ero piccola e, crescendo, avevo
capito quanto le bugie e le illusioni non facessero altro che
ingigantire i problemi. Solo la verità, brutta o bella che
fosse, poteva rappresentare la soluzione.
Ma non avevo fatto i conti con il lato ironico del mondo: ho
già detto che la mia vita somigliava molto ad un film?
Non avevo previsto che Josh mi afferrasse saldamente per le spalle e
premesse le sue labbra contro le mie. Provai a liberarmi, ma la sua
stretta si fece più stretta e sentii la sua lingua
accarezzare le mie labbra per farle schiudere.
"Permesso negato!", pensai. Ma, ancora una volta, il regista di quel
film che era la mia vita, mi sorprese.
«Brutta puttana,
allora non sono stata chiara!»
L'urlo di Santana mi giunse chiaro e forte nelle orecchie. Josh
sobbalzò e si staccò da me, lasciandomi
finalmente libera.
«Santana,
calmati!» le intimò Josh.
«Calmati un cazzo,
Josh!! Non osare dirmi di stare calma, perché è
l'ultima cosa che farò!»
«Non credo tu abbia
il diritto di intervenire nella mia vita!» rispose Josh
alzando la voce.
«Ma nella sua
sì, l'avevo avvertita!» urlò Santana
indicandomi con una mano.
«Che vuol dire che
l'avevi avvertita? Tu sei pazza!» disse Josh passandosi una
mano tra i capelli.
«Sì, io
sono pazza, ma lei è una puttana!»
E ancora una volta non fui in grado di prevedere quello che sarebbe
successo: Santana si mosse veloce e, senza permettermi di realizzare,
mi afferrò per i capelli. Non ebbi la velocità di
spostarmi, né la forza di reagire. Mi tirava per i capelli
facendomi inarcare la schiena, mentre sentivo le lacrime affiorare.
«Non mi hai dato
ascolto? Bene, ecco quello che ti meriti! Sei una puttana, una di
quelle che cercano di apparire dolci ed indifese, mentre non vedono
l'ora di portarsi a letto i ragazzi delle altre. Ma qui non funziona
così, cara, io so difendere ciò che è
mio e riprendermi quello che voglio!» mi urlò in
un orecchio.
«Basta!
Smettila!» gridai, sperando che allentasse la presa, ma
ancora una volta mi sbagliai: infatti tirò ancora
più forte, facendomi cadere per terra. Stava per tirare di
nuovo i capelli, quando qualcuno parlò.
«Lasciala andare.
Ora.»
Non riconobbi chi aveva pronunciato quelle parole, ma lei fece come
aveva detto. Sentii i miei capelli tornare liberi e, asciugandomi le
lacrime che erano sfuggite ai miei occhi, mi alzai per vedere chi fosse
colui che mi aveva "salvata".
«Cosa fai, David,
adesso la difendi anche? Non eri tu quello che la odiava?»
gli chiese Santana con un sorriso strafottente sulla faccia.
«Cosa fai tu,
piuttosto! Sei andata fuori di testa?» tuonò David.
«Le avevo detto di
stare lontana da Josh, ma lei ha fatto di testa sua e li ho trovati
avvolti in un romantico bacio poco fa.» disse lei facendo una
smorfia.
Alle parole di Santana, David
si girò verso Josh e, solo in quel momento, mi accorsi che
lui era stato lì tutto il tempo, ma non era intervenuto.
«Cosa cazzo
aspettavi, idiota? Volevi forse che le strappasse tutti i
capelli?» chiese David a Josh, dando voce ai miei pensieri. «Che ti cagassi in
mano anche a vedere Harry Potter lo sapevo, ma non credevo potessi
arrivare a questo punto.»
Josh alzò il capo e lo guardò irato. «E tu? Arrivi qui,
mi giudichi, fai il supereroe, ma glielo hai detto a Greta? Glielo hai
detto il perché di tutto questo casino?»
Guardavo Josh e lo vedevo per la prima volta: parlava con odio e
rancore e si rivolgeva a David con disprezzo, come se volesse annientarlo.
«Che casino?
C..cosa?» chiesi confusa.
«Come David, non
glielo hai detto alla nostra Greta che mentre io e Santana stavamo
insieme, te la sbattevi alle mie spalle?»
Poi il buio calò.
Per la prima volta capii che, per quanto fosse giusto dire la
verità, non sempre si può dirla senza danneggiare
qualcuno.
-Note dell'autrice-
Salve! :)
Eccomi di nuovo, anche se dopo mesi. So di averci impiegato una vita e
mi scuso tanto, ma ho davvero avuto problemi a scrivere questo
capitolo: ci sono stati giorni in cui non voleva saperne di uscire,
altri in cui le idee erano fin troppe, ma alla fine ce l'ho fatta!
Sarei curiosa di sapere cosa ne pensate..:)
Ci tengo a ringraziare coloro che hanno inserito la storia tra le
preferite/seguite/ricordate, ovvero:
Afeffa
juliet327
Lucia92
ventisette_
AlexDavis
Lollizzata
AllyCoffey
Carrie L
CiUffEttA
GoodbyeCalm
HopeCrazy
kikathefly
kitty0890
leonedifuoco
maryfrance90
maya tabitha
shana_musi
_maddy_25
Grazie per aver atteso tutto questo tempo ed essere ancora qui! :)
A presto (prometto!).
Baci,
Jane Ale